di Igor Baglioni
Tra passato e presente
«Bella come Afrodite – saggia come Atena – dotata della velocità di Mercurio e della forza di Ercole – lei è conosciuta solo come Wonder Woman, ma chi lei sia, o da dove venga, nessuno lo sa!». Siamo nel dicembre del 1941, verso la fine del mese, quando, sul numero 8 di All Star-Comics [1], una nuova eroina, Wonder Woman, viene così presentata ai lettori. Questi, fin dalle prime pagine, vengono proiettati in un nuovo mondo di avventure le cui trame presentano un aspetto che particolarmente le contraddistingue a livello temporale: lo sguardo parallelo al presente e al passato. Il presente, come affermano chiaramente le prime righe introduttive, è «un mondo devastato dalla guerra e dall’odio degli uomini», è quel mondo che vive la tragedia della Seconda Guerra Mondiale e in cui gli Stati Uniti sono impegnati a combattere le forze dell’Asse e vedono la propria terra in pericolo, minacciata da spie e sabotatori tedeschi.
È l’ombra di questo presente funesto, vissuto in prima persona dai lettori ancora scossi e in preda alla paura per quanto accaduto nemmeno pochi giorni prima, il 7 dicembre, quando avevano visto la flotta americana di stanza a Pearl Harbor annientata e l’entrata in guerra degli Stati Uniti il giorno seguente, ad essere affrontata e respinta anche grazie all’eroismo dei protagonisti dei loro fumetti preferiti [2]. Nel caso dell’albo che avevano adesso tra le mani, nella storia che avevano appena iniziato a leggere, l’eroe è il capitano Steve Trevor che, a rischio della vita, sventa il complotto di due spie tedesche ai danni dell’esercito degli Stati Uniti. Il passato è invece rappresentato da un’isola sconosciuta, lontana dal mondo degli uomini e ad essi inaccessibile, dove leali e giuste guerriere tramandano quanto di più alto e nobile sia nato per volere degli antichi dèi sulle rive del Mediterraneo, nelle terre dell’Ellade. Queste guerriere sono le amazzoni e riconoscono come guida le due divinità che vegliano su di loro: Afrodite e Atena. Diana, questo è il vero nome di Wonder Woman, è la figlia della regina di quest’isola, Ippolita.
Un tempo, secoli orsono, quando la civiltà greca era al suo apice, le amazzoni furono vinte e rese schiave dall’infido Ercole. Questi, approdato con i suoi uomini presso le coste del loro regno e mirando alla sua conquista, aveva sfidato la regina in duello. Ma nemmeno l’uomo più forte al mondo, Ercole, poté vincere la regina delle amazzoni perché questa godeva del potere conferitole dal Cinto di Afrodite. Solo grazie all’inganno, avendo sottratto con l’astuzia il magico cinto ad Ippolita, Ercole riuscì a ridurre in schiavitù le amazzoni. La regina invocò quindi in aiuto la dea Afrodite. Questa intervenne e consentì ad Ippolita di impadronirsi nuovamente del cinto magico così che potesse liberare le amazzoni per poi condurle, per volere della dea, lontano dal mondo degli uomini, sull’Isola Paradiso. Qui avrebbero conservato il ricordo della loro prigionia, del tempo in cui erano state sottomesse all’uomo, nei braccialetti che da allora in poi avrebbero per sempre indossato, a perpetuo simbolo delle catene in cui erano state poste per mano di Ercole.
E proprio su quest’isola nacque Diana, come i lettori apprenderanno nella prima testata dedicata interamente alla nostra eroina, Wonder Woman, il cui primo numero sarà pubblicato nell’estate del 1942. Si tratta però di una nascita molto particolare. Seguendo gli insegnamenti della dea Atena, Ippolita infatti aveva modellato con le sue mani la piccola statua di una bambina. In un richiamo esplicito nel fumetto al mito di Pigmalione e Galatea, la regina, colpita da quanto aveva creato, pregò la dea Afrodite di conferire il dono della vita alla statua e di trasformarla in una vera bambina. Così avvenne e fu proprio la dea a porle il nome di Diana, volendole donare il nome della divinità della luna e della caccia.
Ma il passato e il presente non costituiscono due linee temporali separate e non comunicanti, ma l’una andrà a breve ad influire sull’altra, quando l’eco della guerra arriverà perfino in quel luogo fuori dal tempo in cui vengono custoditi e preservati i tesori dell’antichità: l’isola delle amazzoni.
Steve Trevor, infatti, dopo aver sventato il tentativo di sabotaggio delle spie, cadrà con il suo aereo nel mare antistante l’Isola Paradiso e verrà salvato proprio dalla giovane Diana che presto sarà presa d’amore per lui. L’isolamento delle amazzoni, dopo secoli, è stato così infranto e la regina Ippolita dovrà pertanto decidere come porsi di fronte a questo fatto inaspettato. Chiede consiglio alle due dee: Afrodite e Atena che appaiono ad Ippolita e le rivelano che un terribile pericolo minaccia il mondo intero e la libertà! Gli dèi hanno quindi deciso che Trevor debba tornare in America affinché possa combattere le forze dell’odio e dell’oppressione. Non solo.
L’America, l’ultima roccaforte della democrazia, l’ultimo luogo dove le donne possono godere di diritti pari a quegli degli uomini, ha bisogno dell’aiuto delle amazzoni! Ippolita dovrà perciò inviare con Trevor la più forte e saggia tra le sue guerriere: «the finest of your wonder women!». Le amazzoni, per volontà della regina, dovranno perciò gareggiare tra di loro in un torneo. La vincitrice, colei che supererà tutte le prove, verrà inviata in America. Solo ad una tra loro viene impedito di partecipare al torneo: Diana. Ippolita non vuole separarsi da sua figlia, ma lei a sua volta non intende separarsi da Trevor. Decide quindi di prendere comunque parte alle gare, ma in modo di non essere riconosciuta.
Indossa infatti un paio di occhiali scuri che, come il caso di Clark Kent insegna, nel fumetto dell’epoca sono uno stratagemma più che sufficiente per non svelare la propria identità. Vinte tutte le prove, Diana si rivela e la madre, affranta e orgogliosa di lei allo stesso tempo, la invierà in America, la terra che amerà e proteggerà. L’ultimo dono della regina alla figlia sarà un abito tessuto da Ippolita stessa, un costume che per l’aquila e le stelle lì presenti come ornamenti, non è altro che immagine della bandiera americana e dei valori che essa rappresenta [3].
Questa è la storia d’esordio di Wonder Woman, una storia che a prima lettura potrebbe sembrare solo una narrazione di propaganda a fumetti, posta in essere per sostenere ideologicamente anche su questo piano lo sforzo bellico, come ne erano state pubblicate tante, comprensibilmente, in quel periodo [4]. In realtà, vi è ben più di questo.
In questa prima apparizione dell’eroina, nelle caratteristiche della trama, come in quelle delle storie a venire, sono evidenti anche i fini per i quali William Moulton Marston (1893-1947) ha ideato un personaggio che nel corso del tempo diventerà una delle icone principali della mitologia contemporanea, figura in grado di incarnare di volta in volta parte delle aspettative e dei desideri di cambiamento emersi nella società americana dagli anni Quaranta ad oggi [5].
William Moulton Marston e Wonder Woman
Psicologo e inventore, per Marston, che spesso firmò i suoi fumetti con lo pseudonimo di Charles Moulton, la pubblicazione delle avventure di Wonder Woman doveva rappresentare una svolta radicale rispetto alle linee editoriali prevalenti in quel periodo nel panorama del fumetto americano [6]. Assunto nel 1941 come consulente, in qualità di psicologo, da una giovane casa editrice, nata nel 1934, ma già di successo, e che dopo diversi cambi di nome e proprietà divenne nota, ed è nota a tutt’oggi, come DC Comics [7], fu proprio Marston a sostenere che fosse arrivato il momento di proporre al pubblico dei lettori, che finora avevano conosciuto quasi solamente personaggi eroici maschili, un’eroina, una donna forte quanto il più importante eroe della DC, Superman, e che si ponesse come il suo contraltare femminile [8].
Wonder Woman avrebbe dovuto incarnare nel suo agire la “donna americana del domani”, essere un modello da imitare per le giovani lettrici le quali, identificandosi con lei, avrebbero potuto acquisire fiducia in sé stesse e rendersi conto che nulla per loro era precluso, che avevano possibilità illimitate. Allo stesso tempo, la bellezza e il fascino di Diana, la sua mai esplicita ma pur presente carica erotica, avrebbero conquistato i lettori, così che seguendo le gesta di questa eroina, nella forza e nell’indipendenza di lei, avrebbero imparato a riconoscere la forza e l’indipendenza presenti in ogni donna, e nell’ammirazione e nell’amore provato per il personaggio, avrebbero imparato ad amare e rispettare tutte le donne [9].
Altro aspetto rivoluzionario rispetto al panorama editoriale dell’epoca, è il fatto che Wonder Woman venga concepita da Marston quale messaggera di ideali e valori femministi e che questo appaia anche chiaramente nelle narrazioni [10]. Abbiamo già visto, ad esempio, come Afrodite e Atena ordinano ad Ippolita di aiutare Steve Trevor e l’America perché questa è l’unico luogo sulla Terra dove le donne hanno gli stessi diritti degli uomini. Nelle storie firmate da Marston, questo lato del personaggio si manifesterà in alcuni suoi tratti fondamentali che ne caratterizzano personalità e comportamento: fiducia e sicurezza nelle proprie capacità; spirito indipendente e deciso; la compassione per le donne vessate e oppresse; il cercare di cambiare e rendere buono l’avversario, il nemico [11]. Non si può non rilevare, inoltre, come parte di queste caratteristiche distinguano nettamente Wonder Woman dagli altri personaggi eroici dell’epoca. L’esempio più pertinente in proposito consiste nell’uso moderato e meditato della violenza da parte dell’amazzone. Diana è l’unico eroe dei fumetti negli anni Quaranta a non uccidere e questo perché, come detto, lei non intende solo impedire o punire il male, ma tentare di cambiare la natura di chi lo compie [12].
Va peraltro sottolineato come in questo aspetto cardine della Wonder Woman di Marston siano coinvolti, e con un ruolo centrale, anche personaggi apparentemente comprimari. Emblematico in proposito è il caso di Steve Trevor. Questi non è semplicemente un “Lois Laine” al maschile, un “fidanzato da salvare” secondo il modello proposto dalla donna amata da Superman [13]. Il fatto che Diana incontri un militare non è dovuto solo al contesto bellico. Nei fumetti scritti da Marston, se Wonder Woman è il prototipo della “donna del domani”, Trevor è invece il modello ideale di come un uomo dovrebbe essere nel suo agire e nel suo pensiero. Ciò che Trevor andrà a provare per Diana non è solo amore, ma anche ammirazione e rispetto, il riconoscimento di una parità che adombra e rappresenta quella parità tra uomo e donna, fondata sull’ammirazione e il rispetto reciproci, che dovrebbe attuarsi anche nel mondo reale. Il fatto poi che a maturare questa posizione sia un militare, ovvero l’uomo forte per eccellenza nell’immaginario collettivo, non è ovviamente casuale, ma fa parte della strategia narrativa dell’autore per rafforzare i fini a favore dell’emancipazione femminile presenti nell’opera [14].
In sintesi, Marston delinea i tratti caratterizzanti di Wonder Woman, così come struttura le avventure che la vedono protagonista, tenendo ben presente questo scopo che si è posto di raggiungere. Assistiamo quindi all’utilizzo consapevole, e secondo un’attenta pianificazione, di un nuovo mezzo di comunicazione a carattere narrativo, al fine di influenzare ed essere motori di cambiamenti nella società [15]. Altro elemento che si deve evidenziare in proposito, è che questa pianificazione si basa sulle teorie che Marston stesso, come ricercatore e psicologo, era andato elaborando nel corso degli anni riguardo alle motivazioni psichiche soggiacenti a determinate tipologie di comportamenti umani.
Queste teorie avevano già trovato pubblicazione in diverse sedi ben prima della nascita di Wonder Woman. La sua opera più importante in merito può essere considerata un libro dato alle stampe nel 1928: Emotions of Normal People. Le “emozioni” a cui il titolo fa riferimento sono forze che condizionano il comportamento sociale delle persone. Secondo Marston, queste forze sono quattro e dalla lettera iniziale dei nomi in lingua inglese con cui designa ciascuna di esse è andato a comporre l’acronimo con il quale ha denominato il modello teorico relativo da lui elaborato: DISC (Dominance, Inducement, Submission, Compliance). Marston dipinge un quadro per il quale le singole scelte di un individuo sono il frutto dell’interazione tra la percezione che lui ha di sé, dell’ambiente sociale in cui va ad agire e della situazione contestuale in cui l’azione andrà a svolgersi e del prevalere in lui, in quel momento, di una di queste quattro “emozioni”. In linea di massima, comunque, le persone comuni – le “normal people” presenti nel titolo del libro – tenderebbero a comportarsi in base a quelle che sono le aspettative e le richieste che caratterizzano il loro ambiente sociale. L’orientamento più diffuso è pertanto il conformismo [16].
L’interazione qui esposta però non esaurisce tutti i fattori che entrano in gioco nel determinare le azioni umane. Per Marston, esistono anche delle inclinazioni a specifici comportamenti che sono dovuti a quelle che oggi definiremmo “qualità di genere”: donne e uomini, in quanto tali, hanno per loro natura tendenze caratteriali e di comportamento differenti. Ad esempio, secondo lo studioso, l’uomo sarebbe innatamente portato alla violenza. Da qui, almeno in parte, la ragione di quei continui conflitti che tormentano e dividono non solo le singole persone tra loro, ma ogni forma di gruppo sociale, allo stesso tempo spaccato al suo interno e in antagonismo con altri. Nell’ottica di Marston, però, questo stato di perpetua tensione e dolore può essere interrotto. Un mondo pacifico può nascere se l’uomo, che per sua natura sarebbe anche in continua ricerca di una donna in grado di catturarlo, controllarlo e dominarlo, riconosca volontariamente il ruolo guida della donna e si ponga alla sua obbedienza. La donna può infatti controllare l’uomo grazie alla sua innata gentilezza, allo spirito d’amore che le è proprio, ma soprattutto grazie alla sua naturale carica erotica.
E che le donne fossero all’altezza di divenire le “gentili e amorevoli padrone dell’uomo” era un convincimento che Marston aveva maturato nell’ambito delle sue ricerche quando aveva osservato e studiato per lungo tempo le pratiche iniziatiche in uso in alcune confraternite femminili dei college americani. Marston aveva analizzato quanto dovevano compiere le nuove ragazze per essere accolte in questi gruppi, soffermandosi in particolare sui tratti di nonnismo che caratterizzavano i riti, le allusioni sessuali presenti e soprattutto la dialettica tra “padrona” e schiava” che spesso andava a costruirsi come rapporto tra chi metteva in atto le prove di ammissione e la giovane ragazza che le intraprendeva. Per lo studioso, attraverso questo percorso la donna imparava a gestire la sua naturale attitudine al comando, sperimentando all’inizio che cosa significa obbedire agli ordini e poi in seguito cosa implica impartirli, secondo una visione per la quale solo chi una volta avesse ben imparato a eseguire le direttive ricevute, un giorno a venire avrebbe potuto impartirle con correttezza e giustizia. Parimenti, Marston riteneva che questo percorso rappresentasse a livello concreto le possibili applicazioni sociali positive di un’azione pianificata in base alle “emozioni” primarie, in questo caso l’esercizio della posizione dominante (la Dominance) e l’esperienza della sottomissione (la Submission) [17].
Non dobbiamo quindi stupirci se nelle avventure di Wonder Woman possiamo rintracciare anche tutti gli aspetti fin qui riassunti, dall’articolarsi delle storie in modo che siano uno specchio fedele di quei meccanismi, ad un tempo psichici e sociali, messi in luce in Emotions of Normal People, alla trasposizione in forma nuova di quelle pratiche iniziatiche in uso nelle confraternite e che Marston riteneva essere un percorso di maturazione corretto ed efficace al termine del quale le giovani ragazze avrebbero sviluppato positivamente le loro qualità innate [18]. Ovviamente, in una trasposizione adatta a questo nuovo mezzo di narrazione che era il fumetto e calibrata per il pubblico di lettori che si voleva raggiungere.
Si pensi ad esempio al Lazo della Verità, la magica corda con la quale Diana lega i suoi avversari, ottenendone il controllo. In questo oggetto vi sono una molteplicità di significati soggiacenti: rimanda a quei rituali delle confraternite femminili dove oggetti simili sono in uso e da dove Marston ha tratto l’idea di questo particolare strumento che si rivela essere un’arma adatta per una eroina venuta a portare la pace, che rieduca le persone e non le uccide; il suo impiego avviene spesso in un contesto di latente e velato erotismo, quell’erotismo che, come detto, è necessario alla donna per controllare l’uomo; rende quindi visibile sul piano concreto, narrativo, quello che sul piano teorico Marston ha espresso in passato come tendenza naturale dell’uomo a porsi sotto il controllo della donna; l’avversario di Diana avvolto e legato nel Lazo è un’altra immagine concreta, narrativa, di posizioni teoriche, in questo caso dei meccanismi “emozionali” di Dominance e Submission così come codificati dal modello DISC; da ultimo allude ad quella Macchina della Verità che in passato era stata inventata dallo stesso Marston [19].
Rispetto a quanto abbiamo sottolineato finora, bisogna quindi ampliare la portata dei fini che si prefiggeva Marston con la creazione di Wonder Woman. La capacità di influire sui mutamenti sociali attribuita al fumetto quale moderno mezzo di narrazione e comunicazione di massa, in grado di imporre ai lettori nuovi modelli e visioni del mondo, viene indirizzata solo per favorire il processo di emancipazione femminile, ma la riorganizzazione delle strutture della società che a questo processo si accompagna, e che libera e porta alla giusta crescita i semi già presenti nelle inclinazioni naturali di donne e uomini, nell’ottica di Marston comporterà l’instaurarsi di un nuovo ordine di vita, caratterizzato da pace e giustizia [20].
Se, come abbiamo più volte rimarcato, le caratteristiche della nostra eroina e la trama delle avventure che la vedono protagonista, rispondono a questi obiettivi, vi sono però altri elementi, affettivi, che hanno contribuito alla configurazione della prima principessa Diana, la cui elaborazione grafica venne affidata a Harry G. Peter (1880-1958), futuro disegnatore delle prime avventure dell’amazzone [21]. Mi riferisco al ruolo svolto da Elizabeth Halloway (1893-1993) e Olive Byrne (1904-1990), la due donne amate da Marston. Ricercatrice in diverse università americane e redattrice dell’Enciclopedia Britannica, la Halloway è stata la moglie di Marston. A lei l’autore di Wonder Woman deve molto. Fu grazie al suo sostegno, anche finanziario, che Marston riuscì infatti a superare i momenti di difficoltà che incontrò prima di affermarsi professionalmente. Donna dallo spirito forte e deciso, nettamente autonoma e indipendente, questi tratti della sua personalità furono ritratti in Diana da Marston. Il carattere e il comportamento di Wonder Woman nelle storie narrate dal suo ideatore non erano pertanto solo dettati dalle posizioni teoriche precedentemente riassunte. Erano anche trasposizione del carattere e del comportamento di una persona concreta.
Possiamo pertanto ritenere che, almeno per alcuni tratti, la “donna americana del domani” a cui Marston pensava e a cui Wonder Woman doveva aprire la strada, non fosse poi così lontana dal presente e che fosse già accanto a lui. In parte in Elizabeth Halloway, la moglie, e, in parte, in Olive Byrne. La corporatura, l’immagine fisica dell’amazzone, il colore degli occhi e dei capelli, perfino i famosi braccialetti antiproiettili, richiamavano infatti l’aspetto e l’abbigliamento della Byrne, colei a cui Marston si riferiva con un significativo “my Wonder Woman”. I due si conobbero nel 1925 presso la Tufts University del Massachusetts quando lei era ancora una studentessa. La Byrne permise a Marston di assistere ai riti della confraternita femminile della quale faceva parte e proprio da questa esperienza iniziò i suoi studi al riguardo. Divenuti amanti, vissero tutti e tre, Marston, Byrne e Halloway, nella stessa casa, come un’unica famiglia [22]. Si tratta di una relazione che di fatto anticipava quei rapporti basati sul poliamore messi in pratica negli anni successivi dai movimenti libertari e femministi americani. L’idea soggiacente a questa tipologia di rapporti vede nella monogamia un sistema che produce legami malati, basati sulla gelosia e il senso del possesso del partner, e in cui la vittima principale è quasi sempre la donna, ridotta ad oggetto di proprietà dell’uomo e a lui sottomessa. È dunque probabile che la particolare vita affettiva di Marston vada letta in questo senso e non disgiunta dalle sue posizioni femministe [23].
In tutto questo, qual è il ruolo ricoperto dall’antichità e dalle tradizioni del mondo classico su cui poggia una parte del mondo narrativo creato da Marston? Come spesso è accaduto e come probabilmente accadrà ancora, la mitologia classica viene chiamata a fondare una nuova realtà che si vuole costruire e, come è accaduto in passato e come probabilmente avverrà ancora in futuro, viene liberamente modificata e adattata per rispondere a questa finalità. Il passato non viene solo letto alla luce delle dinamiche sociali e delle aspirazioni del presente, ma questo presente lo cambia coscientemente e secondo un’attenta pianificazione [24]. Marston altera profondamente le antiche tradizioni mitiche, creando una polarizzazione dialettica tra il femminile, positivo, rappresentato a livello divino dalle dee Afrodite e Atena e dalle loro figlie, le amazzoni, e il maschile, negativo, rappresentato dal dio della guerra, Ares, e il cui vile campione è Ercole.
Afrodite diventa una figura quasi prometeica, creatrice, portatrice di pace e di cultura, assumendo per certi aspetti anche le caratteristiche di colei che le è alleata, Atena, e, di fatto, concretizzando in sé, quale immagine esemplare, quelle che sono secondo Marston le qualità naturali del genere femminile. Ciò avviene anche per le amazzoni che, da guerriere figlie di Ares, diventano figlie della dea dell’amore e braccio di questa divinità sulla Terra. Inoltre, da anti-modello per le donne, parametro negativo sul piano mitico nell’antichità, vengono mutate in figure esemplari, nel modello per la “donna americana del domani”. E in questa nuova visione mitica, Ares, e così Ercole, sono invece la chiara manifestazione iconica di quella violenza che è parte del carattere innato del genere maschile, violenza che deve essere controllata e temperata dalle donne [25].
Fredric Wertham e La seduzione dell’innocente
Marston morì nel 1947 e la sua scomparsa coincise con un arretramento dei movimenti di emancipazione femminile nella loro capacità di incidere nei cambiamenti in atto nella vita quotidiana in America. Se il Secondo conflitto mondiale, come peraltro il Primo, aveva visto le donne intraprendere professioni, occupare ruoli e assumere compiti tradizionalmente “maschili”, questa tendenza non solo venne ad arrestarsi al termine della guerra, ma si imboccò un percorso a ritroso. Nel discorso pubblico cominciò infatti ad affermarsi l’idea che le donne dovessero tornare a svolgere lavori a loro più “appropriati”, più “femminili”, che l’ambito e le occupazioni domestiche fossero la sfera a loro più consona e che il matrimonio e la maternità costituissero le uniche legittime aspirazioni per una ragazza di buona famiglia [26]. Questa tendenza in atto nella società americana, trova una sua espressione anche nel nuovo corso narrativo di Wonder Woman.
La nostra eroina, a poco a poco, sempre meno appariva in avventure dove affrontava e aveva la meglio sull’avversario e nemico di turno confrontandosi e combattendo con esso direttamente. Bastava che dimostrasse i suoi straordinari poteri affinché questo si arrendesse. Si voleva infatti evitare di rappresentare apertamente uno scontro fisico tra una donna e un uomo dove la prima potesse essere chiaramente la vincitrice. Parimenti, sempre meno si vedeva l’amazzone contestare l’autorità di figure maschili o, come era ai tempi di Marston, esprimersi contro gli aspetti ingiusti e negativi della società. Sempre più, invece, Diana veniva resa protagonista di trame amorose, da “romanzo rosa”, oppure coinvolta nelle questioni sentimentali dei personaggi comprimari. Un possibile matrimonio con Steve Trevor non sembrava ormai lontano e le continue allusioni a questo lieto evento a venire erano divenute un tratto ricorrente nelle storie pubblicate in questo periodo [27].
Con il passare del tempo e lo sprofondare dell’America nel clima oppressivo e paranoico del maccartismo, la situazione non solo continuò a peggiorare, ma si aggravò nettamente. Nel 1954 apparve nelle librerie americane uno dei frutti avvelenati di questa temperie, un libro destinato a divenire a breve un grande successo editoriale, seme di nuove restrizioni sociali e alla libertà di espressione: Seduction of Innocent, “La seduzione dell’innocente”. L’autore era uno psichiatra di origini tedesche, Fredric Wertham (1895-1981), il quale sosteneva che buona parte dei mali presenti nella società americana dipendessero dalla cattiva influenza esercitata dai fumetti sui loro giovani lettori. La ribellione nei confronti dei genitori e di ogni forma di autorità, i comportamenti violenti e criminali, le diverse devianze sessuali, tutto questo e altro ancora aveva le sue origini dai modelli negativi che le storie pubblicate nei fumetti offrivano ai lettori [28].
Per quanto riguarda nello specifico i personaggi femminili, in particolare le eroine protagoniste, questi erano tutti forieri di esempi pessimi per le giovani lettrici, non solo per i loro comportamenti disinibiti, indecorosi, impudichi o inopportuni, ma soprattutto perché queste donne si affermavano sugli uomini, li combattevano e li vincevano, li controllavano e li dominavano [29]. Di Wonder Woman in particolare, Wertham denunciava la scandalosa nudità e prorompente sensualità, istigatrice delle peggiori pulsioni maschili, il favorire le devianze sessuali femminili, nascoste dietro gli ambigui rapporti di “sorellanza” e lega tra donne stabiliti con le amiche e i personaggi comprimari, il suo pericoloso attivismo che distoglieva le giovani lettrici dal giusto ruolo a cui avrebbero dovuto mirare per la loro vita, quello di “angelo del focolare”, mogli devote ai mariti e alla famiglia [30].
Il successo dell’opera di Wertham ebbe effetti devastanti per il mercato del fumetto americano. La pressione dell’opinione pubblica portò infatti all’apertura di un’inchiesta da parte del Senato degli Stati Uniti con egli editori convocati davanti alla commissione dedicata alla criminalità giovanile. Questi presero la decisione di chiudere quelle testate che in base alle accuse di Wertham potevano apparire più “problematiche” e diedero vita alla Comics Code Authority, un organo di autocensura che doveva esaminare gli albi prima della pubblicazione. Il codice messo in atto prevedeva che nelle storie le istituzioni e le autorità non dovessero essere delegittimate o messe in discussione, ma rispettate, non dovevano esserci scene esplicite di violenza o riferimenti alla sfera erotica e al sesso, non vi dovevano apparire droghe, liquori, tabacco o qualsiasi altra cosa che potesse favorire l’accusa di spingere i giovani al vizio, non dovevano esserci creature mostruose come vampiri o licantropi (divieto che discende dagli attacchi alle pubblicazioni della EC Comics, come Tales from the Crypt, The Vault of Horror, Weird Science e Weird Fantasy, che furono particolarmente al centro della bufera [31]) e, infine, i buoni, portatori di sani valori e della stile di vita americano, dovevano sempre vincere [32]. Le conseguenze di queste disposizioni furono essenzialmente due:
1) Il fumetto americano perdeva la possibilità di rappresentare la realtà per ciò che era (o quantomeno di ritrarre i suoi aspetti negativi), assumendo a volte toni fiabeschi o surreali.
2) Il potenziale potere del fumetto quale strumento per indirizzare i cambiamenti sociali, intuito da Marston, viene meno. Con la nascita della Comics Code Authority non vi era altra scelta che legittimare l’ordine esistente. Uno stato delle cose che, escludendo il fumetto indipendente e “underground” nato nell’ambito dalla contestazione giovanile degli anni ’60 e dal pubblico limitato, verrà progressivamente meno solo a partire dal 1971, quando Stan Lee (1922-2018) cominciò ad aggirare o sfidare i singoli divieti nelle pubblicazioni della Marvel Comics, in un processo che comunque sarà molto lungo prima di essere in grado incidere profondamente sull’intero settore [33].
Per quanto riguarda Wonder Woman, le avventure dell’amazzone, limitate dal codice del fumetto, divennero così monotone e deludenti da portare al crollo delle vendite. Così, nel 1959, si provò a rilanciare il personaggio tramite una sua totale riconfigurazione, un processo che andava però ad annullare tutti gli aspetti innovativi presenti nella Wonder Woman ideata da Marston. In questo nuovo corso, Diana è la figlia naturale di Ippolita, nata da una relazione della regina con un uomo la cui identità rimane sconosciuta. La disputa tra Afrodite e Ares venne completamente eliminata. Le abilità di Diana non erano più il risultato di anni di addestramento, ma un dono delle divinità fatto alla sua nascita, con il paradosso che la nuova Wonder Woman doveva la sua forza a quell’Ercole che in Marston rappresentava l’aspetto negativo e violento del genere maschile. I disegnatori eliminarono nella sua figura qualsiasi traccia dell’originale addestramento, come i muscoli pronunciati, e ogni elemento del suo aspetto che potesse rimandare ad aspetti percepibili come “mascolini”, rendendola pertanto più “femminile” e quindi più rispondente a quelli stereotipi di genere che Marston voleva sovvertire. Un quadro completato dal mantenimento degli intrecci amorosi quale tema ricorrente nelle storie dell’eroina. Alle giovani lettrici non veniva quindi lasciato nulla, nessuna possibilità di immaginare di poter avere un’altra vita che non fosse quella di un “romanzo rosa”. Diana non insegnava più, grazie al suo addestramento, che con l’impegno e la dedizione avrebbero potuto costruirsi la vita che desideravano e realizzare i propri sogni [34].
Agente segreto Diana Prince
Nel corso del tempo, Wonder Woman continuò a mutare caratteristiche e fisionomia nei periodici tentativi messi in atto dalla casa editrice di rimontare la china di un mercato che ormai non sembrava più guardarla con favore, se non sporadicamente. Tra le diverse versioni dell’eroina che furono proposte al pubblico, ne ricorderemo solo altre tre. Per prima, quella elaborata in seguito alla nuova riconfigurazione del personaggio avvenuta nel 1968, forse il cambiamento più radicale che sia mai stato attuato finora nella storia di Wonder Woman. Diana perde completamente le sue capacità sovrumane, non è più un’amazzone, ma un formidabile agente segreto che ha appreso i segreti delle arti marziali da un maestro orientale di nome I-Ching. Ritorna nella definizione del personaggio, quindi, l’idea di un percorso di formazione, di un addestramento, che spieghi al lettore le incredibili doti dell’eroina. Questo nuovo addestramento, l’apprendistato a cui Diana si sottopone in questa sua incarnazione, non la rende più parte, però, di una sapienza propriamente “femminile”, tramandata nel corso dei secoli dai tempi del mito, non è più testimone e messaggera di essa nel mondo attuale, retto dagli uomini e da guadagnare alla pace, ma l’anello di una catena di sapienza che, per usare i parametri di Marston, definiremo convenzionalmente “maschile”, come è ben evidente dal fatto che sia stato un uomo a rivelargliela.
E come si può già intuire da quanto fin qui detto, le avventure di questo corso vanno ad inserirsi in due filoni tematici in quel momento di successo. Il primo è quello legati ai combattimenti e alle sfide incentrate sulle arti marziali orientali, che a breve si imporranno nell’immaginario occidentale secondo i tratti presenti nei film che videro quale suo principale protagonista Bruce Lee (1940-1973). Il secondo si incentra invece sulle attività di spionaggio, filone affermatosi in quel periodo grazia al successo dei film dell’agente segreto più famoso di tutti i tempi, 007, James Bond. Va però precisato che ad influenzare la riconfigurazione di Diana non fu 007, ma un altro agente segreto, un’eroina co-protagonista della quarta e della quinta stagione della serie televisiva britannica The Avengers, diffusa allora in Italia con il titolo Agente speciale. Mi riferisco al personaggio di Emma Peel, interpretata dall’attrice Diana Rigg (1938-2020). La nuova Wonder Woman viene ridisegnata tenendo presente il suo aspetto. Ha quindi il volto, la corporatura e l’abbigliamento di Emma Peel-Diana Rigg, in particolare a volte indossa la stessa tuta attillata che ne risalta le belle forme del corpo.
Diana non perde quindi solo i suoi attributi amazzonici, ma anche quel che rimaneva delle sembianze di una delle donne amate da Marston, Olive Byrne, e i suoi avversari ora sono prevalentemente donne, anche loro disegnate in abiti ben attillati e aderenti, il cui antagonismo nei confronti dell’amazzone di un tempo era infiammato ancor di più per l’invidia e la gelosia che provavano per questa donna bellissima, desiderata e corteggiata da tanti uomini. Un ulteriore adattamento di Wonder Woman agli stereotipi di genere, quindi, e nel quale veniva di fatto meno qualsiasi forma di “sorellanza” femminile. Un mondo ben lontano da quello immaginato da Marston in cui solo una “sorellanza”, portatrice presso gli uomini degli innati valori femminili, avrebbe potuto condurre la Terra alla pace e alla concordia [35].
Wonder Woman for President!
Questo ciclo narrativo durò fino al 1972 quando l’immagine di Wonder Woman, nelle sue prime vesti di amazzone e guerriera, venne scelta per la copertina del primo numero della rivista femminista Ms., dove apparve ritratta in una inarrestabile marcia trionfale, accompagnata dalla scritta “Wonder Woman for President”. L’idea era stata avanzata da una delle fondatrici della rivista, l’attivista, giornalista e scrittrice Gloria Steinem. Nata nel 1934, la Steinem era cresciuta leggendo i fumetti di Marston e per certi aspetti possiamo dire che nella sua persona, in quel che diventerà da adulta, il padre di Wonder Woman avrebbe probabilmente riconosciuto il frutto della sua opera, la bontà della sua intuizione sulla capacità del fumetto di influire sui cambiamenti sociali e come i suoi intenti fossero andati almeno in parte a buon fine: una delle giovani lettrici di Wonder Woman era in effetti divenuta, da grande, una “amazzone moderna”, paladina dei diritti delle donne. Sbalordita e arrabbiata per ciò in cui era stata ridotta l’eroina della sua gioventù, la Steinem si fece promotrice di una campagna mediatica in favore del ripristino delle originali caratteristiche di Wonder Woman, presentata negli articoli pubblicati nel primo numero della rivista Ms. come vittima di un complotto maschilista. Nata nei primi anni Quaranta del Novecento quale strumento per l’emancipazione femminile, nel 1972 Wonder Woman viene innalzata dalle attiviste americane a bandiera del femminismo, scelta come icona e simbolo dei valori e dei fini per i quali stavano lottando [36].
La pressione fu tale che nel 1973 la DC Comics dovette cedere e procedere ad una nuova riconfigurazione del personaggio che guardasse all’originale eroina dei tempi di Marston. Non si può comunque parlare di un vero e proprio ripristino della prima Wonder Woman, né nelle fattezze di lei, né nel contenuto delle storie, ma il fatto che Diana fosse tornata a indossare il suo costume da amazzone e che la campagna fosse quindi riuscita a condizionare la politica editoriale della DC, venne considerato all’epoca una vittoria del movimento femminista, riconosciuta e festeggiata come tale [37]. Al di là di questo, l’episodio rappresenta un esempio particolarmente significativo di come alcuni personaggi, qualora assurti per una pluralità di motivi a figure cardine della mitologia contemporanea e parti fondamentali del nostro immaginario collettivo, non siano più una semplice proprietà di chi ne detiene i diritti e, alla prova dei fatti, non ne può pertanto disporre liberamente come potrebbe volere. La strada per essi è in buona parte già tracciata e da essa non ci si può discostare con semplicità o come se nulla fosse [38]. Le recenti traversie dell’ultima trilogia di Star Wars stanno a dimostrarlo ulteriormente [39].
A mo’ di conclusione: Wonder Woman e Lynda Carter
Chiudiamo questa trattazione soffermandoci brevemente su un’altra rivisitazione del personaggio, avvenuta pochi anni dopo e dovuta al successo delle due serie televisive dedicate a Wonder Woman negli anni ’70. La prima, Wonder Woman, è stata prodotta dalla ABC e trasmessa dal 1975 al 1977. Ambientata durante l’ultimo conflitto mondiale, è un buon adattamento del ciclo narrativo ideato da Marston e ne rispetta anche alcuni tratti essenziali e distintivi, come ad esempio nell’uso limitato e controllato della forza da parte di Diana nei confronti violenti. Si tratta di una scelta d’insieme in cui non può non avere influito la recente campagna femminista che aveva posto il suo obiettivo nel ritorno di Wonder Woman allo spirito dei suoi primi anni. La seconda, The New Adventures of Wonder Woman, è stata prodotta dalla CBS e trasmessa dal 1977 al 1979. Questa serie è ambientata invece nell’allora contemporaneità, gli anni ’70, e si caratterizza principalmente per le trame legate al tema dello spionaggio, sempre sulla lunga ombra del paradigma stabilito da James Bond. Le due serie hanno in comune l’attrice che interpreta la nostra eroina: Lynda Carter.
Favorita anche da un’innegabile somiglianza con la Diana dei fumetti, la Carter seppe interpretare Wonder Woman come nessun’altra, né come le attrici che ne avevano vestito i panni negli adattamenti avvenuti in precedenza, né come quante ne erediteranno il compito nel corso degli anni e che l’avranno sempre come inevitabile e mai eguagliato modello. L’autenticità, il fascino, il magnetismo, la presenza che seppe infondere alla sua Wonder Woman fecero sì che fosse l’amazzone da lei interpretata a imporsi nell’immaginario collettivo come la “vera” Wonder Woman. Diana non poteva essere altri che Lynda Carter. E il fumetto ben presto si adeguò, modificando, seppur di poco, le fattezze della nostra eroina affinché questa fosse identica all’attrice. Di fatto, almeno al momento, fissandole per sempre. Da allora in poi, infatti, ieri come oggi, nonostante le numerose riconfigurazioni a cui periodicamente il personaggio è stato sottoposto, il volto di Diana è ancora quello di Lynda Carter. Un altro, il pubblico non lo accetterebbe [40].
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
Note
[1] Il numero esce verso la fine dell’anno e viene registrato come “dicembre 1941-gennaio 1942” (cfr. Lepore 241).
[2] Sul contesto bellico in cui avvenne la prima apparizione di Wonder Woman, si veda Lepore 2014: 241-242; Ormrod 2021: 6 sgg.
[3] Saunders 2011: 45.
[4] Sul ruolo dei fumetti e in particolare di Wonder Woman nella propaganda bellica, si veda Knaff 2014; Ormrod 2021: 34-38, 46-47.
[5] Gietzen – Gindhart 2015: 135, 150.
[6] Per un quadro generale dell’opera scientifica di Marston, come psicologo e inventore, si veda Bunn 1997; Lepore 2014: 15-311.
[7] Per non ingenerare confusione nel lettore, in questa sede utilizzeremo solo la dizione “DC Comics” per indicare la casa editrice di Wonder Woman.
[8] Lepore 2014: 221-228.
[9] Finn 2014: 14, 19; Gietzen – Gindhart 2015: 137.
[10] Le posizioni femministe di Marston sono in buona parte dovute all’incontro in gioventù con l’attivista britannica Emmeline Pankhurst (1858-1928), leader del movimento delle suffragette nel Regno Unito (cfr. Lepore 2014: 23-27).
[11] Gietzen – Gindhart 2015: 137.
[12] Gietzen – Gindhart 2015: 140.
[13] A proposito del “modello Lois Laine”, stabilito nelle avventure di Superman, si vedano le osservazioni di Hanley 2014: 33-36.
[14] Saunders 2011: 56.
[15] Finn 2014: 9.
[16] Bunn 1997: 101-106; Hanley 2014: 15; Lepore 2014: 155-163; Gietzen – Gindhart 2015: 137.
[17] Bunn 1997: 101-106; Saunders 2011: 59; Hanley 2014: 15; Gietzen – Gindhart 2015: 137.
[18] Saunders 2011: 51-53; Hanley 2014: 19-23, 47-68; Lepore 2014: 278-294; Finn 2014: 12-14; Ormrod 2021: 48-59.
[19] Gietzen – Gindhart 2015: 140-141; Mahon 2017; Chavez – Gavaler – Goldberg 2017. Riguardo la Macchina della Verità ideata da Marston, si veda Bunn 1997: 95-101; Lepore 2014: 84-104, 198-204.
[20] Saunders 2011: 51.
[21] Su Peter, si veda Lepore 2014: 229-238.
[22] Saunders 2011: 42; Hanley 2014: 12, 135-136; Lepore 2014: 28-40, 65-74, 80-84, 106-154, 177-197, 327-333; Gietzen – Gindhart 2015: 137-138.
[23] Cusack 2010: 37-38, 69-70.
[24] Per come questo avvenga nelle narrazioni a fumetti, in particolare in riferimento all’attualizzazione dell’antichità classica, si vedano i contributi raccolti in Kovacs – Marshall 2011 e 2016.
[25] Gietzen – Gindhart 2015: 138-139.
[26] Hanley 2014: 147-150; Lepore 2014: 325-326; Knaff 2014: 23; This 2014: 32-34; Gietzen – Gindhart 2015: 141; Ormrod 2021: 38-43.
[27] Hanley 2014: 83-85; Lepore 2014: 325; This 2014: 36-37; Gietzen – Gindhart 2015: 142.
[28] Duncan – Smith 2009: 37-39; Hanley 2014: 92-95, 128-133; Lepore 2014: 318-324; This 2014: 31; Ormrod 2021: 65-66. Cfr. anche il capitolo “Gli anni cinquanta ed E.C.” in Barbieri 2015.
[29] Hanley 2014: 132-133; Lepore 2014: 322-323; This 2014: 33, 37; Gietzen – Gindhart 2015: 142.
[30] Cfr. This 2014 e Tilley 2018.
[31] Duncan – Smith 2009: 38-39. Cfr. anche il capitolo “Gli anni cinquanta ed E.C.” in Barbieri 2015.
[32] Duncan – Smith 2009: 39-40; Hanley 2014: 95-96. Cfr. anche il capitolo “Gli anni cinquanta ed E.C.” in Barbieri 2015.
[33] Duncan – Smith 2009: 45-48, 58-61.
[34] Hanley 2014: 99-106; 109-114; Gietzen – Gindhart 2015: 142-143.
[35] LaTouche 2014: 82-88; Lee 2014; Gietzen – Gindhart 2015: 144-145; Ormrod 2021: 87-118.
[36] Emad 2006: 965-968; Hanley 2014: 197-214; Lepore 2014: 335-340, 346-347; LaTouche 2014: 79-80; Gietzen – Gindhart 2015: 145-146.
[37] Gietzen – Gindhart 2015: 147.
[38] Cfr. Petersen 2016: 503-506.
[39] Cfr. in merito Guglielmino 2018: 123-146. Sul ruolo assunto da Star Wars nell’immaginario collettivo, si veda Roberts 2006: 279-281; McCormick 2012; Davidsen 2017.
[40] Gietzen – Gindhart 2015: 147-150.
Riferimenti bibliografici
Barbieri 2015: D. Barbieri, Breve storia della letteratura a fumetti, Roma 2015 e-book.
Bunn 1997: G.C. Bunn, The Lie Detector, Wonder Woman and Liberty: The Life and Work of William Moulton Marston, “History of the Human Sciences” 10 (1), 1007: 91-119.
Chavez – Gavaler – Goldberg 2017: M. Chavez – Ch. Gavaler – N. Goldberg, Loving Lassos: Wonder Woman, Kink, and Care, in J.M. Held (ed.), Wonder Woman and Philosophy. The Amazonian Mystique, Hoboken, NJ, 2017: 188-197.
Cusack 2010: M. Cusack, Invented Religions. Imagination, Fiction and Faith, Farham 2010.
Davidsen 2017: M.A. Davidsen, The Jedi Community: History and Folklore of a Fiction-based Religion, “New Directions in Folklore” 15 (1-2), 2017: 7-49.
Duncan – Smith 2009: R. Duncan – M.J. Smith, The Power of Comics. History, Form, and Culture, New York 2009.
Emad 2006: M.C. Emad, Reading Wonder Woman’s Body: Mythologies of Gender and Nation, “The Journal of Popular Culture” 39 (6), 2006: 954-984.
Finn 2014: M.R. Finn, William Marston’s Feminist Agenda, in J.J. Darowski (ed.), The Ages of Wonder Woman. Essays on the Amazon Princess in Changing Times, Jefferson, North Carolina, 2014: 7-21.
Gietzen – Gindhart 2015: A. Gietzen – M. Gindhart, Project(ion) Wonder Woman: Metamorphoses of a Superheroine, in F. Carlà – I. Berti (eds.), Ancient Magic and the Supernatural in the Modern Visual and Performing Arts, London-New York 2015: 135-150.
Guglielmino 2018: A. Guglielmino, Stars Wars. Il mito dai mille volti. Un saggio di antropocinema, Roma 2018.
Hanley 2014: T. Hanley, Wonder Woman Unbound. The Curious History of the World’s Most Famous Heroine, Chicago 2014.
Knaff 2014: D.B. Knaff, A Most Thrilling Struggle: Wonder Woman as Wartime and Post-War Feminist, in J.J. Darowski (ed.), The Ages of Wonder Woman. Essays on the Amazon Princess in Changing Times, Jefferson, North Carolina, 2014: 22-29.
Kovacs – Marshall 2011: G. Kovacs – C.W. Marshall (eds.), Classics and Comics, Oxford 2011.
Kovacs – Marshall 2016: G. Kovacs – C.W. Marshall (eds.), Son of Classics and Comics, Oxford 2016.
LaTouche 2014: J. LaTouche, What a Woman Wonders: This Is Feminism?, in J.J. Darowski (ed.), The Ages of Wonder Woman. Essays on the Amazon Princess in Changing Times, Jefferson, North Carolina, 2014: 79-89.
Lee 2014: P.W. Lee, Not Quite Mod: The New Diana Prince, 1968-1973, in J.J. Darowski (ed.), The Ages of Wonder Woman. Essays on the Amazon Princess in Changing Times, Jefferson, North Carolina, 2014: 101-116.
Lepore 2014: J. Lepore, The Secret History of Wonder Woman, New York 2014.
Mahon 2017: J.E. Mahon, The Lasso of Truth?, in J.M. Held (ed.), Wonder Woman and Philosophy. The Amazonian Mystique, Hoboken, NJ, 2017: 173-187.
McCormick 2012: D. McCormick, The Sanctification of Star Wars: From Fans to Followers, in A. Possamai (ed.), Handbook of Hyper-real Religions, Leiden-Boston 2012: 165-184.
Ormrod 2021: J. Ormrod, Wonder Woman. The Female Body and Popular Culture, London-New York 2021.
Petersen 2016: A.K. Petersen, The Difference Between Religious Narratives and Fictional Literature: a Matter of Degree Only, “Religion” 46 (4), 2016: 500-520.
Roberts 2006: A. Roberts, The History of Science Fiction, Basingstoke-New York 2006.
Saunders 2011: B. Saunders, Do The Gods Wear Capes? Spirituality, Fantasy, and Superheroes, London-New York 2011.
This 2014: C. This, Containing Wonder Woman: Fredric Wertham’s Battle Against the Mighty Amazon, in J.J. Darowski (ed.), The Ages of Wonder Woman. Essays on the Amazon Princess in Changing Times, Jefferson, North Carolina, 2014: 30-41.
Tilley 2018: C. Tilley, By Sappho’s Stylus! Reading Wonder Woman with Wertham, “Journal of Graphic Novels & Comics” 9 (6), 2018: 555-565.
_____________________________________________________________
Igor Baglioni, è direttore del Museo delle Religioni “Raffaele Pettazzoni” di Velletri (Roma). Nel 2012 ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia Religiosa presso la Sapienza Università di Roma e nel 2013 ha vinto la borsa di studio dell’Accademia Nazionale dei Lincei per ricerche nel campo della storia delle religioni intitolata a “Raffaele Pettazzoni”. Tra le ultime opere da lui curate, ricordiamo: Ascoltare gli Dèi / Divos Audire. Costruzione e percezione della dimensione sonora nelle religioni del Mediterraneo antico, 2 volumi, Edizioni Quasar, Roma 2015; Saeculum Aureum. Tradizione e innovazione nella religione romana di epoca augustea, 2 volumi, Edizioni Quasar, Roma 2016; Il Cibo e il sacro. Tradizioni e simbologie, Edizioni Quasar, Roma 2020 (con Elena Santilli e Alessandra Turchetti); Fare etnografia. Teorie e pratiche della ricerca sul campo, Edizioni Quasar, Roma 2022 (con Elisa Vasconi); Religioni fantastiche e dove trovarle. Divinità, miti e riti nella fantascienza e nel fantasy, 2 volumi, Edizioni Quasar, Roma 2022 (con Ilaria Biano e Chiara Crosignani). Nel 2017 pubblica la monografia Echidna e suoi discendenti. Studio sulle entità mostruose della Teogonia esiodea, Edizioni Quasar, Roma 2017.
______________________________________________________________