CIP
di Veronica Medda
«Pensai a quanti luoghi ci sono nel mondo che appartengono così a qualcuno, che qualcuno ha nel sangue e nessun altro li sa».
(C. Pavese, Il diavolo sulle colline, 1949)
Premessa: Letteratura e territorio
Il rapporto tra geografia e letteratura, complesso e indissolubile, affonda le basi nella capacità delle due discipline di modellare il nostro modo di percepire e interpretare lo spazio. La prima, che si occupa dello studio dei luoghi, dei paesaggi e delle interazioni tra gli esseri umani e il loro ambiente, fornisce una base concreta su cui la letteratura costruisce significati simbolici e narrativi che contribuiscono alla costruzione dell’identità culturale e personale, nonché all’esplorazione dei rapporti di potere e alla rappresentazione delle dinamiche storiche e sociali. La letteratura, invece, attraverso un’operazione di narrazione generale e puntuale dell’identità umana, gioca sempre un ruolo determinante rispetto processo culturale di elaborazione e sedimentazione nell’immaginario collettivo degli stereotipi geografici, in quanto generatrice o divulgatrice di clichés identitari.
Tale connessione si basa su un’interazione dinamica in cui i luoghi non sono solo semplici sfondi narrativi, ma diventano elementi cruciali per lo sviluppo di storie, temi e identità. Infatti lo stesso concetto di luogo, inteso in testo prettamente umanistico, si forma attraverso l’interazione tra uno spazio fisico e la comunità che lo abita, organizzandolo secondo valori e tradizioni culturali specifici.
Questo processo, specifica l’antropologo Marc Augè, trasforma uno spazio generico in un luogo, poiché la comunità vi riconosce elementi legati alla propria storia e identità. Oltre alla dimensione fisica e geometrica, si aggiunge quella temporale, e le relazioni tra le persone e lo spazio creano legami che lo rendono un fenomeno sociale (Augè, 2009: 14). La letteratura, in tal senso, non si limita a descrivere gli spazi dell’azione narrativa, ma definisce luoghi ricchi di significati culturali, simbolici e sociali. Dal canto suo, la geografia indaga, attraverso l’analisi delle produzioni letterarie, le profonde interazioni che «legano il paesaggio all’uomo e ai sentimenti dello scrittore, andando ben oltre il concetto di paesaggio come simbolo di un’esperienza territoriale» (Lando, 1993: 246).
Da anni ormai, l’approccio eco-critico mette in luce il dialogo costante tra i testi e le circostanze ambientali in cui sono stati prodotti (cfr. Love, 2003: 16) cercando di stimolare una maggiore consapevolezza ecologica e di promuovere un cambiamento nel modo di concepire il nostro rapporto con la natura. L’ecocriticism, per l’appunto, tra i suoi pilastri fondamentali, include l’educazione ambientale per stimolare una responsabilità collettiva nei confronti del territorio: gli scrittori sono sempre più coinvolti dalle collettività locali per attività di presentazione delle loro opere, spesso direttamente nelle scuole, nei centri giovanili o di aggregazione culturale. Ne consegue, pertanto, che il loro compito non è più solo intellettuale, ma soprattutto sociale (Gavinelli, Marengo, 2021: 6). È a partire dall’incontro con le opere, inoltre, che è possibile, grazie all’occasione di simulare esperienze, favorire processi di apprendimento in tutto simili a quelli che si sviluppano in un laboratorio o durante un apprendistato (Cfr. Giusti, Tonelli, 2021) [1].
Un simile approccio spinge pertanto a vedere i luoghi non semplicemente come risorse o scenari per le attività umane, ma come entità ricche di complessità, intrecciate con storie culturali, territoriali e ecologiche; allo stesso tempo stimola a ripensare il “valore d’uso” della letteratura e dei suoi spazi. Analogamente, un luogo può assumere nuovi significati grazie a eventi artistici, festival o narrazioni letterarie, che ne trasformano il valore culturale e simbolico. Dare nuovo senso ai luoghi implica, quindi, un rinnovamento non solo dal punto di vista fisico, ma anche simbolico, creando nuovi legami tra lo spazio e la comunità che lo abita.
Festival, identità e turismo eco-logico
Le premesse e alcune brevi riflessioni generali ci hanno progressivamente condotto verso il concetto di mise en littérature dei territori, ovvero alla valorizzazione dei contesti locali attraverso le risorse letterarie [[2]]. Tali manifestazioni valorizzano la dimensione culturale del luogo, mettendo in risalto il patrimonio artistico e naturalistico, insieme a quel capitale sociale intangibile rappresentato dalle tradizioni locali (Prentice, Andersen, 2003: 7-30).
Il collegamento tra festival e territorio è molto stretto; infatti, Gursoy, Kym e Uysal (2004) hanno dimostrato che dalla sinergia tra attori locali e organizzatori scaturisce una coesione in termini di benefici economici e di incentivi sociali. Per enfatizzare questo concetto, Prentice e Andersen nel 2003 hanno introdotto il termine festivalization, che si riferisce a eventi artistico-culturali in cui la territorialità assume un ruolo centrale.
Uno degli aspetti più interessanti è infatti quello di utilizzare i festival, come strumento creativo di tutela territoriale, ossia considerarli come eventi che creano relazioni d’interdipendenza tra la manifestazione e la location in cui si svolgono. Componenti centrali appaiono sin da subito la sua collocazione temporale e particolarmente il rapporto con il territorio (cfr. Maussier, 2010); in quelli che vengono definiti Festival Territoriali, il rapporto tra l’evento e il luogo è insito proprio nella progettazione iniziale, dal momento in cui vengono individuati elementi specifici legati al contesto territoriale, alla comunità che lo vive, alle sue culture, alle sue economie e alle pratiche attraverso cui esplica il proprio vivere quotidiano.
Secondo gli studi recenti, ma già notato da Guido Guerzoni nei primi anni Duemila, valutare l’impatto socio-economico di un festival sul territorio che lo ospita diventa fondamentale quando si supera la tradizionale funzione di semplice supporto agli eventi per assumere un nuovo ruolo di “investitore culturale” (cfr. Guerzoni, 2008) [3]. Del resto, anche se spesso sembriamo dimenticarcene, il territorio è la risorsa prima ed essenziale del turismo.
Negli anni, con la crescita del settore terziario, anche le aree meno centrali hanno iniziato a essere apprezzate sotto una nuova luce, diventando oggetti di valorizzazione economica e culturale per visitatori esterni, spesso cambiando completamente il modo in cui il territorio viene percepito e utilizzato. È proprio per contrastare il pericolo che proviene dal declino del nostro tempo, pertanto, che è stato dato impulso a processi decisionali in grado di coinvolgere i cittadini nell’ottica di promuovere il loro legame con la comunità e di irrobustire la trama della coesione sociale. Con il tempo, e grazie a numerosi virtuosi esempi, si è compreso che ogni territorio può essere in grado di ridefinire la propria identità, anche attraverso la straordinaria potenza comunicativa dei festival, il cui scopo primario deve essere legato al desiderio di capitalizzare le risorse culturali già esistenti, attraverso suggestioni provenienti dall’esterno e che possono dare nuova linfa ai processi di valorizzazione del territorio.
Tutte le manifestazioni letterarie, o di arte in genere, divengono un prezioso strumento di riqualificazione del territorio perché fungono da catalizzatori attraendo visitatori; ma soprattutto perché stimolano il senso di appartenenza e di orgoglio locale, tanto da divenire in alcuni casi parte integrante dell’identità del luogo. La missione dei festival si sposa perfettamente con la necessità, sempre più stringente, di tornare a percepire i luoghi non solo come attrazioni da visitare, ma come spazi vitali, legati alla quotidianità e alle abitudini collettive. L’obiettivo è quello non solo di raccontare all’unisono il territorio e i luoghi, ma di rinnovare le immagini di senso in qualità di nuovi oggetti (e soggetti) parte di un fenomeno di riterritorializzazione sociale e culturale.
Non si può, quindi, pensare di salvaguardare singoli beni culturali o ambientali dal momento in cui «occorre attuare politiche di sviluppo turistico che mirano al rafforzamento di quel “senso di appartenenza” che costituisce il necessario presupposto per tutti i processi di sviluppo locale» (De Ponti, 2007: 52). È in questo senso, come evidenzia Giacomo Bandiera, che il festival diviene esso stesso un bene culturale, «che cerca di procedere a un’opera di riattualizzazione e rivivificazione del patrimonio identitario e comunitario» (Bandiera, 2017: 115). In questo orizzonte, “risematizzare” i luoghi significa attribuire nuovi significati e interpretazioni a spazi fisici esistenti, trasformandoli attraverso una prospettiva culturale, sociale o simbolica diversa; un processo che avviene spesso quando un luogo, inizialmente percepito in modo neutro o con una funzione specifica, viene riletto e reinterpretato alla luce di nuove narrazioni, usi o eventi. Per fare ciò bisogna riconsiderare il rapporto tra l’uomo e l’ambiente, superando la moderna visione antropocentrica, che vede gli spazi solo come dominio umano, e riconoscendo, invece, il valore intrinseco della natura e del suo rapporto con essa. L’esperienza quotidiana, contestuale, non soltanto “dei” ma anche “nei” luoghi (Turco, 2010: 174) che, per condensarsi in un sapere, richiede tempi lunghi nonché dimestichezza col territorio e con le genti che lo abitano.
Ha inizio perciò un processo di consapevolezza, il passaggio dall’individuale al collettivo. Che rappresenta l’aspetto centrale nella ricostruzione di elementi di comunità, che si sviluppano in forme aperte, relazionali e solidali. Ampliando tale eccezione, alla luce delle nuove sfide del nostro mondo, occorre ripensare alla coscienza dei luoghi come ad un atto ricostituente gli elementi di comunità ormai a rischio scomparsa e insieme il riconoscimento dei soggetti che si relazionano e si associano per la cura dei luoghi. Gli stessi ospiti con le loro pubblicazioni giocano, nei contesti di promozione letteraria, un ruolo attivo per stimolare la coscienza sul territorio, vale a dire:
«la consapevolezza, acquisita attraverso un percorso di trasformazione culturale degli abitanti/produttori, del valore patrimoniale dei beni comuni territoriali (materiali e relazionali), in quanto elementi essenziali per la riproduzione della vita individuale e collettiva, biologica e culturale» (Magnaghi, 2006: 133).
Il rapporto diretto con gli autori, seppur mediato dalle domande dei coordinatori come nel caso del Festival Strangius su cui ci concentreremo, favorisce un dialogo profondo su temi attuali e universali. Di conseguenza la letteratura, insieme ai suoi luoghi, diviene essa stessa parte di un progetto di “etica applicata”, ovvero «una risposta critica esplicita a questo dialogo inascoltato, un tentativo di sollevarlo a un più alto livello di consapevolezza da parte dell’essere umano» (Love, 2003: 16).
È così che progetti di comunità come i festival di letteratura, nel nostro specifico caso di studio, sono una vera e propria chance, non solo riservata agli autoctoni, «ma un progetto delle genti vive, degli abitanti di un luogo, che deriva dall’interazione solidale fra attori diversi in una società complessa, che sono in grado di reinterpretare l’anima del luogo per attivare nuove forme di produzione e consumo fondate sulla convivialità, la solidarietà e l’autosostenibilità» (Becattini, 2015: 165).
Strangius, testimoni del nostro tempo
Il Festival internazionale della Letteratura Autobiografica, Stràngius è il risultato della collaborazione tra il Comune di Serramanna, l’Associazione “Città della Terra Cruda” e la Biblioteca Gramsciana Onlus, mirata a continuare il processo di valorizzazione di Vico Mossa, illustre architetto e studioso delle specificità culturali sarde, originario di Serramanna, e di cui il Comune conserva il prezioso archivio. Mossa si dedicò, oltre alla fotografia, alla scrittura di un romanzo autobiografico intitolato I cabilli (2016), nel quale affronta il tema del legame tra gli individui e le comunità di appartenenza, così come la relazione con i “diversi”, cioè coloro che si distinguono per la loro provenienza geografica o per i loro usi e costumi, i “strangius”, da cui il nome della manifestazione.
Fin dagli esordi l’elogio della diversità è il valore rappresentativo del Festival, con l’intento di ampliare le interazioni umane del territorio e non solo, oltre che promuovere la creatività e l’innovazione e, in collaborazione con numerose realtà associative locali, si propone di offrire preziose e proficue occasioni di incontro e confronto tra mondi e culture diversi. La filosofia vincente di un festival di questo tipo è il più delle volte frutto proprio della propensione all’ascolto della comunità ospitante, dell’attenzione ai suoi valori e della capacità di comprenderne e riproporne, interpretandola, l’identità (Ferrari, 2002).
I punti di vista proposti nel corso delle sette edizioni hanno coinvolto personalità provenienti da tutto il mondo e soprattutto senza alcuna distinzione di tipo etnico, religioso, politico, sessuale o di genere. Punti di vista inediti e spesso contrastanti incentivano il rinnovamento del nostro modo di guardare alla modernità nel suo insieme, inducendoci a leggerla a partire da una pluralità di luoghi e di esperienze, all’incrocio tra una molteplicità di sguardi che destabilizza e decentra ogni narrativa ‘euro-centrica’.
Questi eventi offrono l’opportunità di ascoltare le voci di autori provenienti da realtà differenti e con variegate esperienze di vita, creando uno spazio per la riflessione e il confronto. Attraverso gli incontri con gli scrittori, che si svolgono nella suggestiva cornice delle case campidanesi in terra cruda, il festival celebra la diversità sotto tutti i punti di vista e contribuisce a costruire comunità più coese e inclusive, in cui ogni individuo si sente rispettato e apprezzato al fine di provare almeno ad immaginare un futuro sostenibile e giusto. Guardare al futuro significa investire nelle nuove generazioni, offrendo loro opportunità e strumenti per costruire un domani più sostenibile e inclusivo ed è proprio in tale ottica che il programma del Festival Strangius si è arricchito con appuntamenti pensati specificatamente per le scuole.
Nel cuore del Medio Campidano, il paese è diventato un centro di confronto tra culture diverse, di dialogo tra generazioni, di incontro sociale e di valorizzazione dell’identità locale, con l’obiettivo di promuovere uno sviluppo turistico che apporterebbe significativi benefici a una realtà ricca di risorse, nonostante si trovi in una regione frequentemente in crisi sia dal punto di vista economico sia, oggi con maggiore evidenze, anche dal punto di vista ambientale.
In una terra di migranti che diviene sempre più frequentemente terra di emigrazione, come la Sardegna, l’idea di uno “straniero” che arriva per raccontare la propria storia in un piccolo (o medio) centro del sud dell’isola appare quasi come un atto rivoluzionario. Ogni anno a Serramanna, nelle serate settembrine di fine estate, is corrazzus, i cortili delle case campidanesi, si animano di voci e di storie straordinarie, nel segno di un’umanità comune che è sempre più difficile scorgere in mondo che va troppo veloce. Di fatto, i festival, secondo Benhamou (2012), sono spazi e occasioni in cui è possibile soddisfare specifiche esigenze e istanze di diversi pubblici e linguaggi, confrontandosi con la poliedricità e la frammentazione culturale della nostra epoca. In un contesto globale sempre più interconnesso, l’incontro tra culture, esperienze e punti di vista diversi stimola il pensiero critico e offre soluzioni più complete ai problemi complessi, laddove non si trova nemmeno più il tempo dell’ascolto.
Momenti come questi, assai partecipati dalla comunità, permettono di ristabilire relazioni significative, promuovendo la solidarietà e l’azione condivisa. Permettono di riscoprire il senso dello stare insieme e della vita lenta del paese, che si regge attorno a dinamiche di prossimità, per meglio dire “di vicinato”, in cui resiste un modello di solidarietà e di comunione di intenti:
«In quest’identità è contemplato, cioè, uno scenario etico di azioni condivise in un ambiente comune, nella convinzione che la specificità umana consista principalmente nella messa in atto di pratiche responsabili, e che idee come fedeltà alla tradizione, storia, politica, passano essere reinterpretate in un’ottica pragmatica e creativa» (Iovino, 2006: 3-54).
Non bisogna dimenticare, infatti, che ogni paese rappresenta un luogo di vita in cui si manifesta un comune sistema di valori, di tradizioni e dove si intrecciano conflitto e solidarietà. Del resto la stessa comunità ha intrinsecamente una forza moltiplicatrice, auto-rigenerante fenomenale, che purtroppo rischia di andare perduta a causa delle logiche produttive e sempre più individualiste del nostro post-moderno. Le sfide e le tensioni che attraversano la società nel suo complesso, spiega Marco Burgalassi, si ripropongono anche nei contesti locali, in cui assumono una declinazione conformata alla storia e alle caratteristiche della comunità territoriale (Burgalassi, 2023: 11).
Appare evidente, dunque, che in futuro non ci potrà essere rigenerazione culturale senza rigenerazione di comunità, nell’ottica di un processo biunivoco e reciproco tra cultura e territorio. Si tratta di un concetto essenziale per fare dei paesi e dei loro territori non soltanto ambiti su cui indirizzare progetti e finanziamenti esterni, ma innanzitutto per attivare processi il più possibile endogeni di rivitalizzazione comunitaria. Si tratta di vere e proprie “strategie di sopravvivenza” che «propongono di rileggere la relazione ecologica tra natura e esseri umani […] in cui rientrano tanto i legami sociali, quanto quelli ecologici» (Iovino, 2006: 53).
È esattamente ciò che accade quando un festival fonda la propria esistenza sul territorio in cui si svolge e sulla comunità che lo vive quotidianamente. I luoghi in cui si realizzano i singoli eventi che lo compongono, così come i Beni Culturali e Paesaggistici, sono il risultato di processi di territorializzazione, ovvero prodotti di azioni antropiche mirate a soddisfare bisogni e diritti, in interazione con fattori naturali. Questi processi generano anche valori economici, culturali, politici, giuridici, linguistici e affettivi nei luoghi stessi (cfr. Bozzato, Bandiera, 2016).
La rinascita dei paesi deve necessariamente passare attraverso la cultura, una cultura vicina ai territori e alle persone, creativa e impegnata, partecipata e accessibile a un pubblico ampio e concreto. Si riparta, dunque, dal recupero dei luoghi, valorizzando i legami con la natura, fino alle storie delle comunità, capaci di generare cambiamento e creare reti solidali, provando a riportare i margini al centro limando squilibri e disuguaglianze (cfr. Carrosio, 2019)
Del resto, l’antropologo Pietro Clemente evidenziava già nel 1997, per poi ribadirlo con più forza nel 2018, che «il paese è concetto nostro, italiano, di una società multiforme, paesana e cittadina, dallo Stato debole e dalla periferia resistente» (Clemente, 1997, 2018); in tal senso, oggi più che mai, appare necessario recuperare il senso della geografia e della storia, vale a dire la dimensione spazio-temporale, come condizione per ri-abitare i luoghi con consapevolezza e soddisfazione (cfr. Pazzagli, 2022). Solo in questo modo sarà possibile delineare nuove geografie letterarie, proprio a partire dalla Sardegna e dalla ricchezza di ogni singolo nostro paese.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
Note
[1] Di estrema attualità la questione legata all’insegnamento della lingua e della letteratura italiana, con un’attenzione specifica alla situazione negli istituti tecnici e professionali, messa in rilievo dagli autori nella pubblicazione. È in questi contesti, infatti, attraverso l’adozione di strategie, metodi e tecniche didattiche attive e laboratoriali, si intravede la possibilità di un profondo rinnovamento dell’insegnamento della letteratura.
[2] Questo ambito di ricerca, definito dai pionieri Marc Brosseau e Micheline Cambron (2003), consente di esplorare i legami tra letteratura e società, nonché di analizzare i contesti sociali in cui avvengono la produzione e l’appropriazione dei fenomeni letterari.
[3] In questo modo, chi organizza è sempre più chiamato a rendere conto alla comunità locale dei risultati ottenuti attraverso le diverse iniziative culturali realizzate.
Augè M., Nonluoghi, Milano, Elèuthera, 2009.
Bandiera G., Festival territoriali: beni comuni culturali e fattori di identità comunitaria. Caso studio: Malaze’, Campi Flegrei, in «Annali del Turismo», VI, Edizioni Geoprogress, 2017.
Becattini, G., La coscienza dei luoghi. Il territorio come soggetto corale, Roma, Donzelli Editore, 2015.
Benhamou F., L’economia della cultura, Bologna, Il Mulino, 2012.
Bozzato S., Bandiera G, Bene Comune Territoriale e Fondazione di Partecipazione. Il caso studio Rione Terra, Pozzuoli, in Commons/Comune: geografie, luoghi, spazi, città, vol. Memorie geografiche, NS 14, Firenze, Società di Studi Geografici, 2016.
Carrosio G., I margini al centro. L’Italia delle aree interne tra fragilità e innovazione, Roma, Donzelli, 2019.
De Ponti P., Geografia e Letteratura. Letture complementari del territorio e della vita sociale, Milano, Unicopli, 2007.
Ferrari S., Event Marketing: i grandi eventi e gli eventi speciali come strumenti di marketing, Padova, CEDAM, 2002.
Gavinelli D., Marengo M., Il gruppo AGeI di «Geografia e Letteratura»: questioni di reciprocità dialogiche e territoriali tra produzioni letterarie e prospettive geografiche, in «Geotema», 66, 2021.
Giusti, S., Tonelli, N., Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento. Torino, Loescher, 2021.
Guerzoni G., Effetto Festival, L’impatto economico dei festival di approfondimento culturale, Milano, Strumenti, Fondazione Eventi – Fondazione Carispe, 2008.
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Turco A., Configurazioni della territorialità, Milano, FrancoAngeli, 2010.
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Veronica Medda, laureata magistrale in Filologie e Letterature moderne, presso l’Università degli studi di Cagliari, con una tesi sull’intertesto mitologico delle Operette morali (un estratto dal titolo «L’ombra di Edipo: interferenze mitiche nel “Dialogo della Natura e di un Islandese” di G. Leopardi» è stato pubblicato nella rivista Medea, ha recentemente terminato un percorso biennale come assegnista presso l’Università della Valle D’Aosta con un progetto dal titolo Natura e paesaggio nello Zibaldone di Leopardi. Materiali documentari della Fondazione Natalino Sapegno. Al momento, in parallelo all’impegno come docente di materie letterarie nella scuola secondaria di secondo grado, sta lavorando alla stesura di una monografia, esito finale degli ultimi due anni di ricerca scientifica. Nel 2022 ha pubblicato per RISL un contributo da titolo «L’impianto mito-logico dei dialoghi “alla maniera di Luciano”: sistematicità, scomposizione e nuovi significati».
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