Il Movimento Pratobello 24 è riuscito a far diventare centrale nella società sarda, nel mondo della politica e in quello dell’informazione, il tema della speculazione energetica. Questo grande contributo civico non era scontato e pone oggi le basi per un ragionamento critico su quanto accaduto e su quanto può ancora accadere.
Sicuramente i signori del vento non potevano immaginare una simile sollevazione, frutto di uno studio incessante, di una costante mobilitazione e di un’evoluzione organizzativa che, per quanto spontanea, è comunque riuscita a strutturarsi e ad espandersi in tutte le regioni storiche dell’Isola.
I comitati civici sono sempre esistiti, ma negli ultimi lustri hanno acquisito una centralità inedita nel tema chiave della tutela dei beni comuni: sanità, acqua, energia, territorio. Hanno innervato la democrazia di base laddove era lecito aspettarsi che la passivizzazione della società, l’assenza del ruolo attivo dei partiti, lo spopolamento e l’isolamento territoriale, avessero ormai causato una desertificazione irrimediabile della coscienza civile.
Gruppi di cittadini, dunque, mossi soltanto dalla coscienza democratica e dal senso di giustizia, si sono accorti che qualcosa stava accadendo, nel silenzio surreale delle istituzioni e nel disinteresse di buona parte della stampa nazionale e regionale. Prima decine, poi centinaia di progetti di costruzione di impianti energetici da fonte alternativa hanno iniziato il loro percorso di valutazione regionale e ministeriale.
Dallo studio di questi progetti è emerso che centinaia di torri eoliche alte 200 metri sarebbero sorte nei nostri territori, modificando per sempre l’immagine paesaggistica storicizzata, e comportando un’irrimediabile industrializzazione e cementificazione della nostra ruralità. Nel contempo, altre centinaia di progetti di centrali fotovoltaiche minacciavano di sottrarre decine di migliaia di ettari di suolo fertile.
Un quadro catastrofico, un incubo distopico che le nostre comunità hanno fin da subito vissuto come un oltraggio, un’invasione, un’appropriazione indebita da parte di entità estranee, avulse dalle nostre vocazioni profonde, dedite alla distruzione del passato, al dominio sul presente e alla sottrazione del futuro.
Un quadro normativo governativo, centralistico e permissivo, aveva reso possibile, nell’era Draghi, la rimozione di una serie di procedure valutative un tempo considerate sacre, e dunque la predominanza della massima diffusione dei mega impianti da fonte rinnovabile su altri princìpi cardine della nostra Costituzione: beni culturali, tutela del paesaggio, sussidiarietà come regolamentazione nella gerarchia decisoria tra differenti livelli istituzionali. Tutto ciò in nome dell’interesse nazionale.
Ora, in questo permessivismo, le più grandi multinazionali del mondo si sono buttate a capofitto, con l’intento di accaparrarsi cospicue fette di territorio ove impiantare industrie energetiche. Ovviamente questa nuova corsa all’oro non poteva che essere indirizzata verso quelle regioni nelle quali vi era una collaudata impostazione di servaggio economico e subalternità politica, nelle quali lo spopolamento e l’abbandono delle campagne avevano aperto ampi spazi, e in cui, guarda caso, erano abbondanti le materie prime ora tanto bramate: sole e vento. La bussola della speculazione si volgeva dunque verso il Mezzogiorno, secondo il consueto schema gerarchico e sistemico italiano, per cui vi sono regioni che devono produrre e altre che devono consumare, regioni che devono essere munte perché altre possano bere. Una dimensione politica, dunque, in cui le storiche divaricazioni tra nord-sud e tra città e campagna si presentano nuovamente col volto brutale dell’imposizione, della predazione, dello sfruttamento.
Di quei primi mesi si ricorda ancora con stupore lo sdegno solitario dei comitati e il silenzio inebetito, salvo eccezioni, delle istituzioni grandi e piccole. La prima massacrante tappa in questa lotta non è stata la delucidazione del caso, ma l’emblematico sforzo di far capire alla comunità politica sarda che esisteva un caso, una questione, un’emergenza. E pare ironico constatare che molti silenti di ieri accusino oggi i comitati di protagonismo eccessivo.
Ci siamo ben presto dovuti scontrare contro la narrazione in base alla quale chi si opponeva alla diffusione degli impianti energetici era un negazionista climatico, nel peggiore dei casi, un ingenuo antimodernista, nel migliore.
In verità, i comitati sono composti da attivisti che nel corso della loro esperienza hanno dato marcatamente prova di cultura ambientalista e attenzione pioneristica nei confronti del fenomeno del riscaldamento globale. Ma ciò non ha fatto che aumentare lo smacco e la rabbia: la transizione ecologica fu pensata e auspicata fin dagli anni ottanta come un processo onnicomprensivo di progresso sociale e tecnologico, volto a sviluppare forme non violente di produzione e consumo energetico, basate su princìpi di autonomia, circolarità, sostenibilità e compatibilità, dentro una cornice di democrazia partecipata.
Stiamo assistendo invece ad una transizione verso fonti rinnovabili gestita da soggetti privati onnipotenti, con modalità impositive e mentalità dominanti del tutto simili a quelle che hanno caratterizzato la rivoluzione fossile, a sostegno di un modello produttivo e consumistico inutilmente energivoro, sprecone e vanaglorioso. Non si tratta dunque di contrapporre chi vuole salvare il pianeta a chi vuole continuare ed emettere anidride carbonica. Si tratta di impedire a coloro che hanno emesso l’anidride carbonica di scippare ai popoli una transizione che dovrebbe essere giusta e pulita, non solo dal punto di vista energetico.
Abbiamo dovuto poi confrontarci con una classe dirigente restia a riconoscere i comitati come parte attiva del processo democratico. I partiti non hanno più solide radici nei territori, si muovono dentro ambienti ovattati, nei quali vigono rituali difficilmente intaccabili dall’esterno.
In Sardegna, all’approccio passivo e omertoso della Giunta Solinas è seguita una presa in carico più attiva da parte della Giunta Todde. Tuttavia le numerose proposte dei Comitati sono sempre state accantonate per essere preferite da provvedimenti che, nel loro complesso, si rifiutano di sbattere definitivamente le porte in faccia agli speculatori. La legge cosiddetta di “Moratoria”, il decreto concordato con il Ministro Picchetto Frattin e la recente Delibera sulle Aree idonee possono essere annoverati in questa categoria. La moratoria non ha bloccato i processi autorizzativi, ma solo la cantierizzazione degli impianti non ancora autorizzati, mentre il decreto ministeriale ha attribuito alla Sardegna come quota di partenza l’esorbitante cifra di 6,2 GW incrementali da F.E.R..
Allo stato attuale non sappiamo ancora fin dove si vorrà spingere il governo regionale, dato che nel decreto non è previsto un massimale. Ci siamo chiesti come mai alla Sardegna fossero stati attribuiti obbiettivi che non reggono nessuna proporzione seria con quelli attribuiti ad altre regioni più popolose e più climalteranti, e per quale ragione anziché porre dei divieti assoluti alla speculazione, il legislatore abbia continuato ad utilizzare regimi transitori o impianti normativi con inquietanti possibilità derogatorie.
Serviva dunque un’azione che consentisse ai Comitati di aprirsi definitamente alla società sarda, coinvolgendo massivamente il popolo in modo capillare, per incardinare attraverso una strada giuridica forte e una linea politica chiara, il dissenso propositivo verso i palazzi di Roma e Cagliari: nasce così la proposta di legge di iniziativa popolare Pratobello 24.
Incardinata sui principi statutari di esclusività della competenza urbanistica della Regione Autonoma della Sardegna, la Proposta di legge Pratobello 24 è la più rilevante elaborazione democratica nella storia sarda recente. Il 2 ottobre 2024, questo innovativo e partecipato movimento di liberazione sardo, ha consegnato oltre 210 mila firme nelle mani del Consiglio Regionale, in concomitanza con una sontuosa manifestazione popolare che ha assunto i tratti di una festa identitaria. In proporzione, è come se a livello nazionale un’iniziativa simile venisse sottoscritta da oltre 5 milioni di italiani.
Questa legge ha il pregio di sintetizzare quanto chiesto da sempre dai Comitati: vieta la costruzione dei mega impianti da parte delle multinazionali e incentiva una transizione energetica basata sui principi della sostenibilità, della diffusione capillare, della contiguità tra produzione e consumo, della lotta alla povertà energetica, proponendo la pannellizzazione democratica e sociale dei tetti, dei capannoni, dei parcheggi, delle pertinenze stradali.
Il nostro obbiettivo è quello di proporre una transizione sarda fatta per i sardi, le nostre famiglie, le nostre piccole attività, le nostre imprese. Una transizione calibrata su indici di fabbisogno esclusivamente sardi, che non prevede mega-mostri in mezzo ai nostri nuraghi, davanti alle nostre coste, con le annesse opere di scasso e smottamento per mega stazioni di trasformazione e infiniti reticoli di cavidotti interrati, tonnellate di cemento, strade di complemento, e ulteriori onerosi interventi per garantire il trasporto stradale delle pale giganti, tutto ciò per consentire a chi è già immensamente ricco di esportare verso il centro nord tutta l’energia così impudentemente e violentemente prodotta, incassare i profitti milionari e gli incentivi pubblici previsti.
Questa volta il nostro popolo non può permettersi di fallire. Quella che con grande lucidità è stata definita la “quarta colonizzazione” della Sardegna non deve realizzarsi, o le sue esternalità negative saranno permanenti e inappellabili, e condurranno all’annientamento della nostra identità popolare così fortemente legata al nostro paesaggio rurale, boschivo ed archeologico. Non possiamo permetterci di perdere perché se le multinazionali riusciranno ad usare la nostra terra per fare la loro transizione anti-ecologica, al popolo sardo sarà preclusa per sempre qualsiasi transizione democratica.
Scrutiamo con preoccupazione alcune tendenze mistificatorie per le quali la Sardegna sarebbe la regina delle regioni inquinatrici, onta storica che solo la massiva installazione di impianti potrebbe redimere. Soprattutto ci lascia sconcertati il comportamento della Giunta e della Presidente Todde, la quale nelle dichiarazioni successive alla manifestazione di consegna delle firme ha assunto toni liquidatori e sprezzanti, lontani dal sentimento diffuso presso i sardi di richiesta di ascolto e protezione.
Inizia ora la sfida più grande per i Comitati civici: valorizzare questo enorme patrimonio di fiducia, convincere la politica sarda a prendere in carico la legge urbanistica popolare, riuscire a portare a casa una transizione democratica che sconfigga quella speculativa delle multinazionali.
A noi piace pensare che qualcosa di più grande e nuovo sia nato. Un vero e proprio movimento di liberazione nazionale, che accanto alla richiesta di giustizia energetica ponga le questioni fondamentali del nostro tempo: la difesa dei beni comuni dalla logica del profitto privato; l’autodeterminazione e partecipazione al processo decisionale per le comunità di Sardegna; la ristrutturazione complessiva delle Istituzioni in una logica di apertura e coinvolgimento delle istanze civiche; la tutela del principio di rappresentanza; l’apertura di una nuova era per l’autonomismo e l’autogoverno della Sardegna; la presa di coscienza globale che non è più rinviabile un processo di coesione regionale per la ricerca di soluzioni concrete che portino all’edificazione di una nuova ruralità, fondata sullo sviluppo sostenibile e sullo stimolo delle vocazioni profonde del nostro popolo.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
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Luigi Pisci, Laureato in Scienze Politiche, libraio, attivista, già portavoce del Comitato Sanità Bene Comune Sarcidano-Barbagia di Seulo
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