di Giulia Fagnoni
Le fasi dell’emigrazione e il ruolo ricoperto dall’insegnamento della lingua italiana nel Paese
Il XIX secolo è considerato dagli esperti in materia “l’inizio di una lunga storia” [1] di emigrazione verso il Belgio, vide gli italiani come protagonisti, spinti da motivazioni politiche ed economiche. Gli esuli risorgimentali parteciparono alla vita politica del Paese al fianco dei liberali belgi; tuttavia, la presenza italiana all’epoca risulta ancora modesta: nel 1910 si contano 4490 italiani [2]: svolgono mestieri più disparati come artisti di circo, suonatori di organetto, camerieri e venditori di gelato [3]. Nonostante le basse presenze, prima dello scoppio della Ia guerra mondiale nella parrocchia di Santa Maria di Schaerbeek – quartiere di Bruxelles – si officiavano alcune messe e alcuni corsi di catechismo per bambini in italiano [4].
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento molti italiani vennero occupati nei lavori legati alla precoce industrializzazione del Belgio, in particolare come manovali impiegati nella costruzione della rete ferroviaria del Paese, lavori che i belgi rifiutarono di svolgere perché poco remunerativi e pericolosi. In termini numerici, l’emigrazione italiana iniziò ad assumere connotati più importanti e, in questo periodo, si verificarono non pochi episodi di discriminazione.
Nei cantieri delle Ardenne belghe, la lingua italiana riecheggiava nella “Cappella degli Italiani” dove veniva celebrata la messa per gli operai italiani, divenuti 600 nel 1908 [5]. Nel primo dopoguerra, gli emigrati italiani in Belgio aumentarono e, alla base dell’aumento, vi fu, ancora una volta, il reclutamento di manodopera dall’estero necessaria per la costruzione delle grandi opere, per il comparto estrattivo e per la ricostruzione. Per tutti questi settori, incluso quello siderurgico, gli arrivi dall’Italia avvennero sia in forma individuale sia tramite accordi tra Stati (accordo del 1922-‘23 nel settore minerario e accordo commerciale del 1935). Ciò che accumunava la maggioranza dei lavoratori dell’epoca furono le pessime condizioni di lavoro in un ambiente insalubre e le numerose testimonianze di discriminazione salariale. La richiesta di manodopera fu ininterrotta dato che i belgi continuarono a rifiutarsi di svolgere lavori mal pagati, pesanti e pericolosi [6]: un’anticipazione dei patti che seguirono nel secondo dopoguerra.
Nel periodo tra le due guerre furono molti anche gli “emigrati politici”, nello specifico gli antifascisti che trovarono rifugio in Belgio, vivendo spesso in condizioni di clandestinità, con il costante rischio di espulsione o di prigionia. In tale periodo, la stampa italiana nel Paese fu fervente: 30 periodici italiani pubblicati in Belgio, la maggioranza dei quali di estrazione antifascista. D’altra parte, il contrasto all’antifascismo venne preso sul serio da Mussolini, il cui governo finanziò la creazione di scuole italiane all’estero, dove l’ideologia fascista venne inculcata nelle menti dei giovani studenti, con lo scopo di ostacolare anche l’integrazione nel Paese di accoglienza.
«…per gli anni 1930, 1940 e 1950 non c’è proprio nulla sulle difficoltà linguistiche degli italiani in Belgio e su eventuali interventi a proposito (…) L’Italia sembrava molto più preoccupata dalle idee e dalle attività politiche dei propri cittadini all’estero» [7].
Tali scuole dipendevano dal Ministero degli Affari Esteri e conobbero negli anni ’30 un discreto successo. A Bruxelles la scuola si teneva nella sede del Consolato, in rue de Livourne. Altre scuole italiane erano diffuse a Gand, Genk, Charleroi e Liegi; offrivano vantaggi materiali alle famiglie che si trovavano in condizioni economiche difficili e la possibilità per i ragazzi di partecipare alle colonie estive in Italia, ritenute da molti veri e propri centri di addestramento para-militare. Anche nei confronti dei lavoratori il regime organizzò luoghi di ritrovo nel “dopolavoro”; i partecipanti potevano godere di vantaggi materiali, spesso necessari per la sopravvivenza.
Si stima che nel 1940 gli italiani in Belgio fossero circa 30 mila unità [8]. Dopo la parentesi della Seconda guerra mondiale, gli antifascisti riuscirono ad occupare i locali del Consolato e della Casa d’Italia di Bruxelles nel settembre del 1944 e l’assistenza degli italiani fu affidata ad una personalità di rilievo scelta dagli antifascisti: il delegato della Croce Rossa Ottorino Perrone. L’occupazione avvenne anche nelle sedi consolari di Anversa e Charleroi e durò per otto mesi. Furono proprio gli antifascisti e Ottorino Perrone con il motto: “l’imperativo dell’ora: pensare!” a concentrarsi sul rilancio culturale, teso alla rottura con la cultura fascista. A Casa Italia furono organizzate conferenze, corsi d’italiano, di conversazione e di letteratura [9].
Passo fondamentale nella storia dell’emigrazione italiana in Belgio fu l’accordo del 23 giugno 1946, in base al quale il governo belga e italiano firmarono il famoso scambio di forza-lavoro/carbone. Il Belgio s’impegnava «a fornire a un prezzo vantaggioso cinque tonnellate di carbone al mese per ogni lavoratore italiano»; dal Bel Paese si prevedeva la “fornitura” di duemila operai italiani ogni settimana, che doveva andare a sanare quella carenza strutturale di manodopera in Belgio [10], situazione diametralmente opposta a quella presente in Italia all’epoca. Nell’ambito del cosiddetto accordo Uomini-Carbone, la presenza degli italiani residenti in Belgio crebbe in modo cospicuo, superando, nel 1961, le 200 mila unità [11]. Il settore in cui vennero impiegati i nuovi emigrati, in continuità con il periodo precedente al Secondo conflitto mondiale, fu in primis quello minerario. Gli operai belgi si rifiutarono di scendere in miniera, dove li aspettava un ambiente estremamente insalubre e pericoloso, così si opposero, anche tramite continui scioperi. Giovani italiani, spinti da una capillare propaganda in patria, decisero di partire alla volta di Milano, dove si tenne un’attenta selezione proprio per quel lavoro disdegnato dai belgi; per finalizzare il reclutamento si doveva passare per controlli medici e di natura “politica” da parte delle autorità belghe, e i candidati considerati sovversivi furono scartati.
Una volta giunti in Belgio dopo un lungo viaggio in treno, i lavoratori delle miniere non vennero addestrati in alcun modo: scesero direttamente centinaia di metri sottoterra e vennero impiegati nel durissimo lavoro dell’estrazione del carbone. Se è vero che a ciascun lavoratore, da contratto, era garantito un alloggio, tuttavia, gli italiani si ritrovarono a vivere in condizioni estremamente precarie nelle cosiddette “baracche”: campi di concentramento costruiti dai nazisti per rinchiudere i prigionieri di guerra sovietici e, dopo la Liberazione, usati per imprigionare i tedeschi.
Sebbene l’emigrazione del secondo dopoguerra fosse caratterizzata inizialmente da partenze di uomini singoli, già titolari di contratto firmato alla stazione di Milano Centrale, nel giro di poco tempo, furono anche mogli e figli a raggiungere in Belgio mariti e padri. Le partenze non si limitarono esclusivamente a quelle organizzate delle autorità belghe attraverso la sopradescritta selezione: molte persone partirono alla volta del Belgio alla ricerca di un futuro migliore in autonomia, anche sprovvisti di documenti. Sia tra coloro che partirono con partenze organizzate, sia tra coloro che partirono con partenze autonome, vi furono i partecipanti alle occupazioni delle terre e degli scioperi dell’industria e dell’agricoltura dell’immediato dopoguerra, per i quali la ricerca dell’impiego in Italia era ancora più difficile; di loro l’Italia aveva interesse a “sbarazzarsi” poiché ritenuti “sovversivi” [12].
La catastrofe di Marcinelle dell’8 agosto 1956, con la morte di 262 persone, delle quali 136 italiani, segnò un punto di svolta nella politica migratoria dell’Italia, che si ritirò dal contratto con il Belgio, il quale si trovò costretto a reclutare giovane manodopera proveniente da altri Paesi, quali Spagna, Grecia, Turchia e Marocco [13]. La catastrofe di Marcinelle segnò anche una svolta rispetto alla presa di coscienza da parte della collettività belga della presenza nel Paese di lavoratori stranieri, che fino ad allora avevano vissuto ai margini della società.
Nonostante lo stop degli accordi con l’Italia, i flussi migratori familiari e individuali continuarono ad alimentare la comunità italiana presente nel Paese: i dati raggiunsero l’apice nel 1981 con 279.700 unità [14]. Tra i primi emigranti viveva l’illusione di tornare in Italia una volta messo da parte un po’ di denaro e tale atteggiamento si rifletteva in uno scarso, se non nullo, impegno per l’integrazione nella società di accoglienza [15]. Nonostante la prospettiva del rientro, si pose la sfida dell’educazione dei figli degli emigranti: i genitori sognavano per loro un futuro lontano dalle fatiche delle miniere e, allo stesso tempo, desideravano che mantenessero forti legami con la famiglia e il Paese di origine.
In tale periodo, l’Italia iniziò a guardare a quella popolazione emigrata nel mondo e a riflettere sul problema linguistico. In Belgio, tra gli anni ’50 e ’60, si tennero i primi corsi di italiano per figli di immigrati, prima per corrispondenza [16], poi organizzati in vere e proprie classi nei consolati e in aule di fortuna. I professori furono in parte inviati dall’Italia e in parte reclutati nel Paese, questi ultimi molto penalizzati dal punto di vista contrattuale.
I corsi di italiano, diversamente dal periodo fascista, erano mossi dall’obiettivo di «realizzare delle attività di assistenza scolastica a vantaggio dei lavoratori immigrati e dei loro congiunti, contemporaneamente alla valorizzazione e diffusione della lingua e della cultura italiana all’estero» [17]. Per tali scopi, vennero istituite le direzioni didattiche di Bruxelles, Liegi, Charleroi, Hasselt e Mons, seguite da quella di La Louvière (1967) e Genk (1969). Persisteva allora la prospettiva di ritornare in patria, per tale motivo i genitori erano molto interessati al fatto che i figli imparassero la lingua per potersi inserire nel sistema scolastico senza troppi disagi una volta tornati in patria.
In tale contesto, si collocò l’importante esperienza decennale della scuola di Eisden fondata nel 1962 nel Limburgo, zona di emigrazione italiana trainata dal bacino carbonifero: qui gli insegnamenti erano impartiti in italiano, la scuola era riconosciuta sia dalle autorità italiane che da quelle belghe e comprendeva il ciclo delle elementari e quello delle medie. L’esperienza della scuola di Eisden terminò nel 1972, quando la prospettiva del rientro in Italia decadde definitivamente [18].
Gli insegnanti dei corsi di italiano, spesso reclutati in loco, svolsero mansioni che andavano ben aldilà del mero insegnamento della lingua italiana: aiutarono i connazionali nella redazione e nella traduzione di documenti, li supportarono da un punto di vista psicologico e nelle difficoltà del percorso migratorio; tuttavia, il loro lavoro non venne valorizzato dall’Italia dato che rimasero precari, assunti solo nei mesi scolastici, da ottobre a giugno [19]. Per questi motivi e per le disparità di trattamento rispetto ai colleghi assunti a tempo indeterminato dislocati in Belgio, gli insegnanti iniziarono, a partire dalla fine degli anni ’60, a rendersi protagonisti di azioni di protesta, che non si limitarono al territorio belga ma valicarono i confini e coinvolsero i colleghi “temporanei” impiegati in altri Paesi europei.
Da un punto di vista normativo, fu un grande passo avanti l’approvazione della legge del 3 marzo 1971, n. 153 recante “Iniziative scolastiche, di assistenza scolastica e di formazione e perfezionamento professionali da attuare all’estero a favore dei lavoratori italiani e loro congiunti”; tale norma istituzionalizzò quell’interesse e quello sforzo intrapreso dall’Italia rispetto ai propri emigranti. Vennero creati corsi di lingua e cultura italiana con il duplice obiettivo di mantenere l’identità linguistica italiana nei giovani emigrati e di offrire un sostegno didattico per l’inserimento dei giovani nei contesti scolastici locali [20].
Nonostante i passi avanti fatti con l’approvazione della legge 153, la maggior parte degli insegnanti impiegati, non solo in Belgio, rimasero precari, come precarie rimasero le condizioni in cui furono costretti ad operare, principalmente in orario extracurricolare. Le aule erano spesso allestite nei sottoscala oppure non era permesso agli insegnanti l’utilizzo delle lavagne e dei gessetti [21]. Tutto ciò e in particolare la condizione salariale, spinse la maggior parte dei docenti a sindacalizzarsi per rivendicare anche un trattamento pari a quello dei colleghi in Italia. Con il sostegno dei tre sindacati confederali, CGIL, CISL e UIL, gli insegnanti dettero vita ad un vero e proprio periodo di contestazione con scioperi che portarono a piccoli miglioramenti, reputati non ancora sufficienti; la lotta si inasprì fino all’occupazione del Consolato generale di Charleroi del 1° febbraio del 1975 [22]; seguirono le occupazioni dei Consolati di Bruxelles, Liegi ed altri consolati in varie città europee. Il periodo di tensione si concluse finalmente nel maggio 1975, quando per legge vennero approvati dei miglioramenti sostanziali delle condizioni di impiego e assunzione degli insegnanti.
La Direttiva europea 468 del 1977 si inserì in questo contesto storico, guardando alla necessità di favorire l’inserimento dei figli dei lavoratori stranieri nell’ambiente scolastico nello Stato ospitante e allo stesso tempo invitò gli Stati membri ad adottare misure appropriate «atte a promuovere l’insegnamento della madrelingua e della cultura del Paese d’origine dei figli di questi lavoratori, al fine di facilitare il loro eventuale reinserimento nello Stato membro d’origine» [23].
Le innovazioni legislative nazionali e comunitarie diedero una nuova spinta all’insegnamento della lingua italiana, che non venne più relegato alle esclusive attività del doposcuola. Tuttavia, come osserva Vanvolsem, spesso dall’insegnamento della lingua vennero esclusi i non italiani e si creò così la nomea di lingua della migrazione [24]. Alla fine degli anni ’70, i bambini italiani che frequentavano i corsi furono solo 1/5 circa di tutti gli italiani presenti [25]. In Belgio, furono anche i problemi organizzativi e la mancanza di continuità nell’insegnamento dovuta alle pessime condizioni degli insegnanti ad influire sulla riduzione della partecipazione di bambini e ragazzi a tali corsi. Come conseguenza, con l’andar del tempo, l’offerta di corsi si ridusse e l’insegnamento della lingua italiana si istituzionalizzò in ambito scolastico con importanti differenze regionali.
È opportuno infine segnalare che, a partire dalla fine degli anni ’70, si è affermata verso il Belgio un’immigrazione c.d. “alta” o “fuga dei cervelli”. Persone «attratte dalla funzione internazionale di Bruxelles, sono affluite nel Paese per lavorare nelle istituzioni internazionali, soprattutto l’UE, e nel mondo della finanza» [26]. La nuova immigrazione è caratterizzata da un maggiore equilibrio di genere [27] e da un livello di istruzione elevato; i genitori scelgono spesso per i figli il percorso scolastico offerto dalle Scuole europee. I nuovi flussi si dirigono principalmente nella regione di Bruxelles, centro politico europeo, sede di numerosi organismi, istituzioni e imprese multinazionali [28]. I nuovi emigranti non si limitano tuttavia unicamente a funzionari europei o simila, tra loro vi sono anche giovani che scelgono la mobilità e, in particolare verso il Belgio, come nel passato alla ricerca di un’occupazione migliore, nel contesto delle crisi economiche che si sono susseguite a partire dagli anni 2000 [29].
Un Paese articolato: divisione amministrativa e linguistica
Comprendere la specificità del Belgio come Paese composito, sia a livello linguistico sia a livello amministrativo, ci permetterà di capire le forme e le caratteristiche della diffusione e dell’insegnamento della lingua italiana nel Paese.
Il Belgio è uno Stato federale che confina ad oriente con la Germania e il Lussemburgo, a settentrione con i Paesi Bassi e nella parte meridionale con la Francia. La sua divisione amministrativa rispecchia quanto anche la società sia composita, specialmente dal punto di vista linguistico. Sono presenti, infatti, tre comunità linguistiche: francese, neerlandese e tedesca e le tre le lingue sono le lingue ufficiali del Paese.
Le comunità linguistiche rispecchiano in parte la divisione amministrativa del Paese in regioni, ciascuna delle quali è dotata di ampie autonomie. Nella parte settentrionale troviamo la regione delle Fiandre dove la lingua ufficiale è il neerlandese (Vlaams), e dove il più grande gruppo etnico è composto dai fiamminghi; nella parte meridionale del Paese troviamo la regione della Vallonia, dove la lingua principale è il francese ma, accanto al francese come lingua ufficiale, c’è anche il tedesco. La comunità germanofona è insediata nella parte orientale della regione nei cantoni di Eupen e Saint-Vith, al confine con Germania, Paesi Bassi e Lussemburgo. Infine, troviamo la piccola regione di Bruxelles Capitale, un’enclave all’interno della regione delle Fiandre; la regione è ufficialmente bilingue: francese e neerlandese. Il governo centrale ha giurisdizione in alcuni ambiti ma molte decisioni vengono prese autonomamente dalla regione, come quelle che riguardano l’educazione, la lingua, la cultura [30].
Diversità nei programmi scolastici tra Fiandre e Vallonia: evoluzioni recenti e peculiarità
Oltre alla sopracitata esperienza della scuola di Eisden, nell’area fiamminga, a fine anni ’70, venne promosso un programma di insegnamento biculturale detto OETC (Organization for Educational Technlogy and Curriculum); alcune materie venivano impartite nelle lingue maggiormente rappresentate dagli emigrati: italiano, turco e arabo. Anche in questo caso, uno degli obiettivi era quello di poter facilitare il rientro in patria degli alunni e, nonostante tale programma avesse alcuni punti di forza, divenne presto obsoleto in primis per il cambiamento di prospettiva rispetto al rientro in patria, in secondo luogo era difficilmente applicabile per gli emigrati di diversa madrelingua, infine cadde in disuso perché per le terze generazioni l’italiano (l’arabo o il turco) non era più la lingua veicolare a casa [31]. Dal termine dell’esperienza del programma OETC, l’apprendimento della lingua italiana nel contesto scolastico è ora affidato ad attività extra-curricolari gestite direttamente dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI). Risulta tuttavia che i corsi non siano stati avviati nell’anno scolastico 2023/2024.
L’approccio adottato nella zona francofona si distingue da quello fiammingo: nella metà degli anni ’70 vengono istituiti i centri scolastici con la duplice funzione del recupero e sostegno scolastico e dell’insegnamento della lingua italiana [32]. Nel 1997, la comunità francofona firma la Carta di Partenariato “Langue et Culture d’Origine” (L.C.O.) con la Repubblica Italiana [33]. Obiettivo della Carta è di favorire l’inserimento dei figli degli emigrati nella società di accoglienza, senza trascurare la loro identità di origine; nell’ambito di questo accordo sono previsti un corso di acquisizione della lingua e della cultura italiana (opzionale) e un corso di apertura interculturale, tenuti da insegnanti nominati dai Paesi di origine [34]. Nel 2012 tale programma evolve in un “Programma di Apertura alle Lingue e alle Culture”; infine, a partire dall’anno scolastico 2020-2021, i corsi vengono affiancati da corsi di “Éveil aux langues” (letteralmente “risveglio delle lingue”) impartiti già nella scuola materna e nelle prime due classi della scuola primaria. Alla base di tali corsi obbligatori vi «è la consapevolezza che l’approccio plurilingue e multiculturale rafforzi l’interesse per le lingue, sviluppando abilità metalinguistiche e metacomunicative che sono alla base dell’apprendimento di una lingua straniera»[35]. Anche i docenti MAECI entrano in classe parlando in francese e promuovono non solo la cultura italiana, ma anche le altre culture, presentando parole, canzoni, racconti in varie lingue; la programmazione “culturale” viene studiata in sinergia con gli insegnanti locali. I corsi di italiano sono svolti invece in orario extra scolastico e sono aperti a tutti gli studenti.
Un’interessante ricerca condotta da Angela Viscera, dottoranda dell’Università di Gent, ha indagato le motivazioni che portano gli studenti a scegliere di seguire un corso di lingua e cultura italiana extra curricolare tenuto da insegnanti MAECI nella Circoscrizione Consolare di Bruxelles. Da tale studio sul campo, emerge che i discenti sono sia italofoni di terza o quarta generazione interessati a recuperare o mantenere le proprie radici, sia gli italofoni di nuova immigrazione, sia non italofoni «attratti dalla cultura, dalle bellezze e dall’immagine del Made in Italy ancora forte in alcuni settori»[36]. Uno dei punti di forza dell’insegnamento della lingua e cultura italiana sono la dedizione e lo spirito innovativo apportato dagli insegnanti MAECI che sanno coinvolgere gli studenti con entusiasmo e professionalità. Ne è un esempio il progetto interculturale di scambio epistolare tra studenti della stessa età di Paesi diversi “Cartoline collaborative cartacee/digitali”, realizzato nelle classi seguite dall’insegnante MAECI nell’aerea di Liegi Remo Omar Cinquanta nell’ambito del programma E-twinning / Erasmus+. Tale progetto ha meritatamente riscosso diversi riconoscimenti.
Per completare il quadro, è necessario menzionare le scuole internazionali presenti nel Paese: si tratta di circa 20 Istituti scolastici internazionali che offrono percorsi accademici differenti dal programma belga (fiammingo o vallone) e classi bilingui. Questi istituti sono prediletti per i propri figli dai c.d. “nuovi expat”, dotati di grandi possibilità economiche, in particolare da coloro che lavorano nell’ambito delle istituzioni europee o della NATO. Alcune di queste scuole offrono programmi di maturità internazionali; mentre, in generale, per il riconoscimento del titolo conseguito è necessario richiedere l’equipollenza.
In Belgio, le scuole europee, dove vi sono diverse sezioni linguistiche e gli insegnamenti sono impartiti anche nella madrelingua degli studenti, sono attualmente 5, di cui 4 a Bruxelles ed una a Mol, nel nord del Paese, sede del Centro studio di Energia Nucleare (SCK-CEN, Belgian Nuclear Research Centre). L’annuario statistico 2023 del MAECI riporta che, nell’anno scolastico 2022/2023, secondo i dati forniti dal Bureau du Secrétaire général del Ecoles européennes, presso le scuole europee in Belgio erano attive sezioni di italiano a Bruxelles I Uccle e Berkendael, Bruxelles II Woluwe e Evere, Bruxelles IV Laeken. Nella scuola europea Bruxelles III Ixelles non è attiva una sezione di italiano ma la lingua può essere impartita come L2 [37].
L’insegnamento dell’italiano negli istituti di formazione secondaria e di formazione per adulti
Alessandro Greco, dottorando presso le università di Liegi e Gent, ha studiato il pubblico che a diverso titolo si avvicina all’insegnamento dell’italiano come lingua seconda (IL2) nelle università e nei centri di formazione per adulti. Le motivazioni sono varie, vi è un pubblico spinto da interesse personale e un altro orientato ad approfondire la lingua delle origini. Entrambi i tipi di discenti sono distribuiti nell’intero Paese e possono trovare (o non trovare) l’opportunità di imparare la lingua italiana grazie agli sforzi delle autorità educative belghe, data anche la progressiva diminuzione offerta da parte dell’Italia. Anche in questo contesto, si evidenziano subito le differenze tra comunità fiamminga e federazione Vallonia-Bruxelles: solo in alcune scuole di quest’ultima l’insegnamento dell’italiano IL2 è parte dei curricula degli studenti della scuola secondaria.
I corsi di italiano negli istituti di formazione per adulti sono invece distribuiti quasi equamente tra comunità fiamminga e federazione Vallonia-Bruxelles. Nella federazione Vallonia-Bruxelles sono i Centres de promotion sociale (CPS: centri di promozione sociale) ad organizzare corsi di italiano gratuiti per adulti; nella comunità fiamminga i Centraa voor volwassenenonderwijs (CVO: centri di formazione per adulti) offrono corsi ben strutturati con programmi di studio dettagliati per coloro che sono interessati allo studio della lingua italiana [38].
Nelle università belghe sono programmati corsi di italiano, in particolare nei dipartimenti di lingue e italianistica. Meriterebbero ulteriori approfondimenti le motivazioni che spingono gli studenti delle università belghe a scegliere l’Italia come meta di destinazione del programma Erasmus. Un primo studio condotto nell’ambito del master diretto dalla professoressa Morelli dell’Université Libre de Bruxelles (ULB), aveva fatto emergere come alcuni degli studenti partiti alla volta dell’Italia fossero proprio di origine italiana e cogliessero nell’Erasmus la possibilità di andare a scoprire o riscoprire le proprie origini [39]. La partenza nell’ambito del programma Erasmus rimane anche per i belgi una delle motivazioni che spinge gli studenti a frequentare un corso di italiano in università prima della partenza. Dalla ricerca di Alessandro Greco emerge come l’insegnamento della lingua italiana, non regga il confronto con la diffusione dell’insegnamento della lingua spagnola, sia in ambito scolastico che extra-scolastico.
I corsi offerti dall’Istituto Italiano di Cultura (IIC)
Gli istituti italiani di cultura all’estero sono organi periferici del MAECI, tra i vari compiti che hanno vi è quello di promuovere e favorire iniziative per la diffusione della lingua italiana all’estero.
A Bruxelles l’IIC, situato in rue de Livourne, offre una vasta gamma di corsi di cultura italiana, corsi di italiano (dal livello A1 al C2) e corsi di conversazione. Tali corsi attirano un pubblico internazionale; tra i discenti, oltre ai pensionati e ai professionisti interessati ad approfondire, per esempio, la storia dell’arte, vi sono anche giovani interessati all’apprendimento della lingua, forse perché considerata “di moda”. Oltre ai corsi l’istituto programma serate di cultura e intrattenimento che, come per i corsi, attraggono un pubblico internazionale composto sia da belgi sia da italiani. Anche all’istituto italiano di cultura le motivazioni che spingono gli utenti ad avvicinarsi alla lingua italiana sono svariate: dal desiderio di trascorrere le vacanze in Italia, all’amore per il cibo, all’amore in sé (nel caso delle coppie miste), alla volontà di riconnettersi con le proprie radici.
I corsi di lingua e cultura vedono la partecipazione di circa 250 studenti a semestre, il corso di storia dell’arte è tra i più richiesti; altri corsi come quello di sceneggiatura e di scrittura creativa vedono la partecipazione di molti italiani che vivono a Bruxelles, anche perché il livello di italiano richiesto per accedere ai corsi è molto alto, così come i contenuti trattati. Infine, l’IIC, in collaborazione con l’università di Perugia offre la possibilità di sostenere l’esame per la certificazione della conoscenza della lingua.
La società Dante Alighieri e le strategie di promozione della cultura italiana, alcuni esempi
La Società Dante Alighieri è un’istituzione culturale italiana che ha lo scopo di tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo. In Belgio sono presenti comitati Dante in varie città: Gant, Liegi, Hasselt, Anversa, Genk, Leuven, Verviers e Bruxelles. Ciascun comitato Dante Alighieri è attivo e indipendente, organizza autonomamente le proprie attività: alcuni comitati organizzano corsi di lingua italiana, altri si concentrano su diversi aspetti culturali. I comitati Dante Alighieri sono molto attivi sia nelle Fiandre, sia in Vallonia.
Il comitato Dante di Liegi ha sede nell’università della città e, anche grazie al suo setting, accoglie un pubblico spinto da forti motivazioni culturali. In tale contesto sono stati organizzati “Dantedì” e numerose conferenze, anche in collaborazione con altri comitati. Oltre ai classici corsi di lingua che spaziano dal livello A1 al C2, alle lezioni di conversazione e cultura italiana, la Dante organizza anche viaggi culturali. Altra peculiarità della Dante di Liegi è quella di seguire il Premio Strega attraverso incontri del circolo di lettura. Nell’ambito del progetto La Dante al Premio Strega, la Dante di Gent ha partecipato tra i 31 Presidi letterari che hanno espresso il proprio voto per assegnare il premio Strega come comitato estero [40].
Altri comitati, come quello di Leuven e quello di Bruxelles non organizzano al momento corsi di italiano, offrono però diverse esperienze come degustazione di vini, conferenze sul cinema, concerti e la possibilità di partecipare al club di lettura. I comitati di Bruxelles e Genk collaborano con l’Associazione Cuochi Italiani in Belgio della Federazione Italiana Cuochi: lo scorso giugno si è tenuto a Bruxelles l’evento “Il Made in Italy e la dieta Mediterranea”, iniziativa volta a promuovere le tradizioni culinarie italiane e la conoscenza enogastronomica, fondamentali componenti della cultura italiana [41].
Conclusioni e prospettive
In Belgio gli italiani iscritti in anagrafe consolare nel 2022 sono stati 291.513, così suddivisi tra le due sedi: Consolato Generale di Charleroi 177.2
43, Ambasciata di Bruxelles 114.270; il Paese si colloca all’ottavo posto delle prime 15 comunità italiane all’estero per iscritti all’anagrafe consolare [42]. I dati relativi agli studenti di lingua italiana forniti dal Ministero sono parziali e risalenti al 2018, quando i discenti totali suddivisi tra coloro che frequentano i corsi dei lettori di ruolo, gli studenti universitari, gli studenti delle scuole (incluse quelle europee), gli iscritti ai corsi dell’IIC, dei corsi offerti dalla Società Dante Alighieri e di altre istituzioni censite erano 12.720 [43], in calo rispetto ai conteggi dei rapporti degli anni 2016 e 2014, quando i discenti si attestavano sopra le 14.000 unità.
Da un’indagine qualitativa condotta nel 2005 dall’IIC in vari ambienti, incluse imprese che effettuano scambi con l’Italia e istituzioni internazionali, emerge che, «contrariamente ad altre lingue, l’italiano non viene quasi mai percepito come una lingua necessaria; i casi di necessità assoluta nel quadro delle attività professionali sono estremamente rari» [44]. Manca all’italiano la dimensione di lingua di portata internazionale che contraddistingue altre lingue, come lo spagnolo, per il quale il numero di discenti è in costante crescita, così come l’offerta per l’apprendimento, sia in ambito scolastico sia extra-scolastico [45].
Questa nostra ricerca non ha la pretesa di essere esaustiva in merito alla diffusione della lingua italiana in Belgio, specialmente perché non prende in considerazione tutti i corsi di italiano organizzati nel Paese, ma dall’approfondimento condotto si possono trarre alcune conclusioni.
Il caso del Belgio è molto particolare sia rispetto alle specificità della presenza di italiani legati alle diverse fasi migratorie, sia a diverse generazioni: da quelle di nuovo arrivo a quelle più secolarizzate. Emerge come tutte le generazioni presenti intendano mantenere un legame e provino un forte senso di appartenenza rispetto al Paese di origine. Lo sforzo dell’Italia si è a lungo concentrato sull’idea di preparare gli emigrati, e in particolar modo i loro figli, al rientro in patria, ciò ha portato ad un proficuo periodo per l’insegnamento della lingua italiana, nonostante le numerose difficoltà menzionate. Con il passare del tempo, mentre il ritorno in patria si allontanava dalle prospettive degli italiani ormai definitivamente insediatesi in Belgio, l’impegno dell’Italia verso la diffusione e l’insegnamento della lingua italiana all’estero è diminuito, forse in parte disperdendosi.
Ad oggi l’insegnamento della lingua italiana nelle scuole del Belgio, anche a causa della specificità amministrativa del Paese non è uniforme. Inoltre, l’italiano è in molti casi la terza lingua straniera appresa dai discenti dopo le due lingue più diffuse (francese e neerlandese) e l’insegnamento della lingua inglese; tale situazione penalizza la nostra lingua. Nonostante questo, maggiore impegno dovrebbe essere profuso dal nostro Paese per la diffusione della lingua e della cultura italiana, magari prendendo spunto dalla proficua diffusione dell’insegnamento della lingua spagnola. Al di là del sistema scolastico in sé, buone iniziative sono intraprese dall’IIC e dalle Società Dante Alighieri, così come dai centri di formazione per adulti di iniziativa belga sia nelle Fiandre sia in Vallonia.
La lingua italiana riscuote interesse sia nel pubblico delle generazioni di discendenti italiani insediatesi nel Paese nel corso del tempo, sia tra il pubblico belga. Novità emersa nell’ultimo periodo, purtroppo non ancora sostenuta dai dati, è che l’italiano è diventata una lingua di moda, di tendenza, che avvicina un pubblico di giovani adulti all’apprendimento. Sarebbe conveniente dunque per il nostro Paese cogliere tale opportunità con determinazione e idee innovative.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
Note
[1] A. MORELLI, Gli italiani del Belgio. Storia e storie di due secoli di migrazioni, Foligno, Editoriale Umbra, 2004: 9.
[2] Ivi: 12.
[3] F. STAS, Petits commerçants, colporteurs et artisans italiens à Bruxelles, 1892-1929, Bruxelles, mém. lic. en histoire, ULB, 2000
[4] A. MORELLI, Gli italiani del Belgio. Storia e storie di due secoli di migrazioni, Foligno, Editoriale Umbra, 2004:14
[5] Ivi:17
[6]J. VERCHEVAL-VERVOORT, J-C. DELAET, Les Belges ne veulent plus descendre. Recours à la main d’œuvre italienne de 1922 à 1946, in Italiens de Wallonie, Chaleroi, Archives de Wallonie, 1996
[7] S. VANVOLSEM , Lingua ed educazione scolastica tra la collettività di origine italiana in Belgio, in Studi Emigrazione/Migration Studies, 2005, XLII, 160: 867-893.
[8] A. MORELLI, La communauté italienne de Belgique et la Seconde Guerre Mondiale, Revue du Nord, 2, 1988
[9] A. MORELLI, Gli italiani del Belgio. Storia e storie di due secoli di migrazioni, Foligno, Editoriale Umbra, 2004: 105
[10] A. CANOVI, L’immagine degli italiani in Belgio. Appunti geostorici, in Diacronie Studi di Storia Contemporanea, 2011
[11] B. DUCOLI, L’immigrazione italiana in Belgio: tra destino e storia, in Fondazione Migrantes, in Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo 2009 Edizioni Idos, Roma, 2009
[12] G. MASCITELLI, A. MORELLI, L’émigration italienne vers les mines belges (1946-1950) : les motifs politiques et leur heritage, IN Migrant·es engagé·es, 156/2023, disponibile su: L’émigration italienne vers les mines belges (1946-1950) : les motifs politiques et leur héritage (openedition.org)
[13] Historique de l’immigration en Belgique Synthèse, Cahier “Vivre ensemble” du CIRE, 2009
[14] R. ANDRE’, Les étrangers en Belgique d’après les recensements, INS 1991, riportato nel Rapporto Italiani nel Mondo 2009 Edizioni Idos, Roma, 2009
[15] S. PALUMBO, tesi di laurea magistrale: L’histoire des mineurs italiens en Belgique (1945-1960) et la littérature de la mine. Analyse et comparaison entre deux romans : Échine de verre de Raul Rossetti et Rue des Italiens de Girolamo Santocono, Università degli Studi di Padova a.a. 2015/2016.
[16] È il caso della Direzione didattica del Consolato di Liegi, dove i corsi durarono fino al 1980, come riportato in S. VANVOLSEM, Lingua ed educazione scolastica tra la collettività di origine italiana in Belgio, “Studi Emigrazione / Migration Studies”, XLII, 2005, 160: 867-893.
[17] C. CAMPANELLA, Emigrazione e scuola: gli scioperi degli insegnanti italiani in Belgio negli anni Settanta, in nr 54 Centro Altreitalie, 2017
[18] S. VANVOLSEM, Lingua ed educazione scolastica tra la collettività di origine italiana in Belgio, Studi Emigrazione / Migration Studies, XLII, 2005, 160: 867-893.; M. VEDOVELLI. (a cura di) Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, Carocci editore, 2021;
[19] ibidem
[20] A. VISCERA, MAECI e iniziative di promozione linguistico-culturale: l’insegnamento dell’italiano in Belgio, in V. 15 N. 1 (2023) Italiano LinguaDue
[21] Si veda intervista a Eugenio Marongiu, “La testimonianza di un pioniere nell’insegnamento ai figli degli emigrati italiani in Belgi”.
[22] C. CAMPANELLA, Emigrazione e scuola: gli scioperi degli insegnanti italiani in Belgio negli anni settanta, in nr 54 Centro Altreitalie, 2017
[23] Direttiva 77/486/CEE
[24] S. VANVOLSEM, Lingua ed educazione scolastica tra la collettività di origine italiana in Belgio, Studi Emigrazione / Migration Studies, XLII, 2005, 160: 867-893.
[25] Nel 1978-1979 dei 37085 bambini italiani iscritti nelle scuole belghe, solo 8229 frequentava un corso di italiano, ibidem.
[26] ibidem.
[27] A. MAZZOLA, E. MESCOLI, M.MARTINELLO, I profili della neo-mobilità giovanile italiana in Belgio, in Fondazione Migrantes, Rapporto Italiani nel Mondo, Tau editrice, Todi, 2018: 260-270.
[28] F. PITTAU, “L’emigrazione italiana in Belgio: da minatori emarginati a cittadini e funzionari europei”, in Dialoghi Mediterranei, n. 54, 2022, disponibile su www.istitutoeuroarabo.it/DM
[29] A. MEZZOLA, E. MESCOLI, M. MARTINELLO, I profili della neo-mobilità giovanile italiana in Belgio, in Fondazione Migrantes, Rapporto Italiani nel Mondo, Tau editrice, Todi, 2018: 260-270.
[30] M. VEDOVELLI. (a cura di), Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, Carocci editore, 2021: 229.
[31] S. VANVOLSEM, Lingua ed educazione scolastica tra la collettività di origine italiana in Belgio, Studi Emigrazione / Migration Studies, XLII, 2005, 160: 867-893.
[32] M. VEDOVELLI, (a cura di) Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, Carocci editore, 2021
[33] Charte de Partenariat entre la Communauté française de Belgique et la République italienne (2009-2012), Programme Langue et Culture d’Origine (L.C.O.) http://www.enseignement.be/download.php?do_id=664&do_check=.
[34] A. VISCERA, MAECI e iniziative di promozione linguistico-culturale: l’insegnamento dell’italiano in Belgio, in V. 15 N. 1 (2023) Italiano LinguaDue
[35] https://scuolaecorsicharleroi.altervista.org/eveil-aux-langues/
[36] A. VISCERA, MAECI e iniziative di promozione linguistico-culturale: l’insegnamento dell’italiano in Belgio, in V. 15 N. 1 (2023) Italiano LinguaDue
[37] MAECI, Annuario statistico 2023, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale in cifre
[38] A. GRECO, “L’insegnamento dell’italiano in Belgio. Quadro normativo e pratiche individuali in contesto francofono e neerlandofono”, 2021, in LId’O, 16, Bulzoni, Roma: 175-190.
[39] Locandina presso ULB dal titolo “Un séjour Erasmus en Italie puor renouer avec une histoire migratoire” 2016-2017
[40] Si veda www.dante.global/it/area-stampa/comunicati-stampa/podio-dante-premio-strega-6giugno24
[41] Si veda https://italplanet.it/il-made-in-italy-e-la-dieta-mediterranea-2a-edizione-dellevento-promosso-dallassociazione-cuochi-italiani-in-belgio/
[42] MAECI, Annuario statistico 2023, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale in cifre
[43] MAECI, L’italiano nel mondo che cambia – 2018
[44] S. VANVOLSEM, “Chi ha paura dell’italiano?”, in Bianca Maria Da Rif (a cura di), Civiltà italiana e geografie d’Europa. XIX Congresso AISLLI 19-24 settembre 2006 Trieste Capodistria Padova Pola, Trieste, EUT Edizioni Università di Trieste, 2009: 212-220.
[45] Si veda A. GRECO, L’insegnamento dell’italiano in Belgio. Quadro normativo e pratiche individuali in contesto francofono e neerlandofono, 2021, in LId’O, 16, Bulzoni, Roma: 175-190.
Riferimenti bibliografici
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VISCERA A., MAECI e iniziative di promozione linguistico-culturale: l’insegnamento dell’italiano in Belgio, in V. 15 N. 1, 2023, Italiano LinguaDue.
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Giulia Fagnoni, ha studiato Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi di Pavia, laureandosi con una tesi sui minori stranieri non accompagnati. Al termine degli studi si è dedicata al lavoro con migranti dapprima presso centri di accoglienza straordinaria (CAS) per poi specializzarsi nell’ambito della protezione internazionale e lavorare per istituzioni europee e internazionali. Frequenta il master in Economia, Diritto e Intercultura delle Migrazioni presso l’Università Tor Vergata.
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