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Obiettivo cronaca e cronaca obiettiva

Nino Giaramidaro con Billitteri e  altri colleghi in occasione dell'intitolazione della piazzetta al quotidiano L'Ora

Nino Giaramidaro con Billitteri e altri colleghi giornalisti

di Daniele Billitteri

C’era questa cosa che Ninuzzo era quello con la fissa per le fotografie. Sicuramente viveva in simbiosi con la sua macchina fotografica, Ma se l’abito non fa il monaco, la macchina fotografica di Ninuzzo non faceva il giornalista ma diventava per lui come il taccuino del cronista. Un modo per mettere la cronaca nell’obiettivo ma pure l’obiettività nella cronaca, qualità in coma profondo ormai da molti anni.

Nino Giaramidaro, Ninuzzo per noi, vedeva i fatti attraverso la sua reflex. E non per la comune e scontata convinzione che un fotografo racconta per immagini. No, l’obiettivo, fosse il 50 millimetri che il grandangolo o il “teletto”, non catturava immagini ma notizie. Dentro l’inquadratura si formava quella che nella “nera” diventa la “scena del crimine”. Ma non quella della Scientifica con le transenne, le tute bianche e tutto il resto. La Scena che Nino segnava nel suo “taccuino ottico” era fatta di volti morti, di volti vivi, di siepi arroganti, di morbose ali di folla attorno alle tragedie. Una macchina fotografica non poteva cogliere i profumi ma lui riusciva a trovare il modo perché anche questo rimanesse nelle sue 35 millimetri.

Ninuzzo non era uno qualsiasi, con questa sua qualità interiore di inquadrare i pensieri. Ma per riuscirci non bisogna avere fretta e Ninuzzo non ne aveva, al limite del rischio di meritarsi uno sfottò che a L’Ora non gli risparmiavamo. Sfottò bonario perché tutti volevamo bene a Ninuzzo. E quando apriva l’album dei suoi pensieri per immagini stavamo tutti attenti perché quasi sempre nella sua narrazione c’era qualche dettaglio che lui aveva visto e noi no. Perché non aveva fretta, rifletteva, ponderava. Nino non era un fotografo nel senso che il suo lavoro al giornale non era quello. Era stato cronista da marciapiede, ardimentoso e presente, poi si era occupato della redazione di Catania de L’Ora e non poteva che essere lui perché era del Trapanese e un palermitano a Catania si sarebbe portato dietro i pregiudizi sciocchi del campanile. Ma lui no.

Tante stagioni le sue e, sotto certi aspetti, sono state tutte primavere perché sulla rinascita ha sempre scommesso al punto di farne una “linea” professionale. Non era pruriginoso, disertava gli effettacci, scoraggiava i cronisti “sbirri” perché quello è un altro mestiere. Voleva i cronisti con gli occhi buoni. Quindi obiettivi.

Nino Giaramidaro

Nino Giaramidaro

Da capocronista al Giornale di Sicilia, quando uno dei suoi ragazzi tornava dal fatto e correva al computer per scrivere, lui lo fermava. Doveva sedersi di fronte a lui e raccontargli quello che aveva visto. Era un modo per stimolare il “sentimento” del cronista, le sue sensazioni “ambientali”. E questo faceva bene pure a chi doveva scrivere perché così riordinava le idee sfuse che diventavano pietanza ben cucinata. E serviva anche a lui per lavorare sui titoli. Da questo punto di vista Ninuzzo era un capocronista “a mestiere”, come dovrebbero essere i capicronisti.

E al Giornale di Sicilia non era facile. Il fatto è che, in quella fase, la sua autonomia di giudizio e di decisione non era del tutto libera di esprimersi e la cosa non riguardava solo lui. Le conferenze dei capi sarebbero state da fotografare, tutti a discutere con un telefono come feticcio dell’inquietante plumbeo ossimoro della presenza-lontananza del Potere.  L’ho visto soffrire per questo ma mai reagire in modo scomposto perché era uomo di pace, sapeva ridere delle cose e dei cristiani a cominciare da se stesso. Aveva i suoi soli che riempivano il suo universo. Tra lui e me c’era sempre una battuta-tormentone. Gli dicevo “Salutami Tuosotis”, che era un gioco sul nome di sua figlia Myosotis, che è un fiore. La figlia, intendo.

Non era da caffè al bar della stazione ma da bicchiere di vino col mezzo toscano davanti a un tramonto di campagna. Con il mare dopo le vigne. Per questo era uno della bella Sicilia, quella che ha raccontato e che lo ha perso ma non del tutto.

Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024

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Daniele Billitteri, giornalista professionista: L’Ora 1970-1979; Giornale di Sicilia 1979-2012. Ha scritto 18 libri tra i quali Homo Panormitanus; Boris Giuliano e la squadra dei giusti; Pandemia palermitana; Dal taccuino di un cronista felice. Creatore del gruppo Facebook Meteobilli nel 2012 e attualmente ricco di 19 mila iscritti. Autore teatrale e narratore in scena.

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