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Quanto è vecchio lo stereotipo del meridionale geloso?

coverdi Cosetta Seno 

Le cose che sono ovvie spesso non vengono problematizzate. Non ci si chiede, ad esempio, perché le dita delle mani siano di lunghezza diversa tra di esse, o perché si arrossisce quando si sente vergogna o perché esistano persone con i capelli blu: sono tutte cose tanto normali che si non ci si fa più caso. Eppure, a rifletterci soltanto un poco si scopre che non sapremmo rispondere immediatamente, e le risposte, ammesso che le troviamo, ci rivelano cose degne di considerazione e che ci sorprendono. Erano questo tipo di domande alle quali Aristotele cercò di rispondere con un’opera che si intitolava Problemata, un’opera che creò un genere letterario che ebbe molto successo nell’antichità e perfino nel Rinascimento con un genere che si chiamava “I perché”, e oggi rispuntano in alcuni giornali  sotto la rubrica “Sapevate che” o simili. 

Oggi è nozione comune che i meridionali siano più gelosi dei settentrionali o nordici, e ce lo ricordano continuamente opere letterarie e cinematografiche e anche opere di teatro; quest’idea rientra negli stereotipi che fanno parte dell’ordito del sapere quotidiano. Ne vogliamo una prova? Leggiamo L’isola di Arturo di Elsa Morante [1]. È vero, ci sentiremo dire, ma c’è molta gelosia anche nei romanzi di Proust e di Rob Grillet, come di Joyce e di Tolstoi. Ma, a nostra volta potremmo esibire un campionario di voci italiane che vanno da Verga (Cavalleria rusticana) a Capuana (Il marchese di Rocca Verdina), a Oriani (Gelosia e Vortice) per finire con i contemporanei Domenico Starnone (Via Gemito) o Elena Ferrante (L’amore molesto) e molti altri. Se poi vogliamo una conferma, vediamo la produzione cinematografica e in particolare i film di Pietro Germi (Gelosia), di Pietro Coletti (Il lupo della Sila), di Mario Mottòli (Assunta Spina), di Visconti (Rocco e i suoi fratelli) per citarne solo alcuni. Sono tutti ambientati nel Meridione [2], nella zona tra Napoli e Palermo passando per la Calabria e la Basilicata. Non c’è dubbio, insomma, che si tratti di uno stereotipo.

Possiamo aggiungere che uno stereotipo può vantare l’avallo della scienza, e cioè può esistere perché trova una conferma nella scienza che, da quando la si concepisce come fonte della verità empirica, consacra credenze che magari già esistono o che essa stessa crea. Il fatto che i meridionali siano più gelosi dei nordici è un’affermazione che troviamo in Paolo Mantegazza, il quale godette di una credibilità scientifica e medica nei decenni a cavallo tra l’Otto e il Novecento. Nella Fisiologia dell’amore, al cap. XI troviamo la seguente affermazione: 

«La gelosia, non essendo un fenomeno psichico elementare, ma un misto empirico, ha molte e svariate forme etniche; e ne traccierò la storia negli Amori degli uomini. Qui basti accennare che essa diventa necessaria in tutti i Paesi dove la poligamia impedisce che l’uomo possa fisicamente e moralmente soddisfare una donna, e dove il marito, sol perchè ricco e potente, sceglie la moglie e le impone il suo amore. La gelosia di molti popoli d’Oriente è proverbiale, e forse anche genti monogame divennero gelose per il contatto con genti poligame, come è della Sicilia e d’una parte della Spagna. Parmi però che in alcuni casi la gelosia non abbia origini storiche ben chiare, ma assuma carattere etnico per la costituzione speciale di una razza. In ogni modo, in Europa, gli Italiani, gli Spagnuoli, e sopratutto i Portoghesi, son popoli assai gelosi; così come io conobbi in America fra tutti i Brasiliani (Fisiologia dell’amore, Milano, Bernardoni, 1873: 186). 

14330314457Mantegazza ragiona bene, ma, come si vede, sostiene la componente “etnica” e ovviamente meridionale della gelosia. Certamente non mancheranno altre auctoritates del tardo Ottocento e in coincidenza con il periodo del “verismo” in letteratura, che suffraghino tale tesi.

Ma quando nasce uno stereotipo? E prima ancora: “cos’è uno stereotipo?” Rispondendo in modo elementarissimo possiamo rispondere che è  “un tipo di immagine che non muta” e che pertanto ha in sé i caratteri della fissità. Se vogliamo una definizione più articolata possiamo riprendere quella coniata da Homi Bhabha, specialmente per quel che riguarda l’aspetto della “fissità” e dimenticando tutto ciò che vi aggiunge sul fattore del “colonialismo.” Egli scrive: 

«Un tratto importante del discorso coloniale è la sua dipendenza dal concetto di fissità nella costruzione ideologica dell’alterità. La fissità, come segno della differenza culturale/storica/razziale nel discorso del colonialismo, appare una modalità di rappresentazione paradossale: connota rigidità e ordine immutato tanto quanto disordine, degenerazione e ripetizione demoniaca. In modo simile lo stereotipo, strategia discorsiva di primo piano, è una forma di conoscenza e identificazione che oscilla fra ciò che è al suo posto, già noto, e qualcos’altro, che dev’essere impazientemente ripetuto…come se l’essenziale doppiezza dell’asiatico o la bestiale licenziosità sessuale dell’africano, che non ha certo bisogno di prove, non possano mai essere provate all’interno di un discorso» (I luoghi della cultura, Roma, Meltemi, 2001: 97).

71ozlbevlql-_ac_uf10001000_ql80_Ma più utile per il discorso che qui presentiamo è la nozione di “iconologia” lanciata da W. J. T. Mitchell, Iconology: Image, text, ideology (Chicago, University of Chicago Press, 1986). Il titolo di “iconologia” può confondere perché sembra portare in ballo una branca di storia dell’arte, resa popolare da Leonard Panofski, ma chiariamo che Mitchell la intende in un modo affatto diverso, e la applica alla “immagine” di una persona o di un tipo creata per analizzare stereotipi culturali ed etnici o nazionali, per rappresentare “l’altro”,  indicandone gli attributi o caratteristiche, e sono immagini che hanno una presenza duratura nella storia, e sono anche le immagini che servono a presentarsi agli altri che sono “diversi” da noi.

Il meridionale geloso, insomma, è “un altro” nato così e che non cambierà mai. E qui spunta la domanda che ci siamo posti sopra. Quando nasce uno stereotipo? Si può mai pensare che sia un modello nato con l’apparizione dell’uomo, che sia, insomma, un archetipo mentale? Sembrerebbe strano pensarlo, anche perché bisogna immaginare che l’idea di un meridione e di un settentrione esistesse fin dalla comparsa dell’uomo. E si vede subito che la domanda ci pone davanti ad un problema che conoscono gli studiosi delle “mentalità”: quando comincia e quando finisce una mentalità? Ed è difficile rispondere perché sappiamo e riconosciamo una mentalità quando si è ben formata e diffusa, ma non riusciamo a stabilire con precisione quando essa viva in germe. In questo il suo profilo si distingue da quello dei topoi letterari studiati da Curtius, che pure hanno una loro fissità nel tempo: e la differenza è che spesso riusciamo a identificare la loro genesi, un autore o un’opera che per prima indica un’immagine o una figura retorica che viene imitata ed è una “forma” di fonte di cui si nutre la letteratura che, come sappiamo, nasce spesso dalla stessa letteratura e non dalla realtà come si ripete. I topoi, insomma, nascono per sopperire ai doveri della “imitatio” mentre gli stereotipi preesistono alla letteratura e vivono anche dove essa non esiste.

Davanti a tali difficoltà possiamo tentare almeno di vedere alcuni momenti in cui cogliamo gli elementi fondamentali di questa nostra ricerca, ossia la distinzione culturale tra Nord e Sud e in parallelo o meno la presenza della gelosia.

71bj62kgkrl-_ac_uf10001000_ql80_La differenza tra i due mondi del settentrione e del meridione, mi pare che possa avere una tappa decisiva agli inizi dell’Ottocento. Al centro di questa tappa si muove Madame de Staël. Nel 1799 pubblicò De la littérature dans ses rapports avec les institutions sociales, che riscosse un’eco notevolissima. Fra le altre cose, si considera la distinzione tra la letteratura dei Paesi del Nord e di quelli del Sud, e si esaltano le qualità “moderne” degli scrittori che si distaccano nettamente dalla tradizione classica, abbandonando la mitologia e il pregio della traduzione a tutto vantaggio del mondo sentimentale e, possiamo dire in una parola, “preromantico”. Qui si evidenziano le cause fisiche e climatologiche delle differenze fra i due tipi di letteratura. E, si noti come, con affermazioni del genere, veniva superato o infranto il concetto di “cosmopolitismo” che sottostava all’idea stessa di illuminismo. Nasceva o si ponevano le basi per l’avvento dell’era del Romanticismo.

In Italia rispose a questa “provocazione” il giovane Leopardi, con interventi che ripeté negli anni successivi. Intanto è utile ricordare che ciò che caratterizza una nazione è il rapporto di natura e ragione: 

«La civiltà delle nazione consiste nel temperamento della natura con la ragione, dove quella cioè la natura abbia la maggior parte» (Zibaldone, 7. 6. 1820).

È un concetto importante perché è un equilibrio che l’età moderna ha perduto e che deve invece recuperare per ristabilire un certo grado di felicità, equilibrio che le civiltà avevano nel mondo antico. E su questo principio Leopardi sostiene che il mondo moderno si è imbarbarito quando ha visto e perseguito il proprio successo nel distaccarsi dal mondo antico puntando a rafforzare la ragione e ad allontanarsi dalla natura. Per lui, insomma, il mondo antico, più capace di quello moderno di vivere in modo naturale le illusioni anziché vederle come estranee alla vita stessa, era un po’ come il meridione che “vive” con maggior naturalezza del mondo nordico, più razionale e più freddo. La storia, insomma, ha visto il mondo progredire dal Sud al Nord, lasciando al Sud un’eredità più viva dell’antico.

leopardi_guarracino_discorsosopraNon importa molto in questa sede soffermarsi sui particolari, e possiamo solo riassumere ricordando che in Leopardi esiste un Meridione che conserva meglio l’equilibrio antico di natura/ragione, mentre il Nord presenta attitudini razionali più spiccate, ed è quindi più moderno; per questo nel Sud sono più forti le passioni rispetto a quello che troviamo nel Nord. Questa tesi vien sostenuta in vari appunti dello Zibaldone e nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani (1824), ed è ben nota agli studiosi di Leopardi. È interessante osservare che in quasi tutte le occasioni in cui Leopardi tocca il tema è presente il nome di Mme de Staël, la quale formulò in modo che fece scalpore la differenza tra il mondo nordico e il mondo del Mezzogiorno. Lo fece in due opere di grande successo, cioè in De la litterature che abbiamo visto e nel romanzo Corinne ou l’Italie (1807). Se nella prima opera difendeva la “modernità” del mondo nordico e screditava il “classicismo” dei passatisti che si identificavano con il mondo meridionale, nella seconda descriveva il carattere degli italiani “appassionati” più dei nordici – si leggano le lettere contenute nel libro quarto in cui il conte Oswald e Corinne descrivono il temperamento e il carattere degli italiani.

Leopardi si opponeva a questa diagnosi, ma non perché volesse cancellare la differenza tra i popoli del Nord e i popoli del Sud, ma perché apprezzava il mondo del Sud che sarebbe rimasto più fedele al mondo antico e che proprio per questo coltivava la facoltà immaginativa che crea le “illusioni”. Tuttavia nel Discorso sui costumi degli italiani (del 1824 ma pubblicato solo nel 1906), riconosce e con dolore che il Sud ha tralignato dal suo retaggio antico, e la sua cultura ha costumi ma non tradizioni. Nella sua vasta opera Leopardi parla spesso di Mme de Staël, e soprattutto del suo romanzo Corinne, e difende gli italiani. Come la Staël, comunque, riconosce nel Sud la passionalità che magari è piuttosto spirito d’antagonismo senza più quel sapore di eroico che aveva nel mondo antico. Possiamo assumere che nel mondo delle passioni avrebbe incluso anche la gelosia, ma non fa mai alcun cenno specifico a questo tratto del carattere meridionale.

713p4oxy1nl-_ac_uf10001000_ql80_Se procediamo in senso retrogrado per risalire alle origini dello “stereotipo” della nostra ricerca, troviamo che il Settecento è popolato di personaggi “gelosi” che rallegrano le scene teatrali. E sono gelosi particolari perché non sono “meridionali”, ma sono magari parigini o inglesi o veneziani. Il caso italiano più spiccato è quello di Goldoni, di cui ricordiamo la trilogia de Gli amori di Zelinda e Lindoro dove di meridionale non c’è traccia alcuna. O ricordiamo che il Cavaliere de La locandiera è di Ripafratta, quindi toscanissimo. Nel Settecento europeo spicca Le mariage de Figaro di Beaumarchais. Regredendo nel Seicento potremmo ricordare lo Sganarelle ou le cocu imaginaire di Molière o l’Othelo di Shakespeare (1601), il cui protagonista  è un nero e quindi un “meridionale”, ma dobbiamo ricordare che la fonte di Shakespeare è Giraldi Cinzio nel suo racconto “Un capitano moro” incluso ne Gli Hecatommiti.

Ma il “secolo aureo” della gelosia fu il Cinquecento dove troviamo per la prima volta cronologicamente lo stereotipo che cerchiamo, cioè l’associazione della gelosia al mondo meridionale. Il primo a rilevarlo è Mario Equicola nel suo Libro de natura de amore, dove troviamo un intero capitolo dedicato alla gelosia. E qui troviamo la seguente dichiarazione:

«Dicono Mathematici, alcune nationi essere così formate, che retengono in sè universalmente, proprii costumi crudeli li Scythi, nobiIi itali, stolidi Galli, perfidi Africani, avari Syrii, iactabundi Hipani, che ‘l ciel tempra in parte le qualitate humane, et costumi ftampa. Così diversamente in affecti d’amore alcune provincie sono differenti: Orientali senza modo con ogni lascivia servilmente correno al desiderato. Quelli che mezodì habitano, impatientemente con rabbia e furia sono amatori; li expofti a Septentrione poco sono offesi da le saette de amore; chi del sole l’occaso più propinquo vede, con arte et obsequio suo intento obtener procura: nondimeno gelosia la intemperantia de luxuriosi Asiani exagita, il furore de li Africani infiamma, la tepideza boreale et lo ingegno de li occidentali perturba. Dissimula sempre lo ardore lo inamorato greco. Sono in quello liberali li Germani. Sempre è gioioso lo amante Franzese, sempre appare miserabile lo Spagnolo. Lascio de dir de Italia perché del ben de tutte nationi participa, qual sole tra pianeti in mezo illustrissima si trova. Lauda il greco l’amata, donali il Tedesco, delectala il francese, adora lo Spagnolo. Ma se da gelosia son tocchi, se penton d’ogni lode data all’amata. Il Greco condanna se stesso. Ad avaritia il Tedesco si muta, in mestitia piange il Franzese, more lo Spagnolo. Se in desperatione (senza speme di recuperare la benivolentia) certa gelosia questi constituisce, maldice all’amata il Greco, recercha il dono che ha donato il Tedesco, il Gallo, si pò, l’amata offende, lo Spagnolo la dispreza. In summa quella è quella per la quale fon queruli» (Libro de natura de amore, Venezia, 1525, ca 155v-156r).

Finalmente abbiamo una chiara testimonianza del fatto che dove il Sole risplende con maggior luce e calore, fiorisce la gelosia. Lo segue di qualche anno Agostino Nifo, un filosofo e conterraneo di Equicola. Nel suo libro De amore del 1530, troviamo un capitolo (il 78mo) De zelotypia et contrario o “Della gelosia e del suo opposto”. E qui in modo sintetico troviamo l’idea formulata da Equicola:

«Testantur et idem gentes, nam quae maxime amant, maxime zelotypia vexantur, ut Orientales et qui meridiem incolunt. Septentrionales vero quia non sunt multum amatorii, non multa zelotypia affliguntur» (ed. Laurence Boulègue, Paris, Les Belles Lettres, 2011:105) [“Ce lo dimostrano i popoli che quanto più amano tanto più soffrono di gelosia, come ad esempio gli Orientali e le genti del Meridione, mentre le genti del Settentrione, che non sono grandi amatori, sono poco toccati dalla gelosia”]. 

Nifo faceva testo perché era un pensatore molto in vista ed è importante notare che la nozione figuri nella “lezione” che Benedetto Varchi dedicò alla gelosia. Qui si legge:

«D’honore è poi nella quarta, et ultima maniera, secondo che il geloso stima o piu, o meno cotale vergogna, secondo la natura sua, et costumi o della patria, et regioni sue, percioché anco in questi sono varij i giudizi dell’huomini , et l’usanze de paesi. Onde dicono, che le nationi occidentali, et quelle, che habitano nel mezo giorno, sono molto gelose, o perché sono molto dedite all’Amore: o perché riputano grandissimo dishonore l’impudicizia, et vergogna delle mogli, et amate loro, il che per le ragioni contrarie non fanno quelle, il che per le ragioni contrarie non fanno quelle che vivono sotto il settentrione.  Et così s’è veduto, che ottimamente fece il Poeta nostro a chiamare, et quasi diffinire la Gelosia, “Cura”, cioè pensiero et passione, che li nutre et pasce di timore, cioè paura, et sospetto» (in Benedetto Varchi, Due lezioni una sull’amore e l’altra sulla gelosia, Lione, Rovilio, 1560, cc. 34v-35r).

Varchi dà la nozione come corrente (“dicono”), e le citazioni precedenti lo confermano [3]. E anche Torquato Tasso la registra. Tasso toccò il tema della gelosia varie volte e in saggi diversi: nelle Conclusioni amorose, Cataneo, nel dialogo Il forestiero napoletano ovvero della gelosia, e un discorso intitolato Della gelosia, ma in nessuna di queste opere affiora la nozione che ci interessa, e perfino la sottolineatura del “napoletano” nel dialogo non ha una connotazione che serva a richiamare il legame tra la passione della gelosia e il mondo meridionale. 

9788876424595_0_536_0_75Non è improbabile che una perlustrazione più accurata allarghi notevolmente il dossier dei documenti qui presentatati. Probabilmente troveremmo qualche dato nel genovese Bartolomeo Paschetti, autore di un Trattato della Gelosia, con un Discorso dell’Amicitia, del medesimo (Venezia, Antonio Orero, 1581) che non ci è accessibile [4]. E se potessimo allargare il raggio della nostra inchiesta, includeremmo senz’altro Jean Bodin che nel suo Methodus ad facilem historiarum cognitionem (1572) in cui viene dedicato molto spazio allo spoglio di autori antichi che parlano dei mores sessuali dei popoli antichi e quindi anche della gelosia, anzi della “zelotypia”. Sarebbe una prova ulteriore dell’esistenza dello “stereotipo” del meridionale geloso. Per ora, però, dobbiamo accettare questo dato e dichiararci soddisfatti di aver trovato un punto fermo nella storia che intendiamo ricostruire.

E, naturalmente, arrivati a questo punto, dobbiamo chiederci da dove derivi la nozione che il clima dei Paesi meridionali sia una delle cause della forte tendenza alla gelosia che troviamo nei popoli più vicini all’equatore, o quanto meno più “assolati”. Dove cercare? Non trovo nella letteratura medievale alcun documento in questo senso, e se guardiamo al deposito più ricco di dati amorosi, il Decameron, non troviamo niente che confermi il nostro stereotipo. Potremmo ricordare la storia di Elisabetta di Messina, i cui fratelli uccidono il suo amante, me lo fanno per ragioni di “onore” e non propriamente di gelosia. Il tema viene trattato in particolare nella giornata settima (Ghita è la più famosa delle protagoniste), e i mariti gelosi traditi non hanno caratteri di “meridionalità”.  Insomma, non pare che gli autori del Cinquecento riprendessero l’idea del legame Sud/gelosia da una tradizione romanza.

s-l1600Mi pare che Equicola nel passo che abbiamo stralciato ci offra una pista che potrebbe portarci ad un antenato remoto del nostro stereotipo. Egli cita “i matematici” che non sono certo quelli delle tavole dell’abaco, ma i geografi che misurano l’ampiezza dei circoli celesti e calcolano le distanze terrestri e che noi più propriamente chiamiamo astrologi perché studiano le influenze dei pianeti sulle varie parti della terra. E direi che Equicola alluda precisamente al Tetrabiblos di Tolomeo. Quest’opera dell’alessandrino Claudio Tolomeo del I-II sec. d. C, è conosciuta anche come Quadripartitum, per la sua divisione in quattro libri, è complementare all’Almagesto, dello stesso autore, e si occupa dei cieli, mentre il Tetrabiblos si occupa dell’influenza dei cieli sulla terra. Il suo argomento, quindi, è l’astrologia che “prevede” l’andamento delle cose terrene sotto l’influenza dei cieli, e lascia all’astrologo il compito di predire queste influenze. L’opera ebbe un successo millenario che cominciò a tramontare solo con l’avvento delle teorie copernicane, e non è il caso di indugiare ad illustrare neppure per sommi capi questa grande presenza, arricchita da una vasta tradizione di commenti e di discussioni.

81uwp1tkaol-_ac_uf10001000_ql80_A noi qui interessa in particolare il secondo libro e particolarmente il capitolo secondo nel quale si studiano le differenze genetiche fra gli abitanti della terra determinate dal clima. Per fare un esempio, vediamo che i popoli che vivono in prossimità dell’equatore hanno la pelle scura, sono di stazza piccola, hanno i capelli grossi e ricci, per difendersi dal caldo eccessivo e sono passionali. Quelli che vivono lontani dall’equatore sono pallidi, alti, hanno i capelli fini, e sono frigidi. Nelle zone più estreme di queste sfere, le popolazioni sono “barbare”, mentre hanno un maggior grado di civiltà le popolazioni che vivono nella zona media fra le due estreme. Le zone geografiche sono ognuna sotto la sfera di pianeti specifici: l’Europa, ad esempio, è pienamente sotto l’influsso di Giove e Marte. La Gran Bretagna e la Spagna sono alla periferia estrema di questa influenza, e sono amanti della libertà. Le nazioni sotto l’influsso di pianeti “maschi” hanno poca disposizione alla passione per le donne e disdegnano l’amore di queste. Questi semplicissimi cenni danno l’idea della perlustrazione alla quale Tolomeo sottopone le varie regioni del mondo.

E qui infatti troviamo con una certa frequenza l’associazione tra la zona climatica e la passione amorosa con allusioni alla passionalità (l’arco va dalla ferocia alla mollezza) senza alcuno specifico cenno alla gelosia, forse perché il mondo antico si occupò di questo sentimento solo in poesia. La contrapposizione dei climi del Nord e quella del Sud con la conseguente osservazione sulla diversa intensità della libido è nettamente illustrata nel libro due al capitolo terzo. È molto probabile che alla gelosia si faccia cenno nei commenti al Tetrabiblos, ma per il momento dobbiamo rimandare questa ricerca.  Non siamo riusciti ad arrivare alla fonte prima del nostro stereotipo, ma pensiamo di avere indicato il luogo dove potrebbe essere nato. Nel mondo della ricerca è sempre gratificante arrivare a delle conclusioni precise, ma in mancanza di tali risultati mi pare che rimanga sempre meritorio il contributo che riesce almeno ad individuare un  problema ed essere certi che non sia un problema frivolo.

Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024
Note
[1] A questo proposito vedi Alexandra Khaghani, L’immaginaire Méridional dans l’ouvre d’Elsa. À la recherche d’Elsa Morante, Presses Universitaires Rennes, 2022.
[2] Rocco e i suoi Fratelli, come tutti sanno, è interamente ambientato a Milano, ma racconta la storia di una famiglia meridionale proveniente dalla Lucania ed immigrate a Milano.
[3] Si può aggiungere che la lezione di Varchi è in gran parte un plagio dal De anima di Juan Luis Vives, come ha dimostrato Paolo Cherchi in, Due lezioni di B. Varchi riprese da L. Vives, in «Lettere Italiane», 40 (1988): 387-99.
[4] Lo cita Werner Gundersheimer, The green-eyed monster”. Renaissance conception of Jealousy, in «ELH», 54 (1987): 561-583.

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Cosetta Seno, ha conseguito un dottorato di ricerca all’Università della California, Berkeley. È attualmente professore associato di letteratura italiana all’Università del Colorado, Boulder dove insegna corsi di letteratura dell’Ottocento e Novecento. Ha pubblicato due libri e numerosi articoli. Il primo libro (in collaborazione con il Professor Paolo Cherchi) è intitolato Gli italiani e l’italiano nel nord America. Il secondo libro è una monografia dedicata ad Anna Maria Ortese ed è intitolato: Anna Maria Ortese. Un avventuroso realismo.

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