Ogniqualvolta si parli di fondamentalismo islamico non si può non imbattersi nella figura di uno dei suoi ideologi più importanti, Sayyid Quṭb. Il presente elaborato ha come obiettivo quello di ripercorrere i momenti salienti del progressivo radicalismo di questo grande autore, al fine di comprendere più profondamente i concetti cardine di questa corrente di pensiero, soprattutto quello di ğihād (lett. sforzo).
Nella dottrina islamica il termine ğihād indica sia lo sforzo di miglioramento del credente (ğihād superiore), soprattutto intellettuale, rivolto per esempio allo studio e alla comprensione dei testi sacri o del diritto, sia lo sforzo condotto “per la causa di Dio”, ossia per l’espansione dell’Islām al di fuori dei confini del mondo musulmano (ğihād inferiore). Tuttavia, questo tema, antico quanto l’Islām, viene oggi erroneamente attualizzato da sedicenti teorici di gruppi terroristici, nel suo nuovo significato di lotta armata per la diffusione dell’Islām, contro tutti coloro che vengono percepiti come nemici, ponendosi come sfida all’Occidente e ai falsi musulmani. Da qui l’importanza di conoscerne il significato più profondo.
La giustizia sociale nell’Islām
Sayyid Ibrāhīm Ḥusayn al-Šāḏilī Quṭb nacque in un piccolo paesino del Medio Egitto, Mūšā, e fu il primo figlio maschio di una famiglia di piccoli notabili rurali, conosciuta e rispettata per il suo livello di cultura e di grande devozione religiosa, ma anche di partecipazione politica. Il padre, infatti, Ibrāhīm Quṭb, fu il delegato locale del Ḥizb al–waṭan, il Partito Nazionalista di Muṣṭafā Kāmil, che apparì nel 1907 e stabilì l’inizio di un periodo importantissimo della storia egiziana, quello della lotta contro la presenza britannica e la monarchia ad essa sottomessa.
La coscienza nazionale e sociale che ha contraddistinto Quṭb deriva necessariamente dal complesso degli avvenimenti della sua vita in tale contesto storico di lotta per l’indipendenza in Egitto, che sono narrati all’interno della sua autobiografia, intitolata Tifl min al-qariya (Un bambino di paese). In essa una serie di episodi tematici, avvenuti all’incirca quando aveva tra i sei e i quindici anni, documentano quello che Quṭb percepiva come il suo risveglio in un mondo più vasto oltre la vita rurale del villaggio, a un nuovo tipo di esistenza vissuta all’interno del contesto problematico dello Stato-nazione in via di modernizzazione [1].
Il giovane Quṭb trovò uno sbocco per il suo emergente nazionalismo nella celebre rivoluzione antibritannica del 1919 [2] e scrisse di aver appreso della rivoluzione dal preside della sua scuola, che dopo aver pronunciato un infuocato discorso patriottico annunciò alla classe che la scuola sarebbe stata chiusa a tempo indeterminato. Lui e i suoi colleghi dovevano, infatti, partire per lavorare per la rivoluzione. Era, disse il preside, dovere di ogni persona! [3]
Negli anni Trenta nel Medio Egitto erano evidenti le condizioni di povertà in cui versavano i villaggi e questo influiva nell’accettazione passiva di un regime che prometteva l’occidentalizzazione, che accettava la presenza straniera e che si faceva promotore di un sistema scolastico dove, secondo Quṭb, si tentava di instaurare un irrealizzabile equilibrio fra tradizione islamica e “modernità” occidentale ottenendo un’educazione piuttosto schizofrenica. A questo proposito Quṭb scrisse:
«Questa situazione sociale in cui versano le masse in Egitto […] è contraria allo spirito della civiltà umana comunque la si intenda, è contraria allo spirito della religione comunque la si interpreti, ed è contraria ai principi più elementari di una giusta economia. Ne consegue che essa arresta lo sviluppo non solo economico, ma anche della società e dell’umanità tutta» [4].
All’interno dell’ampia cornice che racchiude gli avvenimenti della storia dell’Egitto, l’autobiografia di Quṭb mette a fuoco le vicende della vita di un tempo, appartenente ad un passato ormai distrutto dal progresso e dalla modernità. Le storie e gli aneddoti sparsi in quest’opera fanno eco al desiderio della classe media egiziana della metà del XX secolo di una moderna comunità nazionale ancorata allo spirito “autentico” della civiltà musulmano-egiziana [5].
L’ultimo episodio della sua autobiografia racconta della fine della scuola, nel 1918, e della partenza verso il Cairo, nel 1920. Giunto nella capitale egiziana, Quṭb proseguì e concluse i suoi studi, sia di formazione politica che sociale. Fu ospitato da uno zio materno, Aḥmad Ḥusayn ‘Uṯmān, insegnante, giornalista e militante del Wafd [6], che lo introdurrà da subito al movimento nazionalista antibritannico e lo convincerà a farvi parte.
Non è difficile comprendere, in tale vivace contesto politico, la nascente ma ben radicata coscienza politica e sociale che connoterà il giovane Quṭb. Quando iniziò a pubblicare, si guadagnò da subito la critica di professare una sorta di Leninismo con abiti islamici [7], era descritto da chiunque come un giovane ipercritico, intransigente e allo stesso tempo riflessivo e modesto, con una personalità dominata da un forte idealismo e da un’assoluta rettitudine morale ai limiti dell’intransigenza [8].
Queste caratteristiche della sua personalità si rispecchiano appieno in tutte le fasi della sua parabola umana, dall’infanzia alla tragica fine, e sono anche perfettamente adattabili alla corrente del pensiero radicalista islamico più militante, che seguirà, infatti, il suo esempio e i suoi insegnamenti. Ed effettivamente i militanti islamici vivono nella rettitudine morale, attraverso la costante ricerca di una vita vissuta secondo i principi islamici, senza mai cedere alle tentazioni e alle lusinghe delle società moderne. Allo stesso tempo manifestano il loro deciso idealismo, attraverso la speranza che si possa nuovamente realizzare nella loro epoca quella “utopia dello Stato Islamico”, ovverosia il ritorno a quella società islamica perfetta che storicamente risale al VII secolo, quando il messaggio di Muḥammad era semplice ed autentico, l’Islām era forte e vincente e le cose funzionavano sulla base di poche norme dettate direttamente da Dio al Profeta. Questa speranza si basa sulla convinzione secondo cui la natura dell’Islām sarebbe adatta ad ogni epoca e comunità.
La brama di giustizia sociale è il tema chiave del primo Quṭb, che ad essa dedicherà il suo primo saggio sociale, Al–’adāla l–iğtimā’iyya fī’ l–Islām (La giustizia sociale nell’Islām), pubblicato nel 1949 durante il suo soggiorno statunitense. Attraverso questa sua prima opera “islamica”, considerata ancora “politicamente moderata” [9], egli elabora un vero e proprio programma teorico e politico, che confluisce in quella che egli stesso ha chiamato “sinistra islamica” (al-Yasār al-Islāmī). Obiettivo centrale di tale programma era proprio quello di mettere in pratica il Corano interpretato come guida alla liberazione dall’oppressione. Per Quṭb Dio è centro e origine di ogni cosa e al suo ordine si deve attenere qualsiasi società che voglia realizzare la giustizia fra gli uomini. L’Islām è in grado di risolvere qualsiasi problema all’interno della società.
Siamo nel fulcro dell’ideologia radicalista: la superiorità del sistema islamico su tutti gli altri sistemi sociopolitici conosciuti nella storia dell’umanità. Tutte le altre forme societarie sono destinate a fallire nella ricerca di un sistema che garantisca la vera giustizia per tutti gli uomini sulla terra: il liberalismo, il capitalismo, il socialismo e il nazionalismo hanno tutti dimostrato la loro fragilità, ed è non solo inutile ma terribilmente pericoloso cercare di adattarli alle società musulmane, pena il caos e il declino, come testimonia l’esempio egiziano [10]. Per queste ragioni lo studioso critica il principio di separazione fra religione e politica, che sta alla base delle società occidentali, ed è fermamente convinto che solo con il ritorno al passato, con l’abbandono delle contaminazioni occidentali, con il recupero dell’Islām vero, si possa giungere a fondare una società giusta, egualitaria e solidale.
Proprio questo è uno dei concetti qutbiani che ne hanno determinato la grandezza fra i militanti islamici: quello di ğāhiliyya, la società “ignorante” del periodo preislamico, che non conosce la legge di Dio, la šarīʿa, e che pertanto va scomunicata con il procedimento di takfīr. Quṭb condanna la società egiziana del suo tempo come ğāhiliyya, musulmana solo di facciata, una società deviata dall’illusione che l’impiego di modelli esterni, occidentalizzanti, potessero condurre il Paese sulla via del progresso e del benessere.
«La società islamica oggi non è veramente islamica. [...] Nella nostra moderna società non giudichiamo in base a ciò che Dio ha rivelato; la base della nostra economia è l’usura (ribā), le nostre leggi permettono l’oppressione piuttosto che punirla; la tassa per i poveri (zakāt) non è più obbligatoria, e non è spesa nel modo dovuto. Permettiamo la stravaganza e il lusso che l’Islām proibisce; permettiamo il morire di fame» [11].
Esaminando l’Islām ci si rende conto di come tutti i suoi aspetti sono collegati tra loro, senza possibilità di separazione. In effetti, questa religione forma un tutt’uno: il culto e la vita sociale, la politica e l’economia, le leggi e i consigli, il credo e la condotta di vita, la vita terrena e quella ultraterrena. Pensare di operare una separazione tra Islām e società, tra religione e politica, non è nella natura dell’Islām. Questo tentativo non può che provenire da una sensazione interiore di sconfitta innanzi ai sistemi occidentali. L’Islām è dīn wa dunya wa dawla, cioè religione, società, Stato.
La giustizia sociale non può essere concepita senza l’assoluta liberazione della coscienza, la completa uguaglianza dell’umanità e la ferma solidarietà sociale, tre principi fondamentali che Quṭb elabora nei suoi scritti. Per “libertà di coscienza” l’autore intende la libertà dall’assoggettamento alle leggi inventate e imposte dagli uomini per sottomettersi liberamente alla legge di Dio. In questo senso, l’Islām è un sistema totalizzante e unitario, che, sulla base del messaggio coranico, libera la coscienza umana dai falsi condizionamenti per renderla totalmente dedita a Dio. È la «schiavitù dell’uomo soggetto all’uomo» che Quṭb ripeterà in tutte le sue successive opere.
«L’Islām ha avuto inizio liberando la coscienza umana dalla servitù a qualcun altro che non fosse Dio e dalla sottomissione a qualcun altro che non fosse Dio» [12].
In conclusione, il tema dell’Islām come sistema giusto ed eterno e quello dell’uguaglianza di tutti gli uomini, senza distinzioni di razza, natura e provenienza sociale, sono i due fili conduttori di quest’opera rivoluzionaria, che determina un momento di rottura nell’evoluzione del pensiero di Quṭb.
Nella prospettiva di un impiego ministeriale volto a studiare i programmi educativi e la pedagogia americani nelle aree dell’istruzione primaria e secondaria da adattare all’istruzione egiziana, nel 1948 Sayyid Quṭb partì da Alessandria d’Egitto per New York. Il viaggio nell’America degli anni del presidente Henry Truman (1945‒1953) lo colpì profondamente, ma non in positivo. Era l’America post–bellica, in pieno boom economico; l’America dei Rapporti Kinsey [13], che Quṭb prenderà come riferimento per avvalorare la sua tesi sulla bestialità e l’arretratezza degli americani dal punto di vista sessuale e sentimentale.
La città di New York si rivelò ai suoi occhi densa di criminalità, alcoolismo e prostituzione e all’inizio del 1949 si trasferì a Washington, dove si ammalò e dovette essere operato alle tonsille nel febbraio dello stesso anno. Durante la sua convalescenza, il 12 febbraio 1949 il fondatore dei Fratelli Musulmani, Ḥasan al-Bannā, venne assassinato. La notizia dell’accaduto, che considerò una tragedia immane per il popolo egiziano, e la visione di una certa “gioiosa reazione americana” alla notizia dell’uccisione contribuirono a rafforzare il suo “antiamericanismo”. Nonostante Quṭb non avesse mai conosciuto personalmente al-Bannā, era comunque molto vicino all’ideologia della Fratellanza, come dimostrerà la pubblicazione in quell’anno di La giustizia sociale nell’Islām.
Nello stesso anno Quṭb si stabilì a Greely, terza tappa del suo soggiorno americano. La particolare storia di questa cittadina del Colorado catturò il suo entusiasmo. Fondata nella seconda metà del XIX secolo, Greely, era stata pensata con lo scopo di creare un vero e proprio modello di comunità virtuosa, con uno stile di vita sano ed etico: astinenza dall’alcool, sani principi morali, forte senso della famiglia e della comunità. Una situazione ideale per Quṭb, che non tardò però di accorgersi del fallimento di questo esperimento sociale: sotto la superficie impeccabile e serena di questa cittadina si celava un mondo decisamente diverso, fatto di feste scatenate, vendita clandestina di alcolici, sessualità sregolata, razzismo e violenza.
Dopo pochi mesi dal suo arrivo, cominciò a scrivere alla famiglia lettere sempre più accorate in cui descriveva il suo crescente senso di estraniazione dalla realtà che lo circondava, oltre alla sua riprovazione per le scelte politiche della Nazione. Proprio in quel periodo il governo statunitense si schierò apertamente a favore della causa sionista, che nel 1948 vedeva l’auto–proclamazione dello Stato d’Israele. L’esercito egiziano e gli eserciti arabi tutti erano ormai all’epilogo della guerra scatenata contro Israele proprio mentre il presidente Truman dava il suo benestare al trasferimento dei centomila profughi ebrei in Palestina.
L’Egitto sarà il protagonista di numerose lettere che scriverà dall’America, che avranno come obiettivo quello di esortare alla rivolta. Nel 1951, al suo rientro in Egitto, queste lettere vennero racchiuse in un diario di viaggio, che venne pubblicato con il titolo ‘Amrīkā allatī ra’aythu (L’America che io ho visto). Il primo episodio del resoconto di viaggio comincia con un’introduzione elogiativa e allo stesso tempo ironica dell’America, che, se prima è vista come una terra promessa, è poi descritta come il regno dell’animalità e della grettezza:
«L’America, il Nuovo Mondo, è quel vasto, assai diffuso mondo che occupa nella mente molto più spazio di quello che in realtà occupa sulla terra. Immaginazione e sogni fanno baluginare su questo mondo illusione e meraviglia. […] Il genio americano nel management e nell’organizzazione evoca sorpresa e ammirazione. La prosperità dell’America la rende una Terra Promessa. Ma questa America quanto vale nella scala dei valori umani? E che cosa aggiunge al bagaglio morale dell’umanità? […] L’invenzione di strumenti, l’esercizio del potere o la produzione di oggetti sono privi di peso nella scala dei valori umani. […] Siamo di fronte al caso di un popolo che ha raggiunto l’apice della crescita e la massima elevazione nelle scienze e nella produttività, rimanendo abissalmente primitivo nel campo della sensibilità, dei sentimenti, del comportamento» [14].
Continua con il secondo episodio, che ha come obiettivo quello di descrivere i lati negativi della personalità americana, come il desiderio innato di combattere e prevalere:
«Non riesco a capire come nel mondo si sia creata questa concezione che gli Americani amino la pace, in particolare in Oriente. L’Americano è per sua propria natura un combattente che ama combattere. L’idea del combattimento e della guerra scorre forte nelle sue vene. [...] Ora ha intrapreso una guerra in Corea [15], e non è lontana una Terza guerra mondiale!» [16]
Da queste parole si evince come Quṭb possa essere considerato un precursore dell’antiamericanismo contemporaneo, che nasce ben prima dell’11 settembre 2001. Da qui l’importanza di esaminarne le pagine.
L’adesione alla Fratellanza musulmana
Quṭb rientrò nel suo amato Egitto il 20 agosto 1950, due anni prima della Rivoluzione degli Ufficiali Liberi [17] che segnò la fine dell’agonizzante monarchia e la nascita del nuovo Stato egiziano repubblicano [18], finalmente indipendente dalla Gran Bretagna, politicamente socialista e appassionatamente nazionalista. Un Egitto rinnovato dal rifiuto dell’occupazione straniera e dei loro club, alberghi, cinema e ristoranti, simili a quelli americani; così come del re Fārūq, noto per le sue duecento auto rosse e per i suoi yacht, per il suo vizio del gioco d’azzardo e per le sue altre perversioni ben note alla popolazione.
Mentre quest’ultima era diventata sempre più povera e disperata, una sola associazione, la Ğamāʿat al-Iḫwān al-muslimīn, l’Associazione dei Fratelli Musulmani, stava operando dal basso, offrendo aiuto, servizi e un’adeguata educazione morale e religiosa agli strati più bassi della popolazione. «Un messaggio salafita, una via sunnita, una verità mistica, un’organizzazione politica, un gruppo sportivo, un’unione scientifica e culturale, un’impresa economica ed un’idea sociale» [19], così Ḥasan al-Bannāʾ [20] riassunse quello che rappresentava l’Associazione da lui capeggiata. Questi nodi essenziali del messaggio della Fratellanza contenevano delle implicazioni rivoluzionarie. Se si trattava, in primo luogo, di rinnovare l’Islām sul piano della pratica spirituale e di farlo diventare l’autentico fulcro ispiratore della vita dei credenti, la riforma spirituale si prefiggeva l’obiettivo di creare una profonda trasformazione della società islamica, fino alla creazione di un vero e proprio Stato islamico. La politicizzazione dell’Islām costituiva l’aspetto nuovo del messaggio dell’Associazione. Questo obiettivo politico doveva essere perseguito attraverso la propaganda e l’azione sociale e i Fratelli Musulmani conquistarono presto il favore della popolazione egiziana perché fortemente impegnati nell’assistenza, negli ospedali e nelle scuole, svolgendo quelle funzioni a cui lo Stato non era in grado di ottemperare. Essi divennero la prova di come si potesse costituire un movimento politico-religioso di massa su base islamica.
Secondo Sayyid Quṭb, la sua nascita risale non al 1906 ma con l’affiliazione alla Fratellanza Musulmana, che la maggior parte degli studiosi fa risalire al 1951, subito dopo il suo rientro dal viaggio negli Stati Uniti. Questa data rappresenta un momento di separazione netta tra il vecchio e il nuovo Quṭb, che rinnega pubblicamente gran parte della sua precedente produzione, considerata troppo lontana dai temi cruciali dell’Islām. Grazie alla sua notorietà, divenne in breve tempo membro del Consiglio Direttivo e segretario generale della Adunanza di liberazione [21], uno dei tanti strumenti con cui il nuovo regime militare riusciva a tenere alta la mobilitazione popolare. Da qui emerse il nuovo Quṭb, non più critico letterario e semplice professore, ma fervente musulmano.
Il 1952 si aprì con la strage di circa cinquanta soldati egiziani sul Canale di Suez, compiuta dai britannici, cui seguirono violente manifestazioni e attentati, mentre ben tre governi si erano succeduti nei primi sei mesi dell’anno, in un clima via via più teso. Il colpo di Stato degli Ufficiali Liberi avvenne nella notte fra il 22 e il 23 luglio con l’appoggio di tutte le forze politiche e sociali, e modificò radicalmente la situazione politica in Egitto, ponendo fine alla monarchia. La Fratellanza Musulmana, quindi anche Quṭb, partecipò attivamente a questo epocale mutamento politico, che aveva portato per la prima volta dopo più di duemila anni l’Egitto ad essere governato da Egiziani.
Nell’agosto del 1952 Quṭb tenne al Circolo degli Ufficiali un celebre discorso, indirizzato apertamente ai capi della cosiddetta Rivoluzione benedetta, intitolato Emancipazione intellettuale e spirituale nell’Islām, dove, nell’ottica della ricostruzione della società egiziana, proiettava alla creazione di nuova Costituzione che prevedeva una “giusta dittatura”, dove avrebbero dovuto governare solo uomini “virtuosi”.
«Questa gente, che ha sofferto una dittatura oppressiva per decenni, non potrebbe sopportare altri sei mesi di giusta dittatura? Siamo consapevoli che ogni azione di pulizia non si può attuare che per mezzo di una dittatura» [22].
Ricevette da tutti calorose congratulazioni e il presidente Naǧīb ne fu talmente entusiasta che lo definì pubblicamente “maestro spirituale della Rivoluzione”.
Nello stesso periodo Quṭb iniziò una rubrica mensile sulla rivista Al–muslimīn, che sarà poi considerata il suo vero capolavoro, intitolata Fī ẓilāl al–qur’ān (All’ombra del Corano), un commentario coranico, che vedrà la sua ristampa in parecchie edizioni in più lingue. L’intenzione esplicita di Quṭb era quella di trattare l’intero Corano attraverso la stesura di trenta volumi, il tradizionale tafsīr, un volume ogni due mesi, con lo scopo di chiarire e interpretare la Sacra Scrittura per tutti i credenti in un modo che differiva da quello tecnico degli ʿulamā dell’antichità. Quṭb voleva alleggerire il Corano dai tecnicismi. Egli mirava ad un approccio tematico che avrebbe avuto un tono colloquiale.
Il pensiero del Quṭb maturo nelle sue opere principali
Due anni dopo la Rivoluzione degli Ufficiali Liberi, il giorno successivo la dissoluzione dell’Associazione dei Fratelli Musulmani, il 15 gennaio 1954, Quṭb entrò per la prima volta in carcere con l’accusa di attività antigovernativa e lì trascorse praticamente tutto il resto della sua vita. Insieme a lui, molti dei Fratelli Musulmani furono internati nella terribile prigione di Ṭura, alla periferia meridionale del Cairo, un luogo che acquisì una grande importanza, sia dal punto di vista simbolico che logistico, per il movimento.
Proprio a Ṭura, nel giugno del 1957, una ventina di Fratelli Musulmani vennero massacrati dalla polizia: furono questi nuovi martiri, per lo più giovanissimi, che si aggiungevano ai precedenti, procurando una grande emozione nell’opinione pubblica dell’intero Egitto, a far sì che lentamente fuori dalle prigioni si iniziassero a formare in maniera clandestina organismi di aiuto e solidarietà per i detenuti e le loro famiglie, che diventarono in breve il nucleo per far rinascere l’Associazione. Quṭb, che da tempo era stato ricoverato nell’infermeria del carcere per le sue precarie condizioni di salute, assistette pieno di sgomento all’arrivo di decine di corpi straziati per la repressione della rivolta di giugno. Ormai la sua aperta e durissima denuncia prendeva corpo nelle pagine della sua opera più importante, Ma’ālim fī l-ṭarīq (Segnali lungo la via), e con esse lui stesso firmò la sua condanna a morte.
Quest’opera, considerata un vero e proprio Manifesto islamista degli anni Settanta, vide la luce grazie alle sue due sorelle, che, come tutte le donne affiliate all’Associazione delle Sorelle Musulmane guidate da Zaynab al–Ġazālī, agivano da “staffette” tra le carceri e l’esterno, poiché potevano aggirare con più facilità i controlli essendo perquisite con minore frequenza durante le visite. I fogli su cui Quṭb scriveva, infatti, venivano portati fuori dalla prigione sotto le loro ampie vesti islamiche e distribuiti ai militanti durante i clandestini seminari di studi [23]. Fu così, appunto, che venne composta l’opera più famosa di Quṭb, Ma’ālim fī l-ṭarīq (Segnali lungo la via). Con il benestare degli alti vertici della Fratellanza, l’opera fu pubblicata nel 1964, ma fu subito messa al bando. Tuttavia, ben cinque tirature andarono a ruba in meno di sei mesi, prima che fosse ritirato dalla circolazione, nonostante il semplice possesso di una copia potesse far scattare accuse gravissime.
L’umanità oggi è sull’orlo di un precipizio è l’incipit del Ma’ālim, cui segue l’analisi del perché di questa drammatica situazione, attraverso l’enumerazione delle imperfezioni di tutte le ideologie “laiche”, a cominciare dal capitalismo o dal marxismo, con la loro assenza di valori e l’insuccesso dei loro sistemi politici. Nel primo capitolo, dal titolo L’unica generazione coranica, l’autore arriva alla conclusione che si sia giunti a “contaminare” il messaggio divino per via della convivenza nel tempo dell’Islām con altre culture, altre ideologie e sistemi di vita che ne hanno determinato la crisi. Perché si instauri la società islamica il primo passo è, dunque, il distacco dalla società ğāhilī per mezzo di una dura lotta. È necessaria una “avanguardia della umma” (talī’a), che deve agire nella direzione di una rivoluzione che si diffonda gradualmente a tutti i musulmani [24]. Questa avanguardia si mobilita ovunque nel mondo, in nome della sua fede e della sua comunità religiosa. È, dunque, globale e questa rappresenta una nuova caratteristica del ğihādismo contemporaneo.
Proprio al muğāhid (combattente), che si muove sulla via della realizzazione di un vero Stato islamico, Quṭb indirizza la sua opera, ed è per tale ragione che, soprattutto nel decimo capitolo, intitolato Mutamenti di grande portata, fornisce tutte le modalità di azione in maniera estremamente chiara ed inconfutabile. Concetti antichi ma con un linguaggio moderno, politico, rivoluzionario, capace di coinvolgere ed entusiasmare i giovani militanti dando loro la forza per affrontare le condizioni più difficili del cammino che si propongono di intraprendere. Negli ultimi due capitoli, La fede trionfante e Questa è la strada, Quṭb parla del comportamento che il fedele deve tenere in un contesto ğāhilī, esortandolo a non arretrare dinanzi alle difficoltà, al rifiuto della società, al sarcasmo e alle sofferenze, e neppure dinanzi al martirio.
Il concetto di ğihād come “spirito di combattimento” viene meglio espresso in un’altra opera nata dall’intensissimo periodo di meditazione religiosa che Quṭb visse in carcere, Fī ẓilāl al–qur’ān (All’ombra del Corano) [25]. Si tratta di un commentario (tafsīr) alquanto inusuale, dove Quṭb decide di concentrarsi esclusivamente sul testo del Corano, senza seguire la tradizione dei commentari dei grandi ‘ulamā’ e dei fuqahā’, i dotti di fiqh cioè di giurisprudenza islamica, che si rifanno sempre alle analisi dei predecessori. Quṭb utilizza, invece, un metodo cosiddetto “attivo”, riferendosi a militanti e attivisti musulmani, le cui interpretazioni sono considerate da lui le uniche giuste [26].
Il fatto è che l’Islām, aggredito dall’interno e dall’esterno, dev’essere difeso e rivendicato, e il ğihād è il dovere che i musulmani hanno dimenticato e che devono tornare ad ottemperare per salvaguardare la loro religione [27]. Il ğihād è allo stesso tempo offensivo e difensivo, anche se non implica in nessun modo l’imposizione della religione islamica agli infedeli. Essere musulmano equivale senza mezzi termini ad essere un muğāhid, un combattente e la umma stessa è una comunità non di semplici fedeli ma di combattenti. Il combattente, inteso nel senso più corretto secondo la tradizione islamica, è innanzitutto colui che combatte il male dentro di sé, ma nondimeno egli deve volgere il proprio sforzo (ğihād) verso l’esterno, contro i nemici della religione, gli usurpatori, i falsi musulmani [28].
La novità, rispetto ai pensatori che lo hanno preceduto, sta nel fatto che questo sforzo insito nella natura dell’Islām non si rivolge soltanto contro la Dār al–Ḥarb, il territorio che non è sottoposto alla legge islamica e dove dunque l’Islām non è religione dominante, ma contro la stessa Dār al–Islām, dimora dell’Islām, dove si nascondono i nemici più temibili della religione. Solo instaurate la vera libertà e la vera giustizia si potrà parlare sulla terra di lā ikrāha fī l–dīn, nessuna costrizione in religione, come citato nel versetto 256 della seconda sūra. Lo scopo della lotta è l’instaurazione di uno Stato veramente islamico, dove il fiqh (diritto) non sarà appannaggio degli ‘ulamā’ ormai asserviti al potere, ma di un gruppo di musulmani attivi, la ṭalī’a (avanguardia islamica).
Il 29 agosto 1966 Sayyid Quṭb fu impiccato, dopo aver opposto un altro deciso rifiuto a Ğamāl ʿAbd al-Nāṣir, e da quel momento in poi sarà per sempre ricordato come lo šahīd, il martire dell’Associazione e, da allora, una delle più incontestate guide intellettuali del pensiero fondamentalista contemporaneo. Dopo la condanna a morte da parte del governo egiziano nel 1966, la figura di Quṭb assunse contorni leggendari e i suoi scritti sono stati reinterpretati, manipolati ed utilizzati al punto tale che viene spontaneo chiedersi se il suo messaggio originale mirasse a diventare ciò che è oggi: la base teorica del radicalismo islamico contemporaneo.
Conclusione
Volendo fare una valutazione complessiva del pensiero di Sayyid Quṭb, maturato come abbiamo visto, attraverso tutti i momenti salienti nel corso della sua vita, si può affermare che l’Islām viene inteso come metodo nuovo (qīyāda ǧadīda), che possiede in sé la chiave per poter raddrizzare quanto si è corrotto: il ǧihād. Attraverso quest’ultimo si vuole rimarcare il principio attraverso il quale l’Islām può incidere sulla realtà: il tawḥīd, il riconoscimento dell’unicità di Dio e della sua funzione reggente e legiferante (ḥakimiyya). Dal tawḥīd emerge, dunque, una profonda trasformazione della realtà umana che modifica radicalmente lo stato della vita presente.
La società idealizzata da Quṭb è insita di uno Stato monolitico basato su un partito unico islamico, non ha suddivisione di classi, è priva dell’egoismo delle democrazie liberali e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e tutte le sue caratteristiche derivano dal Corano. La società e le politiche islamiche a lui contemporanee rappresentano dei nemici da combattere attraverso tutti i mezzi necessari, di modo che possa sorgere una nuova società perfettamente giusta, un vero e proprio Stato islamico. Nella visione di Quṭb, infatti, il concetto islamico fondamentale deve muovere il musulmano all’azione, e, se occorre, alla rivoluzione: il concetto islamico non è una teoria, un sogno, una mistica spirituale che possa rimanere passiva nelle profondità del cuore umano; è il “piano” pratico e immodificabile di Dio, destinato ad essere realizzato.
A tal fine, scrivendo Ma’ālim fī l-ṭarīq (Segnali lungo la via), Sayyid Quṭb indicò l’inizio della strada da percorrere da parte dei militanti del movimento islamista, ma il suo supplizio interruppe il suo lavoro di riflessione. I suoi lettori, dunque, proseguono autonomamente lungo questa strada, spesso per perdersi o imboccare un vicolo cieco e finire, anche loro, sulla forca o dietro le mura di una prigione.
Per evitare ciò, i suoi seguaci, gli stessi che diffusero con rapidità e successo il suo messaggio, rividero le sue opere e le smussarono dei temi più scottanti, sottolineando come i concetti utilizzati da Quṭb dovessero essere resi in senso metaforico. Il termine ğāhiliyya, ad esempio, indica correttamente una società kāfir, e dunque da scomunicare e combattere, ma come una situazione di degrado intellettuale ed etico. La ğāhiliyya di Quṭb è una società diretta da un principe perverso, che si fa adorare al posto di Dio e che governa sotto l’imperio del suo solo capriccio, invece di attenersi ai principi ispirati dal Corano e dai detti del Profeta. È improcrastinabile il rovesciamento di un simile regime, dopo averlo dichiarato kāfir, cioè empio, e il ğihād diviene così un obbligo individuale di ogni singolo musulmano.
Ancora, l’avanguardia della umma, la talī’a, è da interpretare non come un manipolo di armati pronti al sacrificio estremo, ma come un gruppo di persone che si dedicano devotamente e senza risparmio di energie alla causa dell’islamizzazione dal basso delle società, conducendo una difficile battaglia contro le contaminazioni che allontanano dalla religione. Un’avanguardia che partirà, per la sua preparazione, da un Corano privato di tutte quelle incrostazioni che nel corso dei secoli gli uomini vi hanno aggiunto, scacciando la ğāhiliyya dalle menti e dai cuori e procedendo ad una lettura non adulterata del Testo Sacro, simile a quella compiuta dalla prima generazione coranica.
Le idee di Quṭb, nonostante siano state osteggiate dalle autorità musulmane, hanno ispirato un’intera generazione di islamisti. Anzi, il tentativo del governo di bandire i suoi scritti non ha fatto altro che alimentare il cosiddetto “mito di Quṭb” e, invece di consentire la serena e pacifica confutazione delle sue idee, anche le più radicali, attraverso un dibattito aperto e proficuo, questa censura ha lasciato campo libero alla loro diffusione clandestina, gestita interamente dai militanti islamici più estremi. Questi ultimi hanno fornito una lettura ancora più rigida delle sue idee, utilizzandole per giustificare la violenza e il rigetto verso tutto ciò che considerano contrario ai principi religiosi, arrivando a condannare i loro nemici con la scomunica e la morte. È il caso, ad esempio, dei sedicenti teorici del gruppo di al-Qāʿida.
La notorietà di Quṭb aumentò ulteriormente in seguito agli attacchi dell’11 settembre 2001 ad Arlington, Manhattan (New York) e Washington. All’indomani degli attentati, infatti, gli studiosi di storia contemporanea si diedero da fare per ricostruire la genealogia ideologica di al-Qāʿida e dagli studi fatti emersero, tra gli altri, i contributi di Sayyid Quṭb. L’essere posto all’interno del percorso genealogico di un gruppo fondamentalista islamico, fa sì che Quṭb venga spesso etichettato come un terrorista. E naturalmente, non solo gli studiosi notano il ruolo centrale di Quṭb nella formazione dell’ideologia di al-Qāʿida, ma anche gli ideologi di al-Qāʿida, a loro volta, lo riconoscono esplicitamente come un importante capostipite della causa ğihādista globale. Ma si tratta di una filiazione artefatta.
È evidente come lo sforzo dottrinale di questi sedicenti teorici del ğihād sia un susseguirsi di concetti firmati da nomi importanti del passato, come quello di Quṭb, elaborati in contesti spesso molto diversi, ma comunque utilizzabili come slogan in un tempo più recente. La novità sta nel fatto che il messaggio questa volta si avvale per la sua diffusione di nuovi strumenti di comunicazione, con potenzialità enormemente ampliate di giungere ai lettori di tutto il mondo in tempi incredibilmente rapidi.
Il messaggio, dunque, si diffonde e si amplifica, diventando immediatamente accessibile e realizzabile. Dal nascondiglio sotto le vesti delle Sorelle Musulmane, grazie alle quali le pagine del Ma’ālim fī l-ṭarīq uscirono fuori dal carcere di Ṭura, ricomposte e stampate clandestinamente, fatte passare di mano in mano a rischio della propria incolumità, e poi lette, discusse, commentate, rielaborate con devozione estrema, all’immensità di uno spazio digitale entro il quale si può ritrovare un nuovo genere di umma virtuale, potenzialmente molto attiva ma anonima, indifesa e vulnerabile di fronte alle manipolazioni della comunicazione nel mondo virtuale del web.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
Note
[1] Calvert J., Sayyid Qutb and the origins of Radical islamism, New York, Oxford University press, 2013: 37.
[2] Poco prima che scoppiasse la guerra, nel 1914, la Gran Bretagna decise di trasformare direttamente l’Egitto in un protettorato e, a tal fine, depose il khedivè (ḫidīwi) ‘Abbās Hilmī II. Durante la guerra, il movimento nazionalista era rimasto quieto, nella speranza che, concluso il conflitto, la Gran Bretagna avrebbe riconosciuto le aspirazioni egiziane all’indipendenza. Ancor prima che si aprissero i colloqui di pace, a Parigi nel 1919, una delegazione (Wafd) di nazionalisti, guidata da Saʿd Zaġlūl, nuovo capo del movimento, premette su Londra per vedere riconosciuti i diritti dell’Egitto. La risposta dei britannici fu l’arresto di Zaġlūl. Immediatamente, il popolo egiziano insorse in quella che passò alla storia come la rivoluzione del 1919. Questo fu solo il primo atto di una continua tensione rivendicativa che preoccupò i più lungimiranti tra i governanti britannici, timorosi di perdere completamente il controllo dell’Egitto. Fu così che, dopo tre anni di disordini, il governo di Londra accettò, nel 1922, di dichiarare unilateralmente l’Egitto una monarchia indipendente: la corona veniva cinta da Fu’ād. Si trattava di un’indipendenza pagata a caro prezzo, poiché la Gran Bretagna si riservava il controllo dell’esercito, della polizia e del canale di Suez e mirava a condizionare la politica estera del paese. Intanto, la delegazione (Wafd) guidata da Zaġlūl si era trasformata in un partito, il partito Wafd, appunto; e questa formazione politica divenne il terzo attore principale, oltre al re della Gran Bretagna, ad agire sul palcoscenico egiziano nell’età liberale.
[3] Quṭb S., Tifl min al–qariya, Cairo, Dār al–Šuruq, 1946: 96.
[4] Quṭb S., La battaglia tra Islam e capitalismo, Venezia, Marcianum Press, 2016: 121.
[5] Calvert J., Sayyid Qutb and the origins of Radical islamism, New York, Oxford University press, 2013: 51.
[6] Il partito politico Wafd è stato uno dei più antichi partiti politici parlamentari egiziani. Wafd significa “Delegazione” e l’origine del nome deriva dalla volontà dei circoli politici egiziani più dinamici d’inviare nel 1919, al termine della prima guerra mondiale, una propria delegazione alla Conferenza di pace di Parigi per perorare la causa dell’indipendenza dell’Egitto dal Regno Unito.
[7] Boroumand L., Boroumand R., Terror, Islam and Democracy, in “Journal of Democracy”, Volume 13, Number 2, April 2002.
[8] Manduchi P., Questo mondo non è un luogo per ricompense. Vita e opere di Sayyid Qutb, martire dei Fratelli Musulmani, Roma, Aracne, 2009: 44.
[9] Campanini M., L’alternativa islamica. Aperture e chiusure del radicalismo, Milano, Mondadori Bruno, 2012: 112.
[10] Pacini A., Dossier Mondo Islamico, I Fratelli Musulmani e il dibattito sull’islam politico, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 1996: 35.
[11] Qutb S., Social Justice in Islam, tr. da Hardie B., New York, Octagon Books, 1970: 20‒21.
[12] Ibidem.
[13] I rapporti Kinsey sono due libri sul comportamento sessuale dell’essere umano: Sexual Behaviour in the Human Male (Il comportamento sessuale dell’uomo; 1948) e Sexual Behaviour in the Human Female (Il comportamento sessuale della donna; 1953), scritti dai Dott.ri Alfred Kinsey, Wardell Pomeroy e altri collaboratori dell’Università dell’Indiana. Kinsey era un biologo presso l’Università dell’Indiana e il fondatore dell’omonimo istituto. I risultati del suo lavoro ebbero un’enorme risonanza presso la gente comune e furono immediatamente considerati controversi e sensazionalistici. Essi sfidavano le conoscenze convenzionali sulla sessualità e si occupavano di argomenti che in precedenza erano considerati tabù. La credenza che l’eterosessualità e l’astinenza fossero la norma, statisticamente nonché eticamente, non erano mai stati messi in discussione prima di allora sulla base di una ricerca statistica e scientifica di quelle dimensioni.
[14] Abdel-Malek K., America in An Arab Mirror: Images of America in Arabic Travel Literature: An Anthology, Londra, Palgrave Macmillan, 2000: 9-12.
[15] La guerra di Corea scoppiò nel 1950 a causa dell’invasione della Corea del Sud da parte dell’esercito nord–coreano: su mandato ONU, gli Stati Uniti, affiancati da altri diciassette Paesi, intervennero militarmente. La guerra in Occidente venne considerata come una mossa necessaria in regime di Guerra Fredda e come reazione all’espansionismo sovietico.
[16] Ibidem: 14-15.
[17] Viene definito così il colpo di Stato che il 23 luglio 1952, in Egitto, rovesciò il re Fārūq I e, nel 1953, istituì la Repubblica. L’azione fu condotta dal movimento clandestino degli Ufficiali Liberi, nato all’interno dell’esercito egiziano dopo la fine della Seconda guerra mondiale e radicalizzatosi dopo la sconfitta subita nella prima guerra arabo-israeliana (1948). L’insurrezione fu innescata da gravi incidenti fra forze inglesi e polizia egiziana all’inizio del 1952, che provocarono numerose vittime egiziane. A questi seguirono mesi di tumulti e azioni di guerriglia anti-inglese, mentre il re cercava di stabilizzare la situazione politica, nominando ministri graditi all’opposizione. Nel luglio 1952 il nucleo golpista, guidato da Ğamāl ʿAbd al-Nāṣir entrò in azione, occupando i centri nevralgici del Paese e costringendo il re a un rapido esilio. Entro un anno, l’Egitto divenne una Repubblica, con Muḥammad Naǧīb, il più anziano degli Ufficiali Liberi, come primo presidente; la costituzione fu abolita, insieme ai partiti politici, e fu lanciata la prima grande riforma agraria.
[18] Campanini M., Storia del Medio Oriente contemporaneo, Bologna, il Mulino, 2017: 82-83.
[19] Seguendo i titoli dei paragrafi della sua Lettera al V Congresso (1939).
[20] Ḥasan al-Bannāʾ nasce a Maḥmūdiyya, vicino Alessandria d’Egitto, nel 1906. Fu per vent’anni membro della ṭarīqa (confraternita) degli Ḥasafiyya, nonché di numerose società islamiche e, da studente al Cairo, si fece notare per le sue dirette accuse alle autorità universitarie di non agire con efficacia contro il pericolo di laicizzazione e di diffusione di idee contrarie all’Islām. Entrato nella cerchia del movimento Salafiyya, il movimento di ritorno ai pii antenati la cui origine si fa risalire a Rašīd Riḍā, fece proseguire, dopo la morte di quest’ultimo nel 1935, le uscite della sua rivista, al–Manāra (Il Faro). Maestro elementare presso la scuola di Ismāʿīliyya, fu un fervente attivista religioso, instancabile viaggiatore, grande organizzatore, impegnato in programmi per la costruzione di scuole, moschee circoli culturali, piccole imprese industriali.
[21] L’Adunanza di liberazione (liberation rally) fu il primo mezzo impiegato da Nāṣir per sviluppare continue mobilitazioni delle masse popolari. Successivamente fu creata l’Unione Nazionale (1956) e infine l’Unione Socialista Araba (1962).
[22] Hammūda A., Sayyid Quṭb min al–qariya ilā al–mišnaqa, Cairo, Sīnā lilnašr, 1990: 112.
[23] Kepel G., Il Profeta e il Faraone, Roma, Editori Laterza, 2006:. 5-7.
[24] Manduchi P., Questo mondo non è un luogo per ricompense. Vita e opere di Sayyid Qutb, martire dei Fratelli Musulmani, Roma, Aracne, 2009: 104.
[25] Il primo volume vide la luce già nel 1952, ma la prima edizione completa dell’opera fu pubblicata qualche anno dopo, nel 1959, a cui seguirono significative modifiche riportate nell’edizione del 1961. Le autorità carcerarie gli permisero di lavorare alla sua opera obbligati dalla casa editrice, la quale aveva lanciato una causa legale contro il governo per le perdite subite durante la prigionia di Quṭb nel 1954. Il tribunale, allora, stabilì che il governo avrebbe dovuto risarcire la casa editrice con dieci mila sterline egiziane o, in alternativa, avrebbe dovuto permettere all’autore di completare il suo lavoro in prigione. Così il governo optò per la seconda soluzione. Alcuni autori, tuttavia, ipotizzano un’ulteriore ragione per cui potrebbe essere stato concesso a Quṭb di continuare il suo lavoro. Gli islamisti al di fuori dell’Egitto, venuti a conoscenza delle terribili condizioni in cui versava – tra gli altri – Quṭb, avevano lanciato una raffica di proteste contro il governo egiziano accusandolo di maltrattamenti. Facendo questa concessione a Quṭb, così, il governo egiziano poté ammortizzare tali accuse.
[26] Ibidem: 205.
[27] Campanini M., Storia del Medio Oriente contemporaneo, Bologna, il Mulino, 2017: 171.
[28] Manduchi P., L .a collera di Allah. Il radicalismo islamico contemporaneo. Attivismo politico ed elaborazione teorica, Cagliari, Quaderni di Orientalia Karalitana, 1995: 180‒187.
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Stefania Di Giorgi, dopo essersi laureata in Mediazione Linguistica e Culturale, ha vissuto tra Marocco ed Egitto, dove ha approfondito le sue conoscenze linguistiche arabe e, contemporaneamente, ha insegnato italiano a stranieri in una scuola privata ad Alessandria d’Egitto. Successivamente, si è laureata al corso di Laurea Magistrale in Diritti dell’Uomo, delle Migrazioni e della Cooperazione Internazionale e nel contempo ha intrapreso la carriera di collaboratrice parlamentare. Attualmente, oltre a proseguire la sua carriera professionale, frequenta un Master di II livello in Economia, Diritto ed Intercultura delle Migrazioni presso l’Università di Roma Tor Vergata.
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