di Linda Armano
L’antropologia implicita s’interroga sul dispositivo simbolico d’interpretazione della differenza culturale. Tutte le società, di ogni epoca e luogo, sviluppano forme di pensiero native per concettualizzare chi fa parte del proprio gruppo sociale, chi non ne fa parte e concetti sull’umanità in generale. Il ragionamento sulla possibilità di realizzare un dialogo fra Ebraismo, Cristianesimo ed Islam nell’Occidente postmoderno, passa quindi attraverso i parametri dell’antropologia implicita. L’Europa e l’Occidente stanno attualmente formulando un’antropologia implicita “dell’altro” elaborata su un sapere del male profondamente connesso alla religione islamica, a cui legano l’idea di pericolo e il senso d’impotenza dell’uomo rispetto ad invasioni esterne (Ligi, 2014). Davanti a tale fragilità è necessaria quindi una ristrutturazione di significato attraverso un intenso ed incessante lavoro culturale per costruire un dialogo, oltre che fra religioni monoteiste, anche fra religioni e società laica.
In questo contributo si prende in esame il rito funebre della ricercatrice ventottenne veneziana Valeria Solesin, celebrato a Venezia il 24 novembre 2015. L’incontro tra monoteismi all’interno dell’evento assume un ruolo centrale e mette in luce i nodi comuni e i punti di differenza storico-religiosa. La presenza interreligiosa ai funerali della giovane ricercatrice formula però soprattutto una questione antropologica importante sulla comprensione della morte. Il rito funebre di Valeria Solesin è analizzato come momento per una rinascita del sacro, come tentativo di comprendere la morte violenta dovuta all’atto terroristico avvenuto pochi giorni prima a Parigi. In tale occasione sono interpellati i rappresentanti delle tre religioni monoteiste che presentano pubblicamente i loro dispositivi simbolici davanti al tema della morte, così da creare una possibilità metastorica per un ethos del trascendimento capace di fare fronte alla vulnerabilità umana in Occidente. L’unione dei tre monoteismi può quindi produrre spazi, intesi non solo come luoghi fisici ma soprattutto come valori culturali.
L’evento etnografico
Venezia, Piazza San Marco.24 novembre 2015. Funerali di Valeria Solesin, sociologa, dottoranda alla Sorbona di Parigi, uccisa in un attentato terroristico da colpi di kalashnikov il 13 novembre 2015, nel locale parigino Bataclan. Il rito funebre si aprono con il discorso del padre di Valeria, Alberto Solesin:
«Assieme a tutti, desidero inviare un pensiero alle famiglie che in questo momento, in Francia e in Europa, cercano di superare il dolore per la perdita di un figlio, una figlia, un congiunto, un amico, un amore. Il sentimento di vicinanza e affetto che mio figlio, mia moglie ed io abbiamo vissuto in tutti questi giorni, richiede di rivolgere a tutte le altre vittime lo stesso senso di umana partecipazione. Ringrazio i rappresentanti delle religioni cristiana, ebraica, musulmana: presenza congiunta in questa piazza. Simbolo del cammino comune degli uomini nel momento in cui il fanatismo vorrebbe nobilitare il massacro con il richiamo dei valori di una religione […]. Infine un pensiero per Valeria. Ripensandola, non voglio isolare la sua immagine dal contesto in cui l’ho vista vivere a Parigi, all’università, all’Ined, “l’Istituto Nazionale di Studi Demografici”, nei bistrot dove amavano incontrarsi tanti ragazzi e ragazze come Valeria, gioiosi, operosamente rivolti ad un futuro che tutti, assieme a lei, vogliono migliore».
È una giornata di sole di fine novembre. Il feretro di Valeria Solesinè trasportato in una gondola che percorre il Canal Grande partendo da Ca’ Farsetti, sede del Comune, prima di giungere in piazza San Marco. La bara della donna ripercorre, via acqua, il territorio della comunità veneziana annunciando l’approssimarsi di un momento carico di valore simbolico. Subito dopo la sua morte, Valeria Solesin è stata innalzata ad eroina di una tragedia a misura del quotidiano; la sua storia e le sue speranze confluite in tragedia, sono diventate l’emblema sociale di una generazione di studiosi.
Scesi dalla gondola si crea un piccolo corteo che inizia al molo di San Marco, vicino il Palazzo Ducale e si dirige verso la piazza. Il funerale di Valeria è il secondo, nella storia della Repubblica di Venezia, ad essere commemorato in piazza San Marco. Il primo fu quello dell’eroe borghese, esule a Parigi e di radici ebraiche, Daniele Manin nel 1868. La bara di Valeria, coperta di lilium e di rose, è portata a braccio da gondolieri in alta uniforme bianca, con al collo un fazzoletto viola in segno di lutto. Il feretro si dirige verso il catafalco allestito davanti alle bandiere italiana e della Repubblica veneziana. Dietro il feretro c’è Luciana, madre di Valeria, Alberto e Dario, padre e fratello della ragazza, Andrea, il compagno della giovane e tutti i familiari.
Nel rito funebre di Valeria Solesin, le religioni monoteiste guidano, con linguaggio simbolico, l’operazione di trasferire fuori dalla storia umana il male che minaccia oggi l’Occidente. In questa operazione non è il negativo che ci minaccia ad essere risolto, ma è la crisi della presenza ad essere posta sotto controllo. I rappresentanti delle tre religioni, ilpatriarca di Venezia monsignor Francesco Moraglia, il rabbino capo del ghetto ebraico veneziano Scialom Bahbout, l’Imam Hamad Al Mohamad e il presidente della comunità islamica di Venezia Mohammed Amin Al Ahdab garantiscono, attraverso i propri dispositivi simbolici, la possibilità di tornare ad operare nel mondo affrontando il male reale.
Il primo rappresentante religioso a parlare è monsignor Moraglia:
«Sappiamo che da solo lo scorrere del tempo non è sufficiente a farci trovare serenità e pace. […] Cara Valeria, la vicenda che ti ha coinvolto […] ci dice come la vita dell’uomo sia fragile. La vita dell’uomo è semplicemente un dono. Tornano alla mente le parole del Salmo 103: “L’uomo come l’erba sono i suoi giorni, come un fiore di campo così egli fiorisce. Se un vento lo investe non è più”. L’uomo è un fiore che permane nonostante il vento. Il Salmo ci ricorda che c’è inoltre qualcosa: l’amore di Dio che è da sempre e sa che noi siamo polvere.[…] Ora consentitemi una parola agli uomini e alle donne del terrore. Tutti portiamo nel cuore la stessa domanda: “Perché?”. La vostra cultura ci fa inorridire, ma non ci intimidisce. Ci sgomenta perché indegna dell’uomo, ma ci fortifica nell’opporci ad essa, con ogni nostra forza sul piano culturale, spirituale, umano. In nome di Dio cambiate il vostro modo di essere, iniziate dal cuore. Si tratta del coraggio di dire “abbiamo sbagliato”. Chiedete perdono. È nella dignità dell’uomo chiedere perdono. Mai divideremo con voi ciò che vi appartiene: l’odio. In alcun modo vi concederemo tale vittoria. Valeria non lo vorrebbe. Non riuscirete a portarci ad odiare, sarebbe la vostra vittoria, sarebbe la nostra sconfitta. […] In questo momento di commiato ti offro, assieme alla Chiesa che è a Venezia, l’umile gesto della nostra preghiera e la benedizione del Signore, com’è stata chiesta dai tuoi cari».
Il Salmo 103 letto dal patriarca parla della finitezza dell’uomo. L’interpretazione odierna a questo Salmo ha subìto profondi cambiamenti nella storia, soprattutto dopo l’influenza culturale della teoria evolutiva di Darwin; da quel periodo la Chiesa afferma che la sofferenza è un elemento costitutivo dell’universo e, in coerenza con la teoria darwiniana, sostiene che il creato nasce imperfetto e cresce verso un traguardo di pienezza definitiva che si unisce all’amore di Dio. Il discorso del patriarca continua anteponendo la forza distruttrice dei terroristi che però fortifica gli uomini; in questa frase è racchiuso implicitamente l’esempio di Gesù, autore e perfezionatore della fede che, secondo i cristiani canonici, aiuta a sopportare il male e la sofferenza. Le parole del patriarca sembrano racchiudere anche qualcosa di più antico, che si collega alla gnosi, in particolare quando problematizza il perché degli atti terroristici. Egli si allaccia ad una visione di un mondo oscuro ed incomprensibile che però al suo interno contiene dei germi di luce, i quali sono nascosti nell’anima: «In nome di Dio cambiate il vostro modo di essere, iniziate dal cuore. (…) È nella dignità dell’uomo chiedere perdono». Nella visione gnostica gli esseri umani sono gocce di luce, fatte scendere da Sofia dal mondo della luce al mondo del caos; qui le scintille sono avvinte dalle catene dell’oblìo. Il Salvatore è venuto quaggiù dal Pleroma, ossia dalla pienezza della manifestazione divina, per liberare queste scintille, risvegliarle e strapparle al mondo materiale. Nei Vangeli gnostici, per esempio, il Salvatore racconta che quando scese in incognito per liberare le gocce di luce, attraversò un temibile luogo di mezzo infestato da potenze negative animate da bramosia, ira ed ignoranza.
Il rito prosegue con il discorso del presidente della comunità islamica di Venezia Mohammed Amin Al Ahdab:
«Cara Valeria, i tuoi assassini hanno voluto, con il loro gesto criminale, separarci, ma oggi con questa presenza ed unità i tuoi assassini criminali anti Islam, anti ogni religione e anti umanità, hanno fallito. Caro Alberto Solesin, il tuo invito oggi all’Imam di prendere parte ai funerali di Valeria, ha dato un contributo al fallimento del piano diabolico degli assassini di Valeria».
Negli ultimi anni è stato denunciato, da parte dell’opinione pubblica mondiale, il silenzio dei musulmani di fronte al terrorismo. Il primo ad accorgersene fu il presidente dell’Iran Hassan Rohani. L’Iran sciita infatti, fin dagli attentati del 7 gennaio 2015 di Charlie Hebdo, prese le distanze dalle violenze del terrorismo dell’Isis. Il presidente iraniano, intervenendo in una conferenza il 7 gennaio 2015 sull’unità islamica a Teheran, sollecitò i musulmani a migliorare l’immagine della propria religione, macchiata dalla violenza dei gruppi terroristi dell’Isis, davanti a cui i Paesi musulmani sono rimasti in silenzio. La rappresentanza del presidente della comunità islamica di Venezia ai funerali della ricercatrice sembra quindi rispondere alla sollecitazione di Hassan Rohani.
Seguono il discorso e la benedizione dell’imam Hamad Al Mohamad:
«Cari fratelli e sorelle di ogni religione, vi saluto con il saluto dell’Islam: “as-salamu’alaikum”, “la pace regni su di voi”. Prima di tutto porgo le mie condoglianze alla famiglia Solesin, parenti e amici, ai quali siamo uniti nel dolore. Chiediamo ad Allah, il Dio, l’Altissimo, che abbia lei e tutte le vittime nella sua gloria. Chiediamo ad Allah l’Onnipotente di aiutare la sua famiglia. Chiediamo ad Allah il Potente di proteggere il mondo, l’Europa, l’Italia e questa città da ogni male. Chiediamo ad Allah, il Conoscitore del fondo della nostra anima di pacificare tutte le nostre anime perché regni per sempre la sicurezza e l’affetto in tutto il mondo. Cara Valeria, pace all’anima tua»
Le parole dell’imam richiamano la radice della parola «Islam» (S-L-M), da cui derivano tre diverse parole con differenti significati: pace, sottomissione, purezza. Per i musulmani, se una persona sottomette sé stessa a Dio e adora solamente lui, vivrà in pace e in armonia in questa vita e nell’aldilà. Perciò la parola musulmano nella lingua araba (muslim), non significa solamente seguace del profeta Muhamad, ma «persona che si sottomette alla volontà di Dio e che ha fede solo in lui». L’imam, nel suo discorso, incoraggia i familiari della vittima ad avere fede in Dio. La fede nel decreto divino dà coraggio e rinforza lo spirito nell’affrontare le difficoltà della vita. Questo concetto si basa sulla fede che lo stato di cose sulla terra e il destino degli uomini siano decretati da Dio e nulla può accadere se non quanto è prescritto da lui. Si infonde così nel credente la continua ricerca dell’aiuto da parte di Allah, la fiducia in lui accompagnata dallo sforzo personale, il costante sentimento di necessità verso Dio e la richiesta di guida.
Il rito prosegue infine con il discorso del rabbino Scialom Bahbout:
«Cara Valeria, sono qui a nome mio, della comunità ebraica di Venezia e di tutto il popolo ebraico. Le parole che tu hai sentito e sentirai, sono le parole che ti accompagneranno alla tua dimora eterna. Quando una persona cara ci lascia, ci si chiede se ci lascia del tutto. Noi pensiamo che i giusti non muoiano mai. Le loro azioni continuano a vivere nelle persone che l’hanno amata e che si sentono legate al suo ricordo. Lasciando questo mondo tu continuerai a vivere se ognuno di noi sarà capace di portare avanti gli ideali di solidarietà che ti hanno contraddistinto. Cara Valeria, il problema è proprio questo. Spesso, spinti dalla retorica, facciamo promesse che si rivelano vane. Cosa fare perché il tuo ricordo continui a vivere? Ci sono azioni che competono ad ogni singolo. […] La società potrà cambiare solo se ognuno, anziché scaricare le responsabilità sulle istituzioni e su enti astratti, saprà fare la sua parte, come l’hai fatta tu. […] Tu potrai essere un grande esempio per noi. […] Non a caso i maestri affermano: “È stata creata una sola persona perché ognuno possa dire per me è stato creato il mondo”. […] Le responsabilità maggiori ricadono sui maestri del pensiero che devono interrogarsi e chiarire come deve essere il mondo nuovo. […] Cara Valeria tu potevi ambire ad essere un leader che avrebbe cambiato il mondo. […] Se altri coglieranno questa eredità, allora la tua morte per quanto dolorosa per te e per chi ti vuole bene, servirà a far riflettere noi qui presenti a quanto sia importante dedicare le proprie energie per costruire e non per distruggere. I terroristi che ti hanno uccisa sono stati fuorviati da ideologie che si propongono di uniformare il mondo alle proprie idee. […] Questi terroristi si adoperano per eliminare le persone diverse da loro, ma non prevarranno se troveranno a contrastarli persone come te, che non si lasceranno intimorire. Con la tua morte tu ci ordini di vivere. Solo così la tua presenza tra noi sarà sempre viva. Salmo 120, Canto dei Pellegrinaggi: alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore cha ha fatto cielo e terra. Non lascerà vacillare il tuo piede, non addormenterà il tuo custode, non prenderà sonno il custode di Israele. Il Signore è il tuo custode, il Signore come ombra che ti copre e sta alla tua destra. Di giorno non ti colpirà il sole, né la luna di notte. Il Signore ti proteggerà da ogni male, egli proteggerà la tua vita, il Signore veglierà su di te quando esci e quando entri da ora e per sempre».
Il discorso del rabbino riprende l’idea ebraica secondo cui Dio, pur essendo spirituale, incorporeo e non rappresentabile, si avvicina all’uomo attraverso personalità eccezionali che, durante la vita, mettono in pratica azioni esemplari. La religione ebraica si fonda su grandi ideali, sulla Tōrāh, chiamata dai cristiani Pentateuco, sulla virtù, sulla fede del popolo di Israele; c’è quindi una grande nazione che vive nella fede di grandi ideali, senza che vi sia però una presenza viva di Dio. L’esperienza dell’Ebraismo si basa infatti su una tensione tra la fedeltà agli ideali e la ricerca di un’esperienza reale della presenza divina all’interno della persona. Nel caso di Valeria Solesin viene ricordato il lavoro da volontaria per Emergency. Nelle parole del rabbino è richiamata intrinsecamente la risposta ebraica al problema della sofferenza «del giusto» nel mondo. Oltre alla ricompensa riservata ai giusti nel vivere, dopo la morte, in una realtà successiva e diversa da quella del mondo umano, viene sostenuta la concezione del modello da imitare nella promozione della dignità umana: «Con la tua morte tu ci ordini di vivere», cioè ci ordini di portare avanti ciò che non hai potuto concludere. Nell’Ebraismo infatti il rapporto con Dio si può avere anche attraverso una mediazione con una persona esemplare.
Nell’Ebraismo la volontà divina sulla Terra si esprime secondo un programma preciso consegnato all’uomo attraverso la Tōrāh, in cui sono narrate e interpretate, in chiave religiosa, le vicende essenziali che segnano la vocazione della comunità ebraica al servizio divino e la missione del popolo d’Israele verso l’intera umanità. Le buone azioni dell’uomo ebreo iniziano dal 13° anno d’età, quando si raggiunge la maggiore età religiosa. Nel discorso del rabbino Scialom Bahbout vengono enunciate le responsabilità della figura del leader, sia esso laico che guida spirituale. Il rabbino, nella comunità ebraica, diventa maestro della dottrina religiosa attraverso lo studio e la pratica di una condotta esemplare. Può aspirare quindi a diventare un Zadik, «un giusto», un essere spirituale che ha raggiunto Dio, l’ha toccato ed è diventato faro di luce attraverso cui comunica il proprio essere.
Il discorso del rabbino si conclude con il Salmo 120, Canto dei Pellegrinaggi; il salmo fa parte dei 15 salmi (dal 119 al 133) detti «delle ascensioni», perché usati nei pellegrinaggi a Gerusalemme a cui si giungeva con un percorso in salita. Nonostante il salmo fu composto per tale scopo, sembra riferirsi ad una situazione diversa, considerando che i monti non sono quelli dove sorgevano Gerusalemme e il tempio, ma le giogaie dell’Hermon, oltre le quali si stendevano i territori percorsi dagli eserciti assiri e babilonesi in avanzata verso i territori della Fenicia e della Palestina. Del resto tutto nel salmo indica non la provvisorietà di un pellegrinaggio, ma uno stato di stanzialità delle comunità. «Alzo gli occhi verso i monti» indicherebbe proprio l’apprensione di un Giudeo credente (forse un re di Gerusalemme) di fronte alle incombenti manovre di potenti eserciti conquistatori; apprensione arginata da una ferma professione di fede: «Il mio aiuto viene dal Signore: egli ha fatto cielo e terra». Da questa professione di fiducia in Dio procede tutto il salmo: «Non lascerà vacillare il tuo piede», cioè ti impedirà di fare azioni compromettenti. Dio «è la tua ombra», nel senso che è ristoro nelle difficoltà e sostegno che «sta alla tua destra»; «Di giorno non ti colpirà il sole, né la luna di notte», cioè Dio impedirà che venga ridotto a prigioniero.«Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri», cioè in tutte le situazioni della vita.
Dalla metastoria alla storia
Durante tutto il tempo del rito funebre di Valeria Solesin, vige in piazza un profondo silenzio che si antepone ritualmente alla sonorità confusa della quotidianità veneziana. La cerimonia si concretizza in una presa di possesso dello spazio in cui i presenti vogliono superare la vulnerabilità causata dalla minaccia concreta di non poter più esserci nel mondo. È un quadro drammatico della condizione umana contemporanea in cui la cerimonia laica in onore della ricercatrice, che unisce simbolicamente nello stesso luogo differenti parti politiche e soprattutto i rappresentanti dei tre monoteismi, vuole essere una dimostrazione di un trascendimento che, nonostante la tragedia, può comportare un incremento di umanità.
In quel luogo, piazza San Marco, e in quel determinato contesto, i funerali di Valeria Solesin, si apre la possibilità di prendere possesso di un orizzonte culturale in grado di indicare i valori secondo i quali orientarsi per andare oltre “il negativo” e apprendere tecniche capaci di insegnare il “come” andare oltre la situazione data. Dal punto di vista antropologico, in questo particolare frangente, si concretizza un rituale che coagula una coscienza storica e conferisce un significato umano dell’accadimento. La presenza nella piazza, trasformata in luogo sacro, di migliaia di persone consente di mettere in scena una necessaria potenza sintetica per superare la crisi dell’esistenza data dalla distruzione della domesticità.
Le parole dei rappresentanti delle tre religioni monoteiste, durante i funerali di Valeria Solesin, accompagnano i presenti nella destorificazione del negativo. Nel rito il dato esistenziale che ha scatenato la crisi – la morte della ragazza tramite un’azione violenta ed imprevedibile – è stato mentalmente astratto dal contesto storico entro il quale è stato esperito, per essere ricondotto ad un tempo e ad una vicenda mitici, un illud tempus, nel quale esso si è manifestato per la prima volta e per la prima volta ha trovato una soddisfacente comprensione (de Martino, 2002). Questa comprensione, verificatasi a livello mitico, garantisce in qualche modo che la medesima comprensione si possa realizzare di nuovo. È necessario però rendere presenti nella situazione reale le condizioni che si sono date in illo tempore nella situazione mitica ed è questo il compito che le tre religioni sono chiamate ad assolvere. Il corpo morto di Valeria Solesin è il corpo sul quale si è scagliato il male che l’Occidente – spogliato di miti e di riti appropriati e che si aggrappa all’insufficiente, e in certi casi impraticabile, controllo razionale del negativo – non riesce aa arginare. In quest’ottica Ebraismo, Cristianesimo e Islam, incontrandosi sul piano metastorico, forniscono un’adeguata interpretazione del male all’interno di una realtà simbolica praticabile. Il negativo dell’esistenza, grazie alla spiegazione mitica dei tre monoteismi, diventa così controllabile e persino eliminabile. Al riparo di questo regime protetto, la presenza in crisi, che riguarda in primo luogo la famiglia di Valeria, ma anche la comunità veneziana, italiana e in senso lato l’Occidente, reintegra sé stessa, fino a tornare capace di affrontare il negativo come esso si presenta concretamente sul piano esistenziale.
Dialoghi Mediterranei, n.22, novembre 2016
Riferimenti bibliografici
L. Abelson, Il misticismo ebraico, Bocca, Torino, 1929.
F. M. Corrao, Islam, religione e politica. Una piccola introduzione, Luiss University Press, Roma, 2015.
E. de Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino, 2002.
S. Fausti, Per una lettura laica della Bibbia, In Cammino, Milano, 2008.
G. Ligi, Antropologia dei disastri, Edizioni Laterza, Bari, 2014
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Linda Armano, è dottore di ricerca in antropologia culturale e storia. Ha frequentato il dottorato in cotutela tra l’Università di Lione e l’Università di Venezia, occupandosi di cultura orale in ambito europeo. Attualmente collabora con varie società e associazioni applicando le metodologie antropologiche a vari ambiti disciplinari: dal marketing, al turismo, alla formazione di neurologi e psicoterapeuti per la cura di persone affette da malattie degenerative. L’obiettivo principale è diffondere l’antropologia al di fuori del mondo accademico applicando la metodologia scientifica per la risoluzione di problemi reali.
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