L’idea di focalizzare alcuni aspetti “privati” del mondo arabo e di quello maltese interpretati attraverso l’arte della narrazione dà il senso al titolo della raccolta di racconti Kòshari. Racconti arabi e maltesi, edito da Progedit – Progetti editoriale – nel maggio di quest’anno. Il volume è stato curato da Aldo Nicosia, professore di lingua e letteratura araba all’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. A conclusione del lavoro, la raccolta di racconti più o meno brevi si è rivelata una interessante forma di commistione tra due culture – quella araba e quella dell’isola di Malta – diverse ma non dissonanti tra loro, in grado di offrire una visione comparativa su alcune tematiche importanti che abbracciano in mondo degli affetti e delle consuetudini familiari e in particolare il rapporto tra genitori e figli e tra nonni e nipoti.
Il titolo scelto Kòshari dimostra apprezzamento per il racconto eponimo, indicando il termine il piatto tipico della cucina popolare egiziana e in senso figurato una miscellanea di cose e oggetti di varia origine che insieme creano «una sinfonia di gusti e di aromi provenienti dalla riva sud del Mare Nostrum», come viene specificato nell’introduzione. Una polifonia, un coro a più voci di scrittori quasi tutti della stessa generazione, quella degli anni Settanta, tradotti dagli studenti del corso di letteratura araba del Dipartimento Lettere, Lingue, Linguistica e Arti dell’Università Aldo Moro di Bari. Inoltre la maggior parte di essi fa parte degli elaborati finali che hanno portato al conseguimento della laurea di primo livello in lingua e letteratura araba.
Il libro parte quindi da una idea quasi didattica ma affronta con sapienza e consapevolezza un percorso letterario che ha portato a risultati molto interessanti sotto diversi punti di vista, non ultimo quello dei contenuti e delle scelte fatte nel corso dell’impegnativo lavoro. La selezione degli autori è avvenuta tra scrittori provenienti da Paesi diversi, Marocco, Tunisia, Egitto, Siria, Sudan, Iraq, Emirati, Palestina\Giordania con residenza nel Golfo. Tra questi l’Egitto, il più popoloso, è il più rappresentato.
Interessante dunque analizzare il prodotto letterario anche sotto l’aspetto sociale, storico e politico, di costumi e tradizioni del Paese di origine di ogni autore e altresì sotto l’aspetto intimo e personale che anima la narrazione del protagonista inserito in una comunità diversa. Ecco che i racconti privati possono quindi valere come documento sociale e storico: si parla per esempio della Rivoluzione del 2011 in Tunisia e delle spinte post-integraliste, dell’Iraq di Saddam Hussein, dell’Isis e della Siria. Questo per quel che riguarda i racconti arabi – che sono diciassette – mentre per i quattro racconti maltesi uno soltanto risale alla fine del secolo scorso, ed è quello di Oliver Friggieri, il maggior romanziere dell’isola, gli altri sono più recenti.
Le sezioni scandiscono le tematiche di cui si occupano i narratori: rapporto genitori e figli, bambini o adolescenti, nonni e nipoti nel mondo arabo e a Malta. Ed è interessante scavare e immergersi nelle storie proposte per comprendere la complessità delle tematiche che certamente sono di carattere universale ma che pur se condensate in poche pagine, come si conviene ad un racconto, riescono ugualmente a far risaltare con efficacia le dinamiche composite e diverse e a dare uno spaccato significativo di un contesto familiare e sociale di ogni Paese.
Ci sono dunque realtà famigliari tradizionali dove il figlio obbedisce sic et simpliciter ai voleri del padre che lo domina senza ribellioni o atti di sovversione in nuclei sociali chiusi caratterizzati fortemente da valori patriarcali e relazioni verticali. Ma ci sono anche realtà che se ne distaccano per abbracciare un diverso ruolo genitoriale e filiale dove il distacco e la distanza generazione se non è stato annullato, ha ottenuto un riavvicinamento che porta a riconsiderare il rapporto familiare. In particolare, per esempio nel racconto Vorrei un padre martire di Yasamin Sabah Hannus che ha come sfondo la guerra tra Iran e Iraq (1980-1988), il protagonista è un bambino geloso delle attenzioni che la madre ha nei riguardi del padre-soldato che ogni tanto fa ritorno a casa dove il protagonista-figlie, geloso anche dei compagni premiati in seguito alla morte dei loro padri al fronte, arriva ad augurarsi la stessa sorte per il genitore. Dimensioni private e intime si mescolano con la dimensione nazionale e sociale che il Paese in quel momento sta vivendo.
In Mio padre non era morto di Umar Khalifa, autore giordano che, formatosi negli Stati Uniti, oggi insegna Letteratura araba alla Georgetown University in Qatar, il rapporto tra genitore e figlio si snoda in modo diverso utilizzando la forma di un monologo interiore. Il figlio si trova a New York per seguire i suoi studi e teme che il padre possa morire in sua assenza e nel racconto diviene una ossessione e tormento che porta il protagonista a pensare alla morte del padre come un evento liberatorio. Anche i rapporti tra padre e figlia, in alcuni racconti assumono una connotazione peculiare.
Ne La ghinea di papà dello scrittore e attivista egiziano Muhammad ‘Abd -al-Rahman al-Murr, scomparso nel 2017, basta un oggetto per «cristallizzare lo scambio di affetto tra padre e figlia», troppo piccola per comprendere ciò che le sta accadendo intorno: una ghinea risparmiata potrà essere spesa per qualcosa che aiuti a lenire il dolore nel periodo di prigionia del genitore.
Nel racconto dell’accademico maltese, Oliver Friggieri, Gelsomino che non sboccia mai estrapolato da un romanzo dell’autore ma capace di vivere di vita propria, vengono rilette vicende familiari tra nonno e nipote attraverso il racconto che il primo fa al secondo di “storie vere” o «che solo forse lo sono» ma che aiutano il nipote a costruire la propria identità seguendo le origini. Ne La rivolta di Bahjìa, racconto di Shukri al-Mabkhut, ex rettore dell’Università di Mannouba di Tunisi e attualmente direttore della Fiera internazionale del libro di Tunisi, si parla delle ansie adolescenziali; il figlio abbandona gli studi per seguire un movimento islamista e questo fa sì che si creino profondi conflitti nella famiglia improntata su valori moderni e laici. Emerge forte, infine, la relazione tra madre e figlia nel racconto La bambina del traghetto dell’irachena Sabah Hannush, ambientato dopo la liberazione dell’Iraq settentrionale dall’Isis nel 2017, dove «la morte tragica permette ad entrambe di restare unite in un’altra dimensione, lontana dalla malvagità umana». Altri racconti sono stati scritti dalla marocchina Latifa Labsir, ricercatrice di Lettere e Scienze Umane presso l’Università di Casablanca; dall’egiziano Hasan Kamal, che ha di recente firmato il romanzo Ho dimenticato la password; dal giornalista sudanese Hammur Ziyada; dalla siriana Rima Ra’i; dalla libanese Mansura ‘Izz al-Din; da Maryam al Sa’idi degli Emirati Arabi; e infine dagli scrittori maltesi: Adrian Grima, Clare Azzopardi, Trevor Zahra.
C’è una doppia responsabilità in questa inedita raccolta di racconti: quella dell’autore e quella del traduttore che svolge un’opera di interpretazione autentica del testo servendosi degli strumenti che ha appreso nel corso di laurea dove il tutor è diventato curatore (il prof. Aldo Nicosia). «Nel rispetto del filo conduttore che lega l’antologia sono stati selezionati gli autori, purtroppo la ricerca non si è rivelata facile per cui ci siamo orientati su nuovi autori non solo di racconti ma anche di romanzi – è scritto nell’introduzione – E così uno dei diciassette titoli arabi selezionati è il primo capitolo di un romanzo di una giovane autrice siriana, tradotto dal curatore che vi ha scorto caratteristiche strutturali che lo rendono fruibile al lettore anche in forma autonoma».
L’accostamento del racconto arabo a quello maltese che potrebbe sembrare asincrono viene spiegato in questo modo: «il maltese, definito la più romanza delle lingue semitiche ha vari punti di contatto con l’italiano, con numerosi prestiti dal siciliano, e ancora di più con l’arabo, in particolare con la variante tunisina». Ed è vero perché l’impressione che si ricava leggendo l’antologia è di omogeneità: la scrittura e le tematiche godono infatti di punti di contatto culturali che le avvicinano altresì alla cultura italiana, vuoi per ragioni di vicinanza geografica vuoi per ragioni di lingua. Restano anche forti diversità che tuttavia, nella lettura, non appaiono dissonanti, al contrario consentono rapidi confronti che aiutano ad allargare l’orizzonte intimo del lettore, riguardo ai rapporti padri\madri-figlio\figlia e nonni-nipoti con la leggerezza, che solo la forma del racconto può garantire.
Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021
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Mariza D’Anna, giornalista professionista, lavora al giornale “La Sicilia”. Per anni responsabile della redazione di Trapani, coordina le pagine di cronaca e si occupa di cultura e spettacoli. Ha collaborato con la Rai e altre testate nazionali. Ha vissuto a Tripoli fino al 1970, poi a Roma e Genova dove si è laureata in Giurisprudenza e ha esercitato la professione di avvocato e di insegnante. Ha scritto i romanzi Specchi (Nulla Die), Il ricordo che se ne ha (Margana) e La casa di Shara Band Ong. Tripoli (Margana 2021), memorie familiari ambientate in Libia.
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