di Virginia Lima
Belli, forti, audaci e maestosi: così siamo stati abituati e siamo tuttora propensi a rappresentare gli eroi nel nostro immaginario. Per tale motivo, accostare eroi antichi a santi e a politici è un’operazione che potrebbe apparire stravagante, fuori luogo e per certi versi anche dissacrante. Eppure, contraria= mente alle apparenze e con le dovute cautele e precisazioni, non è poi così tanto ardito ipotizzare una continuità strutturale: le figure sopracitate sono infatti modelli culturali a cui le società, antiche e moderne, si sono o si dovrebbero ispirare.
Inevitabilmente, la nostra formazione culturale associa la figura dell’eroe al mondo antico forse ancor prima che al mondo delle fiabe e delle favole. Ulisse, Achille, Ercole, Romolo, Enea sono personaggi conosciuti da individui di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali, protagonisti di racconti, di cartoni animati ma in primis di miti. Questi sono, infatti, strumenti utilizzati dai Greci e dai Romani per la rappresentazione di valori e comportamenti in quanto simboli di potere o disfacimento, di grandezza o decadenza. I miti, in particolare quelli di fondazione romana, sono «un sistema simbolico istituzionalizzato, un comportamento codificato che trasmette […] modi di organizzare le differenze» (Vernant 1981: 231). Miti e storia, dunque, di cui ad esempio l’Ab urbe condita di Livio, opera storiografica a tutti gli effetti, è intrisa, costituiscono una guida poiché guardando agli exempla del passato storico o leggendario i cittadini possono evitare di incorrere in comportamenti che minaccino l’integrità dei mores. Un accostamento, quello tra mito e storia, che risulta quanto meno bizzarro al lettore contemporaneo per il quale storia e leggenda, storiografia e mitologia sono categorie distinte e separate. Tuttavia, quando ci si approccia al mondo antico per analizzare o studiare un qualsiasi tipo di fenomeno è indispensabile collocare l’oggetto di studio nel corretto contesto storico-culturale al fine di evitare proprio l’errore di sovrapporre o di confondere le nostre categorie culturali con quelle del passato.
I protagonisti dei miti, gli eroi, sono dunque, per usare un’espressione di Guidorizzi, “culturali” nel senso che intervengono nelle fondazioni delle città, liberano le terre dai mali o dalle calamità, ripristinano l’ordine naturale e costituito e, di conseguenza, rivestono una funzione «neg-entropica» (Miceli 2005: 404). Così, ricorda lo studioso, se Edipo si macchia della più orribile delle colpe, l’incesto, San Gregorio nasce proprio da un incesto, se Perseo uccide la Medusa, San Giorgio sconfigge il drago.
Dunque, quella assolta dagli eroi è la medesima funzione ricoperta dai santi nel panorama cristiano ed è per tale motivo che alcuni studiosi, tra cui appunto Guidorizzi, ipotizzano una continuità tra queste figure: «l’eroe si muove nell’immaginario, fra storia e mito, e poiché le culture non si sviluppano separatamente ma comunicano fra loro anche in modo sotterraneo, i segni dell’eroe riaffiorano in tempi diversi, con connotati simili e soprattutto funzioni analoghe» (Guidorizzi 2012: 28). I santi cristiani, infatti, pur essendo, a differenza degli eroi, intercessori, sono interessati come questi ultimi da una vita eccezionale, da una morte fuori dal comune e da poteri straordinari che si conservano anche dopo la morte. Attorno alle parti del corpo di eroi o alle reliquie dei santi, si sono sviluppate lotte, dispute e contese in quanto custodire le reliquie era considerata un’azione che procurava protezione e prestigio all’intera comunità. Su tale premessa il grecista afferma che «l’eroe sembra essere una necessità della psicologia collettiva in base alle proprie coordinate culturali» (ivi:12).
Una necessità del tutto umana, dunque, che nel mondo antico si applica attraverso gli strumenti del racconto e del ricordo e che plasma ciò che Assmann (1997) ha definito appunto cultura del ricordo, la quale ricoprendo un funzione sociale forma l’identità del gruppo. Gli eroi, i personaggi mitologici, gli déi, gli antenati, così come i santi cristiani offrono protezione ai viventi e nello stesso tempo lanciano terribili punizioni e castighi verso tutti coloro che osano offendere o deridere la loro potenza (Guidorizzi 2012: 43). Infatti, sebbene nel mondo antico il concetto di peccato non esista, la morale dell’individuo poggia essenzialmente sugli exempla degli antenati nei confronti dei quali è obbligo mantenere un antico rispetto e un’autentica reverenza. In tal senso la trasmissione della memoria collettiva, veicolata dal racconto, legittima comportamenti, poteri e perfino dominazioni.
In effetti, come ci ricordano Barthes e Greimas, l’essere umano è predisposto geneticamente al racconto e all’ascolto di storie: se i miti e le agiografie parlano rispettivamente della fondazione di città attribuite ad eroi, modelli di straordinarietà, e degli exempla religiosi da cui trarre ispirazione, allora anche le storie raccontate dai politici contemporanei altro non sono che risultato di un processo di eroizzazione che interessa l’homo politicus. In altre parole, se Livio utilizza il patrimonio mitologico e storico per giustificare il dominio di Roma, il politico attraverso il racconto di vita attua un’operazione di auto-legittimazione mediante la quale manipola, seduce ed emoziona i potenziali elettori.
Anche il mondo contemporaneo come quello antico è immerso, dunque, in un’epoca narrativa che pervade tutti i settori sociali. Si tratta, infatti, di una vera e propria strategia comunicativa usata nella pubblicità come nella politica e definita storytelling con cui il politico si trasforma in enunciatore complesso (Severi 2004). Le potenzialità di tale strumento emergono nella Ashley’s Story (www.Ashley’sStory.com), esempio ormai di qualche anno fa, ma pur sempre emblematico. Lo spot con cui G. W. Bush ha vinto le elezioni presidenziali del 2004, racconta la catarsi di una bambina la quale in seguito alla perdita della madre durante l’atto terroristico dell’11 settembre 2001, riesce ad acquisire nuovamente salute mentale e fisica mediante l’abbraccio terapeutico proprio del candidato repubblicano. Salmon analizzando la struttura dello spot afferma che Bush non solo emerge come un eroe, ma diventa «mediatore di una sorta di miracolo» in quanto «è presente solo attraverso le testimonianze che riportano le sue grandi gesta e i suoi discorsi, come nelle vite dei santi o nella narrazione evangelica» (Salmon 2008: 97). Un re, un santo, un personaggio carismatico, il cui potere taumaturgico ha consentito all’orfana di madre di riprendere la propria vita grazie proprio alla catarsi veicolata dal tocco miracoloso del guaritore.
Se la narrazione è la costante strutturale che lega i modelli di eroi, santi e politici, è il carisma a garantire l’eccezionalità delle figure. Questo, infatti, è definito da Cavalli come «partecipazione alla dimensione dello straordinario (…). Solo chi è al di sopra della realtà ordinaria può dominarla» (Cavalli 1991: 29). Rispetto agli anni in cui Cavalli spiegava il concetto di carisma associato al politico, la situazione è decisamente mutata se proprio Salmon, il primo che ha spiegato il concetto di storytelling, afferma che i politici di oggi sono personaggi effimeri, soggetti della nostra immaginazione i quali non riescono più a domare le crisi contemporanee in quanto prigionieri dei propri racconti artificiali.
Tuttavia, l’immagine che il politico dovrebbe veicolare è quella di un Prescelto, un uomo meno comune degli altri per il quale il destino ha riservato imprese e successi fuori dalla normalità. Come santi ed eroi anche l’uomo politico, infatti, si impegna nella salvaguardia dell’ordine sociale intervenendo in un momento di crisi. Berlusconi negli anni Novanta e Renzi in questi ultimi anni hanno costruito il proprio successo mediante una strategia precisa: la costruzione del Sé, l’apparizione di un eroe che, grazie al proprio vissuto e nonostante tutte le avversità, riesce a conquistare risultati nella misura in cui guadagna ammirazione. Trattandosi inoltre di una costruzione narrativa e scenica alla figura dell’eroe/politico si oppone quella di un anti-eroe: i comunisti, le toghe rosse per Berlusconi, i “gufi” e i pessimisti per Renzi.
La narrazione, dunque, è un meccanismo attraverso cui si forma e si afferma il potere in quanto mediante il racconto di una storia passata o presente è possibile rafforzare emozioni, indirizzare i pensieri degli individui. Ecco perché lo storytelling non si configura semplicemente come un elemento utile ad organizzare la realtà, ma come uno strumento atto alla costruzione della realtà stessa nel mondo antico come nella contemporaneità. I politici di oggi, infatti, sono consapevoli dell’importanza insita nel raccontare una storia, atto che esige tuttavia responsabilità e coerenza. Lo stesso premier italiano nell’estate del 2014 in occasione del Festival dell’economia di Trento ha sostenuto che per mutare in meglio le sorti del nostro Paese è indispensabile «cambiare lo storytelling dell’Italia» ed è ritornato sull’argomento in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica quando ha affermato: «Il Presidente della Repubblica deve essere una storia raccontabile prima di tutto al nostro interno» (http://archiviostorico.corriere.it/2015/gennaio/29/spinge_per_Mattarella_co_0_20150129_dc1c9f48-a782-11e4-a7b9-6f886246d65e.shtml?refresh_ce-cp). È a tal proposito che Salmon in un’intervista rilasciata nel marzo 2015 a Giovanna Faggionato di Lettera43 nel presentare il suo ultimo lavoro, La politica nell’era dello storytelling, a proposito della retorica di Matteo Renzi spiega come la «narrazione sia passata da una semplice tecnica comunicativa ad un vero e proprio programma di governo» (http://www.lettera43.it/politica/salmon-vi-spiego-renzi-e-la-politica-dello storytelling_43675161863.htm).
L’apporto terapeutico che passa mediante il racconto era ovviamente una cifra del culto tanto eroico quanto cristiano se si accetta l’ipotesi secondo cui con l’avvento e la diffusione del Cristianesimo il santo nell’immaginario collettivo prende il posto dell’eroe tradizionale come dimostra la risacralizzaione dei luoghi di culto. In tal senso rivestono un’importanza cruciale anche il racconto del corpo e il luogo della sepoltura, in quanto l’acquisizione del potere e dunque della sacralità passa proprio attraverso la morte del corpo umano e quindi imperfetto: «quella piccola parte del corpo che rimane, trasformata in cenere o inumata, ma resa perenne dalla sepoltura, scavalca il tempo effimero dell’esistenza e costituisce la sola, vera porzione d’immortalità che tocca a un uomo» (Guidorizzi 2012: 38).
Tuttavia, se per gli eroi omerici la perdita del corpo costituisce la perdita di una parte essenziale del proprio essere, per il santo è ciò che determina la realizzazione del proprio “io”. Ed è infatti mediante il racconto, da un lato del martirio del corpo umano e dall’altro della superiorità del corpo immateriale, che si avvia il rafforzamento della fede da parte dei seguaci di Cristo. Per tale motivo, se nel mondo greco le storie degli eroi greci erano lette e recitate, nel mondo cristiano la lettura della passio era pubblica in modo da presentare e rappresentare la verità del Vangelo, ancora oggi nel panorama politico l’ampliamento dei mezzi di comunicazione implica un’amplificazione dei messaggi trasmessi in pubblico dal leader. Non è un caso, poi, che le storie dei santi, le agiografie, riprendano non solo moduli tematici e ambientazioni già utilizzati dai rapsodi greci nelle epopee eroiche, ma anche una caratterizzazione ambigua: come l’eroe greco anche il santo è un personaggio ramingo, che scaccia il demonio; come Eracle, Oreste, Medea anche Simeone Salos o Andrea manifestano puri atteggiamenti di follia (ivi: 17).
Così come per il potere politico, dunque, anche l’affermazione del potere religioso ed eroico passa attraverso l’arte della narrazione, attraverso la costruzione di un Sé utile alla conferma della straordinarietà delle qualità del personaggio e del messaggio rappresentato. Inoltre, oggi più di ieri la legittimazione del potere politico passa per il corpo in quanto da un lato la spettacolarizzazione dell’anatomia veicola la seduzione e, dunque, le strategie del consenso, ma dall’altro lo sguardo impietoso delle telecamere può sottoporre il leader politico al rischio di indebolimento della propria persona e del progetto di cui egli stesso è portatore. In tal senso, la mortificazione del corpo che per gli eroi omerici era sinonimo di distruzione, per i santi mezzo di ascesi sacra, per i politici diventa esibizione del retroscena nel quale il corpo umano è assimilato al corpo carnevalesco di Bachtin. In altre parole, per il politico contemporaneo il corpo è contemporaneamente potenziale elemento di consenso e di delegittimazione.
Quando il Galileo brechtiano afferma «Felice quel Paese che non ha bisogno di eroi», non tiene conto di una necessità sociale e psicologica del tutto umana: la creazione di personaggi a cui ispirarsi, la realizzazione di valori e di modelli che siano una guida per la società. In altre parole, finché l’uomo abiterà sulla terra anche gli eroi saranno presenti. La positività di tali modelli o la loro effettiva rappresentazione è tutta un’altra storia!