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Il corpo narrante di Bella Baxter

poorthings-683x1024di Annamaria Clemente 

«Un ammasso di organi senza il barlume di autocoscienza data dal cervello o dal sangue pompato dal cuore. Un vassoio da macellaio per il pranzo della domenica. Ora chi di voi vuole posizionare gli organi? E chi può distinguere l’uomo dall’animale? Sempre se c’è una differenza. Coraggio, coraggio, da bambini facevate i puzzle, non è vero?».

«Mi sbaglio o è impossibile concentrarsi se il mostro parla?».

«È un chirurgo straordinario, le sue ricerche sono all’avanguardia. Suo padre ha fondato questo posto».

«Credi erroneamente di essere incluso in questa conversazione Max McCandles?  La tua prossimità a noi non vuol dire che tu lo sia. Vaffanculo McCandles e comprati un vestito».

Uomo, animale o mostro, prossimità e distanza, identità e alterità, vengono suggerite fin dal primo dialogo le traiettorie entro cui indirizzare il nostro sguardo alla visione di Povere creature! (Poor Things!), ultimo film del regista e produttore cinematografico greco Yorgos Lanthimos. Un cineasta criptico e visionario i cui lavori – Dogtooth (2009), The Lobster (2015), Il sacrificio del cervo (2017), La Favorita (2018) – esplorano le complesse dinamiche tra individui e i giochi di potere tra la società e il singolo. Trasposizione cinematografica dell’omonimo libro dello scrittore scozzese Alasdair Gray, Povere creature!  [1]

Film denso e stratificato, visionario e immaginifico, gravido di temi e interpretazioni, dai plurimi registri linguistici, visuali, sonori, un caleidoscopio di inquadrature stranianti e bizzarre, di piani diversi che si intersecano e contaminano, opera composita che fonde atmosfere gotiche, fantascientifiche, storiche con suggestioni surrealiste e postmoderne. Ascrivibile al genere narrativo dello Steampunk, il film presenta un mondo la cui logica è meccanicistica ed il funzionamento è legato ai progressi indotti dalla rivoluzione industriale: macchine motrici azionate dal vapore, congegni ad orologeria mossi da rotelle dentellate, vari strumenti elettromagnetici innescati dall’abbassamento di una leva.

È una Londra vittoriana alternativa, simile a quella contenuta nei Penny Dreadful i racconti gotici venduti a un penny popolati dai mostri generati dalla fantasia ottocentesca, un luogo in cui appare possibile incrociare il dott. Jekyll o venire assaliti in un oscuro vicolo da Mr. Hyde. Dio di questo mondo è Godwin Baxter, geniale chirurgo che sintetizza in sé Victor Frankenstein e Creatura e il cui nome è lapalissiana indicazione al ruolo svolto nella storia, tanto ovvia da giocare egli stesso con il medesimo: «Crede in Dio o crede in me?» chiede al suo assistente Max McCandles. Godwin ci conduce nella sua casa e qui tra animali chimera, assemblati come puzzle dalla sua sapiente quanto folle sutura chirurgica, conosciamo Bella. «Che magnifico ritardo!»  è l’esclamazione di McCandles alla vista della giovane donna dai lunghissimi capelli neri e dai grandi occhi ed è anche la prima tra le diverse definizioni che verrà proposta per identificare un personaggio la cui natura è di difficile individuazione.

povere_creature_sovracoperta_1Lo scienziato presenta al suo assistente la giovane “riparata”, la quale, secondo il racconto di Godwin, a seguito di un incidente avrebbe riportato una lesione al cervello. Bella manifesta evidenti ritardi a livello psico-motorio e linguistico: ancorata alla fase della lallazione, incapace di rispondere agli stimoli e di avere un dominio sul proprio corpo verrà affidata all’osservazione di McCandles il quale dovrà monitorarne le fasi di progresso. Bella è precoce, impara velocemente, ma c’è qualcosa di perturbante in lei, di familiare ed estraneo, sgradevole e incantevole, qualcosa che sfugge alla comprensione. Complice una bellezza da ninfa suscita ben presto la curiosità, non solo scientifica, del giovane assistente che vorrà conoscerne la storia. Introdottosi nello studio dello scienziato, McCandles scoprirà alcuni appunti di un intervento e colto sul fatto da God chiederà spiegazioni. Lo scienziato racconterà «una fiaba a lieto fine»: la storia del corpo di una giovane donna incinta gettatasi nel Tamigi, non ancora in rigor mortis, priva dei battiti cardiaci ma ancora attraversata da impulsi elettrici. God spiegherà allo sconcertato assistente come il ritrovamento fu per lui un dono del fato, una preziosa opportunità per la sua ricerca: un cadavere e un feto vivo. Decise di sperimentare: espiantando il cervello del bambino e trapiantandolo nel corpo della donna rianimandolo secondo i principi del galvanismo.

Il corpo adagiato sul lettino della sala operatoria aprì i suoi occhi blu e così nacque Bella una creatura nuova, un esperimento, donna fisicamente matura ma dalla mente di un neonato. Prodigio della scienza che anima la materia, Bella manifesterà presto curiosità nei confronti delle sue origini –  «Bella ragazza dal nulla» –  e del mondo, nonostante il «mondo assolutamente coinvolgente e più che sicuro per Bella» ricreato da God con rigore scientifico e paterno amore, la giovane donna si ribellerà allo scienziato. Il quale, rispettoso del libero arbitrio, la lascerà andare con il libertino Duncan Wedderburn, avvocato mascalzone e narcisista, sedotto dall’alterità del comportamento di Bella: «c’è qualcosa in voi, siete un essere affamato, affamato di esperienza, di libertà, di contatto, desiderosa di scoprire l’ignoto». L’ingenua Bella intraprenderà così un viaggio o meglio un «esperimento», picaresco e onirico, alla ricerca della propria identità e del proprio posto nel mondo. E come ogni esperimento necessita di un’adeguata metodologia e di adeguati apparati strumentali, così anche l’esperimento di Bella sarà guidato da una metodologia scientifica frutto di oggettiva osservazione e da un potente strumento euristico: il proprio corpo.  

Struttura organica e strumento primario di conoscenza sensoriale, il corpo è dimora dell’identità individuale e riflesso di quella collettiva. È nel corpo che si agitano gli irrequieti processi tra singolo e cultura, è nel corpo che il singolo forgia la propria identità, a partire dall’apprendistato mimetico delle tecniche del corpo e dell’antropopoiesi, dai processi di somatizzazione e incorporazione culturale. Ma il corpo è anche il luogo dove l’esperire del singolo si scontra con le pratiche culturalmente e socialmente codificate, un campo di battaglia dove si dispiegano strategie di resistenza individuali e si contesta il controllo dell’ordine sociale. David Le Breton evidenzia come il corpo sia un tema congruo all’analisi antropologica in quanto 

«[…] matrice identitaria dell’individuo. Senza il corpo a donargli un volto, l’individuo non esisterebbe. Vivere significa ricondurre costantemente il mondo al proprio corpo, attraverso il simbolico che esso incarna. L’esistenza dell’individuo è corporea. Passa attraverso il corpo. E l’analisi sociale e culturale di cui è oggetto, le immagini che ne rivelano le profondità nascoste, i valori che lo distinguono, ci forniscono informazioni anche sulla persona e sui cambiamenti sperimentati dalla sua definizione e dai suoi modi di esistere, da una struttura sociale a un’altra. In virtù del fatto di essere al centro dell’azione individuale e collettiva, al cuore del simbolismo sociale, il corpo rappresenta un indicatore cruciale per una migliore comprensione del presente. Ogni rapporto tra individuo e mondo implica la mediazione del corpo. Anche il pensiero è corporeo» (Le Breton 2007: X). 

81ihmtcivml-_ac_uf10001000_ql80_Il corpo è quindi osservatorio per indagare il rapporto dialettico tra individuo e società, una lente che focalizza i processi di soggettivazione e inquadra le dinamiche di produzione e riproduzione culturale. Negli ultimi decenni le scienze sociali sembrano utilizzare sempre di più la categoria concettuale di corpo e corporeità in quanto essa sembra attagliarsi perfettamente all’analisi di fenomeni postmoderni quali la biotecnologia, la mercificazione dei fluidi, le varie modificazioni corporee fino ad arrivare alle dislocazioni e le scissioni del corpo migrante operate dai fenomeni migratori (Mattalucci 2003: 9).  È evidente come «il corpo appare sempre più uno spazio docile, flessibile sul quale leggere la contraddizione delle società contemporanee: le tendenze emancipatorie da un lato, e repressive dall’altro» (Pandolfi 2003:147). 

A partire da questa prospettiva potremmo assumere come dispositivo narrativo il corpo della protagonista. È il corpo di Bella a narrare la sua storia a partire dalla scena iniziale in cui un corpo anonimo si getta nel fiume, proseguendo con il ritrovamento di un corpo «non ancora in rigor mortis» fino a quel segno dietro la nuca promotore di dubbi intravisto da McCandles e dalla cicatrice del taglio cesareo. È il corpo scoordinato di Bella, in un cupo mondo in bianco e nero, a raccontare il processo di crescita intellettiva nelle fasi di sviluppo psicosessuale: la scoperta del piacere tramite il cavo orale e i genitali. Uno stato lontano dalla maturazione e definizione del sè, dalla cultura relegata ancora al regno animale, al dominio della natura, riprendendo l’interrogativo posto da Godwin. Ma è lasciata la casa paterna che l’esperimento diviene più interessante.

Educata esclusivamente all’empirismo, Bella attua una strategia conoscitiva legata prettamente ai sensi, non vi è in lei morale o esperienza pregressa nelle cose pratiche del mondo, se non l’imperativo scientifico verso magnifiche sorti e progressive o lo spingersi oltre i confini della conoscenza di dantesca memoria, che possa guidarla né nella buona società vittoriana né nel rapporto con Duncan. È solo il corpo a orientarla, un corpo utilizzato come laboratorio dove poter formulare ipotesi, realizzare esperimenti, verificare i dati e produrre leggi. In una Lisbona tra «zucchero e violenza», i cui cieli si colorano assumendo tinte sature parallelamente alle diverse esperienze e scoperte della giovane, Bella abbandonerà il suo corpo agli eccessi, ai piaceri della carne, in un vortice egotista ed autoriferito. La sete di conoscenza, la voglia di scoprire e di scoprirsi guasterà i rapporti con Duncan, se infatti la prorompente sessualità della giovane sarà motivo di unione, seppur insolita, con l’avvocato ben presto questa si trasformerà in incubo.

Un legame tossico che turberà profondamente l’uomo a tal punto da causare una messa in discussione dell’identità di tombeur des femmes e il contemporaneo insorgere di sentimenti nuovi e conflittuali in Bella, in un ribaltamento esilarante delle patriarcali e tipiche dinamiche di coodipendenza vittima-carnefice in cui la vittima stavolta è l’uomo e carnefice è una distratta e disinteressata Bella. Le continue sparizioni, le avventure per la città, mettono a dura prova la pazienza di Duncan perché minano il suo potere di uomo, di controllo sulla giovane. Una sensazione di impotenza che si acuisce nella serrata logica argomentativa di Bella che nel tentativo di comprendere ponendo domande e continui perché, destruttura e disinnesca le logiche del dominio maschile fino a portare l’uomo ad un principio di esaurimento nervoso e alla risoluzione del problema attraverso l’isolamento su una nave da crociera. Ma anche questa strategia contenitiva non ferma la debordante Bella la quale al contrario troverà dei simili, Martha ed Harry. L’«interessante signora anziana» Martha la introdurrà alla filosofia e ad un diverso modo di provare piacere, quello che proviene dal far l’amore con la conoscenza; e qui il suo corpo si doterà di un’estensione: i libri che l’accompagneranno in molte scene. Mentre Harry il cinico le mostrerà le brutture del mondo, scoprirà così la coscienza di classe, il valore dello sporco denaro e il dato che gli esseri umani non sono tutti uguali e non tutti hanno uguale accesso alle risorse economiche.

9788831498258_0_536_0_75Incapace di gestire e limitare la capacità empatica, la vedremo disperarsi e contorcere il suo corpo al pensiero della sofferenza altrui. Si forma così, nello slancio infantile e generoso, il pensiero utopico di migliorare la società e sé stessa. Al crescere delle sue avventure il supporto emotivo di Duncan diminuirà, l’uomo manifesterà comportamenti sempre più ostili fino allo scoppio d’ira a Parigi dove la definirà un mostro. Ed è qui che l’identità di Bella viene ridotta e ricondotta alla categoria del mostruoso. Bella è un mostro, non per la sua origine, è un mostro secondo l’analisi proposta dalla femminista e scrittrice Jude Allison Sady Doyle riguardo al mostruoso femminile. Scrive la Doyle «L’umanità è definita dagli uomini, perciò le donne, che non sono uomini, non sono umane. Da qui la necessità che vengano dominate dagli uomini – e se le donne si ribellano a questo dominio, diventano mostruose» (Doyle 2021: 13). Un corpo è mostruoso, per la Doyle, quando non si sottomette e sfugge al controllo maschile divenendo una minaccia.

Bella è mostruosa in tale accezione: nessun uomo riesce a dominarla e il libero uso del suo corpo contesta l’ordine istituito non solo da Duncan ma dell’ordine tout court. Paradigmatica è la scena del ballo: Bella al suono dei cimbali della Portuguese dance II viene stimolata da un imperioso impulso ritmico, un invasamento suscitato dalla percussione, dalla potenza tellurica e ctonia, richiamo ancestrale che il battere provoca negli esseri umani. Inizierà a ballare nella forma più elementare e primitiva, pestando i piedi, battendo le mani, saltando, mentre Duncan tenterà in ogni modo di condurla, di limitarla, di farle seguire i movimenti giusti, riportarla all’ordine, una lotta danzata in cui è Bella ad avere la meglio, a farlo volteggiare, a condurre i passi, a ribaltare costantemente i ruoli, a ballare da sola e a disfarsi infine dell’oppressivo Duncan.

da Poor things

da Poor things

Gli attributi di Bella sono mostruosi, marcatamente femminili, tracimano la norma umana collocandosi nell’ordine del mito: lunghissimi capelli neri che crescono in modo incontrollato e una voracità insaziabile. Elementi che simbolicamente vanno a potenziare la carica sessuale della protagonista: «Le radici della mostruosità femminile sono proprio lì dove l’Apocalisse e Freud hanno detto che erano: nel sesso e in quella potente magia che permette la creazione di un nuovo essere umano» (Doyle 2021: 16).  Il potere di Bella si manifesta in pienezza durante la parentesi a Parigi, e il suo corpo-laboratorio, da strumento di piacere e di conoscenza si trasforma in macchina di auto sostentamento: «Noi siamo i nostri mezzi di produzione» dirà a Duncan di fronte all’ennesimo insulto. Nella casa di tolleranza escogita un modo nuovo di rapportarsi ai clienti basato sulla comunicazione, opponendo quindi ancora una volta una resistenza al sistema di selezione e quindi all’ordine precostituito, ­soprattutto troverà il significato verso il quale indirizzare la sua vita: la medicina.

Conoscerà il Socialismo e nella sua dottrina ideologica saprà riconoscere e rispecchiare le proprie aspirazioni utopistiche, il corpo individuale di Bella finalmente incontrerà un corpo sociale che le permetterà di sentirsi membro di un gruppo e colmare così quel senso di incompletezza connaturato ad ogni povera creatura umana. «Dobbiamo sperimentare ogni cosa non solo il bello, ma anche il degrado, l’orrore, la tristezza. È questo a renderci completi, Bella, a far di noi persone di sostanza, non bambini volubili e incontaminati. Così possiamo conoscere il mondo e quando conosciamo il mondo allora il mondo è nostro» le dice Madame Swiney, la maîtresse dal corpo tatuato e dalle tendenze antropofaghe.

Tutto cambia in Bella, le movenze, il linguaggio, l’abbigliamento. Il nostos è compiuto e Bella tornerà a casa per ricongiungersi con il suo amato God, ma il suo percorso di definizione non è finito e dovrà misurarsi con la vecchia identità, Victoria Blessington, e ancora una volta la sua capacità di resistenza e la caparbia volontà di autodeterminazione si imporrà riconfigurando un destino e un mondo nuovo, dove è possibile raggiungere la libertà di essere sé stessi, unica e vera condizione per trasformare ogni  poor things, le povere “cose” che non sono i mostri ma chi non vive assecondando i propri desideri e le proprie aspirazioni, in esseri umani.         

Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024  
Note
[1] Presenta un cast di volti noti e apprezzati nel panorama cinematografico: Emma Stone (Bella Baxter/ Victoria Blessington), già premiata con l’oscar per La La Land (2016), William Dafoe (Godwin Baxter), Ramy Youssef (Max McCandles), Mark Ruffalo (Duncan Wedderburn). Il film è stato presentato in concorso all’ottantesima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia vincendo il Leone d’oro come miglior film, seguono due Golden Globe come miglior film commedia o musicale e miglior attrice in un film commedia musicale ad Emma Stone. Si aggiudica infine quattro premi alla notte degli Oscar: miglior attrice a Emma Stone, miglior scenografia, migliori costumi e miglior trucco e acconciatura. 
Riferimenti bibliografici 
Doyle J. E. S., 2021, Il mostruoso femminile. Il patriarcato e la paura delle donne, Edizioni Tlon, Roma.  
Le Breton D., 2007, Antropologia del corpo e modernità, Giuffrè Editore, Milano. 
Martin, E., 1994, Flexible Bodies: The Role of Immunity in American Culture from the Days of Polio to the Age of AIDS, Boston, Beacon Press, in Pandolfi M., 2003. 
Mattalucci C. Y., 2003, Introduzione, in “Antropologia Corpo”, 2003, anno 3, numero 3, annuario diretto da U. Fabietti, Meltemi Editore, Roma: 5-18.  
Pandolfi M., 2003, Le arene politiche del corpo, in “Antropologia Corpo”, 2003, anno 3, numero 3, annuario diretto da U. Fabietti, Meltemi Editore, Roma: 141-154. 
Turner, T., 1994, “Bodies and Anti-Bodies: Flesh and Fetish in Contemporary Social Theory”, in T. J. Csordas, a cura, Embodiment and Experience: The Existential Ground of Culture and Self, Cambridge, Cambridge University Press: 27-47, in Pandolfi M., 2003.

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Annamaria Clemente, laureata in Beni Demoetnoantropologici presso l’Università degli Studi di Palermo, è interessata ai legami e alle reciproche influenze tra la disciplina antropologica e il campo letterario. Si occupa in particolare di seguire autori, tendenze e stili della letteratura delle migrazioni. Su questo tema ha scritto saggi e numerose recensioni. Ama la fotografia cui si dedica da dilettante.

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