di Olimpia Niglio
In un mondo che è interessato da profondi cambiamenti, i progressi della scienza e della tecnologia hanno, negli ultimi anni, modificato la sensibilità dell’uomo nei confronti della storia, della natura e delle relazioni sociali. L’educazione al patrimonio culturale e il tema della cultura stessa sono stati isolati e in molti casi non sono stati considerati essenziali e rilevanti in un processo di formazione e sviluppo dell’individuo e della società. Questa mancanza di conoscenza nella formazione dell’individuo ha prodotto molti problemi e soprattutto un allontanamento dalla totalità delle espressioni del patrimonio culturale, dalle tradizioni ancestrali e da tutto ciò che ha caratterizzato lo sviluppo della società fino al mondo contemporaneo.Da qui la perdita dell’identità culturale stessa di un luogo, un’identità che rappresenta la difesa delle tradizioni, della storia e dei valori morali, spirituali ed etici ereditati dalle generazioni passate. È fondamentale, infatti, comprendere che gli usi culturali presenti e futuri hanno lo stesso valore di quelli del passato e che sia i governi, con le loro istituzioni, sia gli accademici, con le loro comunità, devono ora rafforzare la formazione nel campo dei beni culturali e partecipare attivamente allo sviluppo delle politiche culturali.
Tuttavia, questo non potrà più essere perseguito seguendo i principi omologanti e considerati assolutamente condivisibili da tutti solo perché frutto di una “élite del mondo” che per secoli ha cercato di imporre le proprie idee a scapito della frustrazione altrui. Infatti, spesso nel settore della cultura sono stati imposti metodi e criteri di analisi e di valutazione dell’eredità culturale che riflettono solo l’abitudine di valutare politiche e pratiche diffuse nell’Occidente, indicando con questo termine il settore geo-culturale “atlantico” del mondo e non certo tutte le altre civiltà.
Infatti, sono sempre più evidenti, e vanno tenute in considerazione, le molteplici modernizzazioni non occidentali, vale a dire non atlantiche o eurocentriche. Se vogliamo essere onesti intellettualmente dovremmo cercare di tener conto, nella nostra analisi della globalizzazione, della conoscenza degli Altri (Medio Oriente, Asia, Africa, America Latina) e soprattutto interrogarci con oggettività su come loro vedono l’Occidente. Tutto questo è fondamentale in quanto nell’ottica altrui i nostri princìpi non sono universali e soprattutto non sono convincenti ma presi in considerazione esclusivamente per formale educazione. Certi “nostri” ideali sono nella pratica da noi stessi “calpestati” e perdono così di credibilità a seguito di esempi e condotte occidentali non sempre coerenti alle dichiarazioni formali. Pertanto, i valori celebrati dai nostri postmoderni come l’alterità, la differenza e il senso dell’identità sono molto spesso trascurati nella pratica geopolitica occidentale.
Inoltre, se è vero che l’apertura economica soprattutto della Cina ha accelerato e intensificato la globalizzazione secondo il modello neoliberale, tutto ciò ci deve far riflettere che l’omogeneizzazione, l’uniformizzazione e la standardizzazione sono tutti princìpi che non è più possibile perseguire senza un corretto pensiero critico. Tanto più che la parte orientale del mondo contesta, a ragion veduta, l’universalità dei nostri valori e proclama non una ma molteplici traiettorie di modernizzazione e di valutazione anche del patrimonio culturale. I valori asiatici oggi sono molto in voga e le modernizzazioni non occidentali (Cina, India, Malesia, Giappone) hanno un successo economico che attira l’attenzione degli investitori.
La verità è che con la globalizzazione d’ispirazione neoliberale, la cultura “atlantica” vive la piena contestazione, al suo stesso interno, di uno schema egemonico secondo il quale la modernità occidentale, ossia quella che si trasferisce da Roma a New York, da Atene a Los Angeles, altro non è che la fine dello sviluppo storico del mondo. Risulta pertanto necessario rimettersi in gioco seriamente, porsi in una posizione di autovalutazione e di corretto confronto con le altre culture al fine di intendere le diverse prospettive transculturali che intervengono sempre più nella nostra quotidianità.
Per raggiungere questi obiettivi, risulta urgente anche affrontare la questione del patrimonio culturale sotto i suoi molteplici aspetti e valori e affermare la centralità della Cultura e dell’Educazione come basi per conoscere e valorizzare le peculiarità storiche e la comunione dei valori universali che uniscono le persone. Tutto ciò definisce l’essenza stessa del pluralismo culturale unitamente al riconoscimento delle molteplici identità, dove coesistono tradizioni diverse che contribuiscono allo sviluppo dell’umanità.
Ripartendo, quindi, dal significato di Cultura, è fondamentale avvicinare le comunità accademiche, i professionisti e le istituzioni pubbliche e private ai contenuti e ai valori del patrimonio culturale, al fine di rafforzare il dialogo intergenerazionale e generare competenze per affrontare questioni importanti, quali le insostenibili disuguaglianze culturali, sociali ed economiche, che sono fattori fondamentali su cui bisogna intervenire per rimuovere le cause dei molteplici conflitti e delle gravi tensioni che minacciano la pace e la sicurezza nel mondo.
Infatti, la pace e lo sviluppo globale dell’umanità richiedono politiche attente nei settori della cultura, dell’istruzione, della scienza e della comunicazione per stabilire un equilibrio armonioso tra il progresso tecnologico contemporaneo e l’elevazione intellettuale e morale dell’umanità. Sono questi tutti princìpi già ben espressi nella “Dichiarazione del Messico sulle Politiche Culturali” firmata nell’agosto del 1982 dove si afferma che la cultura dà all’uomo la capacità di riflettere su sé stesso. È questo che fa di noi esseri umani persone razionali ed eticamente impegnate. Solo attraverso la cultura percepiamo i valori e facciamo delle scelte e solo attraverso di essa, l’uomo è in grado di esprimersi, prende coscienza di sé e si interroga sul significato della sua stessa esistenza e del suo compito sul pianeta al servizio della comunità (Niglio, 2020).
È appena il caso di precisare che la cultura altro non è che quell’insieme di tratti distintivi spirituali e materiali, intellettuali ed emotivi che caratterizzano una società o un gruppo sociale. Comprende, oltre alle arti e alle lettere, i modi di vita, i diritti fondamentali dell’uomo, i sistemi valoriali, le tradizioni e le credenze. Per questo motivo è un concetto che non può essere omologato e quindi globalizzato. La stessa globalizzazione non è il prodotto di un’unica cultura, di idee e di valori tipici di una sola civiltà, e non è più sinonimo di omogeneità o di conformità. Differentemente si tratta di un processo molto più complesso, risultato di circostanze, di interessi e forze molteplici (Rajaee, 2001). Come affermato anche da Francesco Follo nella sua lezione presso l’Università Cattolica di Milano (Educazione, globalizzazione e dialogo interculturale, 30 Novembre 2017)
«[…] la globalizzazione non è un fenomeno uniforme e si caratterizza piuttosto per un movimento di idee e di valori che si confrontano, si spingono, si ritirano, si sviluppano, si diffondono, si cristallizzano e si trasformano di nuovo. Di più, le idee e i valori che sottendono la globalizzazione non vengono dal fenomeno in sé stesso che da tempo ha preso una dimensione regionale e policentrica. La prova che queste idee e valori possono essere espulsi senza mettere in questione l’idea stessa di globalizzazione. Inoltre, oltre alla globalizzazione geografica dovremmo parlare di globalizzazione storica, come di interculturalità non solo geografica ma anche storica».
Comprendere questa interculturalità significa costruire insieme un percorso fondato sull’educazione alla trasmissione del passato e pertanto connesso ad un processo educativo e culturale che trova le sue radici nella παιδεία (paidéia) che per l’appunto nell’antica lingua greca significa sia educazione che cultura. Non c’è alcun dubbio che è imprescindibile una conoscenza adeguata del passato, in quanto senza una sua adeguata comprensione il presente resta privo di un contesto e sottratto alla ricchezza della realtà. La grande parola che esprime la testimonianza del passato è la parola tradizione, ossia trasmissione, consegna di un bene da una generazione all’altra. Nella cultura latina il termine tradizione indica l’azione di insegnare, quindi di trasmettere conoscenza, nonché di narrare qualcosa che passa di mano in mano nel corso del tempo. Proprio questa trasmissione costituisce una delle principali azioni etiche che l’umanità deve favorire per lo sviluppo delle comunità future.
C’è poi da considerare che questa tradizione resterebbe ignota, se non venisse opportunamente comunicata all’interno della quotidianità e pertanto di quel vissuto presente dentro una realtà che la renda viva, quindi attiva alle esigenze della contemporaneità. Questo “living heritage” (patrimonio vivente) rappresenta la comunità, è il risultato di autorevoli e concrete azioni che ogni giorno le comunità compiono sui propri territori. Va poi sottolineato che questo processo educativo perde di forza nel momento in cui lo si rende estraneo alle esigenze della contemporaneità e quindi avulso da un processo fondato sul pensiero critico. Un’educazione critica non è quella che giudica ma è quella che è in grado di mettere la persona nelle condizioni di poter paragonare le proprie idee con quelle altrui.
Solo una buona educazione basata sulla comprensione e sull’ascolto consentirà alle comunità di costruire ponti e non muri, dialoghi e non norme omologanti e pertanto di saper accogliere ed “ospitare” le differenti opinioni senza cercare una chiave di uniformazione. Tutto questo presuppone però un’azione partecipativa alla conoscenza in opposizione al modello individualistico, di origine cartesiana, incentrato solo sul rapporto tra soggetto ed oggetto e che ha avuto ampio spazio per molto tempo ma che adesso è chiaramente in crisi. Infatti, finalmente, si è inteso il valore della condivisione del sapere e della sua garanzia sociale, non solo come fruizione collettiva, bensì anzitutto come condizione epistemologica costituente il sapere.
Alla base di questa nuova prospettiva emerge poi la necessità di approfondire il ruolo del linguaggio e quindi la conoscenza delle diverse interpretazioni di vocaboli che spesso diamo per scontati ma che tali non sono in quanto si manifestano differentemente nei diversificati ambiti geografici e culturali, in cui spesso molti di questi vocaboli che consideriamo universali neppure esistono. È quanto afferma anche la contemporanea epistemologia scientifica che correttamente afferma che la verità di un’idea, di un pensiero non è più opera individuale bensì sapere derivato da processi collettivi in grado di generare innovazione. Karl Popper (1902-1994) rimette al centro il valore della comunità quale garante del riconoscimento degli avanzamenti della ricerca rispetto al nostro passato e pertanto del valore delle nuove acquisizioni derivanti proprio da una elaborazione critica di questo passato.
Sono queste brevi considerazioni che possono aiutare a comprendere anche il significato della Convezione di Faro (2005) che dopo quindici anni dalla sua pubblicazione finalmente è stata ratificata anche in Italia lo scorso 23 settembre 2020. Il concetto base è proprio il valore sociale del patrimonio culturale e su quanto esprime chiaramente l’articolo 2 della Convenzione quando afferma che
1. l’eredità culturale è un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Essa comprende tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi;
2. l’eredità di una comunità è costituita da un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future.
Tutto questo va tuttavia inquadrato all’interno di una prospettiva ampia di interpretazioni che il concetto stesso di “patrimonio culturale” assume nel mondo dove le differenti lingue e le differenti tradizioni (e quindi processi di educazione e trasmissione), basandosi su differenti paradigmi, mettono in azione metodi e criteri di intervento da non valutare pregiudizialmente come discordanti rispetto ad una cultura prevalente ma piuttosto da analizzare attentamente e considerare come opportunità proprio per interagire all’interno di un corretto dialogo transculturale.
In realtà la lingua stessa è un patrimonio culturale importante e questa – come affermava Ludwig Wittgenstein (1889-1951) – si organizza mediante “giochi linguistici”, che governano il parlare degli uomini ma che devono sempre essere in rapporto con le “forme della vita”, e soprattutto rispondere a concrete pratiche di vita connesse con le rispettive culture. Pertanto, è facile intuire la impossibilità di una omologazione terminologica a cui si è tentati di pervenire facendo prevalere solo alcune civiltà a discapito di altre.
Su tali tematiche in questi mesi del 2020 sono stati promossi molti seminari internazionali soprattutto nell’area latino-americana e centro-asiatica che hanno consentito di aprire interessanti confronti transculturali e soprattutto di promuovere la necessità di attivare nuovi “percorsi culturali” in grado di rimettere al centro il valore delle comunità, riconoscendo che ogni persona ha il diritto, nel rispetto dei diritti e delle libertà altrui, ad interessarsi all’eredità culturale di propria scelta, in quanto parte del diritto a partecipare liberamente alla vita culturale, così come sancito dalla Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite dei Diritti dell’Uomo (1948) e garantito dal Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (1966).
È sulla rigenerazione di storici paradigmi e sulla ricerca di nuovi che d’ora in avanti le comunità locali e la comunità internazionale dovranno interrogarsi e confrontarsi per incoraggiare riflessioni costruttive sull’etica e sui metodi di valorizzazione dell’eredità culturale nel rispetto delle diverse interpretazioni, stabilendo princìpi conciliativi e non contraddittori e soprattutto favorendo lo sviluppo della conoscenza delle altrui tradizioni per la coesistenza pacifica e la promozione della sostenibilità del mondo, come auspicato in tutti i suoi punti nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (2015) su cui tutti siamo invitati a lavorare per il benessere dell’umanità.
Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020
Riferimenti bibliografici
Follo F. (2017), Educazione, globalizzazione e dialogo interculturale (30 Novembre 2017), Università Cattolica di Milano, testo manoscritto.
Niglio O. (2020), Por un proceso significante del Patrimonio Cultural. Entre Cultura y Etica, in Dialoghi Mediterranei, n°44, Luglio 2020, ISSN 2394-9010. http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/por-un-proceso-significante-del-patrimonio-cultural-entre-cultura-y-etica/#more-34096
Popper K. (2007), The Two Fundamental Problems of the Theory of Knowledge, T.E. Hansen (ed.), London: Routledge.
Rajaee F. (2001), La mondialisaton au banc des accusés: La condition humaine et la civilisation de l’information, Centre de recherches pour le développement international, Ottawa.
Wittgenstein L. (1998), Culture and Value, London: Wiley-Blackwell.
Documenti internazionali
Council of Europe Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society (2005)
https://www.coe.int/en/web/conventions/full-list/-/conventions/rms/0900001680083746
Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite dei Diritti dell’Uomo (1948)
https://www.un.org/en/universal-declaration-human-rights/
Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (1966)
https://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/CESCR.aspx
Agenda 2030, ONU (2015)
https://www.un.org/sustainabledevelopment/development-agenda/
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Olimpia Niglio, architetto, PhD e Post PhD in Conservazione dei Beni Architettonici, è docente di Storia dell’Architettura comparata. È professore presso la Hokkaido University, Faculty of Humanities and Human Sciences e Follower researcher presso la Kyoto University, Graduate School of Human and Environmental Studies in Giappone. È stata full professor presso l’Universidad de Bogotá Jorge Tadeo Lozano (Colombia) e Visiting Professor in numerose università sia americane che asiatiche. Dal 2016 al 2019 è stata docente incaricato svolge i corsi di Architettura sacra e valorizzazione presso la Pontificia Facoltà Teologica Marianum ISSR, con sede in Vicenza, Italia. È membro ICOMOS – International Council on Monuments and Sites - e ACLA – Asian Cultural Landscape Association. È Vice Presidente dell’ISC PRERICO, Places of Religion and Ritual, ICOMOS – International Council on Monuments and Sites - e Vice Presidente ACLA – Asian Cultural Landscape Association. https://orcid.org/0000-0002-5451-0239.
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