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Due parole su Nino Giaramidaro, tra vero e immaginario

Nino Giaramidaro con Nino Pillitteri

Nino Giaramidaro con Nino Pillitteri

di Nino Pillitteri 

Parlando davanti a un bicchiere di Guado al Tasso con Paolo Barbera una sera del diciassette si decise di andare a fare qualche foto tra Gibellina Nuova e Poggioreale in occasione della ricorrenza del terremoto del Belice tra il 14 e 15 gennaio ‘68. Quarantanove anni dopo, il silenzio assordante dell’abbandono di quei luoghi, tra il Cretto su Gibellina e Poggioreale vecchia, evocava un frastuono e un trambusto, il boato improvviso che aveva sconvolto tutta la valle del Belice. Passammo a visitare anche i cimiteri dei due paesi per renderci conto anche del numero delle vittime che in effetti rispetto ai danni non era elevato: circa duecentotrenta persone.

Il giorno dopo mi incontrai con Nino Giaramidaro sia per mostrargli gli scatti che per parlare di quei posti che gli erano tanto cari. Così Nino iniziò. E questo è quanto mi raccontò.

Salaparuta, 1968 (ph. Nino Giaramidaro)

Salaparuta, 1968 (ph. Nino Giaramidaro)

Le prime scosse si avvertirono tra le 13 e le 15,30 del 14 gennaio. La notizia si diffuse presto, avevo sentito Melo [cit. Melo Minnella] che aveva la Vespa e quindi decidemmo di partire subito nel primo pomeriggio con le nostre Leica. Ancora non esisteva la superstrada e quindi con Melo si prese la strada provinciale S119 da Santa Ninfa a Gibellina. All’arrivo, poco prima l’ingresso in paese una Fiat Campagnola dei Carabinieri ci aveva fermato. “Stampa”, con le macchine a tracolla e ci ha lasciato passare. Una donna accovacciata sul ciglio della strada avvolta in una coperta di lana teneva stretta una bambina. Madonna con bambino pensai. Donna e bambina ci guardavano con certi occhi neri, avvolte nella coperta. Sguardi che non si dimenticano, non come quelli della depressione americana della madre coi figli di Dorothea Lange che sono rassegnati alla fame e alla miseria. Occhi che in uno sguardo ti chiedono: perché proprio a noi? E ora che farete? Melo non disse nulla, l’accoglienza con quegli sguardi prediceva tutto ciò che avremmo visto poco dopo. Allucinazione e delirio, confusione, mancanza di organizzazione, devastazione e mancanza di tutto.

Lasciata la vespa mi guardavo attorno, c’erano persone che scavavano a mani nude con un paio di carabinieri che cercavano di dirigere le operazioni ma in effetti i soccorsi arrivarono a poco a poco e in ordine sparso. I danni alle case erano evidenti in squarci alle pareti, grosse lesioni, calcinacci e pietre sulle strade, alcune in selciato, altre sterrate. Mura crollate impedivano passaggi tra le poche mura rimaste e uno ci gridò di non passarci sopra. Come se ci fosse stata una bomba nucleare. Qualche scatto lo avevo fatto e pure Melo che parlava con un tizio che con le mani in tasca era fermo ad un angolo. Molti si erano radunati in una piccola piazza, altri stavano in una radura fuori dal paese. C’era freddo e già la luce del giorno calava. Si organizzavano dei falò con famiglie attorno. Arrivò un furgoncino della Croce Rossa e un camion Fiat OM lupetto. Vediamo che portano questi… Anche i Carabinieri si erano avvicinati. Uno, che sedeva sul camion, si era guardato attorno appena sceso e i nostri sguardi si erano subito incrociati.

Gibellina, 1968 (ph. Nino Giaramidaro)

Gibellina, 1968 (ph. Nino Giaramidaro)

Una mano? Dai, forza! mi disse Melo. Si era radunata una piccola folla e l’autista del camion aveva già aperto il telone dietro mentre dalla camionetta un medico e un infermiere chiedevano se c’erano dei feriti. Melo era più scattante di me, atletico, era già salito sul cassone e con quell’autista iniziava ad aprire scatoloni di cartone. Mi fece cenno di salire e qualcuno mi spinse su. Piove sempre sul bagnato e il primo scatolone conteneva indumenti femminili: mutande, reggiseni e calze. E le coperte? Il terzo scatolone conteneva le coperte, poi maglioni e iniziammo la distribuzione a quella piccola folla silenziosa. Eravamo partiti per documentare nei nostri scatti il terremoto con l’idea di tornare a Palermo. Rimanemmo con la Croce Rossa per due settimane accampati in una tenda canadese fredda e gelida in mezzo al fango. Il giorno dopo arrivò la RAI e poi ancora il giornalista Sergio Zavoli che intervistava la gente inerme che mani in tasca guardava i soldati scavare. E lei non aiuta? Chiese il giornalista ad uno con la coppola e il bavero alzato davanti una montagna di macerie. Che devo fare? Lo fanno loro… Questa immagine di indolenza, ignavia e quasi menefreghismo mi colpì molto. Inermi davanti al disastro più totale o solo rassegnati. Secoli e secoli di arrendevolezza e sopportazione.

La macchina dei soccorsi era partita lentamente e a due settimane dall’evento funzionava da sola. Era tempo di tornare. 

Quando il giorno si fece largo fra le pesanti nuvole, apparve Gibellina rasa al suolo. Il bombardamento di Dresda, la bomba di Enola Gay su Hiroshima. Poi Poggioreale, Salaparuta e Montevago dove sulla piazza era rimasta in piedi solo l’insegna di un distributore della Total Notti all’addiaccio, vagoni ferroviari pieni di deportati, le tende nel fango, la paura delle malattie, le baracche – anni e anni di vita dentro rettangoli di faesite – una punizione da rappresaglia per circa centomila della Sicilia sconosciuta. Una vergogna piena di bugie, sotterfugi, violenza, patimenti e speranze perdute.

Queste fotografie sono tentativi di ricordare quei giorni mesi e anni nel Belice ferito, umiliato e ingannato ma, per fortuna, non vinto.

[… https://www.flickr.com/photos/gigisicily/39806672902/ ] 

da Emporio mediterraneo (ph. Nino Giaramidaro)

da Emporio Mediterraneo (ph. Nino Giaramidaro)

La storia in un batter di ciglia 

Alla Libreria del Mare tra uno scaffale e l’altro ho incontrato Nino Giaramidaro o meglio un suo scatto. Il bianco e nero intenso descriveva una scena che mi colpì molto. Chiesi subito a Maurizio, il proprietario, che mi confermò: “è di Nino Giaramidaro, chiamiamolo al telefono”. Me lo passò subito.

La foto era una copertina di un libro di foto in bianco e nero ma col bordo rosso, foto che dopo qualche tempo mi mandò per la pubblicazione sul mio blog fotografico come cartella fotografica sotto il nome di Emporio Mediterraneo che era anche il titolo del libro. La foto ritrae la via che ho ricostruito dai negozi e dall’Hotel Londres di Madrid su google maps. Quindi dovrebbe essere stata scattata a Calle Galdo, a Madrid. Proprio in centro a due passi da tutti i luoghi simbolici e dalle principali attrazioni, come Puerta del Sol, Plaza Mayor, il Prado, ecc…e a pochi passi dai famosi negozi di via Preciados.

La foto è stata scattata sul luogo di un attentato. Nella postfazione del libro Nino Giaramidaro cita un viaggio in Spagna nel 1973 avvenuto pochi minuti prima dello scatto. Avevo pensato all’attentato di Luis Carrero Blanco da parte dell’ETA (Euskadi Ta Askatasuna, che in basco significa “Paese Basco e Libertà”), il gruppo dei separatisti baschi ma avvenne il 20 dicembre 1973 e invece dalla foto di Nino si distinguono abiti estivi. Nel 1973 si erano create le condizioni per un attentato di alto livello: a gennaio l’ETA aveva sequestrato l’industriale Felipe Huarte, ottenendo 50 milioni di pesetas per il riscatto (il corrispettivo di circa 5 milioni di euro attuali) e nello stesso mese aveva rubato in una polveriera ad Hernani, nei Paesi Baschi, tre tonnellate di dinamite. Aveva i mezzi e aveva le informazioni: Eva Forest, dissidente del Partito Comunista e principale collaboratrice dell’organizzazione a Madrid, da alcuni mesi teneva informati i vertici dell’ETA della routine quotidiana dell’allora ministro Carrero Blanco. Il politico ogni mattina andava a fare la comunione in una chiesa vicina, poi rientrava in casa per colazione e infine andava al lavoro al ministero. Un lavoro certosino di depistaggio di cui è stato testimone Nino Giaramidaro. 

La scena che si trova il fotografo Nino è una strada, come dicevo probabilmente Calle Galdo, dove viene fatto scoppiare un ordigno. La strada ha l’asfalto divelto, calcinacci e pietre. Ai lati della strada una certa folla si accalca cercando di evitare le macerie. Un padre prende sotto braccio la sua bambina e coll’altra tira via la moglie in un vestitino smanicato bianco. Una donna al centro in secondo piano in abito nero scappa via guardando dove mette i piedi e viene tirata dal marito mentre un’altra donna porge una tovaglietta. Un giovane alto con la camicia aperta su una canottiera bianca sceglie di camminare sui calcinacci per evitare l’imbottigliamento alla sua destra.

La foto però principalmente si focalizza su due grandi attori. La prima è una donna molto bella ed elegante in completo forse Chanel con una collana di grosse perle bianche che siede sgomenta e attonita su due valige nel bel mezzo del disordine del caos e nello scompiglio più totale di folla, fuggifuggi e macerie. Il titolo Che ci faccio qui? di Bruce Chatwin tradurrebbe abbastanza fedelmente i pensieri della signora. L’altro attore è un signore su un piano quasi parallelo alla donna che tiene un giornale sotto la destra dal titolo leggibile Dom Mintoff a Madrid. Quindi la data certa è compresa tra il 24 e il 25 agosto 1977. Il signore poi in abito due bottoni aperto su una cravatta scura con cerchietti o rosette più chiare sta fumando una sigaretta. Ci racconta una storia con i baffetti alla Fred Buscaglione e quel fazzoletto bianco al taschino. Guarda altrove su un’altra scena che possiamo immaginare ma non cogliere.

Quando parlai dello scatto a Nino mi raccontò che in tutto quel trambusto il tizio ogni tanto lanciava occhiatine di concupiscenza alla donna che in effetti non coglieva. Poi faceva l’indifferente e ritornava con lo sguardo poco dopo ma con molta discrezione. Nino avrebbe voluto cogliere sicuramente quello sguardo ma la scena già molto complessa e nel trambusto generale quello sguardo non venne registrato dalla macchina. Lo scatto però ci racconta non una sola storia ma le storie e i drammi che si intrecciano tra più persone e in un momento molto particolare della storia spagnola. Ora penso che Nino andava in giro con moglie e figlia piccola che avrà avuto una decina di anni. Girava non con occhi da turista ma da viaggiatore esperto così che decidere di fare uno scatto o lasciarlo tutto per sé dipendeva da 1/125 di secondo. Giaramidaro scriveva bene, molto bene come si legge dalla postfazione al suo libro ma anche a raccontare una pagina di storia di Spagna in un battito di ciglia era insuperabile.

Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024

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Nino Pillitteri, svolge la sua attività di fotografo a Palermo. laureato in Matematica, si dedica alla fotografia già prima di iniziare l’Università nel 1983. Dal 2001 se ne occupa professionalmente. Ha avuto come maestri Cecilia Alqvist, Giacomo D’Aguanno, Salvo Fundarotto e delle grandi fonti di ispirazione sia in Italia che all’estero, tra Svezia e Danimarca, dove ha vissuto per circa undici anni. É CEO Administrator e creatore di photo.webzoom.it, si occupa di Street Photos, Social, Reportages e Viaggi. Ha collaborato con fotoup.net, quattrocanti.it, photojournale.com, Azsalute.it. Agenzia Demotix-Corbis, PacificPressAgency, Citizenside France, Blasting News Italia. Oltre la matematica e la fotografia coltiva lentamente un uliveto.

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