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È dolce morire nel mare. Da Odisseo a Lighea

H. W. VAN LOON, Il terribile pesce succhiatore, da “Storia della navigazione”, Bompiani, Milano 1939

H. W. Van Loon, Il terribile pesce succhiatore, da Storia della navigazione, Bompiani, Milano 1939

di Ninni Ravazza 

Questo scritto intende essere nient’altro che un’idea nata per caso scorrendo le pagine delle pubblicazioni che intrecciano la vita delle persone con le onde del Mare per dare vita a racconti, poemi, liriche … Idea che se ritenuta meritevole andrebbe approfondita, ampliata, arricchita, resa degna di uno studio complesso ancorché difficile da definire compiutamente per la vastità della materia. Ritenendo purtuttavia che l’argomento sia intrigante, affascinante, emotivamente coinvolgente, mi piace pensare che qualcuno – magari uno studente che non si accontenti di ricopiare brani attinti sul web – un giorno voglia dare corposità a quello che intende essere soltanto un invito all’approfondimento. 

9788804709190_0_536_0_75La morte nel mare 

La riflessione nasce dal confronto fra tre opere letterarie a cui sono particolarmente legato: Martin Eden di Jack London, Sirena di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il mio Cianchino [1]. Lontani negli anni (rispettivamente 1908, 1956/57 e 2023) i tre lavori hanno un denominatore comune, straordinariamente simile: la morte in Mare, non per un incidente ma per scelta del protagonista. Il Mare eletto non solo quale luogo ove lasciare la vita ma quale tramite per la morte, strumento per porre fine alle angosce o per cercare una nuova realtà. Il suicidio in Mare nella letteratura contemporanea è un argomento a mio parere ingiustamente poco approfondito: numerose sono le opere letterarie che hanno affrontato il tema del suicidio (una per tutte, Le affinità elettive di Goethe), ma ben poche lo hanno posto in relazione col Mare. Non è il Mare capace di uccidere né responsabile degli attuali tragici naufragi dei diseredati del Terzo mondo, ma il Mare complice di un progetto intimo, solitario, scelta ponderata e perseguita con distacco e ferma volontà.

Purtuttavia, non tutti i suicidi nel Mare si somigliano. Ci sono mille strade diverse che conducono al gesto ultimo, cento motivazioni differenti, una infinità di soluzioni finali. La scrittrice Virginia Woolf [2] si lasciò annegare dopo avere riempito di pietre le tasche dei suoi abiti, in questo caso però non si tratta di un’invenzione letteraria ma fu piuttosto l’epilogo reale e tragico di una delle sue ricorrenti crisi depressive. Il Mare (il fiume invero nella fattispecie) comunque resta l’ambiente privilegiato per il suicidio. 

Sirena, acquatinta XIX secolo (da “Sirene di Sicilia”, a cura di N. Ravazza, Magenes, Milano 2010)

Sirena, acquatinta XIX secolo (da Sirene di Sicilia, a cura di N. Ravazza, Magenes, Milano 2010)

Una rivolta intima 

Martin Eden si abbandona al Mare disgustato dalla società che un tempo lo disprezzava e ora lo acclamava; Rosario La Ciura scivola in Mare per ritrovare la Sirena Lighea che amò sugli scogli di Augusta ma anche per ribadire il suo distacco da una assai mediocre classe intellettuale; Giorgio immobilizzato su una sedia a rotelle fugge dalla vita che nulla gli può più offrire scomparendo in Mare assieme all’amico gabbiano Cianchino, storpio come lui.

La ricusazione della società intesa come collettività di individui falsi e approfittatori, la repulsione per l’ambiente accademico e il ritorno dall’essere mitologico che gli aveva fatto conoscere l’amore primitivo, il rifiuto della propria menomazione che lo aveva reso “inutile al mondo”: tre motivazioni per un suicidio, una sola scelta per tradurle in pratica, l’annullamento nel Mare. 

«Era la prima volta che Martin viaggiava in prima classe. Durante la navigazione in mare era sempre stato nel castello di prua, ai comandi o impegnato a passare carbone nelle nere profondità della stiva. A quel tempo, riemergendo dal pozzo di salita dopo ore passate in quel soffocante calore e scorgendo i passeggeri nei loro freschi abiti bianchi, di null’altro preoccupati che di divertirsi, sotto tendoni distesi per proteggerli dal sole e dal vento, assistiti dal servizievole personale di bordo che esaudiva ogni loro desiderio e capriccio, gli era sembrato che il mondo in cui queste creature vivevano e si muovevano fosse il paradiso. Ed ora che, nella sua qualità di persona importante, di questo luogo era il re, e sedeva alla destra del capitano, si volgeva senza speranza al castello di prua e alla stiva del combustibile alla ricerca del paradiso che aveva perduto. Non aveva trovato il nuovo e al vecchio non poteva tornare». 

La delusione fa perdere a Martin Eden ogni riferimento rispetto alla società in cui è vissuto e a quella in cui si ritrova a vivere. 

«Ma caro Corbera, io non ho nessun catarro. Tu che osservi con tanta cura avresti dovuto notare che non tossisco mai prima di sputare. Il mio sputo non è segno di malattia anzi lo è di salute mentale: sputo per il disgusto delle sciocchezze che vo leggendo […]. I miei sputi sono simbolici e altamente culturali …». 

Il senatore La Ciura prima di raccontare del suo amore con la Sirena denuncia il ribrezzo provato per quei “minorati” che con lui avrebbero partecipato a un congresso di studi greci in Portogallo. 

«Quale vita? non sono più un uomo, non posso camminare né andare a mare, le donne e gli uomini hanno pietà di me, gli amici sono spariti, cosa vuoi che mi importi dell’osteria e della mia vita? era meglio se oggi lo facevate a me il funerale, e si avviò da solo. Passò davanti alla tomba di Vilfredo e lo invidiò. Nessuno lo aveva compatito, era morto da uomo tutto intero. Giorgio non sapeva dove andare, poggiandosi sulle stampelle si allontanò dal cimitero, dal padre e dalla madre». 
L’isola di Cianchino (foto n. ravazza)

L’isola di Cianchino (ph. Ninni Ravazza)

Giorgio sa di non avere una vita davanti, è giovanissimo ma la malattia dei sommozzatori gli ha negato tutto quanto un ragazzo della sua età potrebbe avere: una donna, figli, amici con cui scherzare e andare a pesca.

Dietro ciascuno dei protagonisti c’è una forte presenza femminile decisiva per la loro scelta: Ruth per Martin Eden, Lighea/Sirena per Rosario La Ciura, la Principessa per Giorgio. Sarà anche per loro che decideranno di sparire. Volutamente evito di scrivere “morire” perché in tutti i tre casi il corpo non verrà mai trovato e per sempre resterà il mistero sulla loro scomparsa. Praticamente identiche sono anche le modalità scelte per allontanarsi da un mondo che non è più il loro. Scompariranno nel Mare. 

«Era il momento di andare […] Spenta la luce della cabina per non correre il rischio di essere scoperto uscì dall’oblò con i piedi in avanti […]. Si lasciò andare quando i piedi toccarono il mare e si ritrovò nella lattea spuma dell’acqua [...]. Andò giù, sempre più giù finché la stanchezza delle braccia e delle gambe fu tale che non riusciva quasi a muoversi. Capì di essere sceso molto perché sentiva una pressione dolorosa alle orecchie e un ronzio alla testa. Stava per cedere, ma costrinse gli arti a portarlo ancora più sotto fino a quando la capacità di resistenza venne meno e l’aria gli uscì dai polmoni con la violenza di un’esplosione, avvolgendogli le guance in mille bollicine che salivano rapidamente. Quando cominciò il dolore e il soffocamento pensò che non era ancora la morte. La morte non faceva male. Era la vita con i suoi spasimi, con le sue terribili sensazioni; e quello era l’ultimo colpo che gli dava. Ostinatamente mani e piedi cominciarono a vorticare frenetici, ma con un movimento sempre più debole: era riuscito astutamente a sconfiggere la loro volontà di vivere. Era sceso troppo e non sarebbero più stati capaci di riportarlo in superficie. Gli parve di essere languidamente alla deriva in un mare di visioni fantastiche, che lo circondavano cullandolo e accarezzandolo. Dov’era? Gli sembrò di trovarsi in un faro; era invece il suo cervello che emanava una luce bianca, accecante, che roteava sempre più veloce. Seguì un suono cupo e rombante che lo precipitò giù per una smisurata tromba di scale, al fondo della quale, a un certo punto, cadde nella tenebra. Questo solo capì. Di essere caduto nella tenebra. E nell’istante in cui seppe, cessò di sapere». 

Martin Eden si lascia scivolare fuori dal transatlantico Mariposa e a bordo solo molto più tardi si accorgeranno della sua assenza.

La notizia della scomparsa del famoso grecista arriva invece nelle redazioni dei giornali al sorgere del sole: 

«Durante la notte il senatore La Ciura era caduto in Mare dalla coperta del Rex che navigava verso Napoli, e benché delle scialuppe fossero state immediatamente messe a Mare, il corpo non era stato ritrovato». 

A Paolo Corbera di Salina, ultimo suo amico, Rosario La Ciura aveva raccontato cosa gli aveva detto un giorno Lighea abbracciandolo sugli scogli di Augusta: 

«Io ti ho amato e, ricordalo, quando sarai stanco, quando non ne potrai proprio più, non avrai che da sporgerti sul mare e chiamarmi: io sarò sempre lì, perché sono ovunque, e il tuo sogno di sonno sarà realizzato». 

Giorgio ha un unico amico, il gabbiano che non può più volare. Non lo lascerà solo: 

«Povero amico mio, lo ricordi quante volte mi sei venuto incontro quando arrivavo sull’isola? e quando ripartivo e mi seguivi fin quasi alla terraferma? eravamo giovani, forti, pieni di illusioni, e ora cosa siamo diventati? due storpi, cianchini inutili al mondo, due disperati che non sono buoni neppure a camminare. I miei amici si sono dimenticati di me e anche il tuo stormo ti ha abbandonato, eppure una volta eravamo il migliore pescatore dell’isola e il signore del porto. Illusioni, solo illusioni erano, noi eravamo già quello che siamo ora ma non lo sapevamo […]. La mattina all’alba Sasà non vide la sua barca e a terra scorse le cime di ormeggio avviluppate alla sedia a rotelle di Giorgio. L’uomo capì subito e guardò al largo, poi chiamò gli amici pescatori e uscirono alla ricerca. Trovarono la barca a dondolare sul Mare appena increspato dal vento di levante fuori dallo spacco della Forbice dove il fondale si inabissa … a bordo non c’era nessuno. Una piuma bianca galleggiava sui gorghi creati dalla corrente, che sparivano veloci come brevi illusioni». 

81wlqjzfpvl-_ac_uf10001000_ql80_La Signora del mare 

Tre scomparse dai tanti tratti comuni, ma non del tutto assimilabili se ci rifacciamo alla tassonomia dei suicidi che il sociologo Émile Durkheim ha elaborato nel suo studio più famoso [3]: suicidio “altruistico” se l’individuo si sacrifica per difendere i valori positivi della propria società; “egoistico” se messo in atto per rivalsa contro una mancata accettazione da parte del gruppo sociale di cui ci si crede parte; “anomico” quando l’individuo non si riconosce nelle regole della società cui appartiene, ovvero questa stessa non sia in grado di indicare regole precise.

Lasciando ai sociologi l’eventuale compito di stabilire in quale tipologia rientrino i suicidi trattati (Durkheim non evidenzia il suicidio per amore), mi sono chiesto perché il Mare venga scelto dai protagonisti quale tramite-responsabile della propria scomparsa. Restando nell’ambito della letteratura contemporanea una prima risposta me l’ha suggerita Jorge Amado [4]. Leggendo il suo bellissimo Mar morto emerge chiaramente il richiamo vitale e al contempo mortifero del Mare, qui personificato in Iemanjà, la Madre-d’acqua, 

«la signora del mare, e per questo tutti gli uomini che vivono sulle onde la temono e la amano. Lei punisce. Lei non si mostra mai agli uomini se non quando muoiono nel mare. Quelli che muoiono nella tempesta sono i suoi preferiti. E quelli che muoiono per salvare altri uomini, quelli vanno con lei per i mari lontani, simili a una nave, facendo vela per tutti i porti, spaziando per tutti i mari». 

Richiamo temuto e ricercato, scrive Amado: 

«Per vedere la Madre-d’acqua molti si sono già buttati sorridendo nel mare e non sono più apparsi. Dormirà con tutti nel fondo del mare? [...] la Madre-d’acqua è bionda e ha lunghi capelli e va nuda sotto le onde, vestita solo dei capelli che si vedono quando la luna passa sul mare. Gli uomini della terra (ma che sanno gli uomini della terra?) dicono che sono i raggi della luna sul mare. Ma i marinai, i mastri di saveiros, i barcaioli, ridono degli uomini della terra che non sanno nulla. Essi sanno bene che sono i capelli della Madre-d’acqua che viene a vedere la luna piena. È Iemanjà che viene a guardar e la luna. Per questo gli uomini rimangono a spiare il mare argenteo nelle notti di luna. Perché sanno che la Madre-d’acqua sta lì…». 
Edvard MUNCH, La dama del mare (1896)

Edvard Munch, La dama del mare (1896)

E mentre la Sirena rende splendenti le acque notturne con la sua chioma «Un uomo canta lontano: è dolce morire nel mare …». Nessuno dei marinai di Bahia sceglie di morire per raggiungere Iemanjà, ma tutti desiderano che la Madre-d’acqua li abbracci e non potrà farlo se non sono morti. Chissà se Tomasi di Lampedusa aveva letto Jorje Amado quando ha scritto il suo racconto più famoso.

Guma, il protagonista del romanzo, si tuffa in mare per salvare un ragazzo ben sapendo che difficilmente si potranno salvare entrambi, è la catarsi … 

«Anche Guma vuole andare. Ma il colpo di coda dello squalo lo obbliga a voltarsi, il pugnale alla mano. E lotta ancora, ancora ne ferisce uno, il sangue si sparge sull’acqua agitata. Gli squali lo portano accanto alla sagoma riversa del battello volante. Poi, la tempesta passò. La luna comparve e Iemanjà stese i suoi capelli sul luogo dove Guma era scomparso. E lo portò per i viaggi misteriosi delle terre lontane di Aiocá, dove vanno i coraggiosi, i più coraggiosi del porto …». 

La luna, la notte … Martin Eden, Rosario La Ciura, Giorgio, Guma scompaiono di notte e i loro corpi non saranno mai ritrovati. Questo è un altro denominatore comune assieme al mare. Livia, la compagna di Guma che aspetta un figlio da lui, sceglie di non vendere il saveiro e di prenderlo lei al comando perché cederlo sarebbe stato come prostituirsi, e mentre prende questa decisione «giungeva la musica dolce del negro: è dolce morire nel mare …». Un atto di coraggio, quello di Guma, ma anche un dolce abbandonarsi all’abbraccio di Iemanjà, «perché il mare è un mistero che neppure i vecchi marinai riescono a comprendere». 

Renato GUTTUSO, Colapesce, 1985

Renato Guttuso, Colapesce, 1985

Il coraggio e l’illusione 

Atto di coraggio certamente pure quello di Colapesce, personaggio leggendario conteso tra Sicilia e Campania, che pur avendo radici nel XII secolo ci accompagna fino all’epoca recente dei “cunti” [5]. Un’altra morte in mare subita, accettata per eroismo: nella versione siciliana della leggenda Nicola di Messina si immerge per obbedire agli ordini del re Federico II di Svevia che vuole appurare se risponde al vero quanto si dice delle sue capacità di restare immerso: prima gli impone di recuperare una coppa d’oro gettata in mare, poi la sua stessa corona immersa ad ancora maggiore profondità, infine un prezioso anello. In quest’ultima immersione Nicola-Cola vide che una delle tre colonne che sorreggevano la Sicilia (Capo Peloro, Capo Passero, Capo Lilibeo) era sul punto di cedere e allora decise di fermarsi sott’acqua e non più riemergere per sorreggerla e salvare la sua isola.

Moritz Von Schuwuind (1804-1871), Cavaliere in viaggio sul mare di notte

Moritz Von Schuwuind (1804-1871), Cavaliere in viaggio sul mare di notte

Supremo atto di coraggio anche quello del Capitano di vascello Luigi Corsi, comandante dell’incrociatore Zara, che nella battaglia di Capo Matapan (28/29 marzo 1941) fece saltare la santabarbara della nave immobilizzata dal fuoco inglese, restando assieme al suo secondo Giannattasio a bordo dopo avere invitato i marinai superstiti a tuffarsi in mare e ad allontanarsi il più possibile. Della tragedia di Capo Matapan e dell’eroico sacrificio del comandante Corsi abbiamo già scritto doviziosamente in “Dialoghi Mediterranei” (n. 64/2023); qui ricordiamo che la letteratura ha fatto proprio quell’avvenimento nelle pagine dell’inviato di guerra Dino Buzzati che si trovava a poche miglia di distanza, sul ponte della corazzata Vittorio Veneto: 

«Finché il buio e una cupa tranquillità regnarono sul mare, chiudendo il segreto di tanto eroismo. In tal modo egli sparì (oh, non lui solo), sagoma inconfondibile, entro il fondale tragico della notte … Dicono che comparve a poppa così come quando, rientrata la nave in porto e finita la manovra d’ormeggio, egli scendeva stanco dalla plancia diretto al suo alloggio … Disse a un ufficiale, incontrato nel buio, con accento assai tranquillo – eppure quanto dolore era dentro – disse: “Questa volta ce l’hanno fatta!”. Poi riunì gli uomini presenti, diede l’attenti, fece gridare «Viva il Re!»; così mi hanno raccontato … Sbandando finalmente la nave gli uomini si calarono in acqua. Un ufficiale, voltandosi indietro mentre si allontanava a nuoto lo vide ancora fermo in coperta … Si narra pure da alcuno che, in tal modo fumando, si sia allontanato verso prora, sulle lamiere già oblique, in silenzio, scomparendo tra nembi di fumo. Forse desiderava restare qualche istante ancora da solo, a pensare, per dire addio alla nave morente. E adesso, dove si trova? Lontano, abbiamo saputo, incredibilmente lontano … Anche se relegato di là del tetro fiume, anche se i suoi passi non risuoneranno mai più su coperta di nave ma trascorreranno invece sui teneri prati degli Elisi, eternamente in fiore» [6]. 
H. W. VAN LOON, La fine, da “Storia della navigazione”, Bompiani, Milano 1939

H. W. Van Loon, La fine, da Storia della navigazione, Bompiani, Milano 1939

Anche qui la morte in mare, nel buio della notte. Il corpo di Luigi Corsi non è stato mai ritrovato. L’inviato del Corriere della Sera celebrando l’eroismo del comandante formula una similitudine che ci consente di passare a un ulteriore esempio di suicidio a mare nella letteratura contemporanea: «Dall’oscurità della plancia egli vide rovinare contro il suo bastimento, di cui era tanto orgoglioso, le cateratte mortali, a somiglianza di Ulisse al termine dell’ultimo viaggio».

Dino Buzzati non si riferisce qui al poema omerico, ma alla morte di Odisseo cantata da Giovanni Pascoli ne L’ultimo viaggio [7].

L’eroe tornato a Itaca non ha pace, langue accanto a Penelope ma ha sempre nel cuore le avventure che ne colorarono la mente [8], per nove anni sogna di ripartire, il nostos questa volta è per l’allontanamento. I suoi compagni di un tempo, vecchi e disillusi, attendono muti sulla spiaggia un suo cenno. La nave è pronta sulla riva del mare: 

«Ed ecco, appena il vecchio Eroe comparve / sorsero tutti, fermi in lui con gli occhi […] così sorsero i vecchi, ma nessuno / gli andava, stretto da pudor, più presso. / Ed egli, sotto il teschio irto del lupo, / così parlò tra lo sciacquìo del mare: / Compagni, udite ciò che il cuor mi chiede / sino da quando ritornai per sempre. / Per sempre? chiese, e, No, rispose il cuore. / Tornare, ei volle; terminar, non vuole […] Compagni, come il nostro mare io sono, / ch’è bianco all’orlo, ma cilestro in fondo». 
Edmund DULAC, La sirenetta, 1911

Edmund Dulac, La sirenetta, 1911

Odisseo e i suoi antichi sodali partono sulla rotta che li aveva riportati a Itaca. Cercano la loro gioventù, forse, o la conferma di avere vissuto. Ma non troveranno l’una né l’altra. Nell’isola di Circe non c’è traccia della maga che trasformava gli uomini in porci: «…E non vide la casa, né i leoni / dormire col muso su le lunghe zampe, / né la sua dea …»; dei Ciclopi nessuno sa nulla e nell’antro di Polifemo da più di vent’anni vive con la sua famiglia un generoso pastore che invita Odisseo e i suoi compagni a sfamarsi di formaggi e verdure che «Assai ne abbiamo». Il re di Itaca deve prenderne atto: «Il mio sogno non era altro che un sogno». Restano le Sirene, Odisseo ora vuole sentire il loro canto, senza lacci che lo costringano all’albero della nave. Le incontra, finalmente, ma hanno fissi gli occhi e sono immobili loro, «simili a due scogli». Per l’uomo dalla mente colorata è l’ultima occasione: «Ditemi almeno chi sono io! Chi ero!». La risposta non arriverà mai, e «tra i due scogli si spezzò la nave».

Odisseo ormai vecchio muore in mare perché voleva continuare a vivere. Questa volta la tragedia non si consuma di notte e il cadavere non sparisce tra i flutti. Lo trova sulla riva della sua isola Calypso, forse l’unica verità del Viaggio: «Ed ecco usciva con la spola in mano, / d’oro, e guardò. Giaceva in terra, fuori / del mare, al piè della spelonca, un uomo […] Era Odisseo: lo riportava il mare / alla sua dea: lo riportava morto». 

Fiori di primavera intrecciati nelle reti della tonnara (foto Ambra Zambernardi)

Fiori di primavera intrecciati nelle reti della tonnara (ph. Ambra Zambernardi)

Amore e morte sotto il mare 

Se anche la musica può essere letteratura (e certamente in alcuni casi lo è), come dimenticare la morte/suicidio del pescespada che non vuole abbandonare la compagna fiocinata e per questo si lascia arpionare dal padron che sul “luntro” scaglia la mortale trafinera? Morte nel mare, morte per amore cantava Domenico Modugno: 

«E pigghiaru la fimminedda / Drittu drittu ‘ntra lu cori / E chiangia di duluri […] E lu masculu paria ‘mpazzutu […] Rispunnia la fimminedda / Cu nu filu, filu ‘e vuci / Scappa, scappa amuri mio / Ca sinnò t’accidunu / No, no, no amuri mio / Si tu mori, vogghiu muriri ansieme a tia […] E accussì finiu l’amuri di du’ pisci sfortunati …» [9]. 

Il pescespada muore per amore, anche per i tonni sarà così. Quando le Pleiadi sorgono in cielo [10] vanno, maschi e femmine, nel loro viaggio nel Mare che li avvolge e avvolgerà gli avannotti fecondati tra le reti stese dall’uomo. L’ultima corsa la faranno per entrare, inconsapevoli suicidi spinti dalla corrente di levante, nella trappola mortale che i tonnaroti chiamano “corpu” (fecondo) avendo cancellato dal loro lessico l’appellativo triste “camera della morte” formulato da chi non vive nel mare. Allora i tonni ebbri d’amore penetreranno nell’ultima rete orlata di gialli fiori di primavera passando “soavi soavi” sotto lo specchio del capobarca Pio Solina [11]. La gentilezza di una morte annunciata. Fino a quando i corchi affonderanno nella loro carne regaleranno vita al Mare e una nuvola lattiginosa si disperderà con la corrente. È dolce morire nel mare … 

H. W. VAN LOON, Nave fantasma, da “Storia della navigazione”, Bompiani, Milano 1939

H. W. Van  Loon, Nave fantasma, da Storia della navigazione, Bompiani, Milano 1939

Conclusioni 

In questa brevissima e lacunosa rassegna è possibile ravvisare le diverse tipologie di suicidio teorizzate da Durkheim: la morte cercata nel mare perviene alla medesima soluzione tramite percorsi sovente affatto differenti l’uno dall’altro.

“Egoistico” appare il suicidio di Martin Eden, Rosario La Ciura, Giorgio (l’unica narrazione che pur nella trasposizione letteraria si basa su un fatto reale); “altruistico” certamente quello di Luigi Corsi, Colapesce, Guma, e financo del Pescespada; “anomico” infine quello di Odisseo che non si riconosce più nella propria storia perdendo ogni contatto con la realtà e le sue regole (invero anche la morte di Martin Eden presenta elementi assimilabili).

Mare, amore, morte … è qui la chiave di tutto: 

«Si può amare il mare con amarezza. Questo amore può essere paura o odio. Ma è un amore che non si può tradire, che mai si abbandona. Perché il mare è amico, è un dolce amico. E forse è proprio il mare la terra di Aiocá, patria dei marinai» [12]. 
Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024 
Note
[1] Jack LONDON, Martin Eden, 1909 (ne esistono diverse edizioni, in Italia venne pubblicato nel 1925); Giuseppe TOMASI DI LAMPEDUSA, Sirena, qui in “I Racconti”, Feltrinelli, Milano 2009; Ninni RAVAZZA, Cianchino. L’isola delle illusioni, Avagliano, Roma 2023 (cfr. M. D’ANNA, Tra favola e racconto e il mare al centro in “Dialoghi Mediterranei” n. 63, 1 settembre 2023)
[2] Adelina Virginia Woolf (1882-1941), scrittrice e saggista britannica; si suicidò nel fiume Ouse (Sussex)
[3] Émile Durkheim (1858-1917), sociologo e filosofo, scrisse il fondamentale Le suicide, ètude de sociologie, Parigi 1897
[4] Jorge AMADO, Mar morto, 1936 (in Italia pubblicato da Mondadori ed Editori Riuniti)
[5] La letteratura su Cola (Nicola) Pesce è assai ampia e risale al XII secolo. Per restare agli autori a noi più vicini ricordiamo Fazello (XVII sec.), Chircherio, Mongitore e Spallanzani (XVIII sec.), ed i contemporanei Giuseppe Pitrè, Benedetto Croce, Ignazio Buttitta, Leonardo Sciascia, Italo Calvino. Grande rilievo alla leggenda dell’uomo-pesce è riservato da Maria SAVI LOPEZ in Leggende del mare, Firenze 1894 (ne esiste una ristampa anastatica a cura di A. Forni Editore, Bologna 1979; cfr. Ninni RAVAZZA Da Cola Pesce a Moby Dick, seguendo l’oro rosso in “Un fiore dagli Abisi”, San Vito lo Capo 2006)
[6] Dino BUZZATI, Un comandante in “Il Buttafuoco. Cronache di guerra sul mare”, Mondadori, Milano 1992. I brani di Buzzati relativi allo scontro navale furono pubblicati a suo tempo dal Corriere della Sera in data 18 giugno 1941. Lo scontro navale di Capo Matapan fra le flotte italiana e inglese fu combattuto tra il 28 e il 29 marzo 1941 e per la Regia Marina Italiana divenne una catastrofe: vennero affondati gli incrociatori Zara, Fiume e Pola e i cacciatorpediniere Carducci, Alfieri. Sulla morte del comandante Corsi c’è un piccolo mistero che nulla toglie al suo gesto eroico: è certo che abbia deciso di morire sulla sua nave facendo saltare la santabarbara dopo avere ordinato ai marinai di gettarsi a mare e allontanarsi il più possibile (v. la testimonianza dell’allora marò Mommo Solina, poi divenuto rais della tonnara di Bonagia, in N. RAVAZZA, Diario di Tonnara, Magenes, Milano 2005-2019) ma le cronache ufficiali dicono che lo Zara venne affondato da un siluro lanciato   dal cacciatorpediniere inglese Jervis. Probabilmente i due eventi coincisero. Su questo avvenimento cfr. N. RAVAZZA, Dino Buzzati e il rais Solina. Da Nantucket al Deserto dei Diavoli, in “Dialoghi Mediterranei” n. 64, 1 novembre 2023
[7) Giovanni PASCOLI, L’ultimo viaggio in “Poemi conviviali”, 1904
[8] Piero CITATI, La mente colorata, (Ulisse “con la sua mente flessibile e ricca di colori, vede,     cioè per i greci conosce ogni cosa …”), Mondadori, Milano 2002
[9] Domenico MODUGNO, Lu pisci spada, 1954. Sulla pesca del Pesce spada cfr. l’esauriente saggio di Rocco SISCI La caccia al pesce spada nello Stretto di Messina”, Edas, Messina 2005
[10] «Comincia la lor pesca nel Mediterraneo, come scrive Aristotile, lib. VIII, cap. 12, al nascer delle Pleiadi a vigiliarum exortu o sia nell’equinozio di primavera …»: Francesco Maria Emanuele e Gaetani MARCHESE DI VILLABIANCA, Le tonnare della Sicilia, ms. fine XVIII secolo, qui nella edizione Giada a cura di Giovanni Marrone, Palermo 1986.
[11] Testimonianza inedita. Il capobarca della muciara della tonnara di Bonagia, Pio Solina (1936) grandissimo pescatore e narratore di rara sensibilità, così descriveva l’ingresso nel “corpu” dei tonni non disturbati da alcunché: andavano “soavi”, dolcemente, verso la morte guidati a ponente dall’istinto, passando sui fiori di campo gialli che i tonnaroti avevano intessuto nelle reti che separano la tonnara dalla “camera” ove avverrà la mattanza, proprio per esorcizzare la violenza della morte e rendere gentile il momento finale della pesca.
[12] J. AMADO, Mar morto cit. (Aiocà è il regno dove la sirena Iemanjà conduce i marinai morti a mare). 
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Ninni Ravazza. giornalista e scrittore, è stato sommozzatore delle tonnare siciliane e corallaro. Ha organizzato convegni e mostre fotografiche sulla cultura del mare e i suoi protagonisti. Autore di saggi e romanzi, per l’Editore Magenes ha scritto: Corallari (2004); Diario di tonnara (2005 e 2018); Il sale e il sangue. Storie di uomini e tonni (2007); Il mare e lo specchioSan Vito lo Capo, memorie dal Mediterraneo (2009); Sirene di Sicilia (2010; finalista al “Premio Sanremo Mare” 2011); Il mare era bellissimo. Di uomini, barche, pesci e altre cose (2013); Il Signore delle tonnare. Nino Castiglione (2014); San Vito lo Capo e la sua Tonnara. I Diari del Secco, una lunga storia d’amore (2017); Storie di Corallari (2019); L’occhio in cima all’albero (2022; finalista al Premio letterario “Carlo Marincovich” 2023). Dal libro Diario di tonnara è stato tratto l’omonimo film diretto da Giovanni Zoppeddu, prodotto dall’Istituto Luce Cinecittà, in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma 2018, di cui l’Autore è protagonista e voce narrante. Tra gli altri suoi libri dedicati al mare: L’ultima muciara. Storia della tonnara di Bonagia (Trapani, 1999-2000-2004);  La terra delle tonnare (Trapani, 2000); Il tonno fatato (Sassari, 2003); Un fiore dagli abissi. Il corallo: pesca, storia, economia, arte, leggenda (San Vito lo Capo, 2006); Pesca, stabilimenti e trasformazione del pescato in provincia di Trapani (Università di Bari, 2006); Epos, eros e thanatos. Il mondo immutabile della tonnara (Venezia, 2010); L’ultimo rais della tonnara Saline. Storia di Agostino Diana (Sassari, 2011); I Suoni del Lavoro. Canti e preghiere dei pescatori siciliani (San Vito lo Capo, 2012); Nicolino il pescatore (Palermo, 2018); I tonni, i cavalier, le feste, gli amori. Storia della tonnara di San Giuliano (Trapani, 2019); Rais. Una storia di mare (Trapani, 2020); Cianchino. L’isola delle illusioni (Roma, 2023). Ha vinto il Premio Nazionale di Giornalismo “Pippo Fava” (1987); il Premio Nazionale “Un video per un Museo” dell’HDS Italia (2001), sezione Mediterraneo, con il video “La tonnara nascosta”; il Premio Internazionale “Orizzonti Mediterranei” 2002 per il sito internet www.cosedimare.com ; nel 2018 per il suo impegno in favore del mare gli è stato conferito il Premio Unesco.

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