di Grazia Messina
Premessa
Il topos del viaggio ha sempre attraversato e accompagnato la storia umana. Ha suggerito pagine epiche e grandi mitologie, ha ispirato espressioni e riflessioni in ogni settore culturale e artistico, ha senz’altro esercitato spinte potenti nella ricerca, nella scienza, nella tecnologia.
Se è vero che non esiste cultura senza l’esperienza del viaggio come tratto essenziale, bisogna altresì riconoscere che nel movimento umano verso luoghi sconosciuti sono state intraviste spinte assai varie, e non sempre del tutto volontarie. A progetti e cammini a lungo pianificati si sono alternati in alcune fasi storiche spostamenti dettati dalla necessità e dal bisogno di nuovi orizzonti per migliorare le condizioni di vita.
Negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, nello specifico, l’avvento della società di massa ha imposto i trasferimenti di luogo ̶ a carattere stagionale o permanente ̶ per la sua affermazione. In Italia contadini e artigiani si spostano verso le città, la produzione abbandona l’autoconsumo e si proietta nel mercato internazionale, i confini si dilatano grazie alle tecnologie applicate nei trasporti e nelle comunicazioni. Senza alcun dubbio, in tale quadro di riferimento l’emigrazione dai luoghi di origine diviene il processo più rilevante ̶ per numeri, implicazioni e conseguenze ̶ nella storia dell’Italia contemporanea. Le partenze forzate, con fattori espulsivi ma anche attrattivi, hanno generato ferite profonde, tanto che in Sicilia sono state spesso chiamate “spartenze” [1] proprio ad accentuare il carattere doloroso del distacco. Ed inevitabilmente hanno, in chi ha sofferto quella separazione, alimentato nel tempo l’idea e persino il progetto di un ritorno, inteso come viaggio in cerca della definizione delle origini con la riscoperta delle radici.
La ricerca delle proprie radici appartiene da sempre alla storia dell’uomo. Rappresenta l’espressione del bisogno di appartenenza ad un tempo e ad un luogo, la sconfitta dell’atavica paura della nostra gratuità d’esistenza, casuale e disancorata da legami e continuità [2]. Segnata dai tanti e lunghi viaggi di allontanamento dai luoghi di origine che avevano segnato il mondo occidentale dalla fine dell’Ottocento, negli ultimi decenni del Novecento tale ricerca ha trovato una singolare maturazione all’interno del mondo globalizzato della terza rivoluzione industriale e della conseguente delocalizzazione della produzione e delle relazioni. Al precedente tessuto socioeconomico, presente in uno spazio conosciuto e definito, si è infatti sostituita una rete di scambi e movimenti ramificata su tutto il pianeta, che inevitabilmente ha messo in crisi gli antichi punti di riferimento associati ai luoghi di provenienza, o comunque di formazione, degli individui.
Se è indubbio che, per certi aspetti, il grande processo ha avvicinato realtà e idealità prima molto distanti – non solo geograficamente – per altri ha generato precarietà valoriali e un crescente bisogno di definizioni identitarie. In questa cornice si è gradualmente e con crescente rilevanza collocata la ricerca degli antenati per la ricostruzione di storie familiari. Divenuto sempre più presente a cavallo del nuovo millennio, tale bisogno ha trovato maggiore espressione soprattutto in quei contesti segnati dai trapianti demografici e culturali di singoli o gruppi che, con le migrazioni di massa, avevano lasciato i paesi d’origine, e tuttavia agli stessi si sentivano ancora fortemente legati.
Le associazioni e le comunità italiane nate nei diversi luoghi del mondo in parallelo dopo le partenze e con l’arrivo nelle nuove realtà di insediamento hanno certamente avuto sin dall’inizio un forte potere aggregante e protettivo. Nelle successive generazioni, tuttavia, con il venir meno per motivi anagrafici dei primi protagonisti di quel movimento, la storia delle origini è andata via via affievolendosi, rivelando caselle vuote nella definizione delle radici familiari e un diffuso bisogno di completare la ricostruzione genealogica con le tessere mancanti. La rivoluzione digitale ha a sua volta permesso alle indagini, prima condotte in tempi lunghi e con metodi per lo più autoguidati e dagli esiti incerti, di procedere e svilupparsi con maggiore facilità, permettendo in alcuni casi anche la pianificazione di un viaggio di ritorno o di riscoperta del proprio passato. Hanno preso così forma due esigenze per certi aspetti differenti, almeno nella finalità inizialmente definita, che tuttavia potrebbero trovare risposte turistiche affini, in quanto rivolte allo stesso luogo geografico individuato come meta del viaggio:
«La rete aiuta, con siti come www.myheritage.it, www.familysearch.org e www.ancestry.it, oltre a numerose fonti consultabili on line (atti di nascita e morte, censimenti ecc.), ma la ricerca delle proprie radici si trasforma facilmente in un’inedita forma di viaggio: il turismo genealogico […]. Affine al turismo genealogico è il turismo delle radici, ovvero quando gli emigrati o i loro discendenti si recano in vacanza nel luogo d’origine della famiglia» (Visentin, 2019).
In questa cornice, il “turismo delle radici” rappresenta una formula di recente affermazione e sviluppo nel contesto europeo all’interno del turismo culturale. Seppure con lievi differenze relative alle diverse articolazioni, viene denominato anche turismo di ritorno, delle origini, genealogico, ancestrale. Nel suo significato più ampio include
«il complesso delle attività e delle organizzazioni relative ai viaggi e soggiorni compiuti per ricercare l’origine, la discendenza e le tracce di famiglie e stirpi, e per indagare i possibili legami di parentela, di affinità e di attinenza fra il turista, e altre persone, cose e territori» (Caputo, 2016: 5).
In Europa la prima esperienza nel recupero turistico delle radici identitarie ha preso forma in Scozia nel 2009, con il piano Homecoming Scotland, replicato nel 2014. L’obiettivo del progetto era quello di proporre una serie di eventi nel Paese per attrarre l’industria turistica, mobilitando le aziende e vari settori della comunità anche con laboratori ed iniziative esperienziali rivolti a tutte le fasce di età, allo scopo di una ricaduta nella valorizzazione del territorio, già sofferente per le prime conseguenze della crisi economica. Nel 2013 sarà il Ministero dei Trasporti e del Turismo irlandese a scendere in campo con il progetto The Gathering Ireland, spinto dal significativo calo delle presenze turistiche che si era registrato nel Paese nei precedenti cinque anni.
Il progetto irlandese prevedeva una serie di iniziative, attività, itinerari ed eventi che venivano destinati agli irlandesi emigrati (oltre 4 milioni degli abitanti dell’isola si sono spostati in più ondate nel mondo, a partire dalla “carestia delle patate” di metà Ottocento) e ai loro discendenti di seconda e terza generazione. Nel progetto trovavano un ruolo importante la storia e la cultura dell’Irlanda, che così fungevano da volano nel richiamo alle origini, e dunque nella pianificazione di viaggi di ritorno. Entrambi i Paesi riuscirono con la loro offerta a legare con successo due bisogni reali: da un lato, quello degli emigrati che volevano portare avanti le ricerche e la riscoperta del loro passato in Irlanda, dall’altro quello del territorio, già segnato dal calo di nuove visite e presenze e desideroso di un rilancio. Si inaugurava così una nuova formula di promozione turistica, destinata ad essere presto declinata negli altri contesti europei:
«Sebbene diversi, tanto The Gathering Ireland 2013 quanto Homecoming Scotland 2014 possono essere definiti come iniziative pioniere nel campo del turismo delle origini. C’è stata infatti una presa di coscienza, da parte degli organi governativi e da tutti i portatori di interesse, privati e pubblici, del potenziale mercato ancora poco valorizzato» (Collauto, 2016-2017: 67-68).
Lo straordinario successo dei due progetti [3] ha aperto la strada ad iniziative anche in Italia, in cui ancora più fitto si presenta l’intreccio tra l’emigrazione nel mondo e la ricchezza del patrimonio storico, culturale, artistico, gastronomico. Dopo una fase spontaneista, fatta di ricerche autonome e senza un preciso filo conduttore, una prima opportunità per l’avvio di indagini genealogiche con metodologia più accurata è stata promossa nel 2011 dal Ministero dei Beni culturali con la creazione del Portale Antenati [4], in risposta alla forte richiesta di consultazione documentale proveniente dagli italiani emigrati nei vari Paesi del mondo. È stato in questo modo intercettato un bisogno, che oggi permette la consultazione a distanza dei dati presenti negli Archivi di Stato e in oltre un milione e mezzo di registri nazionali e regionali [5]. Nello stesso periodo si colloca il primo progetto di ricerca genealogica con vocazione turistica “made in Italy”: nasce in Basilicata ItalianSide, con la precisa finalità di accogliere (per darne risposta) la grande richiesta di informazioni sugli avi, abbinata a tour in varie parti dell’Italia, grazie al supporto di una rete di agenzie locali in grado di personalizzare esperienze di viaggio (heritage tours) sulla base delle diverse esigenze:
«Il viaggio delle radici promosso da ItalianSide è dunque un viaggio emozionale, che segna un momento importante per i discendenti italiani e consente di ricreare o rinsaldare il legame che li unisce alla terra d’origine» (Gabrieli, 2014: 324) [6].
L’esperienza di ItalianSide ha a sua volta avviato una serie di interessanti iniziative nel settore, atte a coniugare le ricerche genealogiche con il rilancio di luoghi più o meno piccoli dislocati all’interno del Paese [7]. Tratto comune alle diverse offerte oggi presenti è quello di valorizzare e implementare i siti (virtuali e fisici) dell’indagine genealogica (archivi, musei, biblioteche, siti storico-artistici), associati alle risorse di accoglienza e ospitalità in occasione di viaggi di ritorno per brevi vacanze. Le proposte si avvalgono di nuove figure di operatori con competenze specifiche nel settore [8] e alimentano dinamiche realtà d’impresa turistica nel mercato. In alcuni casi vengono anche suggeriti possibili investimenti nelle destinazioni richieste, come l’acquisto di seconde case o l’offerta, promossa negli ultimi anni da alcune municipalità per il ripopolamento dei borghi a rischio di spopolamento, delle “case a un euro”.
Il turista genealogico o delle radici è generalmente provvisto di un buon livello di cultura e di istruzione nonché delle competenze digitali di base per avviare le ricerche nella rete. È fortemente motivato, in quanto mosso da un personale interesse per la storia dei propri avi e per i luoghi in cui essi hanno abitato e lavorato. Non esclude dalle sue curiosità anche possibili esperienze atte ad integrare e arricchire quanto già in suo possesso, da portare avanti attraverso le diverse risorse presenti nel luogo da visitare e nelle vicinanze. Rappresenta pertanto un interessante profilo che richiede particolare attenzione, la cui cura (o l’assenza della stessa) può condurre a ricadute significative nel territorio visitato (in positivo ma anche in negativo, se carente o assente).
Se poi ci soffermiamo sulle specificità dei soggetti a cui si rivolge il turismo delle radici è possibile individuare due categorie. La prima include principalmente emigrati di prima generazione, partiti in tempi più recenti e presenti per lo più in Europa, i quali tornano annualmente nel paese d’origine per trascorrere le ferie con amici e parenti, ritrovano abitudini, consuetudini e relazioni che hanno lasciato al momento della partenza. Ad una seconda categoria appartengono gli emigrati di seconda e terza generazione (discendenti dei primi emigrati), presenti soprattutto fuori dall’Europa, desiderosi di riscoprire le proprie origini anche sulla scia fortemente emotiva dei racconti familiari, che hanno suscitato curiosità per i paesi degli antenati. In questo caso il viaggio richiede una pianificazione più accurata perché si conosce meno il luogo della destinazione, in quanto poco frequentato in precedenti viaggi (o addirittura mai raggiunto), a differenza dei viaggiatori che appartengono alla prima categoria.
Il legame con i luoghi di origine muove milioni di viaggiatori dall’estero verso l’Italia, generando cifre che si sono rivelate in notevole aumento dall’inizio del millennio e fino alla vigilia della pandemia, tanto che
«nel 2019 il numero dei turisti che dall’estero sono venuti in Italia per visitare parenti e amici ha raggiunto i 10,4 milioni (+ 4,1% rispetto all’anno precedente). E così anche i pernottamenti salgono a 66,7 milioni nel 2019 con una spesa internazionale di 3,5 miliardi di euro per la sola motivazione del viaggio in visita a parenti e amici (+20,7% rispetto all’anno precedente)» [9].
Il trend in crescita è stato inevitabilmente alterato dall’avvento del Covid19. Le misure sanitarie adottate nel corso dell’emergenza pandemica hanno impedito del tutto le partenze (non solo turistiche) durante il lungo lockdown del 2020, le hanno limitate in modo significativo nel 2021. Superata tuttavia la fase critica, per una possibile “ripartenza” dei movimenti sono state messe in campo proposte, iniziative, risorse al fine di indirizzare meglio la domanda del turista delle radici che dall’estero continua ad essere presente. Domanda che la pandemia ha addirittura sollecitato per le nuove precarietà esistenziali e le più frequenti crisi identitarie improvvisamente esplose nelle quotidiane convivenze costrette a forzate permanenze domestiche. Ovunque l’isolamento ha infatti stimolato un più urgente ricongiungimento agli affetti lontani e ai luoghi delle origini, mentre «il valore della relazione con l’altro e la grande virtù della prossimità si confermano essere peculiarità esistenziali inderogabili» [10].
I lavori per un tavolo tecnico avviati nel 2018 dalla Direzione Generale per gli Italiani all’Estero (DGIT) del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale (MAECI) [11] sono ripresi dopo l’emergenza pandemica e hanno condotto ad esiti importanti che, con tappe in progressione e trasversale applicazione, hanno permesso di coinvolgere tutte le regioni italiane nel potenziamento del turismo delle radici [12]. L’ampia progettazione ha beneficiato delle risorse messe in campo dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nell’ambito del piano “Next Generation EU” (NGEU) con lo scopo di:
«sensibilizzare le comunità locali sul tema dell’emigrazione italiana e dei viaggi delle radici e creare sui territori un’offerta turistica mirata e integrata rivolta ai viaggiatori delle radici, costituendo una rete di Enti che saranno certificati come “Italea-Comune delle radici italiane” […]; promuovere lo sviluppo di processi atti ad incentivare il turismo e gli investimenti in aree ad elevato tasso di disoccupazione, in particolare i piccoli borghi e le zone rurali d’Italia, contrastando lo spopolamento di tali aree e favorendo forme di turismo ecosostenibile che favoriscano per quanto possibile la partecipazione di donne e giovani» [13].
Quest’anno il calendario di tutte le regioni italiane ha previsto appuntamenti, incontri, laboratori sul tema. E certamente si arricchirà ulteriormente fino al febbraio 2025, scadenza fissata dal bando per l’attuazione delle progettualità pianificate.
Perché un turismo delle radici in Italia
Precise finalità e chiari obiettivi dovrebbero accompagnare le svariate attività da mettere in campo nei singoli contesti interessati dal singolare segmento del turismo italiano.
Tra le prime dovrebbero essere previste:
- Un’offerta specifica rivolta al turista desideroso di riscoprire le proprie radici che preveda un territorio in grado di conservare ancora espressioni di autenticità e socialità, in cui vivere o rivivere esperienze che possano consolidare legami identitari e familiari, per uno stile di vita più appagante ed equilibrato.
- La valorizzazione dei piccoli borghi oggi caratterizzati da bassi tassi di crescita economica e spopolamento, che hanno sofferto l’abbandono emigratorio e sono tuttora minacciati dalle partenze dei giovani
- L’implementazione di comportamenti cooperativi e collaborativi, attraverso reti e collegamenti tra i settori turistici già presenti in loco, favorendone di nuovi e più idonei a rispondere ai bisogni in aumento per una migliore gestione del territorio.
- La promozione di processi culturali positivi, portatori di benessere all’interno della comunità, atti a contrastare processi endemici di indifferenza e disinteresse, spesso causa di comportamenti favorevoli a corruzione, degrado, discriminazione, violenza, illegalità anche criminale.
Gli obiettivi a loro volta sposterebbero risorse umane e materiali su:
• Valorizzazione del territorio, della sua cultura e degli abitanti attraverso l’offerta di itinerari esperienziali personalizzati che possano configurarsi in termini di ecosostenibilità per i fini e i mezzi indicati.
- Inclusione nel circuito turistico di presìdi culturali oggi trascurati, quali archivi, musei, biblioteche per la conservazione della storia, della lingua, della cultura.
- Rilancio del prodotto locale e dei brand nel settore artigianale, gastronomico, culturale.
- Attenzione per un piano di apprendimento permanente (lifelong learning) della lingua e cultura italiana in chi ha lasciato da tempo la terra d’origine.
- Promozione della fruizione turistica e della formazione culturale degli emigrati siciliani all’estero attraverso la narrazione delle loro esperienze, valorizzando contatti e collaborazione anche a distanza, con buone pratiche per un empowerment di crescita (consapevolezza di sé e delle scelte valoriali).
Bisogna insomma considerare che si interviene nella prospettiva di un’accoglienza turistica dal forte impatto socioculturale, nel grande come nel piccolo contesto del nostro Paese, in grado di puntare sulle grandi risorse storiche, artistiche, gastronomiche, paesaggistiche offerte dall’isola, per una sua “riscoperta” a più livelli, destinata a lasciare nuove tracce in visitatori attenti e consapevoli, che non vogliono soltanto attraversare distrattamente un territorio ma viverlo, talvolta riviverlo, con intensa partecipazione emozionale e non solo razionale. E questo perché non si proceda con esperienze transitorie di limitata efficacia temporale, quanto piuttosto alimentando un rapporto reale e costruttivo con l’ambiente che abitiamo e che condividiamo con gli altri, in vista del benessere delle comunità a cui apparteniamo. Si tratta in altre parole di un turismo che assume una forte valenza civica e formativa per tutti i soggetti chiamati in causa, siano essi operatori turistici, abitanti dei luoghi visitati, viaggiatori in cerca delle loro radici.
Il viaggio di ritorno alla ricerca delle radici
Cara sorella, tengo sempre la volontà di venire, tu dici che non ci credi più, ti assicuro che ad ogni momento ci penso; c’è stata prima la malattia di mio marito, che ora ringraziando Dio sta meglio di prima, poi abbiamo fatto più grande lo storo, ora c’è mia figlia Grace che aspetta un bambino, sarà per i primi del nuovo anno (Leonardo Sciascia, Gli zii di Sicilia).
Come per le partenze, anche i ritorni nei luoghi d’origine sono ricchi delle sfaccettature della complessità e sfuggono alle semplificazioni, come si può cogliere dalle poche parole di Leandro e Maria Rosa, discendenti da emigrati siciliani in Argentina e ancora lì residenti [14]:
«Io vorrei tornare in Sicilia per ritrovare la casa de mia nonna, perché quando ci sono andato non la trovavo. Trovare anche vecchi documenti della mia famiglia, foto, esperienze di come hanno vissuto lì e così conoscerli un po´di più» (Leandro, Argentina).
«La prima volta che sono andata in Sicilia è stato nel mese di agosto e mi sono fermata molto tempo a Tusa e anche ho visto la festa del 15 agosto, la festa del popolo, ed è stata una esperienza bellissima. Adesso mi piacerebbe conoscere meglio le città più importanti, (Catania, Palermo, Siracusa, Ragusa, Agrigento), avere più tempo per eventi culturali (teatro, musica, cinema). Anche conoscere altri paesi piccoli, che sicuramente sono bellissimi ma sconosciuti per i turisti tradizionali (Maria Rosa, Argentina).
Il turismo di ritorno, infatti, a differenza delle tante offerte “mordi e fuggi” che troviamo ampiamente pubblicizzate nella rete e nelle agenzie turistiche, è un settore con precise richieste che includono già conoscenze pregresse e si presenta per lo più orientato verso specifici luoghi ed esperienze. Si tratta come già detto di un turismo “qualificato”, in quanto portatore di caratteristiche qualitative a lungo accarezzate nella pianificazione, e che richiede pertanto una particolare cura e attenzione. Nella sua articolazione strettamente personalizzata sfugge alle offerte di massa piuttosto anonime, e coinvolge una rete di operatori molto variegata e trasversale, in cui vengono chiamate in causa diverse istituzioni pubbliche e private, generalmente poco contemplate, se non addirittura assenti, nel turismo più generico. La ricerca dei documenti genealogici o anche di una vecchia casa non più rintracciabile sul territorio, richiede, ad esempio, il ricorso agli archivi, e ci ricorda che (Crastra, Monina, 2007):
«[…] il patrimonio archivistico in tutte le sue articolazioni e in particolare gli archivi privati, non più “altri” come si usava definirli, sono parte fondante della fisionomia e riconoscibilità del paese e dei suoi territori, garanzia di comprensione e rappresentazione degli altri oggetti cui restituiscono attraverso le parole e le immagini la storia in tutta la sua complessità».
L’appello alle fonti risulta dunque fondamentale, e in questa direzione vanno pianificate le visite agli archivi (sia familiari che statali, regionali, comunali, parrocchiali), nei musei dell’emigrazione e in quelli antropologici, persino all’anagrafe cimiteriale se si desidera trovare la tomba del lontano parente [15]. Alla ricerca documentale di solito si collega la richiesta di esperienze in occasione dei riti, soprattutto religiosi, tipici del territorio, ma anche in percorsi gastronomici o escursionistici, come pure in tutte quelle dimensioni che appartengono all’immaginario del turista, e sono state a lungo ospitate nella memoria personale o nei racconti dei nonni. Oltre ai diretti protagonisti del viaggio d’emigrazione, non bisogna dimenticare che:
«I discendenti di seconda e terza generazione degli emigrati, una volta inseritisi nella comunità che li ha accolti e raggiunto un certo benessere economico, intraprendono, quindi, un percorso di ritorno alla riscoperta delle origini delle loro famiglie non solo attraverso il viaggio in quanto tale o partendo da studi genealogici, ma anche attraverso una sorta di pellegrinaggio intimo, fatto di racconti ereditati e poi rielaborati per condividerli con la comunità, in cui ognuno può riconoscersi» (Ferrari, Nicotera, 2021: 132).
In tale dimensione sistemica e reticolare vengono coinvolte relazioni e competenze interconnesse (enti, amministrazioni, istituzioni, privati, operatori del settore alberghiero e della ristorazione), da cui dipende il successo del viaggio e una sua positiva ricaduta sia sul benessere dei partecipanti che sulla continuità dell’offerta turistica nel tempo. Non va esclusa nella pianificazione, specie per meglio orientare gli interventi, la carente qualità dei servizi (trasporti, amministrazione locale, sanità, formazione professionale) che, in particolare nel Sud e in Sicilia, non sempre viene attualmente compensata dai vantaggi geografici, naturali e artistici (Greco, 2022). Non ci troviamo di fronte ad opera facile, rapida o semplificabile, come viene sottolineato nel primo rapporto sul settore da alcuni docenti e studiosi con riferimento particolare alla Sicilia (Ferrari, Nicotera, 2021: 131):
«In Sicilia, così come nel resto d’Italia, il turismo delle radici è ancora raramente affrontato in maniera sistemica, benché tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento questa regione sia stata il punto d’origine di un fenomeno migratorio di vaste proporzioni. Un forte attrattore per superare l’attuale crisi congiunturale, soprattutto nell’era del Covid-19, può essere sicuramente rappresentato dall’orientamento delle politiche di promozione turistica dei propri territori all’estero, alla riscoperta delle proprie origini ed identità culturali, favorendo processi aggregativi tra comunità siciliane e comunità dei siciliani all’estero per una efficace azione di ‘brand protection’».
Il racconto del viaggio di ritorno
L’esperienza del viaggio d’emigrazione con il ritorno nei luoghi di origine rappresenta un autentico cammino identitario. Si tratta di un percorso che
«non è solo il modo per ricostruire il proprio albero genealogico, tema molto importante e desiderato, ma è anche un’opportunità per dare un senso alla vita presente, nutrendo il proprio spirito e arricchendo la propria comprensione del mondo […], il turismo delle radici, inteso come un viaggio alla ricerca delle proprie origini, si rivela un’esperienza che va oltre la mera visita a luoghi di interesse storico o geografico. È un’opportunità per abbracciare la filosofia del viaggio, scoprire sé stessi, costruire l’identità e dare un senso profondo e nuovo alla propria vita e a quelle della comunità d’origine» (Giumelli, Sommario, 2023: 134).
Se il racconto diretto dei genitori o dei nonni ha fatto parte dell’immaginario del turista delle radici, conservato magari con lettere, trascrizioni su vecchi diari o piccole pubblicazioni, i nuovi canali digitali offrono oggi certamente alla narrazione uno strumento più efficace per tempi, diffusione e approcci di condivisione. Riannodare i ricordi tuttavia comporta un notevole coinvolgimento emotivo, dal momento che porta fuori, quasi in forma maieutica, quanto abbiamo custodito nel cammino di crescita interiore che ha accompagnato l’intera esperienza del viaggio. Affidarlo ai luoghi digitali comporta dunque particolare cura, poiché richiama legami presenti e passati di natura affettiva che potrebbero non trovare il giusto respiro di vita e dignità in un sito web con destinazione commerciale.
Non va dimenticato che la centralità, soprattutto in questa forma di turismo, è rappresentata dalle persone, siano esse i visitatori o la comunità di accoglienza. Rispetto al tradizionale turismo di massa, il viaggio assume una dimensione più critica, attenta e curiosa, perché una componente rilevante di coloro che viaggiano possiede gli strumenti critici per cercare nell’incontro con “l’altrove” un’esperienza di comprensione e di confronto. Anche rispetto agli abitanti dei luoghi, protagonisti della progressiva erosione della memoria, il valore si misura dalla capacità di far riscoprire il proprio ambiente, reso invisibile dalla quotidianità (Crastra, Monina, 2007). Alla narrazione si aggiunge quindi anche il bisogno di acquisire adeguate informazioni per pianificare il viaggio di ritorno. È necessario ri-partire preparati e pronti a nuove esperienze. La complessità si riaffaccia e impone delle scelte. Va infatti ricordato (Ferrari, Nicotera, 2021: 167) che:
«Il viaggio delle radici è un prodotto fortemente esperienziale, spesso ricercato per rafforzare la propria identità. Ad esso, in genere, è attribuito un elevato valore a causa del rilevante coinvolgimento emotivo personale, dell’unicità dell’esperienza e dell’impegno economico. Se si considera anche l’elevata percezione di rischio dovuta al doversi recare spesso in un altro continente e in un luogo che probabilmente non si conosce e di cui si sa poco, si capisce la necessità di reperire numerose e valide informazioni prima del viaggio».
Da quanto fin qui indicato emerge una complessità di interazioni e di lettura dei processi in atto che abbraccia il racconto con i suoi protagonisti, la rete digitale con i rimandi per nessi sistemici e infine le risorse, materiali e umane, del territorio. Si delinea il riferimento a quello che il filosofo Maurizio Ferraris (2010: 332) chiama, ma in termini assolutamente realistici, “mondo dello spirito”:
«Un mondo in cui non ne va solo del conoscere ma anche della nostra felicità e della nostra saggezza e, alla fine, del nostro atteggiamento nei confronti della vita e della morte […] che sarebbero tutt’altro se non ci fosse la scrittura».
Non vi è alcun dubbio che il racconto del viaggio di ritorno restituisce ancora più valore e pregnanza ad una articolata pianificazione del turismo delle radici. Che si conferma pertanto come motore di conoscenze/attività/competenze, attento a bisogni e desideri che ormai attraversano in forme sempre più diffuse la nostra società, e che per il suo ruolo può promuovere una nuova grande sfida. Quella di avviare strategie efficaci per un riscatto economico, culturale, sociale, e direi anche politico in senso lato, di molte aree italiane a forte rischio di depauperamento, da condurre sia nei luoghi fisici che negli spazi virtuali, assai validi questi ultimi per raccordare contatti e comunicazioni a distanza.
Il rilancio nel circuito turistico di luoghi e presìdi della cultura oggi trascurati, l’apertura a nuove opportunità occupazionali con un aumento di comportamenti cooperativi e collaborativi attraverso reti e partnership potenziate dai canali digitali, l’avvio di interazioni positive per riscattare luoghi ricchi di storia, arte e civiltà che corrono il rischio di essere abbandonati dai loro abitanti, il contrasto al degrado e all’indifferenza del presente: sono solo alcune delle scommesse a suo carico, in cui si gioca buona parte del futuro di tutto il nostro Paese.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
Note
[1] Il termine “spartenza” deriva dal siciliano spàrtiri, e si riferisce alla separazione della partenza con l’incertezza dello sradicamento. Indica il distaccarsi dalle persone care, ma anche l’abbandono doloroso dei luoghi d’origine. Ne troviamo traccia nelle opere di Giuseppe Pitrè e in tante autobiografie di emigranti del primo Novecento. Nel 1990 il termine nel suo significato più profondo e lacerante venne ripreso nel memoir La spartenza da Tommaso Bordonaro, bolognettese emigrato a Garfield. L’opera, testimonianza preziosa delle ibridazioni linguistiche tra dialetto e slang americano, vinse quell’anno il premio “Pieve Banca Toscana” come miglior scritto autobiografico inedito. È stata pubblicata nel 1991 da Einaudi, nel 2013 da Navarra.
[2] Platone riprende nel dialogo «La Repubblica» (Πολιτεία, Politéia) il mito esiodeo delle stirpi, per destinarlo alla comprensione dell’articolazione sociale e politica della polis. In tal modo le stirpi da cui abbiamo avuto origine assumono un ruolo fondativo della vita comunitaria e determinano le differenti relazioni umane, sia nella vita pubblica che privata.
[3] Il progetto scozzese “Homecoming” ottenne un peso significativo a livello mondiale, tanto che la Scozia sarà inserita nella guida di Lonely Planet del 2014 tra i tre migliori Paesi al mondo da visitare e conoscere.
[4] https://www.antenati.san.beniculturali.it/
[5] La risorsa si presenta molto utile per avviare una prima ricerca sui registri di Stato civile o su quelli dei Distretti militari con fogli e ruoli matricolari dei propri antenati, come pure per ricerche di settore da parte degli studiosi. Purtroppo la digitalizzazione dei registri non si presenta equamente distribuita su tutto il territorio nazionale. In Sicilia l’indicizzazione degli Archivi di Stato risulta ancora parziale per Palermo, Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Trapani.
[6] L’autrice, oggi coordinatrice nazionale progetto PNRR “Turismo delle radici”, è la fondatrice di Raiz Italiana, https://www.raizitaliana.it, che nel 2017 è diventata una vivace realtà associativa attiva nello studio, nella pianificazione e nella promozione dei viaggi delle radici in tutta Italia. Raiz Italiana ha coordinato la pubblicazione (nel 2020 e nel 2021) dei due volumi della «Guida alle radici italiane», con il sostegno della Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiana.
[7] Puglia, Abruzzo, Friuli, Emilia Romagna, Molise, Lazio, Calabria sono state tra le prime regioni ad avviare, seppure con diversità d’approccio, progetti orientati all’incremento del turismo delle radici.
[8] Tra i vari iter di formazione specifica presenti in Italia va segnalato quello dell’Università della Calabria, che propone dall’ a. a. 2020/2021 un Master di I livello in “Esperto in organizzazione e gestione del turismo delle radici”.
[9] Fonte: Ufficio Studi ENIT su Banca d’Italia 2020.
[10] Rapporto Italiani nel Mondo 2021 (sintesi), Dalla povertà relazionale e dal disagio psicologico al desiderio del sacro e di una nuova prossimità, Fondazione Migrantes, Tau Editrice, Todi 2021: 17.
[11] Per gli approfondimenti sulle diverse fasi della pianificazione nazionale del Turismo delle radici si rimanda a Giovanni Maria De Vita, Il MAECI e la promozione del Turismo delle radici: verso il 2024, l’anno delle radici, in Rapporto Italiani nel Mondo 2023, Tau Editrice, Roma: 115-123.
[12] Per i dettagli e i processi specifici si veda il progetto Il Turismo delle Radici-Una Strategia Integrata per la ripresa del settore del Turismo nell’Italia post-Covid-19, ufficialmente avviato il 10 febbraio 2022.
[13] Bando per la realizzazione di attività culturali in favore degli italo-discendenti nel mondo da attuare in occasione del “2024 – anno delle radici italiane”, art. 1.
[14] Le loro storie sono presenti, insieme ad altre di emigrati siciliani in diverse aree del mondo, nella piattaforma online “La mia storia, tante storie. Il viaggio d’emigrazione e il suo racconto” (https://sites.google.com/view/tiraccontolastoria). Nelle diverse sezioni di questo spazio, che ho creato e continuo a curare, ho cercato di associare alla narrazione del viaggio, da parte di emigrati e/o loro discendenti, il raccordo storico e culturale tra le partenze e i ritorni, con particolare attenzione al vissuto del viaggiatore migrante, che è sempre personale e collettivo allo stesso tempo. L’obiettivo rimane quello di definire un possibile percorso storico-narrativo al fine di raccogliere racconti, testimonianze, memorie da cui possono prendere forma progetti di viaggio e di riscoperta delle origini, cammini emozionali e pagine di storia interconnesse, per ripristinare equilibri e significati tra le persone e i tanti luoghi dell’Italia che tornano così ad alimentarsi di vivacità umana.
[15] Cfr. MAECI- Raiz Italiana, Guida alle radici italiane, Raiz Italiana Edizioni, Guagnano (Lecce) 2021.
Riferimenti bibliografici
Bevilacqua, P., De Clementi A. e Franzina E. (a cura di), 2001, Storia dell’emigrazione italiana – Partenze, Donzelli Editore, Roma.
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Biondi, A. (2020), “La pandemia riporta i lettori ad acquistare libri”, in Il Sole 24ore, 17 dicembre.
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Grazia Messina, direttrice della ricerca scientifica nel Museo Etneo delle Migrazioni di Giarre per la Rete dei Musei siciliani dell’Emigrazione. Laureata in Filosofia, Master in “Economia della Cultura” (Università Roma Tor Vergata), ha insegnato Storia e Filosofia nei licei statali. Promuove laboratori didattici e piattaforme digitali, con workshop nel territorio per la tutela della memoria storica. E’ autrice di articoli e saggi editi su riviste e volumi anche collettanei. Ha scritto con Antonio Cortese La Sicilia Migrante, Tau Editrice (2022). Nel 2023 ha curato la sezione “Sicilia” nel Rapporto Italiani nel Mondo (RIM 2023), edito dalla Fondazione Migrantes.
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