di Flavia Schiavo
Solo brevissime notazioni per introdurre i saggi interessanti ed esaustivi che rileggono il film di Giuseppe Carleo, La bocca dell’anima. Opera che affonda in una porzione rimossa e oscura della cultura umana, e non solo locale. Il rapporto con la magia, infatti, riguarda ogni espressione culturale sempre costituita da esoterico ed essoterico, da aree emerse e porzioni abissali e celate.
Il film indaga proprio quella parte più nascosta ed elitaria (di pochi, ma per tutti) che, qui, non tende a configurarsi come potere schiacciante, quanto piuttosto come “buona pratica” che punta ad agire in seno alla comunità e a favorirne il bene. In tal senso il “dono”, “dono sociale” se e quando accettato dalla comunità, che il protagonista offre è orientato a guarire e a risolvere ciò che si verifichi nel mondo materiale, attraverso l’accesso al mondo immateriale e spirituale.
I paesaggi sospesi, la neve, i colori bluastri, l’intera narrazione de La bocca dell’anima, rimandano al processo di auto-riconoscimento e di riconoscimento comunitario dell’identità e del ruolo sociale del protagonista, Giovanni Velasques, osteggiato dalle forze d’ombra (tra cui la mafia) che puntano a un controllo di esseri umani e comportamenti. Tramite un impegnativo percorso questi, con coraggio, con l’aiuto della “maara” Mariannina (simbolicamente una levatrice e una placenta tramite cui Giovanni rinasce a nuova vita) compie un profondo lavoro su di sé, affrontando le contraddizioni di chi vive in una terra intermedia in cui l’invisibile si fa carne.
Innocenza e fede contraddistinguono le azioni di Giovanni, ponte tra visibile e invisibile, che concretamente sfida i pregiudizi derivati da un etnocentrismo che osservi ogni espressione culturale estranea o tradizionale in modo critico e intollerante, opponendo alla biomedicina e alle sue pratiche riconosciute una forma non codificata di azione. Discipline come l’antropologia, in primo luogo, come l’etnoscienza, o l’etnopsichiatria, di contro, oggi, tendono a riconsiderare sia la ritualità, sia le pratiche in bilico tra magia e sciamanesimo. Tali inclinazioni interpretative tendono, peraltro, a riunificare il legame delle espressioni culturali più occulte ed esoteriche con la scienza intesa in senso stretto. In tale prospettiva La bocca dell’anima, cui viene attribuito dal regista e dai recensori uno specifico significato che attinge alla tradizione linguistica locale (I‘a vucca ‘i l’arma), diviene la “porta” per transitare in mondi intangibili, per portare l’anima stessa verso la luce luminosa del giorno.
Se in Grecia fu Erodoto a coniare il termine “mago” che identificava un sacerdote persiano, in seguito l’espressione mageia indicò quelle dottrine che integravano tradizioni e pratiche non ortodosse provenienti da altre aree geografiche, come appunto quella persiana. Nell’ambito culturale ellenistico, radice di quello siciliano, si compì una forte integrazione tra le ritualità magiche, quelle legate all’astrologia (praticata in primis dagli egizi) e l’alchimia, ripresa poi anche in ambito psicanalitico (da C. G. Jung). Pur nella considerazione che, per esempio nell’universo di Omero, non esista il concetto di magia, sic et simpliciter, quanto piuttosto il concetto di prodigio, visto come manifestazione dell’intervento divino.
La magia e l’arte del guarire, comunque, in epoche successive hanno abitato aree liminali verso cui si espresse l’ostilità della Chiesa (sulla scorta anche dei testi sacri, es. nella Bibbia, «Non lascerai vivere colui che pratica la magia» Esodo, 22,17). Fino al XV e XVI secolo quando, insieme allo sviluppo delle dottrine scientifiche, la magia stessa riemerse grazie alle opere di umanisti, filosofi e studiosi come Marsilio Ficino, Ermete Trimegisto, Orfeo, Zoroastro.
Le vicende, le pratiche umane, le contraddizioni, i percorsi narrati dal film di Carleo e indagati dagli scritti qui pubblicati, oltre a mostrare il radicamento con i luoghi che antropologi, una per tutti Elsa Guggino (con la sua vastissima produzione editoriale), hanno approfonditamente studiato, rendono evidente come la “magia bianca”, orientata a favorire il bene, abbia una qualità ontologica che mette in relazione esseri umani, natura, sovrannaturale e spirituale. Virtù integrative che portano a rivedere le nette distinzioni tra verità e giudizi assoluti, tra scienze giuste e scienze sbagliate.
Se l’antropologo inglese Alfred Reginald Radcliffe-Brown e l’etologo Robert Codrington utilizzando il temine “mana”, di provenienza melanesiana (Oceania), riflettendo sul senso profondo di questo, offrono ulteriori occasioni e stimoli, mettono in luce come il mana possa essere inteso sia come potere spirituale e soprannaturale sia come forza dotata di efficacia simbolica. Una grande vitalità che proviene dall’interno del soggetto e che rappresenta e ritualizza pratiche che congiungono socialmente altri soggetti orientati a raggiungere obiettivi comuni. Come afferma Mircea Eliade oltre che nella sfera sovrannaturale e spirituale o simbolica, il mana risiede nella presenza concreta e incarnata delle cose. In tal senso il mago, la maga o lo sciamano, la sciamana, il guaritore, la guaritrice si fa ponte tra la luce e l’ombra, tra il mondo materiale, temporale, concreto e quello sovrasensibile che sfugge al tempo, al disfarsi, al dolore e alla morte intesa come fine.
Nei Tarocchi, tra gli Arcani maggiori, il V (il Papa) e il XV (il Diavolo), rappresentazione di luce e ombra, nella loro profonda relazione rimandano al passaggio, alla permeabilità tra tali sfere che, come il film di Carleo racconta, sono parte delle nostre più profonde radici e del nostro quotidiano.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
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Flavia Schiavo, architetto, architetto del paesaggio e PhD in Pianificazione Territoriale. Prof.ssa Associata presso la Università degli Studi di Palermo, insegna Urbanistica (Laurea in Urban Design per la città in transizione) e Laboratorio di Progettazione urbanistica (Corso di Laurea in Architettura). È componente del Collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in Architettura, Arti e Pianificazione. Ha al proprio attivo numerose pubblicazioni (saggi e monografie), in italiano, spagnolo e in inglese, che sviluppano articolati temi di ricerca: fonti non convenzionali (letteratura e cinema per interpretare città e territorio); linguaggio urbanistico; partecipazione, conflitti, azioni e pratiche bottom-up in ambito urbano; parchi e giardini; sviluppo e questioni sociali, economiche e antropologiche nel contesto della Rivoluzione Industriale; arte, culture urbane e contaminazioni. Tra i titoli delle monografie: Parigi, Barcellona, Firenze: forma e racconto, 2004, Sellerio, Palermo; Tutti i Nomi di Barcellona, 2005, FrancoAngeli, Milano; Piccoli giardini. Percorsi civici a New York City, 2017, Castelvecchi, Roma; Lettere dall’America, 2019, Torri del Vento, Palermo; New York: entre la tierra y el cielo, Ediciones Asimétricas, Iniciativa Digital Politècnica, Barcelona, Madrid, 2021; Lo schermo trasparente. Cinema e Città, Castelvecchi, Roma, 2022; Nata per correre. New York City tra il XIX e gli inizi del XX secolo, Aracne, Roma, 2023; 8 lezioni newyorchesi. La Democrazia delle Città, la Democrazia della natura, Il Sileno edizioni, Cosenza, 2023. Fa parte di Comitati scientifici di prestigiose collane editoriali (FrancoAngeli) e di Riviste del settore. Ha organizzato seminari, simposi, meeting, convegni nazionali e internazionali e ha condotto lunghi periodi di ricerca in Italia e all’estero, in Europa (UAB, Barcellona) e recentemente negli Stati Uniti (Columbia University, New York City).
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