di Rosario M. Atria
«Vorrei salvare la meraviglia dell’alba che ritorna ed il miracolo del sole che dorme nella casa della notte»: così scriveva Marilena Monti in un libricino di liriche, smilzo e prezioso, che segna il suo debutto letterario. Un esordio nel ricordo del padre, medico di professione, artista per passione, dal quale aveva appreso la dedizione alla «storia delle emozioni», creature fragili e resilienti insieme, che «sopravvivono malgrado gli attacchi del mondo esterno» [1].
A rileggere ora la sua introduzione alle liriche («creature che non oso chiamare poesie»), si ricava fortissima la sensazione che vi sia impressa, nero su bianco, tutta la profondità e la sensibilità, doti rare, di un’anima che avrebbe poi combattuto, fino all’ultimo giorno terreno, una strenua battaglia, spesso solitaria, altre volte con pochi fidati compagni al seguito, contro le brutture del mondo, esclusivamente imbracciando un’arma gentile: «Ci ho provato con le mie canzoni, sola, contro tutto, con la mia chitarra, ci provo oggi con questo primo, piccolo volume (…)» [2].
Una lunga storia di campagne civili, quella di Marilena, con una stella polare ad indicare la rotta: ogni molecola dell’arte che ha riversato su questo mondo è stata protesa all’affermazione della bellezza. Concetto intorno a cui si snoda una parte significativa del pensiero estetico e, a dirla tutta, di quello filosofico sin dalle sue origini. Categoria controversa sotto molti aspetti, abusata oggi – in un’età contraddistinta da frantumazioni, dispersioni e liquidi infingimenti – come collante ed edulcorante di percorsi artistici che restano vuoti, sterili, insignificanti.
La nostra Autrice ha inteso la bellezza come compito interminabile, come «strada che non ha fine»: così sul finire del Settecento, alle soglie della rivoluzione industriale, in quegli anni che segnano l’avvio dell’età contemporanea, la aveva definita Schiller nelle sue Lettere sull’educazione estetica [3].
Per oltre vent’anni, dal 1969 al 1992, Marilena Monti è stata voce delle trasmissioni culturali della RAI siciliana, per cui ha curato interpretazione, regia e musiche. È stata entusiasta promotrice di progetti teatrali e laboratori di scrittura creativa rivolti ai giovani delle scuole superiori, avvertendo l’urgenza di educare attraverso l’arte, di formare la comunità del presente e del futuro (nel senso di conferirle forma nuova) rispetto a temi di enorme rilevanza civica: su tutti la prevenzione delle tossicodipendenze, un flagello che olezza di morte, ieri come oggi. Entro questa azione di rigenerazione comunitaria attraverso il teatro è da collocarsi anche l’esperienza triennale, maturata fra il 1998 e il 2001, di Direttore Artistico del “Selinus” di Castelvetrano, la città di Ferruccio Centonze, che apparteneva alla generazione antecedente alla sua, cui fu legata da sincera stima.
Sul fronte della produzione letteraria si deve riconoscere che Marilena Monti è stata tra le voci più originali che il secondo Novecento isolano e il primo scorcio del Duemila abbiano prodotto. Autrice eclettica e delicata di narrativa, poesia e teatro, esponente di quella letteratura engagée che non s’indigna per conquistare la luce dei riflettori, ma critica per decostruire e rifondare, fedele per lunga parte della sua carriera all’editore trapanese Coppola, presso cui ha visto la luce dal Duemila, oltre ad alcune riedizioni di opere degli anni Novanta, la maggioranza dei suoi testi, opere di grande forza simbolica come “Passione” [4], “Foulard” [5], “Aquila” [6], “Gabriele” [7], “La vela la tela” [8], “Stupore irriverente” [9], “Viaggio di cuore” [10], “Soggetto” [11], “Il rito del tè” [12].
Sarebbe riduttivo confinare la sua proposta culturale alla terra natia, quantunque da lei venerata sopra ogni cosa, giacché – come tanti autori italiani di Sicilia, da Verga a Pirandello, da Sciascia a Camilleri, solo per richiamarne alcuni – sovente ha inteso rintracciare nella Sicilia non già una condizione di separatezza, quanto uno specchio per raccontare fenomeni di ben più vasta e generale portata. Prova ne siano, a suggellare un percorso artistico incredibilmente ricco e multiforme, i molti riconoscimenti e premi ricevuti per la canzone d’autore, la narrativa, la poesia, il teatro, l’impegno sociale e perfino alla carriera. Ed è appena il caso di ricordare – testimonianze ulteriori della sua caratura – l’inserimento nell’albo degli scrittori italiani ed europei UNESCO e la nomina, nel 2010, a Commendatore della Repubblica italiana per alti meriti artistici, culturali e sociali.
In questa sede, non ci è possibile che tratteggiare per sommi capi la sua poetica e sondare il suo pensiero, con l’avvertenza che approfondimenti ben più capillari s’imporrebbero per cogliere appieno l’unicità della sua arte. Eppure non sarà forse infruttuoso tentare di identificare almeno alcuni nuclei e nodi ricorrenti, raccogliendo l’eredità delle sue parole e lasciando che Marilena stessa con la sua voce ci avvinca, ci narri, ci ammonisca, ci intenerisca, ci conduca all’avvertimento di quella bellezza solare che, con pervicace ostinazione, ha voluto indicare come destinazione.
Si impone qui una riflessione sul valore della letteratura e sulla sua potenzialità di e-ducare alla bellezza: si può, innestando il discorso letterario sull’estetica della bellezza, costruire un mondo nuovo o almeno salvare – come pretendeva il principe Myškin de L’idiota di Dostoevskij [13] – il buono rintracciabile nell’esistente? Attraverso il teatro, la musica, la poesia e ogni altro linguaggio e forma che abbia per carne la parola, non da sognatrice disancorata dalla terra, ma da intellettuale poliedrica vocata alla verità, la nostra Autrice sembra suggerirci di sì.
Antidiva dal sorriso dolcissimo, con uno sguardo d’un azzurro così rilucente che ci potevi vedere dentro tutte le tonalità del cielo e del mare, riverbero di quelle forze vitali che sono poi l’essenza della libertà (come traspare dalla foto scattatale da Letizia Battaglia, che seppe in uno scatto intercettarne l’anima), combattente per natura e per vocazione, Marilena ha battuto la strada più impervia ed entusiasmante che si possa percorrere: tentare di condurre chi entrava in contatto con la sua arte al riconoscimento della propria umanità, aprendo varchi, squarci, per ricontattare parti sommerse, obliate, screpolate dal tempo. «Ho una sola speranza: quella che, almeno una, fra le persone che leggerà possa ritrovare un frammento di se stessa, dimenticato, fra le righe di queste mie cose vere»: quell’auspicio iniziale la avrebbe poi accompagnata lungo tutto il cammino [14]. Del resto, l’arte – ci ricorda Nietzsche – ha sempre a che fare con la verità: «Il rapporto dell’arte con la verità è stata la prima cosa che mi ha impensierito: e ancora adesso sto, con un sacro sgomento, dinanzi a questa discrepanza» [15].
«Sono una goccia di universo / caduta male» – confessa Marilena in una lirica del ’71, in una sintesi lapidaria di un processo di autoanalisi certo ben più articolato e complesso, con quella icasticità che solo la poesia può concepire. La discrepanza è la cifra di un’anima che fa fatica a trovare la propria dimensione in una realtà confusa, imbrogliata, scompaginata. Di un’energia vitale che, malgrado i «frantumi dei sogni» [16], non rinuncia a seguire la luce: «Quando il sole è un punto, / meno di un punto di fuoco, / meno di un punto di sabbia, / meno di un punto d’immaginazione, / quando il sole è così / è ancora un punto di speranza» [17].
Si definisce nell’opera di Marilena, sin dagli albori (e si confermerà più avanti), una semantica della luce, che si annoda alla poetica della bellezza e disvela sempre un desiderio inesauribile di libertà: «… E quando avrai spezzato / l’ultimo ramo / della mia vita, / potrò volare libera / nell’infinita luce / dei tuoi occhi» [18]. Sublimi, a riguardo, I racconti del nuovo Sole, nei quali la letteratura incontra la filosofia, imponendo il confronto con questioni esistenziali antiche quanto il mondo. Si pensi alle sollecitazioni scaturenti dalla lettura di Concerto di perifrasi per Zeta, personaggio che ambisce ad afferrare il sole e che muore chiedendo perdono per averlo visto: «E che poteva fare se non morire? Ebbe la pena di non saper vivere, di non esserci mai riuscito. Pensò a una nuvola grande per avvolgere il sole; una nuvola grande e chiara; una nuvola grande, chiara ed infinita per avvolgere il sole, per nascondere il sole, per portarselo a casa, per possederlo» [19].
La parabola di Zeta riecheggia il gesto sacrilego dell’Ulisse dantesco che aveva osato spingersi oltre le colonne d’Ercole, oltre i confini del mondo conosciuto, conducendo i compagni ad una fine ineluttabile; e la sfrontatezza di Prometeo, che aveva sottratto il segreto del fuoco agli dèi per finire incatenato a una rupe ai confini del mondo prima di sprofondare nel Tartaro.
Non possiamo tuttavia non cogliere in questi passaggi, oltre al bisogno di conoscenza autentica, anche l’emozione della scoperta. Emozione è un’altra parola cardine del lemmario di Marilena, specie in relazione al suo guardare con smisurata passione, non disgiunta dalla fermezza della critica, alla sua e nostra Sicilia. Al sommo di ogni traiettoria di scrittura da lei tracciata, si riconosce l’amore tenace, capace di rigenerarsi nel tempo oltre ogni ferita, per L’isola signora [20] che, entro un processo graduale di sublimazione suscitato da una devozione più che filiale, diviene “Isola Emozione”, perché nel bene e nel male «essa continua ad essere emozione forte che cattura, riempie, avvince e talvolta divora» [21].
Suggestivi e potentissimi i racconti brevi della raccolta del ’91: un catalogo della sicilianità, fra itinerari da compiere perlustrando l’Isola a tela di ragno, sorseggiando luoghi che sono ribalte a cielo aperto, nutrendosi di incontri singolari e sorprendenti, alla scoperta di tipi e umane vicende che ci ricordano che la vita è un gioco, a fasi alterne, scandite da vittorie e da sconfitte, a volte rovinose, che sempre dischiudono la possibilità del riscatto.
C’è Palermo, colta prima che le sue strade e le sue piazze si tingessero del sangue dei martiri di fine Novecento e odorassero di sangue rappreso, di giustizia calpestata, di speranza dilaniata. Da Porta Felice si diparte una «bella, lunga, dritta strada di sole» perpendicolare al mare, da percorrere tra infiniti tesori disseminati «con il riverbero d’oro sull’asfalto che ti acceca» [22]. Ci ritroviamo immersi nell’atmosfera del Festino, mentre la Santuzza sfila per le vie del Cassaro, tra sfarzi che possono apparire inutili ed eccessivi nel proposito di rinnovare quell’intima devozione che si traduce in un brivido comune senza tempo: «È come rivivere e far rivivere le anime di una Palermo miracolata dalla fanciulla vergine e santa. Mi sento felice di essere in mezzo agli altri, di abbandonarmi alla folla che è quieta e gentile, che esorcizza ogni senso di colpa individuale e collettivo in questo rito di devozione buono ed innocuo» [23].
“Esiste Noto”: la «capitale di un sogno» o «pagina di un diario di questa storia composita, variegata e bizzarra» che è la Sicilia stessa, «dove tutto è possibile, dove tutto è stato» [24]. Assaporiamo l’atmosfera agostana e l’attesa per il sorgere della “Luna piena a Capo Granitola”, «pronta per i sogni di ciascuno» tra pesche notturne, sorrisi, risate e «canzoni intonate in coro nel magico silenzio dell’estate» [25]. Esploriamo come in un dipinto che si offre alla vista a poco a poco, da prospettive differenti, il fascino di Sant’Elia, piccolo borgo marinaro sulla costa di Santa Flavia tra più caratteristici e pittoreschi della zona, «uno scorcio fatto da uno slargo sul mare» [26] che, in una magica notte di Sicilia, assurge a teatro di vita. Personaggi a fiotti sprigionano dalla fantasia e, alla maniera di Pirandello, pretendono che le loro storie vengano annodate e raccontate. È un cunto potente, che non si esaurisce nell’hic et nunc, ma persiste oltre il luogo fisico che lo ha generato, lungo la via del ritorno: «Io ero rimasta in quel teatro ad inseguire avida le facce eterne dei personaggi immaginari, eppure reali, della mia storia, dei miei legami profondi. Dei luoghi della mia terra che sono teatro della vita» [27].
Tante altre località, con i loro paesaggi e scorci unici, gli impareggiabili colori, le atmosfere magiche, tornano nei racconti di Marilena, in un affresco che si dispiega passando a guado tutta l’Isola, via terra e via mare, e vivendola, da Trapani a Catania, da Pantelleria a Favignana. Il cunto talora punta oltre lo Stretto, su fino a Roma, ma sempre nel vagheggiamento della Sicilia: «Solo la sera, quando sul Tevere, verde di putride e dolci storie, guardavo la luce del crepuscolo riflessa, allora mi tornava la voglia dei tramonti palermitani, di quel cielo che ha le tonalità indescrivibili di mille ed una notte, che è il solo possibile lenzuolo nel quale potersi avvolgere per fare il più bello fra tutti i sogni!» [28].
La nostalgia diventa afflato della memoria, la malinconia genera illusioni, al punto da scorgere il mare laddove un riflesso di luce blandisce la foschia: «Il miraggio mi fece comprendere che dovevo tornare, che l’assenza era finita, che il mio viaggio più affascinante e stimolante io devo compierlo tra le strade eterne ed infinite di questa isola signora e della sua gente che costituiscono un mondo complessissimo e ricco … e tutto circondato dal mare!» [29].
Una dichiarazione di appartenenza all’interno di un diario d’amore per l’Isola. Il libro sarà riedito da Coppola nel 2004 e ancora nel 2005, con l’aggiunta di un sottotitolo fortemente evocativo, Emozioni in Sicilia, e con rinnovata architettura: così le storie si aggregheranno in sezioni, secondo un movimento interno che origina dai racconti della memoria per passare poi in rassegna personaggi e luoghi e chiudersi nel segno dell’amarezza e della critica d’amore, dinanzi a un popolo che non sa valorizzare e nemmeno custodire l’immenso patrimonio che ha ereditato, lascito di un passato fastoso e munifico: «Io amo criticamente, o critico con amore questa terra di cui sono orgogliosa, come l’avessi creata io, la amo con la inesprimibile forza della mia fervida fantasia, e con tanta amarezza e consapevolezza, e la capisco. Faccio di tutto per capirla e rispettarla per quei doni di incommensurabile bellezza che ci elargisce, generosa!» [30].
Una visione che si radicalizza, approfondendosi, in Isola Emozione, raccolta del 2016, edita da Mazzotta. L’Autrice osserva, con realismo e disincanto, che la Sicilia non muta nei suoi eccessi, che bellezza e bruttura, magnificenza e barbarie, splendore e miseria, varcata la soglia del nuovo Millennio, si contrappongono in modo forse ancor più netto. Eppure non cessa né può tacere quell’amore disperante e nutritivo che la porta a narrarla «per frammenti luminosi di memoria» (ancora schegge di luce …) e «sguardi offesi» [31].
Accompagnati dalle possenti fotografie in bianco e nero di Agata Katia Lo Coco, ritroviamo qui parole e pensieri capaci di accarezzare l’anima di ogni siciliano che sia visceralmente legato alle sue radici. Marilena Monti scoperchia in queste pagine lo scrigno del suo cuore: «Non cesserò di raccontarti perché sei uno specchio su cui il mondo intero può riflettersi e riconoscersi. Perché mi inquieti, perché in te vivo e mi vivo» [32].
Così la figlia dell’Isola rende finale omaggio alla madre terra generosa che l’ha partorita e nutrita: «Grazie di queste macchie di rosso tra gli ulivi, nel mandorlo maturo, tra le rocce. Grazie di questi giorni che cominciano e finiscono duci di fichi e prugne, di oleandri, menta, basilico e muluni … Che paradiso è? È questo il paradiso!» [33].
Il libro si distende tra ricordi di infanzia (il tema sulla primavera alle elementari risolto in mirabile poesia [34]) e aneddoti della maturità, fra “Foto anni ’70” (la Roma delle prime esperienze teatrali negli anni di piombo, stagione «di lotte, di convincimenti ideali, di cose gridate, volute, conquistate, perse anche» [35]) e pagine epistolari di sconfinata tenerezza per i nipoti [36].
Ai quadri più intimi, come già nelle precedenti raccolte, si alternano istantanee di luoghi che riaffiorano dalla memoria sollecitando ad un confronto fra passato e presente: Geraci, Caltabellotta, Castellammare, il Ponte di Ferro nella Riserva Naturale Orientata sita alla foce del fiume Belìce, un tratto incantevole di spiaggia sabbiosa, purtroppo non risparmiato dall’inquinamento delle acque [37].
Immagini non stinte, vividissime al contrario, che invitano a una riflessione ecologica, estetica, morale sullo stato dell’Isola, il degrado diffuso, le responsabilità della classe dirigente, l’indolenza e la rassegnazione di tanti, troppi fra i conterranei. In “Palermo mia perduta”, viaggiamo attraverso le epoche per cogliere la distanza incolmabile tra la città del passato, culla di civiltà, e la città contemporanea, violata seviziata sventrata: «Vivevo a Piazza Marina, ero al centro dell’universo, ero collegata alla storia di tutti i popoli, ero nell’utero del mondo, delle civiltà calde e creative, ero la signora di un regno di infinita ricchezza …» [38].
Quel regno è adesso popolato di iene e sciacalli. La scrittura si fa tesa, cede all’invettiva, accoglie il dissenso. La critica politica non risparmia, qui come altrove (ad esempio ne “La piazzetta rubata” [39]), i politicanti miopi, presuntuosi e corrotti. Compito dell’arte è denunciare con risolutezza e con passione invitare al riscatto: «Mia bella di gelsomini e pomelie (…). Vorrei dirti “difenditi”, scaccia via i turchi del tuo stesso sangue, maestri d’arroganza e d’ignoranza. Scaccia, mia bella perduta, i tuoi figli nemici (…). Alza la fronte verso il sole. Ritorna ad essere sovrana del tuo decoro» [40].
Isola Emozione accoglie pure una palpitante e attualissima ode in prosa al Mediterraneo, luogo di incantamenti e contraddizioni, incontri e scontri di popoli feroci e nobili: «Mediterraneo di Sirene, sangue e ambiguità; mito di tutti i miti (…). Sei nel racconto dei mille Omeri dalla lingua dolce, malinconici e chiari, ridondanti di fantasia, rinnovatori di eterne leggende. Ti respiro nelle casbe e nei porti, ricamato di gabbiani, accentato di spezie e di conflitti» [41]. Nella parte conclusiva non manca una notazione mesta sulle atrocità che per le sue rotte si consumano: «Mare madre, mare padre, mare morte». Dinanzi all’Inferno mare, che vorace inghiotte vite di uomini e donne e i loro desideri e speranze, «il dolore è di ogni anima che ancora sia accesa di umana coscienza» [42].
La scrittura di Marilena Monti è vibrante, appassionata, intensa, sanguigna. Impossibile non interrogarsi silenti dopo aver letto le sue trame, i suoi versi. Certe chiose ti colpiscono come pugni allo stomaco, ti scuotono nelle viscere.
Penso, in chiusura, al dolore urlato e per sempre impresso nei versi terribili e struggenti di Giudice Paolo. Penso alla penna che corre veloce sul taccuino in un momento personale e collettivo di eccezionale e forse irripetibile partecipazione emotiva alla vicenda di una Sicilia ancora rigata di sangue, di nuovo martoriata e trafitta al cuore; una terra che si avverte orfana e indifesa dinanzi all’annuncio, a pochi mesi dalla Strage di Capaci, dell’uccisione di Borsellino.
«Pallore. / Col sole che brucia. / Coi gradi assoluti di luglio. / Possibile farsi riparo / e darsi frescura con niente? / Presenti. / Dolenti. / Furenti. / Pensosi. / Penosi gli sguardi. / Duemila, tremila, seimila. / I timidi, i buoni, i pavidi / e gli sbruffoni. / Magliette celesti, / ragazze, / signore ed occhiali, / scolari. / Tacete! / Ché Paolo dorme per sempre, / ormai non lo sveglia il mattino» [43].
Dopo Giovanni Falcone, un altro padre generoso, insieme ai ragazzi cui era affidato il compito ingrato di proteggerlo, immolava la sua vita nel tentativo di liberare la sua terra da quella cappa asfissiante che ha nome mafia. Lo stilo piangente di Marilena ci riconduce a quel drammatico 19 luglio ‘92, quando il tritolo detonò in via D’Amelio e poi al giorno delle esequie:
«Palermo è la madre / violata. / Il giudice ucciso / è il padre caduto. L’ennesimo. / Tutti: / onesti, feroci, orfanelli… / Per oggi né mare, / né strade affollate: / fu atroce l’estate / dell’Isola azzurra, / fu fossa di pioggia sanguigna / e amara di pianto!» [44].
Due tonalità si impongono su tutte: l’azzurro del cielo e del mare, nell’attesa di un’alba che si credeva sarebbe arrivata grazie all’ennesimo sacrificio dei giusti; e il rosso del sangue che s’incide sull’asfalto e sulle anime. Azzurra è la copertina della prima edizione apparsa nell’ottobre dello stesso anno 1992. Rossa, come l’agenda che mai si è trovata, come la fitta di dolore per una morte che pure sembrava annunciata, è la copertina dell’edizione del 2009 su cui campeggia lo sguardo di Paolo, tenero e corrucciato a un tempo:
«E piange Palermo / al mattino. / Le dieci e cinquanta. / Da tetti, terrazze, / finestre… / Il grido incredibile / è / muto. / Mentre Paolo è / nel legno. / Con la sua devozione / e la sua solitudine. / E i vivi / respirano amore, / in questo momento, / non odio, / e pioggia di fiori, scomposta freschezza, / e lacrima ennesima / e tenerezza. / “Ti giuro, / Giudice Paolo / dagli occhi di miele / e mestizia, / che noi / ti faremo / giustizia!”» [45].
Quella promessa la Sicilia e l’Italia non l’hanno ancora mantenuta; ma la poesia di Marilena Monti ha saputo eternare il sacrificio d’un uomo e additare a modello il suo coraggio. Forse il significato profondo di questa ferita che, a distanza di oltre trent’anni, ancora gronda e geme è racchiuso in quella frase pronunciata dallo stesso magistrato: «È bello morire per ciò in cui si crede. Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola».
Fra i molti ringraziamenti che dobbiamo a Marilena Monti, uno speciale lo rivolgiamo per non aver mai avuto paura di levare la sua voce contro gli scempi e gli orrori contemporanei, senza mai distogliere lo sguardo dalla luce e dal sole.
Sic transit gloria mundi
Quando ho accolto l’invito del direttore Antonino Cusumano a scrivere un contributo in memoria di Marilena Monti, l’ho fatto col cuore pesante, sgomento dinanzi a un feretro che la sua città non ha saputo omaggiare, nella convinzione ferma che tra la caducità delle cose umane ci siano storie, pagine, note, speranze e immagini che sarebbe oltraggioso disperdere.
Ho avuto la fortuna di poter condividere, nel tempo della stesura, alcune mie riflessioni e i miei stati d’animo con Ermelinda Palmeri, legata a Marilena da un affetto profondo, e molto la ringrazio per il suo supporto e i preziosi suggerimenti.
In un mondo che urla, scomposto, sgraziato, superficiale, ritengo che la compostezza elegante di Marilena, la sua semplicità disarmante, la sua voce provocatoria e armoniosa, il suo inesauribile impegno civile, la profondità di un’arte capace di rinnovarsi attraverso i decenni e la lucidità con cui lei, anima antica, ha saputo leggere la contemporaneità e cantare la bellezza della sua terra siano doni immensi che meritano di essere custoditi.
Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023
Note
[1] M. Monti, E il resto se lo tiene la notte. Liriche, SIAI Editrice, Palermo 1973. La silloge propone un alternarsi di poesie, scritte tra la metà degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, e di immagini, bozzetti in bianco e nero, a firma De Simone. La nota introduttiva è a p. 5.
[2] Ibid.
[3] Cfr. F. Schiller, Lettere sull’educazione estetica [1795], a cura di G. Pinna, Aesthetica, Palermo 2019.
[4] Cfr. M. Monti, Passione. Dramma in un atto e tre scene, prefazione di G. Pilati, «LineaTeatro», Coppola, Trapani 2000. In questo testo teatrale che ripercorre la vicenda di Cristo, riconosciamo il martirio di una madre, un inno al dolore che si trasforma in amore.
[5] Cfr. M. Monti, Foulard. “Leggerezza” in un atto e tante scene, prefazione di A. Pes, «LineaTeatro», Coppola, Trapani 2000. È la storia di Olga e della sua ambigua fedeltà, con la protagonista che esibisce dinanzi agli innumerevoli pretendenti un foulard di volta in volta diverso, oggetto singolare quanto evanescente, in grado di donare una nota originale di colore ad ogni atto della sua (e nostra) esistenza.
[6] Cfr. M. Monti, Aquila. Dramma, preceduto da Ai confini della luce di G. Valdini e Il prezzo da pagare di M. Monti, «LineaTeatro», Coppola, Trapani 2001. In questo testo teatrale vagamente ispirato al mito di Prometeo, si staglia un’acuta riflessione sulla trasgressione ai limiti imposti, sul bisogno di conoscenza della propria essenza più profonda, ma anche sulla consapevolezza che per pervenirvi c’è un prezzo alto da pagare, in un destino di dolore e solitudine.
[7] Cfr. M. Monti, Gabriele, «LineaEmozioni», Coppola, Trapani 2002. Marilena Monti racconta la tragica storia di un giovane studente di Fisica a Palermo, animato da un alto ideale di difesa e amore per la natura, morto in un fatale incidente nelle gole del Simeto, di cui stava documentando lo stato di inquinamento; una vicenda che viene proposta con viva commozione indicando la coerenza, l’integrità e l’impegno di Gabriele per un mondo migliore come esempio per i tanti giovani in cammino nella ricerca di un senso profondo da dare alla loro vita.
[8] Cfr. M. Monti, La vela la tela. Lettere inedite tra Ulisse e Penelope, «LineaEmozioni», Coppola, Trapani 2004.
[9] Cfr. M. Monti, Stupore irriverente. L’ultimo scritto di Salvatore Giuliano. Dramma in un atto con canti e sequenze danzate, introduzione di G. Pilati, «LineaTeatro», Coppola, Trapani 2006. Marilena Monti ordisce un dramma in cui il confronto con la verità storica è eluso, perché ciò che conta è penetrare l’anima pulsante di una vicenda umana, non afferrare la realtà sfuggente di fatti di cronaca controversi. C’è un picciotto che non arriva a trent’anni, consapevole di come andrà a finire: per la storia è un bandito, ma qui è soltanto un figlio che finirà trucidato in un cortile; e c’è il dramma di una madre, che non può proteggere il suo nicareddu.
[10] Cfr. M. Monti, Viaggio di cuore, Coppola-Di Girolamo, Trapani 2008. Il romanzo è una metafora sul cambiamento e sulla difficoltà di abbracciarlo. Dedicato alla sorella Serena, prematuramente scomparsa, inscena un viaggio à rebours, fra solitudini e abbandoni, verso un’Isola parente dotata di forza salvifica. Contestualmente si realizza una discesa negli abissi della propria anima, una sorta di catabasi interiore che permette alfine la conoscenza profonda del sé.
[11] Cfr. M. Monti, Soggetto, «I Pizzini della Legalità», Coppola, Trapani 2009. Ancora una riflessione, condotta attraverso versi aspri, sofferti, dalla forte carica simbolica, su criminalità, malaffare e violenza mafiosa: «L’inchiostro è azzurro, il mio! / Cambia la tua scrittura, / ma rossa / è sulla pagina d’asfalto / e segna il passo / e sottoscrive guerre / e lumi spenti / e soffi di rancore! / Attenta, cara: / la tua grammatica sconnette / la fiducia virtuosa / dei coerenti».
[12] Cfr. M. Monti, Il rito del tè. Romanzo, Coppola, Trapani-Caltabellotta 2013. Un romanzo che ammicca al giallo, ma si propone piuttosto come lente d’indagine per cogliere le contorte logiche di una famiglia, che ammanta d’amore, camuffandoli, i crimini.
[13] Cfr. F. Dostoevskij, L’Idiota [1869], ed. it. con trad. di G. Faccioli e L. Satta Boschian, introd. di A. Torno, note di Ettore Lo Gatto, collana “Il pensiero occidentale”, Milano 2009.
[14] M. Monti, … E il resto se lo tiene la notte, cit.: 5.
[15] F. Nietzsche, Frammenti postumi, in Id., Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1974, vol. VIII, tomo III: 289.
[16] M. Monti, … E il resto se lo tiene la notte, cit.: 35 (lirica del 1967).
[17] Ivi: 31 (lirica del 1968).
[18] Ivi: 47 (lirica del 1973).
[19] M. Monti, I racconti del nuovo Sole, presentazione di I. Vitale, Associazione Collaboratori RAI, Palermo 1973: 41.
[20] Ead., L’isola signora, prefazione di A.M. Di Fresco, EdiLight, Rende 1991.
[21] Ead., Isola Emozione, Mazzotta, Castelvetrano-Selinunte 2016: 8.
[22] Ead., L’isola signora, cit.: 11 (Porta Felice).
[23] Ivi: 54 (La vera festa).
[24] Ivi: 16 (Esiste Noto).
[25] Ivi: 36 (Luna piena a Capo Granitola).
[26] Ivi: 50 (San’Elia: un teatro nella notte).
[27] Ivi: 52 (San’Elia: un teatro nella notte).
[28] Ivi: 14 (Miraggio).
[29] Ivi: 15 (Miraggio).
[30] Ivi: 150 (Criticamente innamorata); posto ad Epilogo pure ne L’isola signora. Emozioni in Sicilia, Coppola, Trapani 2005: 108.
[31] Ead., Isola Emozione, cit.: 8 (Presentazione a firma di M. Monti).
[32] Ivi: 9. Così leggiamo nella Dedica all’Isola (o Prologo).
[33] Ivi: 77 (Epilogo).
[34] Cfr. ivi: 28-30. Il racconto, titolato Diversità, apre una finestra di riflessione sulla diversità e sull’insegnamento come attitudine a cum-prehendere, abbracciando la specialità di ogni diverso apprendente.
[35] Ivi: 54 (Foto anni ‘70).
[36] Cfr. ivi: 19-20: Lettera (a Paola, mia nipote); 99-100: Lettera due (a Giuseppe, mio nipote).
[37] Cfr. ivi: 40-42 (Ponte di ferro).
[38] Ivi: 83 (Palermo mia perduta).
[39] Cfr. ivi: 58-60 (La piazzetta rubata).
[40] Ivi: 85 (Palermo mia perduta).
[41] Ivi: 116-117 (Il Mediterraneo).
[42] Ivi: 157 (Inferno mare).
[43] Ead., Giudice Paolo [1992], preceduto da Un nuovo cammino di M. Monti e seguito da Non è tempo di lacrime di S. Borsellino, Coppola, Trapani 2009: 13-14.
[44] Ivi: 14.
[45] Ivi: 24-25.
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Rosario M. Atria, dopo la laurea magistrale con lode in Letteratura all’Università “La Sapienza” di Roma, ha conseguito il dottorato di ricerca in Italianistica presso l’Università di Palermo. Dal 2014 è, presso lo stesso ateneo, cultore di Letteratura italiana. Autore di studi sulla poesia italiana del Due-Trecento, sul romanzo storico, sulla lirica leopardiana, sulla narrativa del secondo Novecento e del Duemila, si interessa anche di storia e letteratura archeologica della Sicilia e di questioni mediterranee. Dal 2017 è Presidente della Società Dante Alighieri di Castelvetrano e promotore di molteplici attività culturali. Ha redatto diverse voci per il Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Dalle origini al sec. XVIII, edito nel 2018 in dodici volumi, a cura di F. Armetta, per i tipi dell’editore Sciascia. Tra il 2018 e il 2020 ha curato, insieme a I.T. Ginevra, per la collana “Gli Introvabili” de I Buoni Cugini Editori, la pubblicazione di diversi romanzi storici. Dal 2019 è direttore per Lithos, insieme a G.L. Bonanno e F.S. Calcara, ed editor-in-chief di «Tρισκελής. Collana mediterranea di storia, letteratura e varia umanistica», progetto editoriale che ha contribuito a fondare. È autore, con G.L Bonanno e F.S. Calcara, della “Storia del Liceo Classico di Castelvetrano” (2020) e curatore di diversi volumi saggistici collettanei, fra i quali Selinunte. Produzioni ed economia di una colonia greca di frontiera (2019), Storie e controstorie di Sicilia (2019) e Quaderni selinuntini (2021). Più di recente ha visto la luce Tessere, sua prima silloge poetica (Roma 2022).
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