di Alberto Vito
Il giorno 28 Aprile a Napoli presso l’Ospedale D. Cotugno è stata inaugurata la prima Sala Multiculto e del Silenzio all’interno di un ospedale della Regione Campania. L’Ospedale Cotugno è uno dei tre poli ospedalieri a carattere monospecialistico infettivologico esistenti in Italia, insieme allo Spallanzani di Roma e all’Ospedale Sacco di Milano; è noto anche per essere stato in prima linea nella lotta al Covid 19, divenendo Covid Center, con ben 200 posti dedicati, nei molti mesi in cui la necessità di ricovero ospedaliero per tale patologia è stata molto elevata [1].
L’utenza abituale del Cotugno degli ultimi anni è costituita da pazienti infettivologici, in prevalenza affetti da Hiv-Aids, tisiologici, epatopatici. In passato, è stato anche l’ospedale dove sono stati ricoverati circa 900 pazienti (di cui 150 circa positivi) nella vicenda del colera a Napoli nell’anno 1973. Tutt’oggi, oltre il 50% dell’Ospedale, che ha vissuto negli ultimi due anni una radicale riconversione proprio per aumentare i posti letto, è dedicato ai pazienti covid, per cui sono obbligatori percorsi protetti per ovvie esigenze di contrasto alla diffusione del contagio [2].
La Sala Multiculto è stata inaugurata dal Direttore Generale degli Ospedali dei Colli [3]. La Direzione strategica aziendale negli scorsi mesi aveva fatta propria la proposta del responsabile dell’U.O.S.D. di Psicologia Clinica ed aveva dato mandato agli Uffici Tecnici di progettare e realizzare lo spazio, che riconosce l’importanza dei bisogni spirituali durante l’esperienza di malattia e garantisce un ambiente dedicato alla preghiera e alla meditazione per tutti. Infatti, come è noto (vedi Bonardi A., in D.M. n. 52), per Sala Multiculto e del Silenzio si intende uno spazio neutro destinato a tutte le diversità per pregare, elaborare sofferenza, dolore o lutto, pensare, raccogliersi, rigenerarsi. Tali ambienti, secondo le dimensioni, possono essere utilizzati anche per ospitare incontri e seminari, con un’attenzione alla dimensione psicologica, culturale, spirituale e religiosa. Negli ultimi anni in diversi ospedali italiani, circa 30, sono state realizzate Sale Multiculto, ove i pazienti di qualsiasi fede o confessione possono trovare raccoglimento e accoglienza spirituale. Tali ambienti sono prevalentemente organizzati come spazi vuoti, arredati solo con alcune sedie lungo le pareti, talvolta con dei tappeti e una bussola a disposizione dei cittadini di fede musulmana. Altre volte, si tratta di ambienti che contengono lievi riferimenti a diverse confessioni religiose [4]
La prima sala del silenzio fu realizzata nel Palazzo dell’ONU a New York nel 1957, per volontà di Dag Hammarskjold, allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, che volle questo spazio dedicato alla meditazione utilizzabile da tutti i visitatori e i dipendenti della grande organizzazione internazionale, consapevole del rilevante significato simbolico di pace e fratellanza tra i popoli. Successivamente sono state realizzate all’estero diverse sale simili nei principali aeroporti delle grandi città e recentemente il Gruppo Nazionale di lavoro per la stanza del Silenzio e dei Culti (vedi sito https://www.stanzadelsilenzio.it/) si sta attivando con forza per proporre la creazione di stanze multifedi nelle carceri italiane. Anche in questo caso si tratterebbe di una risposta di grande civiltà, probabilmente in grado di ridurre la conflittualità all’interno delle istituzioni penitenziarie.
Tornando agli ospedali, la creazione di Sale Multiculto nasce dalla consapevolezza ormai sempre più diffusa di quanto il concetto di salute comprenda non solo il benessere psicologico e relazionale dell’individuo ma anche la dimensione spirituale della salute. Ripensare le modalità di accogliere ed assistere i pazienti con una particolare attenzione agli aspetti spirituali diventa quindi una necessità per garantire un pieno diritto alla salute di ogni paziente. I riferimenti legislativi, nazionali e sovranazionali in tal senso sono numerosi. Come operatori sanitari sappiamo bene quanto proprio nell’esperienza di malattia sia più forte l’emergere dei bisogni spirituali e le esigenze di preghiera. Abbiamo osservato tante volte che per i pazienti la preghiera rappresenta un rifugio e un sostegno. L’importanza dei bisogni spirituali deve valere per tutti e, presa atto della dimensione sempre più multietnica e multiculturale della nostra società e della città di Napoli, tali bisogni vanno rispettati con la creazione di spazi condivisi e dedicati alla riflessione, alla preghiera e alla meditazione.
Napoli, con 56.469 stranieri residenti (6,1% della popolazione residente) è tra le città a più alta concentrazione di immigrati del Mezzogiorno e della Campania. La peculiarità della presenza immigrata a Napoli sembra essere l’estrema varietà delle comunità, pur se con una forte predominanza di quelle che provengono dall’Europa Orientale (soprattutto Ucraina) e dell’Asia, (Sri Lanka e Cina), seguite da quelle africane. La comunità straniera più numerosa è quella proveniente dallo Sri Lanka (ex Ceylon) con il 26,7% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dall’Ucraina (14,0%) e dalla Repubblica Popolare Cinese (8,8%). Nel complesso, il 51,58% ha origini asiatiche e proviene da 35 diversi Paesi, il 27,39% proviene dai paesi europei, ben 41, mentre il 14,33% da 46 nazioni del continente africano. Sui totali della Campania, invece, gli Ucraini sono seguiti da Rumeni e Marocchini, anche per le maggiori possibilità di impiego che essi trovano rispettivamente nelle attività edili ed agricole dell’area casertana. In particolare, gli stranieri residenti in provincia di Caserta al 1° gennaio 2021 sono 47.933 e rappresentano il 5,3% della popolazione residente, quelli nella provincia di Salerno sono 51.676 (4,8%), mentre nettamente inferiore è la presenza nelle province di Avellino e Benevento [5].
A Napoli, il modello insediativo seguito dalla maggioranza della popolazione immigrata è di tipo diffuso, disperso nel territorio e in questo sembra seguire una peculiarità tipicamente partenopea, ove in nessun quartiere vi è una connotazione di ceto marcatamente unitaria. Sfuggono a questa logica, per motivi diversi, la comunità cinese e quella rom, con un minore livello di integrazione e abitanti in contesti di forte difesa identitaria. È il centro della città, in particolare le zone intorno a Piazza Garibaldi, ad esercitare una notevole funzione polarizzante: sono qui concentrati la maggior parte dei servizi e uffici del Terzo Settore, incluse le attività di associazionismo etnico.
In particolare per gli psicologi è molto importante la capacità di ascolto e di osservazione dei bisogni dei pazienti. Io non sono fautore di una psicologia “prescrittiva” ed ovviamente il nostro ruolo non è consigliare i nostri pazienti ad assumere certe scelte piuttosto che altre. Non è questo il nostro compito. Infatti, non a caso, nella formazione degli psicoterapeuti una parte essenziale del lavoro su di sé consiste proprio nell’acquisire la capacità di rifiutare la delega che, più o meno consapevolmente, può giungerci dai nostri pazienti in una situazione di difficoltà per indicare loro cosa è giusto fare. Al contrario, il nostro lavoro consiste nell’ampliare l’autonomia della persona, aiutandolo a vedere pro e contro di ciascuna opzione e di ricercare i motivi profondi della propria incertezza. In pratica, nostro compito è favorire l’espressione delle risorse già presenti nell’altro.
Oltre a ciò, a proposito delle competenze necessarie in ambito clinico, gli psicologi devono acquisire una particolare capacità osservativa, tendenzialmente “neutrale” che li protegga anche dall’interferenza proveniente dal proprio personale punto di vista. E se si guardano le cose in maniera obiettiva, in modo scevro da pregiudizi, quale che sia la propria posizione personale nei confronti della preghiera, è indubitabile riconoscere che durante un ricovero ospedaliero e, in genere, durante l’esperienza di malattia, emergono con più vigore i bisogni spirituali, le domande di senso esistenziale e, per molti, il bisogno di pregare. Inoltre, è molto interessante notare come, sebbene spesso in passato siano stati erroneamente contrapposti i bisogni e le prassi psicologiche a quelle adottate dai ministri di culto, negli ultimi anni, proprio a partire dagli ospedali, siano sempre più frequenti le proficue alleanze e collaborazioni tra psicologi e sacerdoti. Entrambi i ruoli, pur da versanti diversi, possono fornire un grande aiuto e sostegno alle persone ammalate impegnate nella ricerca di senso.
In tal senso, credo che la creazione di Sale Multiculto possa essere inteso in modo ampio come progetto di psicologia ospedaliera, se diamo a tale disciplina il compito di favorire la presa in carico globale del paziente, curando quindi non solo la malattia ma la persona. In tal modo, si riconosce che i bisogni soggettivi, ovvero quelli psicologici, affettivi, relazionali, ed anche quelli spirituali, talvolta bistrattati per ragioni di miopia culturale, svolgono un ruolo attivo nel percorso terapeutico del paziente affetto da patologia organica. Siamo consapevoli che un ospedale moderno non è tale solo se dotato di apparecchiature tecnologiche sempre più sofisticate, ovviamente indispensabili, ma deve possedere anche la capacità di presa in carico di tutti i bisogni soggettivi dei pazienti e dei loro familiari. Anche la soluzione estetica adottata al Cotugno è molto bella ed originale: chi ha progettato l’ambiente lo ha connotato con undici grandi pannelli monocromatici che rappresentano solo indirettamente un riferimento alle diverse comunità religiose, ma che nel contempo inducono al raccoglimento e alla riflessione, richiamando anche alla pace.
Infine, non è un caso che un’esperienza del genere si realizzi presso l’Ospedale Cotugno. In esso, a vocazione infettivologica, negli anni è stata forte la presenza di ricoverati provenienti dal nord e centro Africa, dall’est europeo e dal sud asiatico. L’Ospedale ha da sempre curato non solo pazienti di diverse etnie, provenienti da almeno tre continenti, ma anche di diverse condizioni sociali, culturali ed esistenziali, senza alcun tipo di discriminazione e ha costituito negli anni un modello di accoglienza e di attenzione all’umanizzazione delle cure. A conferma di tale attitudine, basti pensare che già nel 2005 l’U.O. di Psicologia promosse, in collaborazione con il Comune di Napoli, un progetto che consentì la presenza su chiamata di mediatori culturali in ospedale. È interessante notare che i miei colleghi del Cotugno hanno acquisito sul campo la competenza relazionale, che è stata oggetto di apprezzamenti quasi unanimi nel corso della recente pandemia. Occupandosi di malattie infettive, hanno sempre lavorato anche con gli ultimi: pazienti con doppia o tripla diagnosi, con situazioni di gravi marginalità sociale. È sempre stato un presidio di accoglienza e questo ha fatto la differenza, anche nell’approcciarsi ad una malattia nuova e temibile come il covid, soprattutto nei primi mesi a partire da febbraio-marzo 2020. Per questo motivo, reputo la creazione della Sala Multiculto perfettamente in linea con la storia pluridecennale di questo Ospedale ed è in assoluta continuità con la sua capacità di garantire accoglienza e assistenza.
In conclusione, possiamo affermare che garantire a tutti, a prescindere dalla fede religiosa, uno spazio per la preghiera, la meditazione o il raccoglimento è un segnale di civiltà importante, che arricchisce, soprattutto nelle realtà urbane maggiormente multietniche, la nostra capacità di garantire accoglienza e assistenza multiculturale. Ovviamente, la creazione di Sale Multi-culto non va a scapito dei credenti cattolici e l’appartenenza della religione cattolica nella nostra quotidianità è un dato di fatto. (Non a caso nella nostra esperienza napoletana la Curia ha condiviso il progetto). Così come l’educazione all’accoglienza, il rispetto della diversità e il pari diritto alla cura sono valori fondanti della nostra collettività. Inutile ricordare che molti pazienti stranieri sono cattolici, così come non sono pochi gli italiani che aderiscono ad altri orientamenti spirituali.
La realizzazione di Sale Multiculto negli ospedali, ma anche negli aeroporti, nelle università o nelle carceri, rappresenta una risposta efficace ai cambiamenti in atto nella nostra società e risponde alle sfide dell’integrazione attraverso nuove forme di solidarietà, condivisione e corresponsabilità. Negli ospedali, in particolare, sono espressione di una medicina “olistica”, sempre più attenta ai bisogni soggettivi e ai vissuti emotivi dei pazienti e dei loro familiari, alla comunicazione, all’integrazione dei saperi interdisciplinari contro un modello di iperspecializzazione, spesso tecnologicamente all’avanguardia ma fredda e spersonalizzante. Si tratta di impostazioni culturali che, nelle loro versioni estreme, sono profondamente incompatibili, da cui derivano prassi operative assai diverse. Anche la recente pandemia, tuttavia, ha insegnato come sia irrinunciabile la presa in carico dei bisogni relazionali e quanto le esigenze di comunicazione siano insopprimibili, perfino nei contesti ove le esigenze di protezione dal contagio hanno imposto l’isolamento [6].
Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022
Note
[1] In questo periodo, ha ricevuto anche importanti riconoscimenti internazionali in quanto per molti mesi nessun operatore sanitario si era infettato di covid, come testimoniato da un servizio giornalistico televisivo a cura di Stuart Ramsay di Sky-UK (link. https://www.youtube.com/watch?v=Mg8w6ELniK4), andato in onda in varie nazioni a marzo 2020, in cui le procedure di sicurezza adottate sono state considerate un modello.
[2] Dal punto di vista amministrativo il Cotugno fa parte dell’A.O. Ospedali dei Colli, istituita nel 2011, che include anche l’Ospedale Monaldi, il maggiore dei tre nosocomi, e il C.T.O., ove è attivo un Pronto Soccorso. Attualmente è Direttore generale il dott. Maurizio Di Mauro.
[3] All’inaugurazione sono intervenuti Padre Gaetano Castello, vescovo vicario, responsabile per l’Ecumenismo della Curia Arcivescovile di Napoli, il Dott. Massimo Cozzolino, Segretario Generale della Confederazione Islamica Italiana, l’Imam Amar Adballah, rappresentante dell’UCOII, Unione delle Comunità Islamiche Italiane, il Dott. Vincenzo De Ieso, Prefetto generale della Chiesa Taoista Italiana, l’architetto Sivio Cossa della Comunità Baha’i, la dott.ssa Checca Villani, rappresentante della Soka Gakkai, il medico dott. Gino Vitiello, della Comunità buddista Dzochen, il pastore Giuseppe Verrillo della Chiesa Evangelica di Volla, la signora Greetie Van der Veer, predicatrice della Chiesa Valdese-Metodista, Vincenzo Roberto e Laura Nemolato del tempio napoletano BuddhistVihara e una rappresentante dell’U.A.A.R. (Unione Atei e Agnostici). Inoltre, è intervenuta la Vice Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Campania ed erano presenti alcuni mediatori culturali.
[4] Tra le prime nel nostro Paese, sono state inaugurate nel 2013 la “Sala del Silenzio” dell’A.O. Universitaria Sant’Anna di Ferrara e nel 2014 quella dell’Ospedale Santo Stefano di Prato, città a forte vocazione multietnica. Spazi simili esistono nell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, nell’Ospedale Civico di Palermo nel Centro Oncologico, a Milano presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori e presso la Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, a Torino presso l’Ospedale San Giovanni Battista-Molinette e presso l’A.O. Ordine Mauriziano ed anche l’A.O. San Camillo Forlanini di Roma e l’A.U.S.L. Roma E – Ospedale S. Spirito si sono dotate di sale multi culto.
[5] Dati al 1 gennaio 2021 che tengono conto del Censimento permanente della popolazione: https://www.tuttitalia.it/campania/59-napoli/statistiche/cittadini-stranieri-2021/
[6] Chi è interessato a tale tematica può far riferimento al già citato Gruppo nazionale di Lavoro per La stanza del Silenzio e dei Culti, che raccoglie gli operatori più attenti al tema fornendo informazioni scientifiche, eventi formativi e coordinamento per la diffusione di iniziative volte all’accoglienza in ospedali, carceri, università.
Riferimenti bibliografici
Bonardi. A, Le Stanze del Silenzio e dei Culti: lo stato dell’arte in Italia in “Dialoghi Mediterranei” n. 52, novembre 2021.
Raimondi S., Un Comitato per la Stanza del Silenzio o dei Culti: prime risposte per spazi multifede, in “Dialoghi Mediterranei” n. 23, gennaio 2017.
Vito A. (cur.), Psicologi in Ospedale. Percorsi operativi per la cura globale di persone, Franco Angeli, Milano, 2014.
Sitografia
https://www.stanzadelsilenzio.it/
_________________________________________________________
Alberto Vito, psicologo, psicoterapeuta familiare, sociologo, dirige l’UOSD di Psicologia Clinica dell’A.O.R.N. Ospedali dei Colli di Napoli. Insegna nel Corso di Laurea di Fisioterapia presso l’Università Federico II di Napoli ed è didatta della Scuola Romana di Psicoterapia Familiare. È stato Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Napoli e componente Commissione Nazionale per la lotta contro l’Aids del Ministero della Salute. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, inerenti la terapia familiare, la psicologia giuridica e la psicologia ospedaliera, tra cui i volumi: Affetti speciali. Uno psicologo (si) racconta, Edizioni Psiconline, Chieti, (2012); Psicologi in Ospedale. Percorsi operativi per la cura globale di persone, Franco Angeli (cur., 2014); La Perizia nelle separazioni: Guida all’intervento psicologico, Franco Angeli (II ediz. Agg.2017, I ediz. 2009). È ideatore del progetto “La bellezza che cura” che prevede visite gratuite guidate in musei nazionali per pazienti oncologici, in collaborazione con M.A.N.N. (Museo Archeologico Nazionale di Napoli).
______________________________________________________________