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Il concetto di sviluppo nella ricerca antropologica

2-progetti-di-sviluppo-in-contesti-economicamente-disagiatidi Linda Armano 

Il concetto di “progresso” è stato oggetto di un lungo dibattito soprattutto dal periodo illuminista a partire dal quale sono state prodotte definizioni di un progresso storico teologico, lineare, globale e razionalista. Più recentemente però il dibattito sul progresso si è maggiormente interessato a come esso abbia influenzato le visioni contemporanee (Bloch 2015). Se quindi il discorso illuminista ha costituito un primo stadio della naturalizzazione del progresso, il discorso contemporaneo ne segna i suoi limiti e il suo completamento soprattutto quando esso viene inteso come strumento di valutazione qualitativa dell’evoluzione delle culture umane. Partendo da queste considerazioni, il presente contributo prende le mosse dall’articolo di Fabio Dei “Antropologia e progresso” (2024) pubblicato in Dialoghi Mediterranei n. 69. Qui l’autore riflette sulle modalità di valutazione delle culture sulla base di diversi livelli di progresso (economico, tecnologico ecc.) che dipendono, a loro volta, da scelte etiche che non sono definite in senso assoluto ed universale, ma sono vincolate a valutazioni locali e culturali. Si intende qui far avanzare il dibattito sul concetto di progresso estendendolo verso un’analisi di come la ricerca antropologica si è coinvolta e pericolosamente intrecciata con il concetto di “sviluppo”.

Lo scopo di questo articolo, pur non avendo la pretesa di delineare uno stato dell’arte esaustivo della ricerca antropologica e interdisciplinare, è di tracciare alcune riflessioni sull’evoluzione del concetto di sviluppo negli studi antropologici in dialogo anche con altre discipline. In questo modo, esso risponde al rinnovato interesse in quest’area di ricerca dovuto sia alle critiche sorte all’interno di questi studi, sia anche all’espansione di corsi, in università internazionali, su questo argomento (Sumner 2006). L’articolo, nello specifico, si focalizza su alcune tematiche in cui il concetto di sviluppo è stato articolato in antropologia come, per esempio, in riferimento allo sviluppo sostenibile. 

1-bloch-e-2015-sul-progresso-guerini-scientifica-milanoChe cos’è lo sviluppo  

Il concetto di sviluppo indagato dagli antropologi ha generalmente implicato l’analisi di cambiamenti sociali ed economici in contesti contemporanei e specialmente nel Terzo Mondo. Gli antropologi hanno spesso assunto una visione critica sullo sviluppo in quanto il loro lavoro ha permesso di osservare da vicino gli effetti concreti di progetti di sviluppo, soprattutto economico, specialmente in realtà disagiate. In alcuni casi, la ricerca antropologica si è concentrata anche sui cambiamenti sociali in contesti caratterizzati dall’assenza di iniziative di sviluppo formali e pianificate e sull’analisi delle interpretazioni che le persone danno a vari significati di sviluppo (Eversole 2017).

Sebbene questo concetto sia stato oggetto di molte ricerche, ci sono ancora dibattiti su cosa si intenda esattamente per sviluppo. Alcuni studiosi lo descrivono, per esempio, come il processo attraverso cui le società cambiano nel tempo (Currie-Alder 2016). Ciononostante, questa definizione è stata criticata per la sua incompletezza in quanto non spiega come e perché le società cambiano. A tal proposito Heinz Arndt (1981) ha distinto due principali significati di sviluppo: il primo si riferisce a come esso viene intenzionalmente costruito e il secondo è relativo a qualcosa che accade in maniera estemporanea, ossia che si verifica secondo una logica che non è stata predeterminata. Generalmente il termine viene utilizzato per riferirsi a grandi processi di trasformazione economica e sociale, soprattutto a seguito di espansioni industriali, oppure per descrivere attività internazionali che riguardano le organizzazioni non governative (Fukuda-Parr 2016). Nonostante le diverse definizioni, esiste una confusione nei dibattiti antropologici sullo sviluppo dovuta al fatto che da un lato esso è utilizzato per parlare del cambiamento e delle conseguenze che apporta, mentre altre volte viene usato per definire le intenzioni degli attori istituzionali che apportano i cambiamenti (Lewis 2019).

Bronislaw Malinowski, sul campo

Bronislaw Malinowski, sul campo

Sin dagli albori della disciplina, l’evoluzione della relazione, non priva di difficoltà, tra antropologia e il concetto di sviluppo ha visto una progressiva implicazione di diverse considerazioni etiche, politiche e morali. L’evoluzione delle riflessioni antropologiche riguardo a tale relazione è stata molto controversa. Per esempio, Malinowski sosteneva l’importanza del ruolo dell’antropologo come consigliere politico per gli amministratori coloniali in Africa, mentre Evans-Pritchard avvisava dell’importanza di tenersi lontani dalle tentazioni di applicare, a tali contesti, la metodologia antropologica (Grillo, Rew 1985). In generale, gli antropologi hanno assunto tre principali posizioni di fronte alla relazione tra antropologia e sviluppo. La prima riguarda posizioni antagoniste tra studiosi che si sono opposti o hanno preso una distanza critica da idee di sviluppo e coloro che invece sono motivati a promuoverlo. La seconda si riferisce ad una partecipazione riluttante di antropologi che si sono trovati a lavorare in progetti finanziati da istituzioni che facevano loro pressione affinché negoziassero tali progetti, importati da fuori, in comunità spesso marginali. Una terza posizione riguarda antropologi che hanno combinato queste due posizioni (Lewis 2005).

Ciononostante, all’interno di quest’area di studi e di applicazione dell’antropologia, sono due gli approcci principali che sono stati elaborati dagli antropologi. Il primo si riferisce ad un’idea di sviluppo come progresso determinato da interventi che includono il trasferimento di conoscenze, progetti di modernizzazione, pianificazione e investimento. Questo approccio allo sviluppo, noto anche come “sviluppo con la D maiuscola” viene però molto criticato in quanto ha favorito la volontà dei Paesi del Nord del Mondo nel continuare a detenere posizioni di controllo sui processi di cambiamento nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo (Lewis 2019). Questo approccio viene infatti valutato come neocoloniale in quanto nasconde strategie di controllo politico ed economico internazionale anche dopo la fine effettiva del colonialismo (Escobar 1991).

6-shiva-staying-alive-1988Un’enfasi nella ricerca antropologica si rivolge alle vite economiche ordinarie nel Terzo Mondo. Quest’ultimo rappresenta un costrutto teorico che Arturo Escobar provocatoriamente spiega nel suo libro Encountering Development (2012).  Egli, interessato ad analizzare nel dettaglio lo sviluppo inteso come un discorso, vede gli interventi di sviluppo su scala locale come la continuazione di progetti coloniali (Escobar [1995] 2012: VII). Il libro di Escobar è stato edito insieme a numerose altre importanti pubblicazioni di studi critici sullo sviluppo, tra cui Staying Alive di Vandana Shiva (1988), The Anti-Politics Machine di James Ferguson (1990), Seeing Like a State di James Scott (1998), The History of Development di Gilbert Rist (1997), Cultivating Development di David Mosse (2004), The Will to Improve di Tania Murray Li (2007), Rule of Experts (2002) e Carbon Democracy (2011) di Timothy Mitchell.

La critica antropologica allo sviluppo riguarda inoltre la sua intrinseca natura evoluzionista che si basa su una semplificazione eccessiva delle somiglianze umane a scapito delle differenze tra culture e società. Accanto all’approccio di “sviluppo con la D maiuscola” ne esiste un altro definito come “sviluppo con la d minuscola” incentrato principalmente sui fattori relazionali, spesso inconsapevoli e dal basso, che riescono ad apportare modifiche anche a sistemi di “sviluppo con la D maiuscola” (Bakker, Nooteboom 2017). Gli antropologi che lavorano sullo sviluppo spesso studiano entrambe le tipologie, ma differiscono nei loro approcci. Ciò che però unisce gli studi antropologici sullo sviluppo è un interesse verso una comprensione approfondita delle parti coinvolte (Eversole 2017).

Soprattutto dopo il secondo dopoguerra il concetto di sviluppo ha iniziato ad includere un insieme di aspirazioni e tecniche che miravano a promuovere e a concretizzare progetti presentati come progressisti in relazione ai cambiamenti socio-economici apportati in contesti marginali soprattutto in Africa, Asia e America Latina. A partire dal 1949, lo sviluppo diventò un concetto politico e cominciò ad essere utilizzato in relazione alla “cooperazione allo sviluppo” (Bierschenk 2022). Pertanto, dalla fine degli anni ‘40 in poi le relazioni tra nazioni industrializzate e Paesi del Terzo Mondo sono state ampiamente determinate e mediate dai discorsi e dalle pratiche di aiuto tramite progetti di sviluppo (Escobar 1991).

Progetti di sviluppo importati da Paesi del Nord

Progetti di sviluppo importati da Paesi del Nord

L’inclusione di gruppi svantaggiati ed emarginati è stata un elemento centrale in tutta la storia degli approcci antropologici allo sviluppo. Questa attenzione è condivisa con altri campi di ricerca come gli studi di genere e di economia politica in cui i ricercatori hanno messo in luce iniziative di sviluppo guidate da istituzioni spesso controllate da élite che diffondevano i loro progetti, con modalità più o meno coloniali, presso società marginali. Negli anni ‘80 e ‘90 gli sforzi per contrastare l’esclusione e la disuguaglianza sociale, economica e politica sono passati attraverso progetti di “empowerment” per giungere, nel nuovo millennio, ad una rinnovata attenzione sui temi dell’esclusione sociale. Questi ultimi progetti hanno quindi implementato riflessioni sulla violazione dei diritti umani proprio a causa di questi progetti e sulle barriere sociali causate da disuguaglianze strutturali e di potere (Zavratnik et al 2020). Attualmente, i dibattiti riflettono una preoccupazione che riguarda la relazione tra sviluppo, inclusione ed esclusione e l’influenza del business globale che deriva da politiche neoliberiste non statali. Molti di questi studi si sono incentrati sull’analisi dell’accaparramento di terre (spesso indigene) nascosto da progetti presentati globalmente come forme di sviluppo inclusivo (Armano 2023). Alcuni di questi studi sullo sviluppo si sono intersecati inoltre con precedenti ricerche antropologiche che avevano sviluppato analisi sulla precarizzazione dei mezzi di sussistenza rurali, sulla (in)sicurezza alimentare e su forme di disuguaglianza sociale ed economica lungo le filiere delle materie prime (Eversole 2017). 

5-escobar-encountering-development-2012Lo sviluppo sostenibile 

Più recenti sono i dibattiti di antropologi, in dialogo con esperti di altre discipline, sugli impatti locali di progetti di sviluppo sostenibile. Quest’ultimo è diventato uno slogan popolare nel discorso contemporaneo sullo sviluppo, come anche nel linguaggio delle agenzie di aiuti internazionali, nel gergo dei pianificatori dello sviluppo, all’interno di conferenze e documenti accademici, nonché negli argomenti di attivisti per lo sviluppo e l’ambiente (Ukaga et al. 2011). In questo modo però lo sviluppo sostenibile corre il rischio di diventare un cliché a cui tutti rendono omaggio ma che nessuno sembra definire con precisione (Mensah, Enu-Kwesi 2018). Nonostante la sua pervasività e l’enorme popolarità che ha raccolto negli anni, il concetto sembra quindi essere ancora poco chiaro poiché molte persone continuano a porsi domande sul suo significato e su cosa possa comportare per la teoria e la pratica dello sviluppo (Mensah, Ricart Casadevall 2019). Nel tentativo di andare oltre la retorica della sostenibilità e perseguire un programma più significativo per lo sviluppo sostenibile, molti studiosi si sono impegnati a chiarire alcuni aspetti chiave sul suo significato. Sebbene non si possa negare che la letteratura sullo sviluppo sostenibile abbondi, le questioni relative alla definizione del concetto, alla storia, ai pilastri, ai principi e alle implicazioni di questo concetto per le società umane rimangono poco chiare (Gray 2010). Per esempio, il portale sullo sviluppo sostenibile dell’UNESCO elabora la sostenibilità come un paradigma per pensare al futuro in cui le considerazioni ambientali, sociali ed economiche sono bilanciate nel perseguimento di una migliore qualità della vita (UNESCO 2019). Antropologi e teorici dello sviluppo critico hanno compiuto, negli ultimi decenni, grandi sforzi per andare oltre la misurazione dello sviluppo sostenibile attraverso, per esempio, indicatori di analisi quantitativa. Gli studi prodotti si sono concentrati su come i progetti di sviluppo sostenibile sono prodotti e vissuti. Alcune ricerche hanno mostrato inoltre chi ne beneficia e chi viene danneggiato da tali progetti e quali conseguenze, sia intenzionali che involontarie, essi comportano in un mondo in cui lo sviluppo è stato altamente diseguale dal punto di vista geopolitico a causa delle durature eredità del colonialismo (Armano 2023).

Dalla prospettiva antropologica, il concetto di sostenibilità legato allo sviluppo solleva urgenti questioni come: che tipo di sviluppo è sostenibile? Cosa intendiamo per sostenibile? Inoltre, ciò che è definito sostenibile quali caratteristiche ha e per quanto tempo le mantiene? Chi o cosa viene sostenuto? Rispondendo a queste domande gli antropologi dello sviluppo sostenibile suggeriscono che il concetto stia continuando a dare priorità all’aspetto economico piuttosto che a quello ambientale e sociale (Ukaga et al. 2011). Negli studi sullo sviluppo sostenibile, un altro importante corpus di lavori di antropologia esplora problematiche sociali che volontariamente o involontariamente vengono nascoste dai discorsi ufficiali (Armano 2023). In quest’area, alcuni antropologi hanno inoltre messo in luce il lavoro costante di operatori dello sviluppo che promuovono progetti imprenditoriali. In questo senso quindi, tali studi sostengono che i programmi di miglioramento confezionati come sviluppo sostenibile non sono altro che strumenti per continuare ad espandere la portata del capitalismo e perpetuare una disuguaglianza geopolitica tra il Primo Mondo e il Terzo Mondo (Escobar [1995] 2012).

Utilizzando una prospettiva multi-scala, altri studi etnografici su progetti di sviluppo sostenibile spostano l’attenzione dalle micro-pratiche del lavoro di sviluppo alla valutazione di come progetti statali e industriali, soprattutto legati all’estrazione su larga scala, stabiliscono i parametri di cosa possa essere considerato sostenibile.  All’interno di questa area di ricerca, altri studiosi stanno intrecciando approcci dell’etnografia con temi di ecologia politica con lo scopo di mettere in luce le strategie sociopolitiche che stanno alla base dello sfruttamento delle risorse. Studi recenti hanno infatti mostrato come anche campagne di comunicazione globali presentano tali pratiche di industrializzazione come progetti sostenibili continuando così a rinforzare ciò che Varman et al. (2023) definiscono “uno sbiancamento neocoloniale” attraverso discorsi sulla sostenibilità che continuano ad escludere visioni del mondo alternative come, per esempio, quelle indigene (Mazzone et al. 2023). 

7-mitchell-carbon-democracy-2011Conclusioni 

Sviluppo è un termine fondamentale nel linguaggio politico-sociale dell’era moderna. Esso si colloca nell’interfaccia tra pratica, politica, valutazione normativa e analisi scientifica. Sebbene il termine sviluppo non abbia trovato una definizione precisa negli studi antropologici, esso è un elemento chiave per studiare processi socioculturali e politici di cui, comunemente, si occupa l’antropologia. Tra questi vi sono le preoccupazioni di inclusione ed esclusione e le relazioni di potere ineguali. L’incontro dell’antropologia con lo sviluppo si concentra principalmente su un impegno critico con lo “sviluppo con la D maiuscola” che comprende progetti e politiche di intervento in nome di un miglioramento, e con lo “sviluppo con la d minuscola” incentrato sullo sviluppo inteso come un processo storico. Le etnografie e le critiche antropologiche sullo sviluppo si sono, finora, focalizzate essenzialmente su alcuni temi e approcci specifici. In primo luogo, studiano i progetti di sviluppo, che spesso hanno finalità di espansione capitalistica, ponendo attenzione alle interpretazioni multi livello e adottando un approccio critico (Fassin 2013).

Questo contributo che non ha avuto certo la pretesa di essere pienamente esauriente nel tracciare l’evoluzione del concetto di sviluppo all’interno degli studi antropologici, auspica tuttavia un incremento di riflessioni future su tale argomento al fine di sollecitare dibattiti e nuove teorie per esaminare le idee, i vincoli e le collaborazioni coinvolti nei progetti di sviluppo.

Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024 
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Linda Armano, ricercatrice in antropologia, ha frequentato il dottorato in cotutela tra l’Università di Lione e l’Università di Venezia occupandosi di Anthropology of Mining, di etnografia della tecnologia e in generale di etnografia degli oggetti. Attualmente collabora in progetti di ricerca interdisciplinari applicando le metodologie antropologiche a vari ambiti. Tra gli ultimi progetti realizzati c’è il “marketing antropologico”, applicato soprattutto allo studio antropologico delle esperienze d’acquisto, che rientra in un più vasto progetto di lavoro aziendale in cui collaborano e dialogano antropologia, economia, neuroscienze, marketing strategico e digital marketing. Si pone l’obiettivo di diffondere l’antropologia anche al di fuori del mondo accademico applicando la metodologia scientifica alla risoluzione di problemi reali. Ha pubblicato recentemente la monografia Esplorare valore e comprendere i limiti, Quaderni di “Dialoghi Mediterranei” n. 3, Cisu editore (2022).

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