di Letizia Bindi, Paolo Coppari, Grazia Di Petta
Una piccola comunità di apprendimento
«Perché mi sono iscritta a questo corso? Perché amo studiare ed informarmi e perché ho necessità di approfondire e capire tanti aspetti del mondo pastorale. Ho acquistato le prime 3 pecore e poi via via altre, sempre nella speranza di trovare nell’allevatore dall’altra parte una persona disposta ad insegnarmi, con sincerità e serietà; forse sono stata sfortunata ma in questa mia breve esperienza ho sempre riscontrato poca voglia di trasmettere e diffidenza nei miei confronti che fino a ieri facevo tutt’altro; non sono figlia di pastori, ma perché non posso imparare? Nozioni discordanti e diffidenza perché “la lana non la fa più nessuno, il tuo progetto è sicuramente fallimentare!”. Quando ho acquistato le mie prime pecore ho cercato un ente di formazione ma non l’ho trovato! Alcune volte, essendo autodidatta, non so se sono all’altezza del lavoro che sto svolgendo, non mi vergogno a dirlo!
Nessuna istituzione ha creduto in quello che volevamo fare e che stiamo facendo, nessuna associazione di categoria, nessun ente, basti pensare che la Regione Marche ci ha bocciato ben 5 bandi perché siamo un po’allevamento, un po’ fattoria didattica, un po’ artigiani (…).
Intorno alla lana si erano create un tempo, nelle nostre terre, economie importanti, allora perché dobbiamo arrenderci all’idea di indossare solo lana merino australiana proveniente da maxi allevamenti intensivi? Perché quando apri un allevamento di pecore con orientamento produttivo “lana”, negli uffici non trovano nemmeno il pulsante “lana” da cliccare? Conserviamo gli affreschi nelle teche e poi lasciamo morire così le tradizioni?» (Giulia Alberti – Marche)
«Il corso “Il Pastore, guardiano del futuro” – certamente ben organizzato – costituisce, a detta dei promotori, una sperimentazione di quella che sarà la Scuola Nazionale di Pastorizia. Mi sembra che sia molto meritevole l’approccio pluridisciplinare scelto e condivido fortemente l’esigenza di partire da una riflessione approfondita delle problematicità, per studiare e sperimentare le possibili soluzioni, nella loro complessità e concretezza.
Una problematicità che mi sembra di cogliere è quella del target di una Scuola di pastorizia: possibili iscritti non saranno i pastori romeni e macedoni che hanno sostituito i nostri pastori (per lo meno in Abruzzo), il cui interesse è legato a stare in Italia solamente per tutto il tempo in cui possano mettere da parte un quantitativo di soldi da spendere poi nel loro Paese di origine. Fra i possibili iscritti alla Scuola mancheranno certamente, purtroppo, i funzionari nazionali e regionali, responsabili della scrittura dei regolamenti, che poi determineranno l’evoluzione concreta del pastoralismo. Mancheranno, purtroppo, le categorie (CIA, Coldiretti, Confagricoltura) che pure dovrebbero essere presenti per poi promuovere la Scuola presso i loro aderenti. Non ci saranno gli imprenditori agricoli quasi sempre troppo anziani per andare “a scuola”. Ci sarà forse quella categoria d’imprenditori giovani (e che si conta su una sola mano!) che già è in linea con gli obiettivi della Scuola per aver fatto il percorso da autodidatta e che desidera trovare conferma di quanto ha già messo in pratica. Ci saranno certamente persone (come me) appassionate del tema che si iscrivono alla Scuola per il piacere di approfondirlo, ma con scarsissima possibilità di trasformare la realtà e che, nel migliore dei casi, potranno solo fungere da cassa di risonanza. Viceversa, io sono convinta che una Scuola di Pastorizia possa aver senso solo se si rivolga in primis a chi ha la responsabilità e la possibilità di trasformare sotto varie angolature la situazione concreta: funzionari regionali, funzionari di categorie, amministratori di enti locali. Mi piacerebbe quindi sapere noi del corso, chi siamo e perché ci siamo iscritti» (Maria Pia Graziani – Abruzzo)
Domande, proposte e riflessioni, come quelle che abbiamo riportato in maniera sintetica, hanno accompagnato lo svolgimento del corso di formazione “Il pastore è un guardiano di futuro”, di cui abbiamo già avuto modo di parlare nelle pagine di questo periodico (http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/il-pastore-e-un-guardiano-di-futuro-sei-riflessioni-sul-pastoralismo-e-la-salvaguardia-dei-territori/).
Nel corso, che si è tenuto tra febbraio e aprile 2022 per riflettere su pastoralismo, salvaguardia e rigenerazione dei territori, è stata posta al centro del campo di interesse la pastorizia estensiva, per le molteplici connessioni interdisciplinari in grado di stabilire sinergie con una pluralità di ambiti formativi, comprensivi di una cultura di valori e tradizioni legati a una pratica diffusa sul territorio nazionale. L’esigenza di aprire il campo al confronto interdisciplinare si è tradotta nella scelta metodologica di esaminare la realtà, oggetto di osservazione, in tutti i suoi elementi, facendone emergere le interrelazioni per restituire, al termine del percorso, un quadro d’insieme, nel quale le implicazioni del pastoralismo sull’ambiente, le comunità, le politiche, le economie e la cultura potessero approdare ad una visione più ampia di salvaguardia e rigenerazione dei territori.
Sei sono stati gli incontri e altrettanti gli argomenti affrontati da 12 docenti di differenti atenei italiani: Paesaggi, storie e patrimoni bio-culturali del pastoralismo; Servizi eco-sistemici e rapporti con il territorio; Pastorizia e agricoltura sostenibili, montagna e pianura, vie d’erba e tutela del patrimonio pastorale; biodiversitá, saperi zootecnici, relazione interspecifica, benessere animale; le politiche e i diritti della pastorizia; multifunzionalitá delle aziende e turismo legato alla pastorizia.
Il notevole lavoro di tessitura dei contenuti proposti è stato svolto dalla direttrice scientifica, prof.ssa Letizia Bindi (Università degli Studi del Molise), affiancata nella progettazione e nella promozione del percorso formativo dall’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Macerata (punto di riferimento sul territorio per le molteplici iniziative di ricostruzione di memoria e identità nelle comunità appenniniche, mediante il Progetto dei “Cantieri Mobili di Storia”) e dall’Istituto Agrario “Giuseppe Garibaldi” di Macerata: forte di una solida storia, esso svolge da oltre 150 anni la funzione di presidio della cultura agraria in un territorio a ridosso della dorsale appenninica dei Monti Sibillini. Nella Scuola, tra una pluralità di indirizzi, è attiva un’articolazione in “Produzioni e trasformazioni” che mira allo studio dell’organizzazione delle produzioni animali e vegetali, delle trasformazioni, della commercializzazione dei relativi prodotti e dell’utilizzo delle biotecnologie; è per questo motivo che il Collegio dei docenti ha deliberato l’inserimento del corso sulla pastorizia nella propria offerta formativa, nel tentativo di favorire l’apertura del curricolo scolastico ad una comprensione più ampia della complessità culturale e socio-economica del sistema montagna.
Per ovviare alle difficoltà dettate dalle specifiche esigenze di lavoro e di distanze territoriali, il corso è stato svolto in modalità online e ha richiamato l’attenzione di una notevole quantità di corsisti molto eterogenei per età, genere e provenienza; sono giunte iscrizioni da dodici regioni italiane, ma anche dal Brasile, Canada, Francia e Spagna, con vari profili professionali: nuove generazioni di pastori e allevatori; responsabili di settore in enti statali e in associazioni; guide montane; escursionisti; insegnanti di scuola secondaria; studenti e ricercatori; artigiane della lana; blogger e giornalisti che camminando a piedi tra le comunità montane osservano e raccontano le realtà rurali; altri che a vario titolo hanno dichiarato di vivere la montagna e voler contribuire al rilancio del proprio territorio.
È interessante notare come nel periodo di svolgimento del corso di formazione alcuni partecipanti abbiano sentito l’esigenza di scrivere agli organizzatori sia per presentare la propria esperienza, sia per proporre riflessioni e problemi, sia per trovare forme di reciproca conoscenza. Di fatto, accanto alle relazioni degli esperti e grazie alle loro sollecitazioni, si è sviluppata, per così dire sottotraccia, una fitta e inaspettata trama di interazione tra i corsiti e gli organizzatori, che abbiamo voluto valorizzare e in qualche modo portare alla luce. Per questo, è stato organizzato il 13 aprile scorso un settimo incontro pubblico (non riservato dunque ai soli iscritti) dal titolo “Esperienze e territori a confronto”, in cui abbiamo dato la parola a quei corsisti che avevano dato la loro disponibilità: una piccola ma significativa “comunità di apprendimento” che nei mesi precedenti si era formata ed era cresciuta intorno al corso di formazione.
Esperienze e territori a confronto
L’incontro, come già sottolineato, ha dato ai corsisti la possibilità di essere protagonisti, raccontando le proprie storie e i progetti in atto all’interno dei territori interessati dal fenomeno pastorale in Appennino e non solo. Ne sono scaturiti un confronto e uno scambio estremamente vivo e ampio delle pluralità di modi e forme di fare e pensare la pastorizia nel nostro Paese.(https://www.youtube.com/watch?v=qd5ol30K9EU&t=3613s).
Le voci, i luoghi e le storie
Riportiamo di seguito una breve sintesi delle presentazioni che 11 corsiti hanno voluto fare di sé, della propria esperienza lavorativa e dei rispettivi territori: dagli allevatori alle artigiane della lana e ricercatrici di tradizioni alimentari; dai musei della transumanza appenninica a esperienze di rinascita pastorale di borgate alpine; da censimenti e ricerche in corso a progetti legati alla tradizione e al futuro della pastorizia. Un mosaico di voci per capire che il mondo complesso e variegato del pastoralismo non può essere soltanto un oggetto di studio ma uno straordinario viaggio nelle aree interne del nostro paese e, soprattutto, una proposta di futuro.
GIULIA ALBERTI, Fattoria La Rocca, Montefortino (Fermo) – Marche
L’azienda nasce da una passione per il mondo della lana, quando nel 2011 Giulia e suo marito Alessandro iniziano a filare il sottopelo di cani e gatti. Da allora questa passione è diventata un vero e proprio lavoro a cui dal 2018 si affianca un piccolo allevamento di pecore di razza sopravissana, oggi a rischio di estinzione. I filati di pura lana che vengono realizzati sono la riproposizione di una lavorazione storica praticata nei secoli scorsi nello Stato Pontificio. Nell’azienda, situata all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, si realizzano tutte le fasi della produzione: dall’allevamento alla tosatura, al lavaggio, cardatura e tintura dei filati. C’è anche un piccolo museo della lana che ospita macchinari e attrezzi antichi, ma perfettamente funzionanti che permettono al museo di trasformarsi in un vero e proprio laboratorio interattivo, «Nella nostra azienda – afferma Giulia Alberti – è possibile assistere alla lavorazione, perché un lato del laboratorio è vetrato, questo sia per ragioni energetiche (irraggiamento solare) sia perché quando negli anni scorsi cercavamo l’impianto che facesse al caso nostro, nessuno ci ha fatto entrare nelle aziende di produzione di filati, nessuno ci ha voluto far capire come si poteva fare… siamo dovuti arrivare in Canada per capire e poi acquistare i macchinari che oggi usiamo. Ci hanno insegnato più i canadesi che gli italiani! Allora diversamente da tutti, noi lo facciamo oggi in maniera trasparente, da qui l’idea della vetrata».
Di una cosa Giulia Alberti è profondamente convinta: «La nostra azienda è piccolissima, ma tante piccole realtà possono fare la differenza. Bisogna ripartire dal basso».
DONATELLA BARTOLOMEI, Casali di Ussita (Macerata) – Marche
Originaria di Casali di Ussita, nell’Alta valle del Nera, una frazione distrutta dal terremoto del 2016 e oggi completamente disabitata, Daniela Bartolomei possiede degli appezzamenti di terra all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. È operatrice turistica dei prodotti agro-alimentari, cuoca e si occupa anche di formazione sempre in questo ambito. «Il cibo è di fondamentale importanza – sostiene – perché unisce tutto ed è un prezioso collante per creare sinergie tra un territorio, la sua cultura, le risorse alimentari e ambientali». Nipote di un “vergaro” che praticava la transumanza negli anni Trenta-Quaranta del secolo scorso, ha fatto tesoro delle parole che suo nonno amava ripeterle: «Lo magnà de li pastori: acquacotta, ricotta e pecora morta». Quale modo migliore per avvicinare i turisti al mondo della pastorizia se non facendo fare loro esperienza di questi cibi poveri legati alla tradizione pastorale? Tra tutti uno in particolare: l’acquacotta.
IVO BOGGIONE, San Benedetto Belbo (Cuneo) – Piemonte
Ivo Boggione è titolare di una piccola azienda agricola con un allevamento di pecore al pascolo e un’apicoltura biologica. Produce formaggio a latte crudo, miele, propoli e polline. Da poco tempo l’azienda è diventata anche fattoria didattica con un crescente impegno verso la multifunzionalità dell’impresa che si trova nel sud del Piemonte, nell’Alta Langa tra i 600 e i 900 metri, con dei crinali che vanno verso la Liguria. Un tempo zona di pastorizia diffusa e per lo più a gestione familiare, oggi presenta allevamenti semi-intensivi. Come molti altri territori dell’interno, San Benedetto Belbo ha subìto un rapido processo di spopolamento; come molti altri centri sta diventando attualmente un paese per villeggianti. Interessante è il fenomeno – segnalato da Ivo Boggione per la provincia di Cuneo e, in particolare, per l’Alta Langa – di un lento ma costante ritorno dei giovani all’agricoltura e alla pastorizia, di cui anche lui è un esempio. Figlio di un bracciante agricolo e di una madre sarda con una famiglia di pastori, Ivo Boggione abbandona gli studi e il suo paese situato in una zona vinicola delle Basse Langhe per trasferirsi nelle terre alte e abbandonate. «Il mio – così dice – è stato un ritorno arrabbiato con il mondo dei veleni e della chimica; nella nostra azienda ci proponiamo di non cadere nell’inganno dell’intensivo, del semi-intensivo e dell’agroindustria, ma anche nella dipendenza dai mangimi, latte in polvere, ecc. In questi anni sono maturati i nostri valori agroeconomici: produrre biologico, conoscere e rispettare la natura e le sue regole, praticare un’agri-cultura del rispetto». In nome della quale Ivo Boggione tiene a ribadire che il suo piccolo gregge di 50-60 capre non è confinato in un recinto, ma viene portato regolarmente al pascolo nei terreni incolti, nei castagneti abbandonati, nei boschi, così come nei prati al posto del secondo sfalcio; tutto ciò grazie ad accordi con gli agricoltori locali che, dopo l’iniziale diffidenza, si sono mostrati sempre più soddisfatti e collaborativi. Agricoltura e pastorizia devono procedere infatti sempre più in simbiosi. Certo non mancano le difficoltà, principalmente legate alla burocrazia e a una normativa spesso pesante, talvolta carente e comunque da migliorare; alla scarsa cultura agroecologica della popolazione e al rischio per gli allevatori di diventare una sorta di museo di un mondo che non c’è più o di svago per chi viene dalla città; «quello che invece stiamo tentando, conclude Ivo Boggione, è fare un po’ di profezia e di pungolo per il futuro».
ANGELO CITRO, Salerno (Campania)
Medico veterinario e referente del Centro di riferimento regionale dei prodotti agroalimentari tradizionali (ASUR Salerno), Angelo Citro è specialista in ispezioni degli alimenti di origine animale, in alimentazione e malattie degli animali domestici e in polizia sanitaria.
«Mi interesso – ci ricorda – in particolare dei prodotti a base di latte e cerco di favorire una produzione di qualità, seguendo le norme. Noi siamo i cosiddetti burocrati e quindi facciamo parte delle difficoltà più volte evidenziate dagli allevatori e dai produttori nel corso dei nostri incontri. Ma la vera difficoltà – a mio avviso – non è legata alla burocrazia, quanto semmai all’ignoranza di alcune norme. Se si riuscisse ad andare a braccetto, sarebbe meglio».
CLAUDIA COMAR, Val della Torre (Torino) – Piemonte
Artigiana magliaia, in Piemonte è stata riconosciuta Eccellenza Artigiana e da anni lavora lane particolari, perché tracciabili, a filiera corta e controllata. «Mi sono avvicinata alle lane tracciabili – racconta Claudia Comar – perché volevo contribuire con il mio lavoro ad un’economia diversa e molto più etica». E aggiunge: «Mi sono resa conto che potevo essere un anello di congiunzione tra gli allevatori e i produttori del territorio, perché sono portatrice di informazioni. Ho seguito incontri, convegni ed eventi anche all’estero, per cui ho una consapevolezza del mondo della lana pazientemente costruita negli anni». Questo mondo è estremamente complesso e Claudia Comar ne analizza i vari aspetti, mettendo in evidenza, per ogni fenomeno rilevato, le luci e le ombre, le potenzialità ma anche i risvolti problematici. Sta aumentando l’interesse per le lane tracciabili e locali, insieme al piacere di lavorarle, di realizzare qualcosa con le proprie mani; da diversi anni stanno nascendo tante piccole filiere e questo è un buon segno, ma – avverte – è fondamentale che non cresca solo l’offerta ma anche la domanda, perché se si perde questo equilibrio, si finisce per saturare subito il mercato. Da qualche tempo anche le grandi aziende tessili hanno iniziato a occuparsi di sostenibilità in fatto di lane, ma – sottolinea Claudia – «abbiamo l’impressione che ci sia molto greenwashing»: se agli allevatori non si riconoscono il valore e il giusto prezzo della lana prodotta, allora questo interesse da parte della grande industria è di pura facciata e la ricaduta sul territorio è pressoché nulla. Il nodo centrale nell’analisi di Claudia Comar è quello del coinvolgimento degli allevatori, molti dei quali si trovano sempre più spesso a dover pagare perché le lane vengano smaltite o – come può succedere – eliminate in modo non troppo corretto. Non si può pretendere che un allevatore si occupi della tosa, della cernita e della raccolta della lana, se questa non produce reddito, se – da un punto di vista normativo – essa continua a essere considerata un sottoprodotto e non un prodotto agricolo a tutti gli effetti. Che fare? Secondo Claudia Comar «abbiamo necessità di partire dal basso e di far conoscere l’importanza della lana e in particolare dell’utilizzo delle lane prodotte nel territorio, possibilmente non in modo intensivo ma estensivo: esperienze di questo tipo stanno fiorendo in Italia perché la gente è disposta a pagare di più per un prodotto che abbia un valore aggiunto per la storia e la tracciabilità che ci sono dietro».
MARIA MATIAS CONTRO, Valduggia (Vercelli) – Piemonte
Studentessa master in Creativity Ecology and Education presso l’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Cuneo), Maria Matias Contro vive a Valduggia in Valsesia dove si trova una villa abbandonata, distrutta dai bombardamenti tedeschi durante la seconda guerra mondiale. È lì che, dopo un complesso lavoro di recupero conservativo, Maria Matias Contro vorrebbe creare una Scuola internazionale di pastorizia «che abbia un collegamento con tutto il mondo, perché i problemi e le criticità che oggi stiamo affrontando sono mondiali e non solo locali». Il progetto costituisce l’oggetto della sua tesi di master di prossima discussione.
«Il pastore – sostiene – è uno dei pochissimi mestieri, se non l’unico in cui l’essere umano migliora veramente l’ambiente dove vive invece di sentirsi superiore, di sentirsi altro e al di fuori; il pastore collabora, si prende cura e vive la montagna. E infatti quella che sto progettando è una scuola della montagna, sulla montagna (perché stiamo in alta valle) e per la montagna».
MARIA PIA GRAZIANI, Villetta Barrea (L’Aquila) – Abruzzo
Maria Pia Graziani appartiene ad una famiglia abruzzese di Villetta Barrea (Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise) che già nel 1500 portava le pecore in Puglia. Da allora la tradizione familiare è continuata fino ad oggi: attualmente è un giovane nipote a praticare la transumanza tra l’Abruzzo e il Tavoliere (prima a piedi, poi in treno e successivamente in camion), con un gregge di circa mille capi e un allevamento estensivo. Maria Pia Graziani gestisce il Museo della transumanza a Villetta Barrea, il primo museo di questo genere in Italia. Esso ospita una ricca collezione di attrezzi donati dalla popolazione e ha il pregio di essere un museo diffuso nel territorio: un punto di partenza in cui i visitatori apprendono la storia della transumanza dal 7000 a.C. ai giorni nostri e successivamente vengono accompagnati negli stazzi in montagna, nelle aziende pastorali, nei tratturi per conoscere storie, cibi e prodotti della tradizione. «Il mio sogno – conclude Maria Pia Graziani – è quello di dare un’immagine più innovativa al museo e più efficace sul piano della comunicazione. E ho anche un altro sogno che spero di realizzare: che i tratturi di Abruzzo, antiche vie della lana, oggi effettivi Monumenti verdi che offrono possibilità di escursionismo e di fruizione di paesaggi meravigliosi e di tradizioni pastorali, possano diventare “Vie dell’Arte”, con una ricaduta significativa sulla vita culturale e sociale ma anche economica delle aree interne».
MARINA GROSSI, Poggio San Vittoriano (Teramo) – Abruzzo
Marina Grossi si occupa di cani, con particolare attenzione alle relazioni uomo-animale. Da qualche anno sta portando avanti il progetto “Cani di confine”, partendo proprio dalla zona di confine in cui abita: le colline del teramano molto vicine alle Marche; una zona rurale ma prossima alla città così come ai luoghi in cui sono scesi i lupi dal Gran Sasso. Marina Grossi auspica che, grazie al corso, possa attivare nuove sinergie con altri territori perché è alla ricerca di informazioni, ma anche di vite vissute legate ai cani che seguono le greggi sia a livello di guardiania sia come conduttori, perché le notizie in questo ambito sono estremamente carenti e non trovano spazio nelle pubblicazioni. Afferma Marina Grossi: «Non c’è pastorizia senza un cane da pastore, perché esso è riuscito a far gestire a pochi esseri umani moltissimi capi di bestiame: un aspetto sempre più emergente laddove i piani di recupero della pastorizia dovranno prevedere una corretta convivenza con i lupi. I progetti attuali sui cani da guardiania, con particolare attenzione al pastore abruzzese, puntano l’accento sul loro ruolo di arma ecologica, come deterrente cioè nei confronti dei lupi. Credo però che, accanto all’opera di tutela delle pecore, si debba considerare e valorizzare la presenza dei cani come espressione della cultura pastorale». In questa direzione Marina Grossi auspica un’interazione con gli operatori turistici per affrontare situazioni problematiche, dovute alla presenza dei pascoli e dei cani, e per poterle gestire nei migliori dei modi.
FRANCO LAGANÀ, CAI – COMITATO SCIENTIFICO MARCHE UMBRIA
Nel 2017 il Comitato Scientifico del CAI – Gruppo Regionale Marche – pubblicava il volume Sorgenti e fonti di alta quota del Parco Nazionale dei Sibillini, frutto di una lunga ricerca che aveva censito 112 sorgenti sopra i 1300 metri di quota, fondamentali per la vita degli uomini e degli animali dei pascoli alti. Anche grazie ad esse, i Monti Sibillini si sono caratterizzati e distinti nei secoli scorsi per la fiorente pastorizia a cui è rivolta la nuova ricerca del CAI, finalizzata al censimento dei casali. Iniziata nel 2019 e durata per circa tre anni, essa ha interessato il territorio del Parco Nazionale di Monti Sibillini (esteso per oltre 70 mila ettari), con la misurazione e la classificazione della tipologia dei casali, alcuni dei quali caratterizzati da una vita lunghissima. Il censimento ha avuto anche l’obiettivo di verificare i danni, in molti casi gravissimi, causati dal terremoto del 2016. Gli esiti della ricerca, non ancora pubblicati, sono stati anticipati da Franco Laganà nel suo attento resoconto. Sono state individuate e censite 150 strutture tra casali veri e propri, e altri manufatti agrosilvopastorali: recinti, stazzi, silos e stalle, metà dei quali crollati in seguito al sisma. Molte e interessanti le tipologie dei casali, così come le loro storie legate strettamente alle grandi famiglie originarie di Ussita; molti di essi sono abbandonati e diruti, altri ancora in funzione e destinati ad accogliere i pastori (che però preferiscono sempre di più le roulotte), ma anche gruppi di escursionisti. Tra i tanti aspetti emersi dalla ricerca, Franco Laganà fa notare che nel versante occidentale dei Monti Sibillini i casali sono tutti di proprietà privata, mentre in quello orientale verso l’Adriatico, buona parte di essi appartengono alle comunanze agrarie.
PAOLA PASQUERO, Borgata Paraloup (Cuneo) – Piemonte
Paraloup, ossia “al riparo dai lupi”, è una micro-borgata alpina situata a 1360 metri nel Comune di Rittana in provincia di Cuneo, nella Valle Stura. La borgata ha accolto per secoli pastori e greggi; nel secolo scorso, durante la Resistenza, è diventata per molti giovani, tra i quali Duccio Galimberti e Nuto Revelli, luogo strategico della guerra partigiana. Dopo un lungo periodo di spopolamento e di abbandono, nel 2006 la Fondazione Nuto Revelli ha deciso di recuperare e rigenerare la borgata per realizzare e mettere a disposizione delle comunità, delle scuole e del pubblico un luogo testimone di una doppia memoria e di una doppia resistenza: quella della guerra partigiana e quella della vita rurale di montagna. Oggi – come afferma Paola Pasquero – Paraloup «è un laboratorio di innovazione culturale e sociale per un ritorno sostenibile alla vita, allo sviluppo e alla creatività in montagna». Uno dei percorsi di riqualificazione di quest’area marginale è il progetto “Rinascita pastorale alpina”, nato per favorire una realtà produttiva all’interno della borgata, attraverso l’insediamento in loco di un pastore che pascolerà il suo gregge di capre, caseificherà e vivrà in borgata. Per i pascoli si utilizzano i terreni incolti che i proprietari hanno conferito all’Associazione Fondiaria Valli Libere. Si tratta della creazione di un modello che potrebbe essere replicato in altri contesti simili. Nel frattempo, come sottolinea Paola Pasquero, il nuovo insediamento pastorale, già avviato anche se non completato, è servito ad attivare nuove forme di ecoturismo e a tutelare l’ambiente con una maggiore cura e pulizia del territorio.
PAOLO CERA e SAMUELE ELISEI, docenti rispettivamente di produzioni vegetali e animali presso l’Istituto Tecnico Agrario, Macerata – Marche
L’Istituto Tecnico Agrario di Macerata ha una lunga storia di oltre 150 anni alle spalle; nasce infatti nel 1869 come colonia agricola con il compito di formare nuove figure professionali, per trasformarsi poi in Regia scuola pratica di agricoltura e infine dal 1933 in Istituto Tecnico Agrario. La scuola, che ospita 900 studenti, sorge su una posizione di bassa collina nell’immediata periferia di Macerata e insieme agli edifici scolastici può contare su un’azienda agricola di 60 ettari che – come sottolineano i docenti – è un laboratorio a cielo aperto con sperimentazioni ed esercitazioni. Si praticano, cercando di coniugare tradizione e innovazione, coltivazioni di viti, olivi e alberi da frutto, oltre ai seminativi e a una zona dedicata al bosco con percorsi naturalistici. La filiera vitivinicola e olivicola è interamente coperta dalla scuola con la produzione di vini e olio. L’allevamento dagli anni Novanta è riservato esclusivamente ai bovini di razza marchigiana che, sino alla fine degli anni Ottanta, venivano tenuti a posta fissa; negli anni successivi, anche per una questione di benessere animale, si è deciso di passare alla stabulazione libera, con un grande recinto esterno dove vengono spostati gli animali nella bella stagione. «Abbiamo voluto aprire una finestra sulla nostra scuola – hanno concluso i due docenti – che è una vera e propria palestra di sperimentazione produttiva e didattica».
Dalle riflessioni a nuove proposte di lavoro
Dalla piccola comunità di apprendimento e autoformazione che si è stretta intorno al corso nei due mesi e mezzo del suo svolgimento, e dall’incontro finale che ne è scaturito, riteniamo opportuno estrapolare alcuni termini chiave e alcune riflessioni che possano essere utili per poter ripartire nel nuovo anno con una nuova, soppesata consapevolezza e competenza.
Da un lato è emerso, empiricamente, l’interesse di una congerie piuttosto eterogenea di soggetti verso questo tipo di offerta formativa: insegnanti, ricercatori/ricercatrici, operatori del settore (pastor*, casar*, tessitor*, cultori/cultrici della materia, artisti e sperimentatori/sperimentatrici di nuove vie della vita rurale). Durante quelle settimane si è fatto spesso riferimento alla prospettiva di una Scuola Nazionale di Pastorizia, da tempo in via di progettazione da parte di un gruppo di esperti (facenti parte di Rete APPIA, CREA, varie Università, Riabitare l’Italia, ecc.) e che oggi, finalmente, sembra prendere avvio. Al tempo stesso si è pensato anche che questo piccolo corso rappresentasse una interessante sperimentazione per l’attività formativa di SNAP per il futuro, quasi una ‘pillola’ di ciò che potrà essere la scuola di pastorizia nel suo insieme: al tempo stesso risposta e nuova sollecitazione a credere in questo comparto come uno degli ambiti strategici della rigenerazione e sviluppo sostenibile delle aree periferiche, rurali e montane del nostro Paese. Dall’altro, abbiamo iniziato a riflettere, strada facendo sui temi-chiave della pastorizia contemporanea e sulle sue intrinseche frizioni e contraddizioni rispetto ai modelli di sviluppo presenti.
In primo luogo la cruciale e ambivalente relazione uomo/animale che oggi più che mai ci pone dinanzi alle istanze delle nuove sensibilità animaliste, ma anche ai temi caldi del cibo etico, prodotto senza sofferenza, del cibo sostenibile e dell’alimentazione consapevole. Un tema evidenziato a più riprese nel nostro corso e, in particolare, nelle testimonianze dell’ultimo incontro, è quello delle controverse convivenze tra animali allevati e grandi predatori, ma anche tra turisti e mondo pastorale. Ne è emersa un’esigenza sempre maggiore di non affidare a posizioni preconcette queste delicate scelte di gestione degli allevamenti e degli stili di pastorizia, ma al contrario affinare sempre più le competenze, l’uso delle tecnologie, dei nuovi sistemi di prevenzione, per permettere agli allevatori di continuare a tenere i loro animali al pascolo senza rischiare di perderne così tanti da divenire insostenibile in termini economici e affettivi.
In secondo luogo è cresciuto l’interesse verso il tema della multifunzionalità in agricoltura, su cui si è concentrata l’attenzione di molti partecipanti, oltre che delle relazioni tematiche proposte dai docenti. L’idea di un mondo rurale che cambia e si trasforma in ragione dei cambiamenti ambientali – il clima, lo sfruttamento del suolo, l’inquinamento, l’aumento della pressione demografica, ecc. – impone sempre più spesso un’idea di azienda agricola e pastorale che tenga insieme più aspetti: la produzione di materie prime (il latte, la carne, la lana, anche se quest’ultima sempre meno ambita e competitiva sul mercato industriale dei tessuti); le attività secondarie di trasformazione e distribuzione di queste materie (i canali più o meno di prossimità della distribuzione, la caseificazione e macellazione/confezione delle carni, le lavature/cardature/filature delle lane, ecc.) e infine il complesso molto diversificato delle attività terziarie che, intorno alle aree montane e ai pascoli, tengono insieme il potenziale turistico, il patrimonio culturale, la possibilità di realizzare percorsi museali e soprattutto eco-museali. Non è un caso che proprio nell’ultimo incontro sia tornato a più riprese il riferimento a esperienze virtuose di cura e presidio dei territori montani anche attraverso la ripresa e la valorizzazione di attività di pastorizia estensiva, come a Borgata Paraloup o ancora nell’Ecomuseo della Pastorizia di Pontebernardo.
La lana – cui si è già fatto riferimento in precedenza – ci aiuta in qualche modo a fare sintesi, presentandosi come un elemento di grande rilievo appreso proprio dai pastori e discusso durante queste settimane con tutti gli operatori e le operatrici del settore. Se un tempo – come tutti i pastori raccontano – la lana sosteneva la pastorizia e ne caratterizzava in modo rilevante le finalità, i tempi, le strutture viarie e di trasformazione, gli snodi urbani di riferimento, da un certo momento in poi la sua centralità nel sistema dell’industria tessile è decaduta repentinamente, soppiantata da altre fibre.
C’è molta tradizione nella filiera della lana, percorsi di riscoperta delle fibre e tinture naturali, di forme e modi recuperati dal passato nella lavorazione e nei motivi decorativi. Al tempo stesso, però, in questi ritorni verso la lana c’è anche molta innovazione: impieghi alternativi delle lane rustiche – nella bio-edilizia in primis, nell’abbigliamento tecnico, nel design, nei complementi d’arredo –, uso dei canali digitali per accorciare le catene di distribuzione, per aumentare la circolazione dei materiali. Inoltre, la lana allude a un mondo di bellezza e di arte che accompagna spesso i processi di rigenerazione territoriale e comunitaria. Per questa via si costituisce anche come elemento di contrasto e alternativo ai vincoli e alle costrizioni della GDO (grande distribuzione organizzata), proponendo una rappresentazione della pastorizia come attività capace al contempo di generare risorse e valore, anche di natura economica, oltre che simbolica, contro le strozzature dell’agricoltura e della pastorizia tradizionali da parte della grande agroindustria e dei grandi circuiti della globalizzazione delle merci. Si tratta di pensare, quindi, una nuova idea di valore, rimettendo al centro le produzioni di piccole dimensioni, artigianali, attente al benessere delle persone e degli animali, conferendo nuovamente valore al lavoro dei pastori e dei trasformatori delle risorse prodotte dagli allevamenti, riconoscendo il ruolo al contempo produttivo e di salvaguardia territoriale degli allevatori, portando avanti una critica esperta, attenta e puntuale della nuova Politica Agricola Comune e dei nuovi Programmi di Sviluppo Rurale.
Comprendere, orientarsi, sapersi muovere nello spazio rurale così come nella foresta di finanziamenti e supporti alle aziende che si occupano di filiere agroalimentari, significa riportare la formazione al cuore delle politiche di sviluppo sostenibile, pensare la scuola ancora una volta come cuore del cambiamento e della transizione verso forme più sostenibili di alimentazione, permettere ai giovani di dotarsi degli strumenti utili al loro empowerment, a riprendersi una titolarità dei processi di rigenerazione.
Oggi, forti dell’esperienza del primo corso realizzato, ci stiamo avviando a riprogrammare una nuova esperienza formativa per il nuovo anno scolastico. Pensiamo a una riflessione capace di attraversare ambiti e comunità di pratiche agricole e pastorali diverse (questa volta non limitata al solo pastoralismo), con una grande attenzione alle positività e alle frizioni del mondo rurale e agricolo nel suo complesso, alle contraddizioni spesso inconciliabili tra grandi circuiti della produzione e cibo locale, sostenibile e di prossimità.
Attraversare le campagne e le loro difficoltà, immaginando l’agricoltura e la pastorizia come forme di cura, di presa in carico responsabile del destino dei territori e delle comunità, ci sembra uno spunto fecondo per proseguire in questa nostra proposta di confronto e formazione: vorremmo allargare il nostro sguardo verso il mondo dell’agricoltura sostenibile e insostenibile, verso le frizioni che attraversano i temi cruciali della cittadinanza alimentare, delle scelte per un cibo più equo, più pulito e più etico, per nuove forme di economia morale. Ci pare che sia questo un modo nuovo per pensare le culture del territorio e lavorare con le nuove generazioni, ascoltando in modo più attento le attuali e sedimentate criticità, le nuove e vecchie urgenze, ma anche raccogliendo semi di positività e di speranza, prospettive di biodiversità al tempo stesso naturale e culturale. Lo faremo a partire dall’impostazione sperimentata nell’incontro “Esperienze e territori a confronto”, dando subito spazio e voce alle esperienze territoriali, per farle quindi dialogare con esperti e ricercatori. Una scelta metodologica “rovesciata” che ci auguriamo possa dare vita a un dibattito sempre più ampio e appassionato.
Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022
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Letizia Bindi, docente di discipline demoetnoantropologiche e direttore del Centro di ricerca ‘BIOCULT’ presso lo stesso Ateneo molisano. Presidente dell’Associazione “DiCultHer – FARO Molise” per la piena attuazione della Convenzione di Faro nel territorio regionale molisano. Si occupa di storia delle discipline demoetnoantropologiche, di rapporto tra culture locali e immagini della Nazione nella storia italiana recente e sulla relazione più recente tra rappresentazione del patrimonio bio-culturale e le forme di espressione digitale. Su un fronte più strettamente etnografico ha studiato negli scorsi anni i percorsi di integrazione dei migranti, alcuni sistemi festivi e cerimoniali, la relazione uomo-animale nelle pratiche culturali delle comunità rurali e pastorali, la transumanza dinanzi alle sfide della tarda modernità e della patrimonializzazione UNESCO. Visiting Professor in varie Università europee, coordina alcuni progetti internazionali sui temi dello sviluppo territoriale sostenibile e i patrimoni bio-culturali (EARTH – Erasmus + CBHE Project con Università Europee e LatinoAmericane) e il Progetto ‘TraPP (Trashumancia y Pastoralismo como elementos del Patrimonio Bio-Cultural) in collaborazione con le Università della Patagonia argentina.
Paolo Coppari, già docente di Lettere presso la Scuola Secondaria di I grado, è autore di pubblicazioni di didattica della storia, ha svolto attività di insegnamento presso la Scuola Interuniversitaria di Specializzazione all’Insegnamento Secondario dell’Università di Macerata e collabora da anni con Clio ’92, Associazione di insegnanti e ricercatori sulla didattica della storia. Nel 2008 è stato tra i fondatori della rete regionale “Le Marche fanno Storie” che ha coordinato nei suoi sette anni di attività, con la realizzazione di corsi di formazione nell’ambito dell’insegnamento della storia e dell’educazione alla cittadinanza, la promozione di esperienze di innovazione didattica e l’organizzazione di convegni ed eventi regionali. Dal 2016 al 2019 ha ricoperto la carica di presidente dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea “M. Morbiducci” di Macerata per il quale segue e coordina i “Cantieri Mobili di Storia” nei paesi del doposisma: un progetto itinerante nell’entroterra maceratese.
Grazia Di Petta, insegnante di Lettere nella Scuola Secondaria di II grado I.I.S. “Giuseppe Garibaldi” di Macerata è da tempo impegnata nei corsi di Formazione dei docenti di ogni ordine e grado sui temi inerenti le problematiche relazionali, la ricerca di strategie didattiche per la soluzione dei conflitti ed intervento nel campo della didattica per la prevenzione ad ogni forma di violenza e radicalizzazione nelle scuole. Dal 2013 ad oggi svolge la funzione di Docente Esperta dei Nuclei Estreni di Valutazione (Profilo: esperto nell’area pedagogico-didattica) per l’INVALSI con compiti di analisi delle Organizzazioni scolastiche, verifica degli obiettivi, strutturazione dei Piani di Miglioramento, supporto ai processi di valutazione, innovazione e miglioramento. Nel 2014 ha fatto parte del Nucleo Regionale di Valutazione presso l’Ufficio Scolastico Regionale per le Marche, per l’organizzazione delle iniziative di informazione e formazione sui temi dell’autovalutazione. Dal 2021 è membro dell’IRASE regione Marche.
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