CIP
di Giacomo Mameli
“Leggendo si vive”
Sono queste tre parole, dall’estate del 2011, lo slogan che accompagna “SetteSere SettePiazze SetteLibri”, il festival letterario che a Perdasdefogu (oggi 1721 abitanti, Sardegna- Ogliastra orientale) caratterizzerà anche la quindicesima edizione. Io ne sono il direttore artistico, titolo usurpato sul campo senza aver mai fatto specifici corsi di preparazione per incarichi così impegnativi e complessi. Il prossimo festival si svolgerà da lunedì 28 luglio a domenica 3 agosto 2025. Vi aspetto. Sarà preceduto dal prefestival itinerante in alcuni paesi sardi.
Un festival letterario in un paese isolato di collina. È nato “per chi non legge” con uno slogan programmatico, legato alla necessità di diffondere fra tutti la lettura dei libri ma con un filo che va OltreManica. Si collega al Guinnes World Records di Londra: ha certificato – si legge nel Reference notificato all’unico detentore del record, Salvatore Mura, oggi assessore comunale – che «nove tra sorelle e fratelli della famiglia Melis sono la famiglia più longeva del mondo: al primo giugno 2012 sommavano 818 anni e 205 giorni». Record imbattuto e raddoppiato dieci anni dopo, gennaio 2022, quanto lo stesso Guinnes incorona Perdasdefogu «paese più longevo del pianeta con otto ultracentenari viventi su 1778 abitanti».
Lo slogan del festival è accompagnato dalla fotografia di un ex deportato nei lager tedeschi della Seconda guerra mondiale, Vittorio Palmas, analfabeta fino a 21 anni. Ha tra le mani il libro Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Màrquez. Vittorio si era salvato dal forno crematorio perché una mattina, alla bilancia nazista nel recinto della morte, aveva “segnato” 37 chili. Se i chili fossero stati due di meno sarebbe stato ucciso come tanti ebrei, zingari, omosessuali: chi pesava meno di 35, magro come un chiodo, incapace di qualunque lavoro, veniva fatto sparire dai nazisti. Diventava fumo, “passato per il camino, e adesso sono nel vento” cantava Francesco Guccini nella sua “Auschwitz”.
Rientrato dalla prigionia, Palmas ha vissuto fino a 106 anni. Aveva imparato a scrivere “sotto le armi a Vicenza”. Quando poteva leggeva libri e raccontava. Nato nel 1913, figlio di Antonio soldato nella Prima guerra mondiale sul Carso con Emilio Lussu, è morto nella sua casa di S’Antonalài, nel 2019. La sua storia è diventata un’opera di teatro della narrazione, regia e interpretazione di Paolo Floris col monologo “Storia di un uomo magro”. Viene discussa e rappresentata ogni anno per La Giornata della memoria: in Sardegna, nel resto d’Italia, nelle università (mi limito a citare Malaga, Parigi, Aix-en-Provence, Oxford, Luiss di Roma). Nel 2024 ha superato le cento repliche. Così la figura di Vittorio Palmas-ex analfabeta diventato lettore di un premio Nobel, resta un esempio, marchio di fabbrica del festival. Ai suoi nipoti diceva: “Dovete studiare e leggere molto”. La sua storia è finita in due libri: La ghianda è una ciliegia e Il forno e la sirena (editore Cuec e poi Il Maestrale).
Urbino, pecore e uno scozzese
Maturità classica ai Salesiani di Cagliari con ottimi insegnanti. L’università a Urbino, a fine anni ‘60 sotto Carlo Bo. Avevo organizzato con miei colleghi di Sociologia e Giornalismo due festival letterari internazionali di poesia. Ad agosto si tenevano i corsi estivi frequentati soprattutto da stranieri che volevano perfezionare l’italiano. Durante una pizzata in Piazza San Francesco, sotto la casa di Raffaello, avevamo pensato di far leggere, nel cortile del Collegio Raffaello (frequentato dal Giovanni Pascoli dell’Urbino ventoso), poesie nelle lingue originali e anche in italiano. Alla prima edizione avevamo avuto Giuseppe Ungaretti, (salito sul palco a braccetto con me). C’erano Paolo Volponi, Umberto Eco, il giovanissimo Paolo Fabbri, Luciano Codignola. C’era Giambattista Vicari, allora direttore della rivista “Il caffè” e docente di Giornalismo quotidiano. E il Magnifico Bo in prima fila. Fu un successo.
Lavoravo come giornalista al quotidiano di Cagliari, quando potevo rientravo a Perdasdefogu, senza paese più di sette-dieci giorni non reggevo: per vivere di spontaneità, per ritrovare sapori e odori, per mangiare un formaggio fresco di capra detto cas’adegu, formaggio acido, altro che gourmet, prodotto principe dell’ovile in Ogliastra. La vita di un paese agro-silvo-pastorale era quella dei bar-bettola, matrimoni e funerali, battesimi, tosatura delle pecore, il rintocco delle campane, orti da zappare e innaffiare, la chiesa profumata d’incenso, le donne al fiume a lavare i panni, trebbiature del grano, prime partite di calcio, Raimondo ex minatore a Carbonia che imprecava contro l’imperialismo americano. Nei giorni di festa, processioni molto partecipate, gare poetiche dialettali estemporanee, balli in una piazza polverosa con valzer mazurche e i primi twist con le musiche di Pasquale Demontis fisarmonicista autodidatta seduto su una pietra.
Nel 1956 nasce il Poligono Interforze del Salto di Quirra per lo studio della ionosfera, viene creata la Esro (European Spatial Research Organisation). L’Europa può competere con la missilistica della Russia di Baikonur e con gli States di Cape Canaveral. Un paese dove si parlava il sardo e (male) l’italiano, sente lingue straniere e altri dialetti. Molti matrimoni sardo-nazionali e i continentali non tornano nella penisola ma si fermeranno a Foghesu (“perché ci stiamo bene”). Dalle rampe di Perda is furonis (pianoro panoramico detto “La pietra dei ladroni”), davanti a otto presidi di facoltà di Fisica di tutt’Europa, viene lanciato il razzo Skylark, allodola del cielo. Aveva due stadi. Raggiunge l’apogeo di 255 chilometri. Su L’Unione Sarda avevo scritto “in 25 minuti”. Il giorno dopo, il direttore dei lanci, il professor Robert Pooley, scozzese che preferiva il filuferru al whisky, mi fece i complimenti dicendomi: “Dear James, just one mistake: not 25 minutes, but 25 seconds”. Mi ero convinto che avevano ragione i miei professori di matematica, dalle medie al liceo, a rimandarmi ogni anno a settembre. Il Corriere della Sera aveva inviato Egisto Corradi, reduce dal Vietnam. Col tempo le strategie prima scientifiche diventano soprattutto militari. Cresce la popolazione. Al 31 dicembre 1969 gli abitanti sono 2970.
Manifestazioni culturali? Sconosciute. Il paese è all’anno zero.
In redazione mi occupavo prima di cronaca nera soprattutto nel triangolo ribollente delle tante faide in Barbagia, poi – con l’avvento della petrolchimica – di economia, politica, sindacato. Quando rientravo in paese il solito andazzo. I miei avevamo anche un bar-tabaccheria e diventavo mescitore di birra e venditore di tabacco da naso, toscanelli, sigarette Alfa e Truman senza filtro. A Cagliari frequentavo alcuni docenti universitari: l’ex rettore dell’università Alberto Boscolo anche per la sua vicinanza al Partito sardo d’Azione, l’archeologo Giovanni Lilliu che diventa consigliere regionale per la Dc, la professoressa di Letteratura italiana Giovanna Cerina e poi, a Scienze politiche, l’economista Antonio Sassu e il sociologo Gianfranco Bottazzi giunto dall’Emilia. Spesso mi invitavano a moderare seminari o conferenze. Un tarlo rode: perché non fare la stessa cosa a Perdasdefogu?
Ai primi anni ‘90, con l’Associazione Pro Loco guidata da Vittorino Murgia, ci inventiamo “I sabati del messaggio”, conferenze nel salone parrocchiale. Iniziamo nel 1994 con la storia della Sardegna, arrivano Lilliu che parla dei nuraghi. Giuseppe Serri racconta “gli Ilienses che tra Ogliastra, Sarrabus e Gerrei c’erano nei tempi antichi, parla di Perdasdefogu dove “migliaia di anni fa si insediarono quelli che fuggivano dal Sarrabus per sottrarsi alle invasioni dei Saraceni e si fermano a Maraidda, un posto dove – dal vostro villaggio – non si vedeva il mare nemico “e così ci sentiamo sicuri”. Per Lilliu più di cento persone contente (“bella cosa, aicci imparaus, bella iniziativa, così impariamo), idem per Serri. Quando la Cerina parla di Grazia Deledda c’è gente in piedi.
Anno dopo anno per i “sabati del messaggio” arrivano gruppi dai paesi vicini. Dicono: “A Foghesu si fa cultura”. E scatta un po’ di di orgoglio paesano. Una volta giunge da Sassari, “per vedere come fate” il linguista Massimo Pittau, già settantenne. Nel 1995 muore tragicamente il giovane scrittore Sergio Atzeni. Dopo pochi mesi organizziamo un dibattito “Da Alessandro Manzoni a Sergio Atzeni”. Qualche accademico ci critica (“titolo provocatorio e presuntuoso”). Arrivano Cerina, Giulio Angioni, Paolo Pillonca, Bachisio Bandinu, la direttrice della biblioteca di Orgosolo Bastiana Madau. Andavamo sulla terra leggeri, Bellas Mariposas, Il quinto passo è l’addio. Un altro successo. Ne parlano i due quotidiani sardi, la Rai. È il 1998: sono duecento anni dalla nascita di Giacomo Leopardi. Perdasdefogu lo festeggia. Giungono l’assessore regionale alla Cultura delle Marche e il sindaco di Recanati. Un foghesino doc, Gigi Pirarba, attore-doppiatore, primo speaker di Rai Parlamento, recita “Il canto notturno”. Angioni “Il passero solitario”. Lilliu “L’infinito”. Il Maestro Luigi Lai suona una Pastorale con le launeddas. La chiesa preromanica di San Sebastiano (850-1000) è strapiena, gente tra lacerti pittorici color ocra e nel cortile. Ne parlano giornali e tv.
Rettore a Cagliari è Pasquale Mistretta. Vuole che i docenti escano dalle aule, vadano anche nel territorio. A uno dei “Sabati” arrivano quattro presidi di facoltà da Cagliari, tre da Sassari. “A quale facoltà mi iscrivo?”. Salone pieno di ragazzi, “bella cosa”, ripetono tutti. A marzo del 1999 arriva anche Derrich de Kerkhove, allievo del grande sociologo Marshall Mc Luhan (1911-1980). De Kerkhove dirige il Mc Luhan Programm all’università di Toronto. Parla bene l’italiano, Dice: “Bisogna saper comunicare”. E lui si fa capire. Parla 70 minuti, leggere per sapere, leggere per saper parlare, la televisione è il medium che invade le nostre case, il mondo è “villaggio globale”, “La sposa meccanica” nient’altro è che “la moderna Cappuccetto rosso”. Sei minuti di applausi. Basilio Murgia, porcaro 72.enne analfabeta, si avvicina per dirmi nel nostro dialetto che traduco quasi alla lettera: «Macché professore, io ho capito tutto. Ha detto che gli studiati devono farsi capire da quelli che studiati non sono. E io già lo sai che sono nalfabeto».
Da allora nascono “I sabati del messaggio”. Quasi ogni sabato, per tutto l’anno, per tutti gli anni a seguire, libri, conferenze, concerti, irrompono Bach, Beethoven, Mozart, Corelli, Il Coro muto della Madama Butterfly, Elena Ledda, I Tenores di Bitti, a maggio 2001 il recital “Prena de grazia”, in chiesa il rosario in sardo senza direttore d’orchestra, cantano le donne di Perdasdefogu, Orgosolo, Esterzili e Villagrande. Il Coro del teatro Lirico di Cagliari esegue in chiesa una delle messe di Gabriel Fauyré. Altro successo.
Ci inventiamo la discussione “in piazza di chiesa” delle tesi di laurea. Studente e relatore. Il paese ascolta. Il paese apprende che il primo laureato è stato il dottor Salvatore Spano, dottore in Medicina nel 1911 a Firenze con una tesi sui veleni dei serpenti. Il secondo laureato 44 anni dopo, solo nel 1955, è un altro medico, Aldo Mameli. I genitori dei neodottori orgogliosi dei figli laureati e “nominati in paese”. A fine discussione tesi brindisi con vino bianco, dolci, cas’agedu e pistoccu. È festa. Le iscrizioni all’università crescono. Si insiste con i libri, fino al 2010. E d’estate? Alla Pro loco di discute. Propongo una settimana di libri, ogni sera un autore diverso. Ok. È la prima Pro Loco in Italia a promuovere un festival letterario. I soldi? Verranno. Si inizia con buona volontà e autotassazione. Il sindaco Walter Mura dà il suo placet. Poi si vedrà.
Lunedì 25 luglio 2011
Non più e non solo libri e musica il sabato. Ma un festival di un’intera settimana. Ci sono sette luoghi dell’anima: Piazza Europa, Piazza Giuseppe Fiori, Sa Muragessa, Piazza della Croce Santa, la preromanica di San Sebastiano ristrutturata dal sindaco Fabio Lai, Piazza della Pietra di Palazzo, e – la più amata dal tutto il paese – Piazza San Pietro. Si fa il festival. Da lunedì 25 a domenica 31 luglio. Autori sardi. Primo giorno sul palco è Andrea Mameli il figlio di un maestro foghesino (“Foghesu” è il nome sardo di Perdasdefogu). Titolo del volume: Ricordati di spegnere la luce. Da Mamoiada vengono insegnanti elementari col libro eccezionale “Detto, ridetto e tornato a ridettere”, frase nel tema di Michelina Puggioni, terza elementare. Giorgio Todde, si riparla di Sergio Atzeni, Emilio Lussu, Paolo Maccioni, e il nostro Nobel Grazia Deledda. Ogni sera più di cento presenze, gente contenta, per ogni evento un musicista. In tutta la settimana si vendono 16 libri. Non citerò né autori, né relatori, né musicisti. Nelle 14 edizioni sono stati – spero di non sbagliare – 156. Perché anno dopo anno scrittrici-scrittori sono stati più di uno per sera, anche due, anche tre. Premi Strega, Premi Campiello, Premi Bancarella, Premi Fiuggi Storia. Sempre attenti a pareggiare tra uomini e donne. Direttori di giornali, inviati di guerra e di pace. Ogni sera uno scultore locale, Mario Efisio Monni, si inventa un’opera legata al libro in scaletta.
L’attenzione è massima. Il pubblico fa domande. Si crea feeling tra platea e ospiti. Arrivano in tanti dai paesi vicini, dalle zone marine. Dalle firme sarde, a quelle nazionali e straniere. Vengono dalla London School, con quelle sarde le università di Parigi, Urbino, Oxford, Leeds, Malaga, Aix en Provence, la Luiss, La Sapienza, il Politecnico di Torino. Molto apprezzati i libri dei giornalisti. Arrivano finanziamenti dalla Fondazione di Sardegna, poi dalla Regione, poi dal Comune. Anche da qualche privato di buon cuore. Il festival piace anno dopo anno, è richiesto in molti centri della Sardegna (“ce lo portate in paese uno dei vostri autori?”) e così ci inventiamo il Prefestival itinerante in tutte le Province sarde. Prefestival che si rivela una calamita per i giorni del festival stesso. A Perdasdefogu dobbiamo inventarci i matinè domenicali e gli anteprima festival. Giungono studenti con i pullmini dai paesi del Sarcidano e della Barbagia.
Che sorpresa da La Sapienza
Nel 2017 la Grande Sorpresa. La facoltà di Sociologia de La Sapienza di Roma (Mario Morcellini e Valentina Faloni) pubblica un report su oltre 900 festival in Italia: non solo di letteratura ma anche di cinema, teatro, musica. Anche Perdasdefogu finisce sotto esame. La Sapienza seleziona 50 festival letterari, tutti a pari merito. Tra questi c’è SetteSere SettePiazze SetteLibri. Ci vediamo nell’Olimpo. Presentiamo il festival a Torino, al Salone Internazionale del Libro al Lingotto. Il lancio è avvenuto. Intervengono il direttore del Salone di Torino Nicola Lagioia e il direttore di Radio 3 Marino Sinibaldi. È un battesimo con i fiocchi. Qualche istituzione pubblica che non ci finanziava si ricrede. E i programmi diventano più corposi, vengono proposti con metodo seguendo anche le richieste della burocrazia.
In questo 2024, il 12 luglio, il primo gemellaggio nazionale, ospiti di Pesaro Capitale italiana della cultura. Nascono anche altre piazze letterarie: davanti al cimitero “Piazza cent’anni di solitudine”, la notizia rimbalza sui giornali di tutto il mondo, ad inaugurarla l’ambasciatore della Colombia a Roma e Gabriel Garcia Màrquez, con Macondo, diventa quasi un nostro paesano. Nell’occasione incontri fra imprenditori colombiani e la Confindustria sarda nell’aula del Consiglio comunale. Nascono anche “Piazza Il giorno del giudizio” nell’area dell’ex cimitero, in omaggio a Salvatore Satta, in fascia tricolore la inaugurano i sindaci di Nuoro Andrea Soddu e di Perdasdefogu Mariano Carta. Per i 150 dalla nascita di Grazia Deledda ecco “Angolo Canne al vento” con canne colorate in ferro lavorate da un artigiano locale, Fabrizio Murgia. A trenta metri “Piazza Bellas Mariposas” con l’ex ministro della Cultura Massimo Bray e l’allora sottosegretario Alessandra Todde oggi presidente della Regione sarda. E, perché no? – Piazza Longevità nel 2015, l’anno in cui muore Consolata Melis due mesi dai 108 anni. Ci invitano al Salone del libro di Torino. Poi Pordenone legge. Mantova. Ivrea, Urbino, Moderna-Carpi-Sassuolo.
Festival illustrato nelle scuole, nelle case di risposo, nelle carceri. Sinergia con altri festival della Sardegna dove a dettar legge è Gavoi con “L’isola delle storie”. Le vendite di libri raddoppiano, triplicano, esplodono: per farla in breve oltre 600 volumi la scorsa estate durante i giorni del festival. Il firma-copie è una festa. Aggiungeteci i libri acquistati on line. Anche testi in inglese. Piacciono gli interventi musicali.
Festival con attività collaterali: passeggiate ecologiche tra le cascate di porfido a Bruncu Santoru leggendo testi letterari, mostre fotografiche, laboratori di giornalismo, di fotografia, di teatro, di pittura muraria. Scontato dire che c’è anche un ritorno economico: negli alberghi del paese e della zona, idem B&B, ristoranti, tassisti e baristi ringraziano. Anche caseifici e cantine locali che propongono “il vino dei centenari” e il popolare minestrone della longevità che il New York Times battezza Longevity Soap perché “minestrone dell’orto biologico, non del freezer”.
È stato “Il Corriere della Sera”, con un titolo di sicura efficacia, a certificare che “il centro” andava in “periferia”. Era l’11 luglio di quest’anno, il giorno dopo la conferenza stampa di presentazione del festival alla Fondazione di Sardegna di Cagliari. Ecco il titolo: “Le parole per dire la pace/ si ritrovano a Perdasdefogu”. Il nome del paese in rosso. Occhiello: “L’apertura, in Piazza Cent’anni di solitudine, ricorderà i 10 anni dalla scomparsa di Gabriel Garcia Màrquez”. Autrice dell’articolo la giornalista Jessica Chia. Il 9 agosto 2021, a pagina 31, era stato The Guardian a dare un altro imprimatur internazionale: “Books, clean air and chatting/ Whats keeps Sardinian town’s/ Centenarians going and going”. Quella mattina tutto lo staff del festival aveva brindato: soprattutto per la prima parola del titolo, Books. E brindisi è stato per Il Corriere. Il 17 luglio, sempre 2022, parla del festival The New York Times a pagina 4. Stesso entusiasmo il 12 agosto a Pesaro dove il Comune, Capitale italiana 2024 della Cultura, con la presenza del Circolo Culturale “Eleonora d’Arborea” della città marchigiana, ci invita a presentare la prima serata del prefestival a Palazzo Gradari. C’è l’assessora comunale alla Cultura Rita Melis accolta dall’assessora alla Cultura di Pesaro Camilla Murgia originaria di Carbonia. Con noi c’era il gruppo folk “Silvana Coni”. E tra ballu tundu, Su ball’e sa craba, le note di Barones sa tirannia, due libri: La notte dell’antimafia del giornalista di Repubblica Lucio Luca e L’apocalisse di Lucrezio di Ivano Dionigi, ex rettore dell’Università di Bologna e presidente della Pontificia Accademia della comunicazione. Era stato il grande latinista a suggerirmi anche il tema generale del festival: “Dictis, non armis”, tre parole prese dal De Rerum Natura. Era in linea col tema del 2023, una frase di Italo Calvino dal libro Ultimo viene il corvo. Diceva: “Io poi che la guerra sia finita non ci credo”. Per il gemellaggio Perdasdefogu-Pesaro sul Resto del Carlino appare il titolo: “Con le parole, non con le armi”, il festival sardo sbarca a Pesaro”.
Stesso spazio sul “Corriere Adriatico” e nei servizi della Rai nazionale e regionale. E pagine sui quotidiani sardi: “Perdasdefogu culla della cultura” per La Nuova Sardegna. Altre news – per citare le principali testate – su Repubblica, La Stampa, Il Sole 24 Ore, Il Messaggero, Il Manifesto. Pagina promozionale su Internazionale. Spot su Radio 3 e su La7. Cartellonistica stradale nelle principali città sarde e negli aeroporti.
Il festival è organizzato dall’Associazione Pro Loco presieduta da Vittorino Murgia. Pro Loco – ripeto – unica in Italia a occuparsi di festival letterari. Tutta la parte amministrativa, contabile, burocratica è svolta da Murgia. Beato lui che si sa muovere tra leggi, ordinanze, fatture, partite Iva, sponsor, prestazioni occasionali, e via burocratizzando, in questo mare di carte io sarei naufragato, Sono il direttore artistico, la presentatrice ufficiale è la giornalista Francesca Lai, social manager Alessia Corbeddu. Tutti a sangue foghesino. Molti i volontari che sfacchinano tra sedie, poltrone, impianti elettrici e fonici, attacchini di manifesti e distributori di locandine e brochure. Alcuni accompagnano soprattutto turisti nazionali e stranieri a visitare parchi naturali con passeggiate ecologiche, la chiesa preromanica di San Sebastiano, le imponenti cascate di porfido nella valle del Rio Flumineddu. Altri compilano le schede motivazionali dei frequentatori. Io tiro le somme del lavoro altrui.
Nel mio paese voleva venire in visita anche Italo Calvino. Il fratello Floriano, geologo presso l’università di Padova, negli anni ‘60 frequentava Perdasdefogu. Per l’Istituto Geografico Militare al centro del mio paese e dei Comuni di Villagrande, Armungia, Arzana e Villaputzu, doveva rilevare alcune grotte, tra le quali quella lunghissima (tre chilometri) detta S’angurtidorgiu, traduzione accettabile L’Inghiottitoio, ricca di stalattiti, stalagmiti, laghetti interni, anche la Montagna Cinese, Il buco di Pasqua. Floriano aveva scritto a Italo che Perdasdefogu (in sardo detto Foghesu, aggettivo di fogu-fuoco) doveva il suo nome alla presenza di pietre con pirite, contenevano cristalli di quarzo, sfregandole si ottenevano le scintille. Aveva aggiunto: «Ci sono valli profondissime, le attraversa un torrente, il Rio Su Luda, che spesso diventa un fiume con le sue anse di nebbia, un gioiello della Natura». Un giorno arriva una lettera a Floriano, alloggiava nella “locanda di zia Irene” nel rione delle More di Gelso dietro la parrocchiale di San Pietro: «Vorrei venire a trovarti, per vedere le vallate, il fiume di nebbia e i boschi ma soprattutto per sfregare le pietre di quarzo, ottenere le scintille, e accendere il fuoco come facevano i primitivi». Non fu possibile, purtroppo. Avrebbe amato Foghesu “casa per casa, gronda per gronda”, come scriveva Marino Moretti per ogni paese del mondo. Italo Calvino, malfermo in salute, muore il 19 settembre 1985, a Santa Maria della Scala a Siena.
Il festival si è sempre svolto tra fine luglio e agosto. Le date le decide il calendario perché cominciamo sempre di lunedì e finiamo la domenica. Tanta gente segna le date in agenda. Tanti emigrati tornano – dalla penisola, dall’estero – per il festival. Ci cominciano a chiedere il programma da marzo. E ci propongono di continuare. Tanti, tantissimi ci seguono con Facebook e Istagram. I giorni dopo il festival più d’uno ci chiede: “E stasera, nulla?”. Da cinque anni rispondiamo con “Autunno di libri” e “Primavera di libri” nella biblioteca comunale intitolata a Daniele Lai, il primo maestro foghesino diplomato nel 1895.
Si andrà avanti. Mettendo sempre al centro l’attenzione alla lettura, la diffusione della lettura, il piacere della lettura; perché nella società della comunicazione occorre saper comunicare e chi non ascolta, chi non legge non sa. Traguardo da raggiungere con forze giovani, con intelligenze che sappiano aprire a chi oggi mostra disinteresse alla lettura, alla cultura in genere, missione non facile ma neanche impossibile. Abbiamo presentato libri nelle piazze dei paesi, quasi provocatoriamente davanti ai bar strapieni di gente. Anche chi non si alzava e continuava a tracannare birra capiva che lì, a tre metri, c’era un libro in discussione e molti ad ascoltare. Anche quel piccolo risultato indiretto era un tassello pro-cultura, pro-lettura, pro-dialogo, pro-comunicazione.
Non è facile, Ma è doveroso continuare perché fra “centro e periferia” non si deve creare un braccio di ferro ma devono incontrarsi a pari merito. Entrambi sono luoghi. Senza primati. Anche se i paesi si spopolano. Ma proprio perché i paesi si spopolano. Il primo anno del festival 2042 abitanti, oggi 1721. I festival aiutano comunque a mitigare il vuoto demografico inarrestabile. Perché i libri devono essere la cifra promozionale solo di città grandi? I libri devono circolare anche nei villaggi, nelle piccole comunità. A Torino, Pordenone, Mantova, Modena come a Gavoi, Calasetta, Armungia, Neoneli, Foghesu.
Con una regola fissa: far salire ovunque, come sui palchi di SetteSere SettePiazze SetteLibri, donne e uomini che sappiano davvero relazionarsi col pubblico. Che capiscano il valore dell’uso corretto delle parole. Finora, con eccezioni che non toccano tutte le dite di una sola mano, i risultati sono stati positivi. Si può, si deve innovare in una società che anche in Sardegna, come nel resto del mondo, è cambiata eccome. E cambia ogni giorno con i social media.
Anche nel villaggio di Mc Luhan, oggi sempre più virtuale, il primato resta il verbum, la parola, l’homo è sapiens se è anche legens. I libri sono costruiti con parole. Sono tra i fondamentali della comunicazione: che vuol dire sapere, capire e capirsi. Solo così “Leggendo si vive”.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
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Giacomo Mameli, giornalista e scrittore. A Urbino, dove si è laureato in Sociologia, ha discusso la tesi in Giornalismo con Paolo Fabbri “Quattro paesi, un’isola” (controrelatore Carlo Bo). Collabora con quotidiani e tv nazionali ed estere. Col libro La ghianda è una ciliegia (Cuec 2006) ha vinto il premio Orsello, presidente della giuria Sergio Zavoli, con Hotel NordAmertca (Il Maestrale, 2020) ha vinto il Premio Fiuggi Storia. Altri libri: Non avevo un soldo (prefazione di Alberto Mario Cirese), La Sardegna di dentro, la Sardegna di fuori (prefazioni di Remo Bodei e Giovanni Floris). È direttore artistico del festival letterario SetteSere SettePiazze SetteLibri di Perdasdefogu, quest’anno 14.ma edizione.
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