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«Ciao, nipote»

Nino Giaramidaro (ph. Salvatore Clemente)

Nino Giaramidaro (ph. Salvatore Clemente)

di Titti De Simeis

«Ciao, zio Nino». Ci salutavamo così. Non ero, veramente, sua nipote, ma mi ci faceva sentire. Lui e zia Enza sapevano fare, affettuosamente, ‘casa’. Ogni volta che tornavo in Sicilia andare da loro era un appuntamento. Atteso.

Zio Nino indossava uno sguardo che faceva strada, ti portava con sé dalle prime parole di benvenuto fino a quelle chiacchiere in cui ritrovarsi era un attimo, in uno scambio di storie che lui offriva nella spontaneità di chi ama condividere emozioni. La stanza dei suoi libri aveva il profumo delle sue impronte, passi indelebili tra scaffali di carta rilegata letta e riletta, nella ricerca paziente e desiderata di sapere. Era curioso e tenace ammiratore della conoscenza e ne faceva generoso insegnamento. Discreto e con morbida saggezza, rubava l’interesse di chi gli era vicino e il tempo cambiava in un giro di parole.

Il racconto partiva da un posto lontano, qualche anno fa, abitato da chi aveva spartito le sue stesse strade, i viaggi, l’infanzia, il percorso di lavoro e le case della sua vita, presente o trascorsa, dalla quale pescava, ogni volta, un fatto nuovo. Ammaliava. Faceva sorridere. Teneva compagnia rubando quella degli altri, attento a sapori singolari, sfumature e dettagli preziosi. Da maestro, sempre. Graziosamente, sempre.

Nino Giaramidaro (ph. Enza Bertuglia)

Nino Giaramidaro (ph. Enza Bertuglia)

Era così. Sapeva aggiustare i pensieri e ascoltarlo metteva bellezza. I suoi gatti facevano da quinte, sparsi tra poltrone o sedute al fresco. Complici di momenti in cui i suoi ‘fatti’ si facevano da parte e il silenzio lo avvolgeva, tra fusa fedeli e sornione. Intorno: la Sicilia. Un po’ le somigliava.

Era di quelle persone che possono vivere solo in un posto nel mondo. Un posto indissolubile dal loro bisogno di sentirlo, di parlarne, di scriverne, di difenderlo, di accoglierlo, renderne luce e domani di storia. E farne fotografia, in camminate di scorci in bianco e nero da fermare su sguardi sorpresi, ogni volta, e piccole meraviglie da non lasciarsi indietro. Farne promessa da regalare e mantenere in parola.

Tra i colori di un angolo fiorito e gli odori di una cena in veranda, tra il rumore del mare, che rumore non é, e le strade frenetiche dove la notizia chiedeva urgenza e il suo giornalismo precedeva ogni cosa, in nome di quella cultura che lui amava e teneva lontana dalla banale superficie dove é tanto semplice farsi trasportare quanto improbabile lasciare tracce. Come un accordo dissonante che fa la differenza dalla solita musica.

Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024

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Titti De Simeis, insegnante, scrittrice, blogger, appassionata di fotografia e teatro. Sceneggiatrice di fiabe per ragazzi e curatrice di recensioni letterarie e cinematografiche.

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