di Fabiola Di Maggio
Possono certe immagini artistiche educarci a un’ecologia della cultura, a una vera e propria Antropologia della Terra? Le nuove tecnologie, come le orbite satellitari, ci consentono di vedere sempre di più immagini originali del nostro pianeta. Sono forme che annullano i confini del tempo e dello spazio, permettendo altresì riflessioni che interagiscono con la realtà naturale, culturale e politica di tutti i giorni.
Dall’alto dello Spazio satellitare non esistono confini. Da lassù la Terra è un continuum. Con la visione satellitare permessa oggi dalle piattaforme Google Maps e Google Earth è difficile poter applicare una qualche antropologia politica o economica. La geografia arbitraria e ordinaria degli uomini viene annullata in favore di una visione fluida e corrente, quasi immaginaria, apolitica e non compromessa dai segni a dai tanti discreta che man mano ci si avvicina con lo sguardo risultano evidenti e non eludibili.
Le bandiere artistiche All Colors of the World sono una serie di opere nate nel 2016 da un’idea del fotografo satellitare Max Serradifalco1, ancora in fase di esecuzione. In linea con la poetica della natura adottata dall’artista, la serie permette una prospettiva antropologica attuale e uno storytellling potente e innovativo sulla rappresentazione stessa della Terra, e sui concetti di spazio, confine, condivisione, diritto, identità, uguaglianza, differenza. Per la creazione di ogni bandiera nazionale, l’artista utilizza e unisce simultaneamente immagini satellitari provenienti indistintamente da diverse parti del globo terrestre. L’unico criterio rispettato nella scelta di un paesaggio piuttosto che un altro è quello della corrispondenza del colore del vessillo preso in considerazione e re-immaginato in termini artistici. Ecco allora che il vessillo dell’Europa è il frutto ideale delle acque dell’Atlantico e di uno dei molti deserti australiani; il tricolore italiano nasce dall’accostamento delle immagini aeree di un estuario del Qatar, dei ghiacci delle zone dell’Antartide e di un lago salato della Namibia; mentre la bandiera americana è l’esito artistico che vede insieme il blu del Mar Mediterraneo, precisamente della banda d’acqua che separa l’Italia dalla Libia, e i paesaggi del deserto del Chad e delle montagne della Bolivia.
L’artista ha esplicitamente affermato che il progetto ha lo scopo etico ben preciso di lanciare un monito dalle chiare sfumature antropologiche: «immaginare un mondo dove ogni essere umano è considerato prima di tutto un abitante della Terra e dopo cittadino di una nazione. Un mondo dove tutti siamo uniti nel condividere la diversità, la gioia, i colori e l’energia della vita».
Il messaggio di Serradifalco è inequi- vocabile: le bandiere rappresentano degli emblemi che invitano oggi, in questi tempi sociali globali, alla solidarietà, all’alleanza tra i popoli, all’integrazione non all’esclusione, e all’idea che la Terra è più del Paese, dello Stato o dello stesso continente, ma è un flusso del quale tutti facciamo parte. L’artista non fa che ribadire un concetto semplice eppure dimenticato, o meglio cancellato dalle barriere: la Terra accoglie già i suoi abitanti. Quelle che dovrebbero cambiare ed essere ridefinite sono le modalità di abitare il pianeta in un senso etico, ecologico e politico pacifico.
Con le sue bandiere-puzzle che esprimono identità politica fatta al contempo da alterità geografiche eterogenee, terre viste dallo Spazio che formano paesaggi immaginari eppure reali, l’artista comunica un messaggio di speranza e possibilità, di coinvolgimento, responsabilizzazione e sensibilizzazione delle società globali relativamente a tematiche importanti della nostra attualità. Nel denunciare le tragedie legate ai conflitti civili e mondiali – come le atroci cronache di sangue e morte che stanno devastando la Siria –, al terrorismo, all’immigrazione, alle catastrofi ambientali e a tutte le forme di violenza che mettono gli uomini gli uni contro gli altri, Serradifalco realizza al contempo immagini artistiche che esprimono sentimenti di speranza, fratellanza, di armonia e unione.
L’identità nazionale, clanica o tribale, circoscritta all’interno di un determinato territorio, è una coltre antropologico-culturale storicamente necessaria alle attività e alle esigenze dei gruppi umani che vanno dal semplice ordinamento dello spazio allo svolgimento delle attività sociali alle relazioni con altri gruppi. Questo tipo di alterazione del paesaggio è evidentemente una trasformazione economica, politica e culturale operata dagli uomini sulla natura, che tuttavia quest’ultima non prevede. Il paesaggio culturale, e lo spazio tout court, è da un lato un dispositivo relazionale che permette agli uomini di avere rapporti di scambio e comunicazione, e dall’altro un meccanismo divisorio che spesso produce guerre e ostilità. Eppure, come bene ci suggerisce Serradifalco con la sua arte, se si prova a pensare per immagini alla più essenziale delle nostre visioni, quella della Terra, con i suoi colori e le sue svariate forme, la natura ha molto da dire e da insegnare alla cultura, e quest’ultima dovrebbe a essa riferirsi e tornare a guardare per meglio comprendere, comprendersi, e soprattutto per ricominciare a riflettersi in essa.
A ben guardare dunque, il paradigma etico primario viene proprio dalla Terra che rimescolata nelle sue forme e grazie ai suoi stessi colori trova concettualmente, per esempio, nella Bandiera della Pace, la sintesi di un pensiero e di una poetica antropologica in cui l’identità politica viene immaginata e ricomposta nel suo stendardo dai paesaggi terrestri stessi. Serradifalco realizza opere che rappresentano, attraverso il linguaggio dell’arte, dei modi possibili di abitare pacificamente la Terra, di riscoprirne la naturale bellezza ancestrale nella contemporaneità del XXI secolo dove il progresso non può e non deve essere sinonimo di inquinamento ambientale e distruzione ecologica. Gli svariati patchwork di terre che formano le sue bandiere sono dei paradigmi visuali per dire che il pianeta appartiene a tutti gli uomini indistintamente e che i confini, le barriere, i muri, sono concetti creati con il cemento del potere e della sopraffazione che solo un’etica culturale del paesaggio condiviso può abbattere, nell’idea che tutte le nazioni dovrebbero fare dell’accoglienza, della pace, della speranza e della fratellanza le loro stesse bandiere.
Alla domanda che apre questo testo, rispondiamo dunque affermativamente. Ovvero, le immagini possono effet- tivamente affinare la nostra sensibilità antropologica, politica ed ecologica. Le immagini sono il veicolo più forte che da sempre, come specie, abbiamo adottato più o meno consapevolmente per intravedere, dirci e offrirci soluzioni, considerazioni, vie di fuga, possibilità. Un’osservazione artistica sullo spazio e sulla Terra (abitata dagli uomini) in una prospettiva satellitare, come nel caso delle Bandiere di Max Serradifalco, offre percorsi suggestivi e visioni antropologiche certamente mai sperimentate in precedenza. L’immaginario e l’immaginazione della Terra dunque – intesa nella sua moderna accezione tecnologico-satellitare e con le sue forme del paesaggio astratte e liquide – sono dei catalizzatori inediti per una riflessione antropologica sul senso dell’identità e della differenza, dell’altro e dell’altrove. Foreste, deserti, oceani, tundre sono luoghi specifici, forme del paesaggio estremamente identitarie che caratterizzano ecologicamente certe aree del pianeta e si differenziano per questo da altre. Ma se la Terra non funzionasse per differenze di identità naturali e non vivesse della e nella relazione tra le sue parti eterogenee non esisterebbe naturalmente nemmeno l’idea culturale e tutta umana dell’alterità e dell’altrove. In fondo, lo sappiamo bene, e il nostro immaginario collettivo, con le sue pellicole e le sue fiction sempre più distopiche, ce lo ricorda continuamente con svariate immagini e previsioni: la Terra è esistita e continuerà ad esistere senza l’uomo. Gli uomini semplicemente non sarebbero mai stati senza la Terra.
È proprio sulla base di questa corrispondenza antropologica tra il funzionamento relazionale della natura e quello della cultura che si profila e si fa strada l’Atlante artistico-geografico delle Bandiere All Colors of the World di Max Serradifalco. Un progetto naturale culturale immaginario, sospeso tra il reale e il virtuale, tra la Terra e lo Spazio, la geografia e l’antropologia. Un’idea astratta e ideale. Tuttavia, è una visione più assurda delle guerre, degli attentati, delle sopraffazioni e delle catastrofi ambientali?
Dialoghi Mediterranei, n.25, maggio 2017
Note
[1] Max Serradifalco (Palermo 1978) è fotografo paesaggista e artista satellitare. Nel 2011 elabora un progetto artistico autentico, la Web Landscape Photography, grazie al quale nasce la Land Art satellitare, che gli permette di far convivere la passione per la fotografia paesaggistica e quella per la grafica. Le sue opere fanno parte del prestigioso catalogo Behance di Adobe che accoglie le creazioni dei migliori grafici, pittori e fotografi del mondo. Serradifalco non è solo un artista satellitare, ma un artista satellitare ambientalista. Il suo lavoro artistico, infatti, ha anche un fine etico volto a rinforzare la crescita sostenibile della Terra attraverso l’estetica intrinseca e creativa che la natura spontaneamente già possiede. Mettendo in mostra le zone del pianeta meno contaminate, l’artista fa in modo che la bellezza delle forme naturali della Terra possano servire da modello per fare comprendere quanto sana e bella questa possa restare anziché spingerla ad andare sempre più incontro alla deformazione. Il suo monito è quello ben condiviso di ridurre al minimo l’impatto delle scelte mirate allo sfruttamento delle risorse ambientali. Il modo per farlo è quello di mettere davvero in pratica un gesto semplice e naturale, che va educato e coltivato: osservare. La Web Landscape Photography, oltre ad essere un progetto estetico di grande rilievo, lancia dunque un messaggio morale che non può restare inascoltato: il nostro pianeta non è solo bello da guardare ma soprattutto da salvaguardare. Dal 2011 Serradifalco ha realizzato vari reportage fotografici: Web Landscape Photography, E-ART-H, Tree Rivers, Oceania Sky Land, Earth-Portrait, Human City, continuando attualmente con gli scatti di Meta Land Art e con la serie di Bandiere All Colors of the World.
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Fabiola Di Maggio, dottore di ricerca in Studi Culturali e Visuali, antropologa delle immagini e curatrice d’arte. Si occupa di Arte fotografica satellitare ed è esperta nell’analisi di fenomeni visivi legati alle immaginazioni frattali e apofeniche per le quali ha proposto un’inedita connessione. Nell’ambito dei Visual Culture Studies, e dei Museum Studies specificamente, ha messo in rilievo l’importanza del Cold Visual Turn relativo alle forme e alle dinamiche che negli ultimi decenni caratterizzano la cultura museale contemporanea indicando con il neologismo “musiconologia” una nuova area di ricerca che unisce le prospettive epistemologiche dell’antropologia e dell’iconologia. Dal 2009 si occupa dello studio del concetto di “primitivismo” nell’arte contemporanea e del fenomeno della musealizzazione dell’arte extra occidentale secondo una prospettiva che incrocia le analisi culturali dell’antropologia e quelle estetiche della storia dell’arte. Nell’orizzonte dell’antropologia delle immagini di Aby Warburg, le sue riflessioni sono inoltre rivolte all’indagine dei rapporti formali tra astrazione e figurazione nell’arte occidentale, extra occidentale e preistorica.
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