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Dance Additected. Il Bal Folk a Palermo: pratiche coreutiche e dinamiche identitarie

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Danze alla vigilia della MK di Primavera, piazza Bellini, Palermo (ph. Crescimanno)

di Barbara Crescimanno [*]

Durante gli ultimi cinque anni il fenomeno europeo del Bal Folk è letteralmente esploso nelle piazze e nelle strade di Palermo e di altre città della Sicilia. Bal Folk è un termine originariamente usato in area francofona per indicare un evento/concerto in cui musicisti con repertorio folk o neo-trad suonano per ballerini appassionati di questo tipo di danze, all’interno di Festival, o nella programmazione dei locali che si occupano di musica dal vivo. È una pratica comune soprattutto in Francia e in Belgio, ma anche in Olanda e in Germania, e oggi anche in Italia.

In Sicilia (ma anche in altre parti d’Italia) il termine ha assunto altri connotati: non un concerto con artisti su un palco e un pubblico danzante, bensì un evento spontaneo e autogestito, organizzato dai ballerini per sé stessi, gratuito, in un luogo aperto e pubblico della città, con una cassa e un lettore mp3, talvolta (ma non sempre) con qualche ospite musicista, con l’unico o principale scopo di ballare danze del repertorio neo-trad. Se con il folk revival iniziato nello scorso secolo il pubblico degli eventi era rimasto spettatore passivo, durante gli incontri di danza nelle piazze urbane esso diventa – con o senza musicisti – creatore e protagonista assoluto dell’evento.

Il repertorio del Bal Folk ha origine nel mondo che gli etnomusicologi chiamano delle “danze tradizionali”, ma ne è in molti modi distante, anche solo per il fatto che le danze neo-trad sono eseguite totalmente fuori dal loro contesto originario (e da danzatori estranei al mondo tradizionale), quando non vengano addirittura trasformate rispetto alle loro strutture coreutiche originali.

Il tipo di danze che possiamo incontrare, tutte provenienti dal French folk revival, sono danze di coppia (come schottische, bourrée, vals, mazurka detta belga o flemish); mixer dances (come Chapelloise o Circlecircassien); danze Bretoni (comeLaridé, An Dro, Hanter Dro), Rondsdalla Bretagna o da altre parti della Francia; Branles. Differenti repertori (dal mondo greco o balcanico, o dall’est Europa) possono essere aggiunti a seconda dei gusti, delle ‘mode coreutiche’ e delle preferenze degli organizzatori di una serata di Bal Folk.

In Italia, in cui nasce questa particolare tipologia di evento, abbiamo ancora due varianti ‘locali’ del Bal folk: la prima è la cosiddetta Mazurka Klandestina o MK, altro evento specificatamente italiano, in cui ci si incontra per danzare quasi solo esclusivamente mazurke, alle quali si aggiungono poche altre danze (ma di questo parleremo più avanti). L’altra variante riguarda una differente area di interesse dei dance-addicted italiani: le danze del sud: pizziche pugliesi, tammurriate campane, tarantelle calabresi, del Gargano, da Montemarano, dal Cilento e anche dai Peloritani. In questo caso viene usato, per le serate di danza, il termine Festa a ballu (o varianti).

Quali sono le caratteristiche di questo Bal Folk italiano? Stiamo parlando di un movimento spontaneo, specificatamente cittadino, nato proprio da cittadini che hanno imparato a danzare prevalentemente in contesti non tradizionali (stages, workshop, corsi di danze tradizionali). Strade e piazze diventano per un pomeriggio, una serata, o un’intera notte fino all’alba, delle piste da ballo. Ci si incontra in uno spazio pubblico – aperto, accessibile e gratuito per tutti – di cui ci si prende cura (lo si pulisce prima e dopo l’evento, per non lasciare tracce del proprio passaggio). Questi spazi accolgono da poche decine a centinaia di persone diverse per età, provenienza geografica, etnia, ceto sociale, occupazione e orientamento ideologico, accomunate solo dall’interesse per il ballo. Le forme di esecuzione coreutica non sono rigidamente ancorate alla tradizione; raccontano di un nuovo interesse collettivo per la pratica ma soprattutto per la reinterpretazione delle tradizioni, per adattarle al contesto nuovo – e alle nuove esigenze –  in cui vengono praticate.

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Danze in piazza. Mappa dei luoghi di Palermo

Il movimento ha una forte propensione all’inclusività: passanti, curiosi, turisti vengono invitati e accolti nel cerchio delle danze. Inoltre si può andare ad un Bal folk in coppia, in gruppo, ma anche da soli. Non è previsto che si danzi con un partner stabile, anzi è abitudine cambiare partner a ogni danza. Sono eventi del tutto gratuiti, deliberatamente svincolati da pratiche commerciali e di natura politico-ideologica, nel rispetto della potenziale (e reale) diversità dei partecipanti. Per tutelare questa scelta, gli ‘inventori’ della Mazurka Klandestina sono arrivati al paradosso di registrare il marchio MK per evitare che venga utilizzato in attività commerciali. Il gruppo dei partecipanti non ha un’organizzazione gerarchica e al suo interno prevalgono dinamiche di tipo bottom-up. La comunicazione tra i partecipanti avviene attraverso i social network (Facebook, Whats App) che servono per indicare date e luoghi degli eventi, per condividere informazioni, esperienze, opinioni… Ci si conosce e si dialoga in modo economico, efficace e democratico attraverso i mezzi della ‘piazza virtuale’, per poi incontrarsi nelle piazze reali.

Come nasce il Bal Folk a Palermo? Il fenomeno palermitano delle danze in piazza ha le sue radici nelle diramazioni del folk revival francese e nei suoi intrecci con il folk revival locale, e qui la storia si intreccia con la mia personale. Nel primo quinquennio del 2000 si verifica a Palermo una feconda convergenza di esperienze:Nelly Quette, coreografa e regista francese, inizia a condurre periodicamente a Palermo dei workshop sulle danze europee. L’uso delle danze tradizionali come strumento pedagogico ed educativo è iniziato in Francia nel 1926, con l’insegnamento di Alick-Maud Pledge, personalità determinante nel campo della pedagogia e dell’educazione al movimento; pratica che continuerà con Cecil Sharp e Jean Michel Guilcher, alcuni dei personaggi fondanti del movimento del folk revival legato alle danze popolari.

Le danze utilizzate dalla Quette nei numerosi incontri a cui ho partecipato sono spesso trasformate, semplificate o rimaneggiate rispetto alla loro struttura originale, dato lo scopo pedagogico e ludico dell’insegnamento, ma hanno un impatto molto forte sui partecipanti perché, come diceva la stessa Miss Pledge: «il canto e la danza popolare […] restano il miglior mezzo al fine di creare rapidamente un’intesa in un gruppo dove la gente si conosce appena [1] (Guilcher, 2006: 181)

Parallelamente ho iniziato a studiare le danze del sud Italia al Festival Zingaria in Puglia e in stage successivi, a seguire i corsi di Giovanni Giuriati alla cattedra di Etnomusicologia, e il Laboratorio di Etnomusicologia curato da Girolamo Garofalo (iniziato nell’anno accademico 2003-2004). Nello stesso periodo iniziava il corso condotto da Massimo La Guardia (esponente del mondo del folk revival palermitano) sulle tecniche del tamburo a cornice, strettamente correlate alle danze.

Questo insieme di esperienze porterà alla formazione di un gruppo di studio, esterno alle aule universitarie, nel quale confluiranno studenti dei corsi di Etnomusicologia, musicisti, ballerini, allievi di arti teatrali; il gruppo organizzerà diversi incontri condivisi di vino, danza e musica in luoghi pubblici della città, e in diverse piazze della Sicilia (a Palermo, ma anche a Catania, Piazza Armerina, Alcara Li Fusi…), aperti a tutti: sono i primi esperimenti di musica e danze in piazza, dei Bal folk ante litteram.

Da queste convergenze nasce, nel 2006, il gruppo di studio Trizzi Ri Donna, che inizierà a ricercare ed elaborare repertori di danza e canto tradizionali per la strutturazione di concerti-spettacolo pensati per le piazze e le strade, e per la conduzione di laboratori di introduzione alle danze tradizionali. Quello che era già evidente all’epoca di queste prime ‘sperimentazioni’ in spazi pubblici, e confermava il pensiero di Miss Pledge, era il forte potere aggregativo delle danze ‘tradizionali’.

Trizzi Ri Donna manterrà da un lato un canale di collaborazione aperto con le sedi istituzionali della ricerca (in particolare con il Laboratorio Aglaia e con la cattedra di Etnomusicologia), dall’altro inizierà collaborazioni con il mondo del folk revival di quegli anni (Massimo La Guardia, LassatilAbballari, Mario Incudine, Ambrogio Sparagna…). Ma continuerà le sue ricerche su forme di spettacolo inclusive che prevedono un coinvolgimento attivo del pubblico tramite il repertorio coreutico tradizionale. Il mestiere – scelto – di musiciste da strada le porterà in diversi festival in Italia e in Europa ad accumulare esperienze sul mondo che oggi ha preso il nome diBal Folk, e che riporteranno a Palermo.

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Festa a ballu per la vigilia del 25 Aprile, Piazza Bellini (ph. Crescimanno)

I corsi di introduzione alle danze tradizionali diventano stabili: nel 2009 nasce la Scuola di ARCI Tavola Tonda, che vede crescere la popolazione danzante in città a diverse centinaia di persone. Ai corsi di danza si affiancano quelli di strumento, e negli anni vedremo moltiplicarsi in città anche i gruppi musicali legati al repertorio delle danze folk e che ‘pescano’ il loro pubblico in questo mondo, un vero e proprio ‘indotto’ di questo fenomeno: tra i primi i LassatilAbballari (2008), co-fondatori della Scuola di Tavola Tonda; le Matrioske (2011), nate da una ‘costola’ delle Trizzi Ri Donna; gli Irish Quartet (2012) tre componenti dei quali sono docenti o ex-docenti della Scuola; l’Orchestrina Paffosa, formata da ex-allievi della Scuola…

All’interno della programmazione delle attività di Tavola Tonda sono state organizzate negli anni delle ‘feste a ballo’a cadenza periodica, svolte spesso in luoghi aperti con l’intento di coinvolgere, insieme agli allievi e ai simpatizzanti della Scuola, anche il territorio. Ma saranno gli stessi danzatori a riportare definitivamente le danze in piazza: un gruppo di allievi, nell’estate del 2012, inizia ad organizzare degli incontri di danza all’aperto, nei pressi dei locali della Scuola, sul molo dell’adiacente porticciolo della Cala, da cui gli eventi prenderanno il nome: Cala Bal Folk. Gli incontri diventeranno sempre più partecipati e frequenti, coinvolgendo tutti coloro che frequentano la Cala come passeggiata a mare, e grazie al passaparola e ai social, che trasformano un incontro tra amici in un movimento cittadino: nasce il Palermo Anima Folk o PAF.

Ad oggi, la pagina FB del PAF è ‘frequentata’ da quasi tremila persone, e sono diversi gli eventi cittadini che vengono organizzati:

  • il Cala Bal folk, appunto, con calendario variabile a seconda della disponibilità degli organizzatori, ma con alcuni appuntamenti stagionali fissi durante l’anno (Primantella – dalla crasi traprimavera e tarantella – Estantella e Autunnella);
  • Le Skegge, eventi improvvisi organizzati all’ultimo minuto per i motivi più fantasiosi, talvolta estremamente ravvicinati nel tempo (uno o due eventi alla settimana) e prevalentemente estivi;
  • I giovedì in piazza del Palermo Abballa Folk, iniziati nell’autunno del 2015, a cadenza settimanale dall’inizio dell’autunno alla primavera inoltrata;
  • La MK o Mazurka Klandestinadi primavera, a cadenza annuale, attualmente al suo quarto ‘compleanno’;
  • Eventi PAF per il sociale, etc…

Oltre alla Scuola di Tavola Tonda e al PAF, ad organizzare corsi, stage intensivi ed altri eventi legati al mondo delle danze e della musica ‘folk’ troviamo anche l’associazione Popolarti, che prende il nome da una rassegna organizzata nel 2011 dalla Scuola di Tavola Tonda, e gestita oggi da ex-collaboratori della Scuola.

Siamo passati dalle poche decine di persone che frequentavano i corsi di introduzione alle danze tradizionali nel 2006, alle migliaia di partecipanti agli eventi del ‘mondo folk’ oggi a Palermo. Da tre anni a questa parte, anche i festeggiamenti per il 25 Aprile sono stati aperti – in collaborazione tra l’ARCI e l’Anpi – da una Festa a ballu pubblica in piazza la notte tra il 24 e il 25.

Accantoa questo esiste un mondo parallelo ed intrecciato di stage e festival folk in Italia e in Europa [2], ed è in questo mondo che nasce – in Italia – il fenomeno della Mazurka Klandestina. A Palermo la MK è stata ‘importata’ nel 2014 da ballerini viaggiatori, e ha intrecciato modalità e repertori con gli eventi del PAF: diventa un movimento di emancipazione cittadina che mira sia alla riappropriazione di spazi pubblici che di pratiche relazionali. Ma andiamo con ordine.

L’idea di MK nasce a Milano nel 2008, da un gruppo di ballerini(ispirato dall’allora nascente fenomeno del Tango Illegal) che si dà appuntamento in piazza Affari per ballare tutta la notte facendo circolare la notizia attraverso una mailing list. Gli incontri di Tango illegal o Milonghe clandestine sono eventi in luoghi pubblici di diverse città italiane, ma non sono realmente aperti al pubblico: il tango è una danza complessa e balla solo chi sa farlo, spesso con un partner abituale. I tangueri ballano tra loro, anche se in uno spazio pubblico. Perché invece una Mazurka (Klandestina)?

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Bal folk, Cala

Secondo Yves Guilcher, studioso di danze popolari in ambito francese, la mazurka non può essere considerata una danza tradizionale a causa delle sue origini incerte, benché in Francia sia praticata fin dalla metà del XIX secolo. Essa ha inoltre subìto profonde metamorfosi a livello musicale e coreutico (oggi ad esempio distinguiamo nettamente la mazurka francese da quella flemish, quella romagnola dalla siciliana). La scelta di questa danza deriva dal fatto che, rispetto ad altre, sembra sfuggire in modo particolare agli schemi, permettendo più facilmente l’improvvisazione. A differenza delle danze del sud Italia non prevede che ci si metta in mostra al centro di un cerchio di osservatori, ma ha un carattere più intimo. Si è trasformata in un ballo scivolato, fluido, sensuale, in cui alcuni ballerini inglobano anche passi dal tango (c’è già chi la chiama tangurka) ma rimanendo decisamente più semplice da apprendere di quest’ultimo, e acquisendo un suo stile particolare. Alcuni siti e scuole stanno già provando a definire le regole di una danza che è però ancora in evoluzione e che ogni ballerino pratica con un suo stile personale [3].

Nel giro di pochi mesi la comunità milanese si allarga grazie alla sua capacità di accoglienza, al fascino della mazurka e alla sua relativa facilità di apprendimento, e grazie anche ai social: l’idea si diffonde rapidamente in altri contesti urbani dando vita a una rete estesa su tutto il territorio nazionale, e non solo [4].

Il termine ‘Klandestina’ fa riferimento all’occupazione degli spazi pubblici, non perché sia nascosta o segreta, ma perché non vengono richiesti alle autorità competenti i necessari permessi per ritrovarsi in un luogo pubblico. Una sorta di rivendicazione di libertà: nel riprendersi gli spazi comuni, nelle modalità di esecuzione delle danze, nell’affrancarsi dalle pastoie della burocrazia, nel ritagliarsi uno spazio di contatto umano di cui evidentemente si sente la mancanza. Già in passato la danza è stata protagonista di altri movimenti di protesta: basta pensare ai balli clandestini durante l’occupazione tedesca in Francia, ai balli irlandesi contro l’occupazione inglese, o ai flash mob danzati del One Billion Rising, per non andare lontano nel tempo. Vale anche ricordare che uno dei motivi per cui si sono organizzate sempre meno feste a ballu nei contesti tradizionali del Carnevale in Sicilia è stato dover iniziare a combattere burocraticamente ed economicamente con l’arrivo delle richieste di permessi di SIAE ed Enpals.

A quali bisogni sta rispondendo la pratica del Bal Folk? Primo tra tutti un bisogno di socialità e relazionalità. Diversamente dalle pratiche coreutiche da discoteca o dai ‘balli di gruppo’ praticati nelle palestre o nelle scuole di liscio, le danze folk prevedono un contatto fisico, la possibilità di un contatto ‘intimo’ tra persone non legato necessariamente al sesso [5].

MK di Primavera Palermo

MK di Primavera,  Foro Italico (ph. F. Bellina)

La danza è la riproduzione radicale, fisico-ritmica di una relazione, e mette in circolo endorfine che sono comuni ad altre attività fondamentali della specie umana quali parto, allattamento, abbraccio e contatto fisico, sesso. Soprattutto la mazurka, chiamata oggi da chi la pratica la danza degli abbracci, e ballata durante tutta una notte di MK,è caratterizzata da «un’intensificazione della dimensione sensoriale [che] assume in certi casi i tratti di un’esperienza collettiva» (Beccarini 2014/5: 14). Da qui i termini usati dagli stessi partecipanti per descrivere l’effetto di questi incontri: ‘droga’, ‘dipendenza’, ‘virus’ etc. nonostante in questi eventi, a differenza di altri incontri di controcultura come i rave party o le dance hall, il ricorso a stupefacenti o sostanze alteranti (eccettuati vino e birra) sia del tutto irrilevante, per non dire inesistente. La danza inoltre viene praticata per il piacere di danzare, e non con lo scopo di mostrarla su un palco. Allo stesso modo i musicisti che partecipano ai Bal Folk suonano gratuitamente, per il piacere della condivisione.

Altra sua risposta forte è la possibilità di apertura a persone estremamente differenti tra loro grazie a una forte tendenza all’accoglienza, secondo una dinamica inclusiva. Gli appassionati di klandestine viaggiano, si danno appuntamento nelle diverse piazze d’Italia, creando una sorta di comunità sovranazionale non più radicata ‘coreuticamente’ al territorio, ma a un’idea, e accolgono nei loro cerchi chiunque si fermi a guardarli danzare.

Ancora, la riappropriazione degli spazi urbani e la ri-creazione di un ‘senso del luogo’. Piazze, luoghi di incontro, zone pedonalizzate, giardini vengono scelti secondo criteri specifici in un meccanismo attivo di relazione, mentale e fisica (si ricerca un pavimento liscio, una acustica protetta…) tra i ballerini e lo spazio, che contribuisce a creare una nuova, differente mappa dei luoghi pubblici vivibili (e non meramente attraversabili) della città, ai quali si legheranno ricordi ed emozioni.

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Skeggia in via Maqueda

Accanto a queste caratteristiche, che fanno segnalare il Bal Folk come movimento socio-culturale degno di interesse, ci sono da segnalare alcune criticità. Da un lato l’approssimazione e la superficialità culturale: il Bal Folk è di fatto un “supermarket della tradizione”, in cui si rimescolano, si annacquano  e si trasformano danze, stili, caratteri, culture, modi relazionali, causando la perdita di ‘biodiversità’ coreutica e del senso profondo e multistratificato di una cultura; alcune (poche) musiche standard vengono considerate rappresentative di un repertorio precedentemente ricco; la semplificazione di passi e strutture coreutiche, perché siano maggiormente divulgabili, dà origine ad un impoverimento culturale. Il movimento stesso non è immune da accese discussioni interne su questi temi [6].

L’utilizzo della musica registrata fa sì che i danzatori perdano la relazione con l’elemento ‘umano’ della musica e la possibilità di dialogo con i musicisti. Questo ha come contraltare il proliferare di musicisti cresciuti in Conservatorio e non in piazza all’interno di una comunità con una cultura coreutico/musicale condivisa, che hanno studiato ritmiche e passaggi della musica da danza senza saper ballare, e quindi senza capirne profondamente le regole, ritmiche e non solo.

In piazza il gruppo di ballerini è chiuso in sé stesso e la musica è al suo servizio, in una relazione di soggetto-oggetto. I lettori mp3 non necessitano di interazione e possono mescolare repertori che arrivano da ogni parte del mondo. Nonostante ciò, nelle MK si è formato un repertorio ‘standard’, come un franchising, che viene ripetuto uguale, nelle caratteristiche fondamentali, in tutta Italia, salvo alcune eccezioni.

Se in altri contesti la danza era una parte integrante del calendario di vita e del lavoro, ne era anzi frutto ed espressione, questi incontri di danza sono fini a sé stessi: ci si incontra solo per danzare, e la danza non è più lo strumento di un’espressione comunitaria ma diventa un mezzo per evadere – talvolta quotidianamente – dalla vita di tutti i giorni e ritagliarsi uno spazio di ‘poesia’ all’interno di un meccanismo che non la prevede affatto. Il movimento non sembra (ancora?) una comunità, ma è formato da relazioni effimere in una comunità effimera, che inizia ad avere i presupposti per stabilizzarsi, ma non sappiamo ancora come evolverà.

Controcultura, movimento popolare, rivolta urbana o comunitarismo edonistico – il fenomeno Bal Folk sembra cercare risposte a certe sfide caratteristiche dell’età contemporanea, come l’affermarsi di comunità post-politiche e post-etniche, o come la ricerca di modelli sociali, relazionali, economici e comunicativi alternativi.«La danza tradizionale era diventata una danza da vecchi, in attesa del revival e dei ricercatori» scrive Guilcher. E dei ballerini, aggiungerei: sono loro che con la Klandestina e il Bal Folk l’hanno riportata in piazza, cioè nel suo luogo naturale di appartenenza. In che modo evolverà la situazione, è tutto da vedere. Certo, in questo momento essa sta evidentemente colmando un vuoto.

«In questo tempo di liquidità, velocità… insicurezza… solitudine… in cui sento nostalgia di un antidoto all’evanescenza del tempo e delle relazioni… inaspettato si apre il recinto sacro e protetto della danza, che con profumo di delicatezza e gratuità sta costruendo in me basi sicure per l’Incontro appassionato e rispettoso con l’Altro dentro e fuori di me… ma forse era un sogno di umanità possibile che attendeva lì da tempo… Grazie a tutti… ode alla skeggia!» AD (‘mazurkara’ palermitana, dalla pagina FB del PAF)
Dialoghi Mediterranei, n.26, luglio 2017
[*] Intervento proposto al Convegno internazionale Musica di strada e tradizioni narrative – street music and narrative traditions, organizzato a Palermo dalla Kommission fürVolksdichtung (KfV) in collaborazione con l’Università degli Studi di Palermo (Museo Internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino,23-26 maggio 2017)
Note


[2]  Capodanze e Zingarìa in Puglia, Reno Folk Fest a Bologna, Vialfrè a Torino, Etétrad in Val d’Aosta; ma ancora Gennetines in Francia, Boombal in Belgio, Dance around the world in Inghilterra, solo per nominare i principali.
[3]  Ad esempio, il sito della Folk Dance Federation of California, South, Inc. (una realtà esistente dal 1930), così la descrive: FRENCH TANGO-MAZURKA, MAZURKA CLANDESTINA* (France – Belgium – Italy – Germany). «This is an evolving form of contemporary French/Flemish mazurka, currently spreading to Italy, Germany and elsewhere. As a living tradition of evolving folk mazurkas, these variations show some influences from other partnered dances, especially tango. It has been disseminated via the annual Gennetines folk dance festival».  The name of this dance has not been standardized. It is most often simply called mazurka, with the understanding that the term means this form of mazurka. It is also known as tangurka and mazurka klandestina. http://www.socalfolkdance.com/dances/T/Tango_Mazurka-Mazurka_Clandestina.pdf
[4] Nel 2016 le Mazurke Klandestine in Italia si sono tenute: a Milano (5 diverse MK), Bergamo (4), Torino, Venezia, Padova, Trieste, Bologna (3), Genova, Firenze (3), Roma (3), Napoli (3), Bari, Varese (4), Marina di Massa, Gorizia, Otranto, Livorno, Parma, Forlì, Vittorio Veneto, Pistoia e ovviamente Palermo. Fuori dall’Italia si sono tenute Klandestine a Londra, Praga, Berlino, Dublino, Barcellona, e perfino Philadelphia (USA).
[5] Che questo tipo di incontri abbia un carattere emotivamente forte lo suggeriscono anche diversi titoli di articoli giornalistici che hanno iniziato ad interessarsi al fenomeno:«In piazza per la Mazurka Klandestina. Portate il kuore»(Donna Moderna, 7-13 marzo 2015); «Dalla mazurka ho imparato ciò che so dell’amore»(Gioia Redazione, 20/10/2015); «10 luoghi dove trovare l’amore a Milano» (#Xmilanocittastato, 06/05/2016); cfr. anche Beccarini 2016.
[6]   cfr. gli articoli dellaBeccarini e la pag. FB ‘Liberiamo la mazurka dalla piaga della clandestina’.
            Riferimenti bibliografici
            Beccarini Valentina
            2014/15, Per un’etnografia ‘multipartecipata’ di Mazurka Klandestina: senso dei luoghi, intimità e cultura popolare ai tempi dei social network, Tesi di Dottorato in Scienze dei Beni Culturali e Ambientali, Milano
            2016a, “Questi fanno l’amore in piazza!” Intimità e senso dei luoghi nelle performance di Mazurka Klandestina, in “Etnografia e ricerca qualitativa” – 1/2016;
            2016b, Milano Klandestina: senso dei luoghi e forme di socialità di una città che danza, in Identità di luogo, pluralità di pratiche. Componenti sonore e modalità partecipative nel contesto urbano milanese (a cura di C. Malatesta – O. Giovannini), Mimesis ed., Milano
            Guarrasi Enzo
            2016, Dancing Geographies, in La musica come geografia: suoni, luoghi, territori (a cura di Dell’Agnese –Tabusi), Società Geografica Italiana, Roma
            Guilcher Yves
            2006, La danza tradizionale in Francia. Dall’antica cultura contadina al Revival, Giancarlo Zedde , Torino
            Sorce Keller, Marcello
            2016, Piccola filosofia del revival, in La musica folk. Storie, protagonisti e documenti del revival in Italia (a cura di Goffredo Plastino), il Saggiatore, Milano.
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Barbara Crescimanno, fondatrice e coordinatrice del gruppo di ricerca antropologica ed etnocoreutica TrizziRiDonna su danze, canti e pratiche tradizionali siciliane legate al mondo femminile, opera come ricercatrice, cantante, percussionista, danzatrice, docente. È co-fondatrice a Palermo della Scuola di Musica e Danza Popolare del Centro delle Arti e Culture Tavola Tonda, all’interno della quale conduce i corsi di Introduzione alle danze tradizionali europee e del Sud Italia.

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