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Giochi intertestuali e intrecci narrativi in un racconto che celebra la letteratura

samandar-e-gibaldi Antonino Cangemi 

Nel 2016 Fabio Stassi ha confermato il suo talento narrativo pubblicando La lettrice scomparsa. Nel romanzo – edito da Sellerio, vincitore del Premio Scebanesco 2016 e finalista del Premio Letterario 2017 – il protagonista, un docente precario, sbarca il lunario prescrivendo libri per curare i mali lamentati dai suoi occasionali “pazienti”. Proprio Stassi si era già occupato di biblioterapia tre anni prima con la curatela per Sellerio dell’edizione italiana di Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno di Ella Berthoud e Susan Elderkin. D’altra parte la biblioterapia è una disciplina oggi collaudata, anche in Italia. Nata negli Stati Uniti agli inizi del Novecento e diffusa soprattutto nei Paesi anglosassoni – dove sono numerosi i corsi, gli studi e le applicazioni pratiche soprattutto con riguardo ai disturbi d’ansia e depressivi –, la biblioterapia affonda le radici nell’antichità se si pensa all’incisione “Ospedale dell’anima” affissa in una Biblioteca in Alessandria d’Egitto, al confluire nell’Apollo greco del dio della poesia e del dio della medicina o alla catarsi aristotelica, alla purificazione dell’anima attraverso la partecipe elaborazione delle passioni rivissute tramite le tragedie.

Alla biblioterapia fa pensare l’ultimo romanzo di Elena Nicolai, Samander e Gibal. In viaggio con Dante. Destinazione Tunisi (Bertoni editore 2021). Infatti, nell’originalissimo romanzo della Nicolai – dottoressa in Ricerca Italianistica e in Filologia Classica ed esperta in migrazioni e politiche sociali, saggista ma anche narratrice – Dante e la sua Divina Commedia, l’Inferno in particolare, con i loro ammonimenti e precetti di vita assurgono a guida in percorsi esistenziali travagliati e a punti di riferimento per una rivalsa e rinascita interiore.

Un romanzo molto particolare e atipico, Samander e Gibal. In viaggio con Dante. Destinazione Tunisi, per la struttura e per lo stile di scrittura, ma anche per il gusto antropologico e sociale che s’intreccia con le vicissitudini interiori ed esistenziali che ne sono alla base.

Il titolo esige una spiegazione: samander è il mare in urdu, gibal sono le montagne in arabo e Nina, il personaggio centrale del romanzo, vive in Tunisia attorniata dal mare (samander), mentre l’io narrante del libro-diario che ha comprato e sta leggendo – Quattrocchi il suo soprannome – si trova tra le montagne (gibal) dell’Himalaya.

Tra Nina, che lavora in una Ong, e la Quattrocchi, s’instaura, nel suo soggiorno in Tunisia, un singolare rapporto d’immedesimazione e simbiosi: le parole, i pensieri, gli stati d’animo presenti nel libro-diario sono il riflesso di quanto lei sta vivendo in quei giorni africani. Nina, in particolare, è impegnata in una relazione sentimentale complicata, è innamorata di Luca che però non ricambia i suoi sentimenti e, quando lui va via senza più ritornare, è combattuta tra un legame difficile da spezzare e il tentativo di tuffarsi in una nuova storia d’amore e di trovare un uomo che lo sostituisca.

Le fa compagnia il libro-diario nel quale la Quattrocchi racconta la sua vita nelle fredde e solitarie alture dell’Asia, tra paesaggi incantevoli e il vivace candore delle scolaresche di cui si occupa e in cui, soprattutto, esplora dentro se stessa, analizza la sua esistenza setacciando un passato troppo simile al suo presente.

dall'Inferno della Divina Commedia

dall’Inferno della Divina Commedia

Anche la Quattrocchi è stata vittima di una delusione sentimentale, anche lei ha patito le pene d’amore per un uomo che l’ha abbandonata e, nella “fuga” in Asia, ricerca la sua identità smarrita. In quel libro-diario la Quattrocchi scava nell’intimo della sua anima sotto lo sguardo di Dante, con i versi dell’Inferno della Divina Commedia che scandiscono i momenti e i sussulti interiori della sua esistenza. L’esplorazione della Quattrocchi nella sua interiorità è come una psicanalisi con un medico dell’anima accanto. E quel medico è Dante, col quale realizza il suo transfert.

Due donne speculari, dunque, nella crisi che le attanaglia e dalla quale vogliono uscire, Nina e Quattrocchi, entrambe veneziane – come veneziana è l’autrice –, entrambe lontane dall’Italia in continenti diversi dai paesaggi geografici e umani contrapposti: l’Africa e l’Asia.

Ed è proprio nella contrapposizione dei due paesaggi geografici e umani uno dei punti di forza del romanzo. Un romanzo che, come anticipato, si segnala per l’originalità della sua struttura narrativa. Alla narrazione in terza persona del soggiorno tunisino di Nina, infatti, si sovrappongono i brani del diario della Quattrocchi nei quali ogni riflessione è suggerita o suggellata da versi di Dante. Il che comporta non solo l’alternarsi di due voci ma anche di due registri di scrittura differenti: tendenzialmente lirico e alto nel diario della Quattrocchi, come esigono lo spettacolo della natura, i religiosi richiami delle montagne asiatiche, l’introspezione analitica sollecitata da quei paesaggi e dalle terzine dantesche; prosaico nella narrazione della quotidianità di Nina.

Alcuni passi del diario della Quattrocchi meritano di essere citati per rendere il lettore consapevole della qualità della scrittura della Nicolai (rondine che non fa primavera nella mediocrità omologante dell’attuale offerta narrativa): 

«Ieri la neve e l’aria bianca accarezzavano, coprivano, mordevano i rami degli alberi. Erano neri, scuri e madidi di acqua, sofferenti o beati, ansanti forse, per riconquistare il contorno delle loro ombre magre. Nebbia, bianchi fiocchi di acqua, il cielo si era abbassato a coprirli. Persino i corvi, neri e grossi, cocciuti nei loro richiami striduli e assenti, tacevano e si erano nascosti»;
«Nella sera le montagne sembrano danzare, sinuose girando su se stesse e mostrando civettuole le loro forme generose, a volte giovani seni tesi in alto, a volte la loro vita ampia, stretta sensualmente da corde intrecciate di alberi e sassi». 

Il ritmo narrativo di ciò che accade a Nina (l’abbandono di Luca, le sue escursioni con “Poeta”, gli infortuni domestici, la frequentazione della piscina e degli amici che vi incontra, il corso di arabo che segue, gli uomini che vagheggia) non è spezzato dalle osservazioni del diario della Quattrocchi e anzi queste fanno da contrappunto – con i versi di Dante che le introducono, quasi esplicitandone il senso – ai fatti che investono la protagonista.

Samander e Gibal. In viaggio con Dante. Destinazione Tunisi si fa apprezzare anche per i suoi richiami etno-antropologici. Nei villaggi montuosi dell’Asia resiste una civiltà rurale arcaica, genuina come le civiltà rurali di ogni latitudine, con ritmi di vita che assecondano la natura e «vecchi che sembrano saggi, che per strada stringono sussiegosi le mani delle tante persone che incontrano». Nelle città invece si avvertono gli effetti del consumismo, dell’omologazione culturale e di quello “sviluppo senza progresso” che Pasolini denunciò in Italia più di cinquanta anni fa; in particolare a Islamabad, capitale del Pakistan, il «triste presagio di una modernizzazione forzosa e indotta» è nel «centro commerciale dove le famiglie benestanti portano a pascolare i bambini presto appesantiti…».

42383A Tunisi il degrado consumistico non ha al momento raggiunto livelli di guardia: pur non estranea alle contaminazioni di una modernità famelica e funesta, la città mantiene per certi aspetti una sua identità, «il supermercato non è un luogo di ritrovo, è un luogo dove si va per comprare cibo, i negozi non sono affollati di gente che passeggia» e «ci sono i mercati: ci sono ancora i mercati». Inoltre, in un momento politicamente difficile, in Tunisia un salutare e vitale spirito combattivo e di rivolta continua ad animare alcuni ragazzi che Nina incontra.

Vi sono molti aspetti, pertanto, nel romanzo: non solo quelli narrativi e introspettivi ma anche quelli documentaristici, che si presentano sotto i due profili della rappresentazione naturalistica e della riflessione antropologica. Da questo punto di vista, Samander e Gibal. In viaggio con Dante. Destinazione Tunisi si presta a un adattamento cinematografico per l’attrazione della contrapposizione tra samander e gibal, tra due luoghi esoterici ricchi di fascino e tra le loro culture.

In mezzo ad un brillante e originale gioco intertestuale e in un suggestivo intreccio narrativo si muovono due donne, anzi una – non è forse la Quattrocchi lo specchio di Nina, personaggio chiaramente autobiografico? – col suo groviglio interiore di cui sa riannodare i nodi soltanto Dante – psicoterapeuta d’eccezione promosso sul campo – che, partendo dagli inferi, ha saputo attraversare tra mille calamità le tante tappe della sofferenza e degli errori e conoscere l’umanità nelle sue debolezze e nefandezze fino a vedere le stelle. Guadagnandosi, in tempi di biblioterapia, la più alta certificazione. 

Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023 

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 Antonino Cangemi, dirigente alla Regione Siciliana, attualmente è preposto all’ufficio che si occupa della formazione del personale. Ha pubblicato, per l’ente presso cui opera, alcune monografie, tra le quali Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi e Mobbing: conoscerlo per contrastarlo; a quattro mani con Antonio La Spina, ordinario di Sociologia alla Luiss di Roma, Comunicazione pubblica e burocrazia (Franco Angeli, 2009). Ha scritto le sillogi di poesie I soliloqui del passista (Zona, 2009), dedicata alla storia del ciclismo dai pionieri ai nostri giorni, e Il bacio delle formiche (LietoColle, 2015), e i pamphlet umoristici Siculospremuta (D. Flaccovio, 2011) e Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, 2013). Più recentemente D’amore in Sicilia (D. Flaccovio, 2015), una raccolta di storie d’amore di siciliani noti e, da ultimo, Miseria e nobiltà in Sicilia (Navarra, 2019). Collabora col Giornale di Sicilia e col quotidiano La ragione.

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