CIP
di Mara Bernardini e Erika Grancagnolo [*]
L’azione di patrimonializzazione consiste nella espressione costante di un’istanza sociale, nella risposta ad una tendenza a creare comunità. In tal senso, una particolare attenzione è stata riservata dagli antropologi allo studio delle relazioni tra i processi patrimoniali e le costruzioni identitarie. Come ha sottolineato Gino Satta (2013), il rapporto tra patrimonio e politiche dell’identità è un rapporto piuttosto stretto dal momento che le identità collettive si costruiscono e si affermano in virtù del possesso di un patrimonio comune. Infatti, come ha evidenziato Berardino Palumbo (2003: 23):
«Le appartenenze, le identità che il legame con tali beni consente di costruire e rappresentare non sono puramente formali e ideologiche. Coinvolgono piani emotivi profondi, chiamano in causa il nostro comune senso estetico, le nostre idee su storia e memoria, una precisa visione del mondo, del tempo e dello spazio, il nostro essere (italiani, siciliani, lombardi, livornesi o pisani)».
Si pone, quindi, come fondamentale l’individuazione di una serie di tratti, comportamenti, qualità immutabili nel tempo e «fissati una volta per tutte nello spazio che, costituendosi come patrimonio, definiscano un soggetto politico collettivo e costruiscano, in tal modo, il supporto materiale e simbolico, concreto e manipolabile, di identità sostanziali» (Ivi: 32).
La nozione di patrimonio ha subìto nel tempo una notevole metamorfosi, determinata sia dalle trasformazioni sociali, economiche e politiche, sia dal cambiamento e dall’ampliamento dei paradigmi epistemologici adottati. Si sono moltiplicate le tipologie di beni definibili come patrimonio e sono aumentati gli attori che partecipano ai processi di patrimonializzazione, «cioè alle politiche e alle pratiche finalizzate alla costruzione di ‘oggetti’ patrimoniali, alla loro legittimazione istituzionale e alla loro tutela, salvaguardia e valorizzazione» (Cossu, 2005: 41).
All’origine del dispositivo patrimoniale sono collocate, dunque, due questioni fondamentali, tra loro correlate: l’emergere di un nuovo soggetto collettivo, che si fa garante di un insieme di beni ritenuti fondamentali per la propria identità e continuità storica; e l’individuazione di un insieme di beni da sottrarre alla distruzione e alla dispersione. Ciò che definiamo come la sfera del patrimonio, allora, non è altro che «il sentimento del sé collettivo in relazione alle oggettivazioni storiche del passato. La comunità di patrimonio è, in realtà, un insieme di comunità culturali e non una essenza unitaria» (Simonicca, 2019: 104).
Ci si chiede, dunque, il senso che un bene culturale viene a rivestire oggi e ha rivestito nel passato per le comunità locali e come questo senso si sia modificato e si modifichi a seconda dei cambiamenti connessi non solo alla comunità locale, ma anche in relazione a cornici di senso determinate a livelli più ampi della località: le strutture regionali, le forme di valorizzazione e regolamentazione dei beni immateriali di carattere nazionale, le nuove cornici sovranazionali di inquadramento di tali processi (Bindi, 2019).
Nella messa in valore dei patrimoni, soprattutto all’interno di progetti di sviluppo territoriale, a fare la differenza, allora, sono le modalità, i soggetti coinvolti, gli obiettivi. «Se si dà potere decisionale anche alle comunità locali e a tutte le componenti sociali, allora i processi di patrimonializzazione possono essere un’occasione storica perché esse diventino protagoniste del proprio avvenire» (Cossu, 2005: 55).
Si comprende, allora, come il patrimonio non sia rappresentato meramente da “cose [1]” o da ambiti precostituiti del sapere, bensì si articoli in una realtà caleidoscopica, caratterizzata da una pluralità di azioni, pratiche e conoscenze, talvolta in contraddizione tra loro (Clemente, 2012). Secondo Katia Ballacchino (2014), infatti, «occorre guardare al patrimonio non in un’ottica di neutralità ma come esito di un processo costantemente reinventato, dinamico e relazionale, come è del resto quello identitario, in cui intervengono molti attori sociali, spesso anche in conflitto tra loro» (ivi: 19).
Il patrimonio culturale immateriale offre l’opportunità di mettere in dialogo l’approccio tecnico-scientifico demoetnoantropologico con la dimensione soggettiva degli interlocutori, che ne sono protagonisti. Questo approccio integra la produzione della conoscenza con i suoi risvolti pratici, consente di superare la relazione gerarchica ricercatore-interlocutori, favorendo, così, un reale coinvolgimento attivo di questi ultimi (Bortolotto, 2013).
Verranno presentate, dunque, due diverse modalità con cui si sviluppa la relazione tra le comunità locali e i patrimoni culturali immateriali. Il primo caso restituirà un’analisi del rapporto esistente tra antropologo, comunità e patrimoni culturali immateriali, secondo una prospettiva top-down, che vede il coinvolgimento attivo sia delle amministrazioni centrali che locali. Nel secondo caso, invece, si descriverà il processo di riappropriazione di uno spazio significativo per una comunità colpita da un evento traumatico, attraverso la pratica del gioco di ruolo dal vivo di genere fantasy.
Amministrazioni, comunità e antropologi: analisi di due piani d’azione
I ruoli attivi di antropologo e comunità, così come il rapporto tra essi, possono essere facilmente colti e valutati dall’esperienza di due progetti che hanno visto il loro culmine nel biennio 2023-2024 ai quali, in modalità differenti, ho avuto occasione di partecipare. Nello specifico, si tratta della Mappatura delle Rievocazioni Storiche sul Territorio Nazionale, promossa dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale (ICPI) e dalla Società Italiana per la Museografia e i Beni Demoetnoantropologici (SIMBDEA), e del Censimento Nazionale del Patrimonio Immateriale, avviato dall’Unione Nazionale Pro Loco d’Italia (UNPLI), in collaborazione con l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) e con lo stesso ICPI. In entrambi i casi l’obiettivo dei proponenti è l’inventariazione di tutto quello che rientra nelle categorie del patrimonio immateriale o in quella più specifica delle rievocazioni storiche, all’interno di uno strumento utile a promuovere e valorizzare il bene tramite il suo riconoscimento e la sua facile consultazione.
Come appare intuibile, entrambi i progetti sono stati in qualche maniera calati dall’alto, dalle amministrazioni sulle comunità, in special modo osservando gli attori istituzionali che se ne sono fatti carico. In realtà, alla luce del loro precipuo svolgimento, ciò che rende questi propositi interessanti all’analisi è proprio la qualità della partecipazione delle comunità, espressa in diverso grado in ciascuna delle due realizzazioni. Giocoforza, le volontà istituzionali e la partecipazione dal basso confezionano per l’antropologo un ruolo, come si vedrà, ben diverso nella Mappatura e nel Censimento; se nel caso del primo, infatti, può ancora essere inquadrato nelle sue classiche peculiarità tra ricerca sul campo e ricomposizione del dato acquisito, nel secondo non appare più come protagonista attivo nel processo decisionale, ma posto dietro le quinte di tutto lo svolgersi del progetto. Il centro della scena nel Censimento è occupato dalle comunità locali, il ricercatore, in un certo senso, fornisce soltanto gli strumenti necessari ad una sorta di autodeterminazione. Il raffronto, così, di queste due diverse esperienze può offrire spunti interessanti, soprattutto nella valutazione del ruolo dell’antropologo, fattore che conferisce sfumature differenti ai singoli progetti.
La mappatura portata avanti da ICPI appare standard nei suoi caratteri, un progetto di ampio respiro nell’ambito del quale l’antropologo ha rilievo sia operativo che decisionale. Partendo dalla definizione di rievocazioni storiche come «eventi e pratiche pubbliche accomunate dalla volontà di rivivere o mettere in scena momenti del passato storico, attraverso performances di massa caratterizzate dall’uso di costumi e di ricostruzioni di ambienti e manufatti d’epoca» (Dei, 2017: 7), il comitato scientifico ha realizzato, secondo varie fasi ben scandite e riportate nel sito web stesso [2], una selezione di eventi, ponendo delle condizioni al loro riconoscimento. Le caratteristiche di accesso dell’evento al catalogo, come il riferimento al territorio (un luogo o un edificio) e il radicamento in esso (ogni evento deve avere una “anzianità” di almeno cinque anni per poter essere ammesso alla mappatura), sono state stabilite dagli antropologi nel momento di avvio del progetto, dando così un indirizzo chiaro a tutto il progetto. Anche il lavoro successivo, vale a dire quello di ricerca sul campo per ogni singolo evento e della catalogazione di questo con apposite schede EVE-Evento o ICH – realizzate rispettivamente dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) e dalla Regione Lombardia (la scheda ICH, in realtà, è una rivisitazione di un precedente lombardo, la REIL-Registro delle Eredità Immateriali di Lombardia), è stato realizzato tramite la partecipazione di un pool selezionato di otto antropologi.
Questa seconda fase ha visto, però, emergere il ruolo delle comunità locali soprattutto in veste di attori principali degli eventi. In ogni caso, l’aspetto “tradizionale” del progetto emerge proprio in questi tratti: l’antropologo sul campo osserva l’evento e successivamente, tramite la scheda, ne tiene traccia e lo analizza in qualche maniera. Scendendo nel dettaglio, però, si notano le particolarità della Mappatura: gli attori locali sono in questo contesto, oltreché i logici organizzatori degli eventi, anche i principali promotori di questi all’interno del catalogo. La Mappatura, sebbene conclusa nei suoi lavori, è in realtà sempre aperta: ciascuna comunità può proporre al comitato scientifico la propria rievocazione e, se questa rispetta i vincoli elencati poco sopra, viene accettata e inserita nel catalogo. La partecipazione, in realtà, non si limita a questo, ma vede protagoniste anche le comunità, soprattutto nella raccolta dei dati per ogni singola schedatura, in una sorta di lavoro di gruppo che vede al suo vertice ipotetico il lavoro del ricercatore, inteso come districatore della matassa di dati raccolti. In questo senso quello proposto da ICPI si rivela un progetto ibrido, capace di valorizzare la figura dell’antropologo nelle sue competenze e, al contempo, di investire di responsabilità gli attori dal basso, vero centro del bene immateriale.
Un passo ulteriore in questa direzione, come si vedrà a breve, è rappresentato dal Censimento realizzato da UNPLI, ANCI ed ICPI, che in un certo senso realizza in forma ancora più completa la volontà di responsabilizzazione delle comunità accennata poco sopra. Si tratta, in questo caso, del primo tentativo di catalogazione sistematica dell’intero ammontare dei beni immateriali a livello nazionale, in maniera tale da renderlo monitorabile soprattutto nel corso del tempo [3]. In questo contesto, UNPLI ed ICPI hanno approntato una scheda apposita, che in maniera snella ma analitica permetta al singolo ricercatore di catalogare le singole entità. La partecipazione di Pro Loco e Comuni, tuttavia, restituisce sin da subito i caratteri particolari di questa opera di catalogazione. Sebbene l’iniziativa parta dall’alto e non dalla volontà delle comunità, queste ultime devono – negli intenti dei propositori – avere un ruolo più che attivo, configurandosi esse stesse come comunità proponenti e cataloganti.
Il ruolo dell’antropologo, infatti, può fermarsi qui, alla realizzazione dell’ossatura della scheda e delle linee guida per compilarla, così come al dettare gli indirizzi generali del progetto. È la comunità che cataloga sé stessa, il proprio territorio e il proprio patrimonio immateriale. Stabilito secondo dinamiche interne alle Pro Loco o ad altre forme di associazionismo locale cosa è rilevante e cosa catalogare, utilizzando la scheda preparata, gli attori locali potranno inserire autonomamente il proprio bene all’interno del catalogo nazionale in corso di realizzazione. Il ricercatore assiste dunque in disparte, dà avvio alla macchina e spera che si muova in maniera autonoma. Come detto nelle battute introduttive, fornisce gli strumenti: nelle fasi preliminari all’avvio del progetto, alcuni rappresentanti delle Pro Loco sono state formati all’utilizzo della scheda, ma anche e soprattutto all’autocoscienza e alla definizione di “patrimonio immateriale”.
Dirimente, nel contesto di questo progetto, è infatti che la comunità si autodetermini, che prenda coscienza di sé stessa senza intromissioni esterne e decida da sé cosa è rilevante e da cosa rappresenti il suo patrimonio immateriale. In buona sostanza, appare rilevante che conosca sé stessa e che, primariamente, conosca e riconosca un bene immateriale. L’antropologo diviene quasi un amministratore centralizzato, che affida la gestione a enti locali, evitando possibilmente la sua interferenza, che in questo caso si limita alle istruzioni iniziali e alla verifica successiva delle schede inviategli.
Entrambi i progetti, come è evidente anche da questa sommaria introduzione, mettono al centro dell’idea di patrimonio immateriale quella di comunità e ciò appare chiaro anche nel modus operandi dei due comitati scientifici. Alla base di questa volontà risiedono indubbiamente i principi espressi dalla Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale (2003) dell’UNESCO, che pone come fondamento del riconoscimento istituzionale quello previo dei protagonisti dal basso. Sono le comunità che in prima istanza hanno il ruolo di prendere coscienza del proprio patrimonio e proporlo alla salvaguardia (nel caso UNESCO) e alla catalogazione (nel caso della Mappatura e del Censimento). Negli intenti della Convenzione, dunque, un patrimonio risulta tale soltanto nel momento in cui riceve questo riconoscimento dalla comunità di riferimento, non dall’esterno né tantomeno dall’alto. Le due iniziative catalografiche e inventariali qui descritte hanno senza dubbio il merito di cercare una maggior responsabilizzazione delle comunità, una sempre più ampia presa di coscienza di sé. Nella realizzazione, questo comporta un piccolo passo di lato da parte dell’antropologo [4], il cui lavoro emerge nella formazione della comunità locale e nel rapporto con essa, nella raccolta di dati e nell’analisi. Sicuramente si tratta di una strada alternativa, sotto alcuni aspetti innovativa, ma che comunque si attiene ed attua i principi stabiliti dalla Convenzione del 2003 e che ha l’indiscusso merito di mettere al centro le comunità locali.
Fiastra Fantasy: dal gioco di ruolo dal vivo alla rinascita comunitaria
30 ottobre 2016. La terra trema ancora una volta. L’evento sismico separa e spezza ogni cosa. Divide in due parti ogni cammino in corso, impone un punto di svolta tanto alla storia comune quanto alla vita dei singoli e, in qualche modo, propone fratture nelle relazioni tra le persone. L’evento calamitoso, causando una vera e propria crisi della presenza e il collasso del quotidiano (De Martino, 1948), accentua disagi e incertezze. Come continuare ad esistere e poi ripartire, attraversando il tempo, quando gruppi e comunità sono scissi? Nel caso di Fiastra (MC), la comunità del post-terremoto era letteralmente spezzata, dispersa tra mari e monti. Infatti, quanti non disponevano di case agibili o della possibilità di una sistemazione alternativa vennero accompagnati con pullman messi a disposizione dalla Protezione Civile in strutture ricettive situate lungo la costa marchigiana, distanti da Fiastra circa 70 km e con poche possibilità di comunicazione con il paese.
Questa scelta è stata vissuta in modo doloroso dalla popolazione, che l’ha paragonata ad una vera e propria deportazione (Aa. Vv., 2021), e non è stata condivisa da tutti. Un abbandono della propria terra, che forse ti mette in salvo, ma che, al tempo stesso, accentua in modo drammatico un vissuto d’incertezza, di impotenza e di perdita di controllo già naturalmente connesso con l’emergenza del terremoto. «Non sapere come, cosa, quando. Vivere a metà strada, non appartenere» (ivi: 25).
È con l’intento e la speranza di contribuire a ricostruire il tessuto sociale di Fiastra lacerato dal terremoto del 30 ottobre 2016 che nasce l’Associazione RicostruiAMO Fiastra [5], che sostiene e promuove iniziative a carattere sociale, solidale, culturale e turistico nel territorio della Vallata del Fiastrone, rivolgendo una attenzione particolare alla comunità locale e cercando il coinvolgimento soprattutto dei più giovani nell’organizzazione di eventi e iniziative per il territorio. La condivisione delle prospettive future, la riflessione sulle opportunità offerte dal “nuovo” contesto territoriale, nonché la possibilità di ri-trovarsi, hanno rappresentato alcuni dei fattori chiave per non cedere passivamente alle difficoltà. Affrontare l’immobilismo e la connessa paura del fallimento pone le basi per una solida cooperazione tra i membri della comunità e facilita l’integrazione mirata con le reti di supporto esterne.
Nonostante le difficili circostanze, infatti, i fiastrani sono riusciti a gestire complesse dinamiche emotive e ambientali, riconoscendone il valore e utilizzandole per ricostruire la propria comunità (Aa. Vv, 2021). «Collaborare con tutti gli altri, ritrovarci, “sentire” che stiamo tutti lì per amore di Fiastra, per fare qualcosa, per non arrenderci, è bellissimo» (ivi: 67). La collaborazione con “l’altro”, dunque, permette di sperimentare nuove forme di stare insieme e di crescere attraverso nuove proposte. Tra le attività avviate nel post-sisma, l’evento più rilevante è senza dubbio rappresentato da Fiastra Fantasy, giunto quest’anno alla settima edizione [6]. Si tratta di un gioco collettivo in costume, un real fantasy [7], cui può partecipare non solo una serie di personaggi predefiniti, ma chiunque ne abbia voglia. Tale attività di gioco prende le mosse dalla saga, in tre volumi, Keemar-Le Markee Fantastiche [8] scritta da Gregor Mc Anton, pseudonimo di Gregorio Antonuzzo.
Annualmente, verso la metà di settembre, gli spazi del Colle San Paolo [9], set del gioco, si animano di elfi, orchi, nani, assassini e altre creature fantastiche. Il gioco è piuttosto semplice:
«Ci sono due percorsi da fare, uno è quello con la generalessa dei nani e l’altro con il Negromante. Da una parte c’è la strada della vita eterna, con tutti i percorsi che ti fanno passare dagli elfi, il druido, l’erborista e poi arrivi da me, mentre gli altri ti insegnano a usare la spada, vai dal fabbro, dal cerusico… poi alla fine c’è un combattimento con persone che combattono realmente con le spade etc. e finisce il gioco. Tu, liberamente puoi anche andare in giro senza fare il gioco. C’è il labirinto. Lo scontro finale si svolge sempre a San Paolo, nel prato. Davanti alla chiesa c’è il mercato, c’è chi suona i tamburini, le cornamuse… è bello! Nessuno si fa male perché chi combatte con le spade vere sono professionisti, gli altri combattono con le spade Larp» (Aa. Vv, 2021: 98).
Al di là dell’evento e della sua rilevanza – anche in termini economici – per il territorio di Fiastra, quel che è importante segnalare è come Fiastra Fantasy venga “tatticamente” (De Certeau, 2001) sfruttato dalla comunità (o, quantomeno, da una sua parte) per ri-farsi e ri-trovarsi. Lo stesso set di gioco, il Colle San Paolo, occupa un ruolo di primo piano nei ricordi di molte persone. Viene infatti definito dai fiastrani come il loro posto del cuore:
«Qui ci venivamo sempre a fare i picnic, a fare le gare di focaracci tra questo paese là, quel paese là che è Fiegni e quello laggiù che è San Lorenzo: ognuno accendeva il proprio fuoco e si premiava quello che lo faceva durare di più, quello che era più alto, quello che era più bello. Questo è proprio un luogo di gioco, di divertimento… nella grotta del Negromante, magari ci andavamo pure col ragazzetto, però era il nostro posto di cocomerate, di pannocchie cotte sul fuoco, qua era il nostro mondo da bambini, da ragazzi, sempre. Un luogo di infanzia, un luogo di adolescenza, un luogo di sempre» [10].
Per questo motivo, molti vedono in Fiastra Fantasy un’occasione “per svegliare le coscienze” e attirare l’attenzione su un’area e, in particolare, su un edificio, la chiesa di San Paolo, che risulta inagibile dal terremoto del 1997, come emerge da questa testimonianza: «Abbiamo iniziato Fiastra Fantasy un po’ per la pazzia di Gregorio, ma anche e soprattutto per smuovere l’attenzione su questo posto, e cercare di spronare qualcuno, dire “OH! qui c’è da ricostruire, è ora” [11]».
Fiastra Fantasy agisce, allora, come veicolo di memorie locali-sociali (Moulton, 2015) che, trattate al pari di un patrimonio socio-culturale, possono contribuire all’elaborazione e al superamento di situazioni critiche. Un patrimonio condiviso, quindi, capace di generare nuove relazioni e nuove pratiche dell’esserci. Un luogo che, rianimandosi ciclicamente per gioco, continua a vivere e ri-vivere nelle pratiche e nei discorsi dei fiastrani.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
[*] Il primo paragrafo è stato scritto da Mara Bernardini ed Erika Grancagnolo, il secondo da Erika Grancagnolo e il terzo da Mara Bernardini. L’articolo trae spunto dagli interventi presentati alla tavola rotonda Associazionismo, Comunità Patrimoniali e Patrimoni Culturali Immateriali. Il Ruolo dell’Antropologia tra Comunità Locali e Governance, nell’ambito del Festival di Antropologia e Storia delle Religioni “Nella Terra di Diana” (Roma, 5 settembre 2024; Genzano di Roma, 6-8 settembre 2024).
Note
[1] Ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. 42/2004, ss. mm. ii.), il patrimonio culturale nazionale è rappresentato da “cose”. L’articolo 2, comma 2, recita: «sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà».
[2] ICPI, Mappatura delle rievocazioni storiche sul territorio nazionale, https://rievocazionistoriche.cultura.gov.it/
[3] ANCI, Patrimonio cultura immateriale. Unpli avvia il primo censimento nazionale, https://www.anci.it/patrimonio-cultura-immateriale-unpli-avvia-il-primo-censimento-nazionale/
[4] Come sottolineato da Katia Ballacchino: «se da una parte l’autorialità scientifica rischia di essere messa in crisi indebolendo il ruolo dei ricercatori competenti, dall’altra la condivisione delle responsabilità delle scelte con i protagonisti è parte integrante del processo e determina probabilmente sia i principali limiti che i punti di forza» (Ballacchino, 2016: 78).
[5] RicostruiAMO Fiastra, https://www.facebook.com/ricostruiamofiastra/?locale=it_IT
[6] La prima edizione è stata quella del settembre 2017.
[7] Nonostante venga così definito dai personaggi del gioco, si tratta di un termine inventato che non ha riscontri nella letteratura dedicata al LARP – Live Action Role Playing.
[8] Keemar. Un fantasy da vivere, https://www.keemar.it.
[9] Su questo colle si stagliano la Chiesa di San Paolo, fondata dal Duca di Spoleto Faroaldo I nel VI sec., circondata e protetta dalla cinta fortificata del Castello dei Magalotti, di cui oggi rimangono solo pochi resti delle mura e del bastio. Cfr. Fiastra, Trebbio, Chiesa di S. Paolo, https://www.sibilliniweb.it/citta/fiastra-trebbio-chiesa-di-san-paolo-viiisec/; Fiastra, Trebbio, Castello Magalotti (X sec.), https://www.sibilliniweb.it/citta/fiastra-castello-magalotti-xsec/.
[10] Estratto di un’intervista raccolta l’8 settembre 2023 dalla Dott.ssa Ginevra Montanari in occasione del suo soggiorno etnografico a Fiastra finalizzato alla stesura della tesi di specializzazione in Beni demoetnoantropologici, discussa lo scorso gennaio presso La Sapienza Università di Roma.
[11] Ibidem.
Riferimenti bibliografici e sitografici
Aa. Vv., Fiastra tra buio e luce. Un paese in movimento dopo il terremoto, Milano, EDUCatt, 2021.
ANCI, Patrimonio cultura immateriale. Unpli avvia il primo censimento nazionale, https://www.anci.it/patrimonio-cultura-immateriale-unpli-avvia-il-primo-censimento-nazionale/
Ballacchino K., Per un’antropologia del patrimonio immateriale. Dalle Convenzioni Unesco alle pratiche di comunità, in Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali, n. 6-7, 2014: 17-32.
Ballacchino K., Antropologi ‘attorno al tavolo della comunità patrimoniale’. Riflessioni etnografiche su un esperimento di inventario partecipativo, in Bonetti R., Simonicca A. (a cura di), Etnografia e processi di patrimonializzazione, Roma, Cisu, 2016: 63-80.
Bindi L., Paesaggi digitali e rappresentazioni di culture. Patrimoni, tecnologie dell’informazione e processi partecipativi, in Voci, Anno XVI/2019: 142-160.
Bortolotto C., Partecipazione, antropologia e patrimonio, in ASPACI, La partecipazione nella salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale: aspetti etnografici, economici e tecnologici, Milano, Regione Lombardia, Archivio di Etnografia e Storia Sociale, 2013: 15-35.
Clemente P., Il tempio dei destini incrociati, in Iuso A., Declinare il patrimonio, Roma, Aracne, 2012: 11-21.
Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004), https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2004-01-22;42
Cossu T., Immagini di patrimonio: memoria, identità e politiche dei beni culturali, in Lares, vol. 71, no. 1, 2005: 41-56.
De Certeau M., L’invenzione del quotidiano, Roma, Edizioni Lavoro, 2001.
Dei F., Di Pasquale C., “Premessa”, in Dei F., Di Pasquale C. (a cura), Rievocare il passato: memoria culturale e identità territoriali, Pisa University Press, Pisa, 2017.
De Martino E., Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Torino, Einaudi, 1948.
Fiastra, Trebbio, Chiesa di S. Paolo, https://www.sibilliniweb.it/citta/fiastra-trebbio-chiesa-di-san-paolo-viiisec/
Fiastra, Trebbio, Castello Magalotti (X sec.), https://www.sibilliniweb.it/citta/fiastra-castello-magalotti-xsec/
ICPI, Mappatura delle rievocazioni storiche sul territorio nazionale, https://rievocazionistoriche.cultura.gov.it/
Keemar. Un fantasy da vivere, https://www.keemar.it
Moulton S. M., How to Remember: The interplay of Memory and Identity Formation in Post Disaster Communities, Human Organization, vol. 74, n.4, 2015: 319-328.
Palumbo B., L’Unesco e il campanile. Antropologia, politica e beni culturali in Sicilia orientale, Roma, Meltemi, 2003.
RicostruiAMO Fiastra, https://www.facebook.com/ricostruiamofiastra/?locale=it_IT
Satta G., Patrimonio culturale, Parolechiave, no. 49, Roma, Carocci, 2013: 1-18.
Simonicca A., Sull’estetico etnografico, Roma, Cisu, 2019.
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Mara Bernardini, antropologa culturale, ha conseguito il diploma di specializzazione in Beni demoetnoantropologici presso l’Università di Roma “La Sapienza”, dove è attualmente dottoranda. Collabora con l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, dove si sta occupando della catalogazione dei beni demoetnoantropologici relativi alla Basilicata nell’ambito del progetto PON Itinerari Digitali.
Erika Grancagnolo, antropologa culturale specializzata in beni demoetnoantropologici presso La Sapienza. Negli ultimi anni ha collaborato con il MuCiv-ATP nel riordino e inventariazione delle ceramiche appartenenti alla Collezione Loria del 1911. Parallelamente, è stata collaboratrice in progetto con ICPI per la mappatura nazionale delle rievocazioni storiche ed è attualmente collaboratrice a contratto con ICCD.
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