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Giovanna, un cortile, un telaio e una videocamera

Giovanna e Nenette da Orditi

Giovanna Serri e Nenetta Casu

il centro in periferia

di Felice Tiragallo

Ad Armungia, paese sardo del Gerrei, c’è un cortile particolare, si trova all’interno della casa della famiglia Lussu. Circa trent’anni fa vi ho filmato per alcuni giorni il lavoro di preparazione dell’ordito per la tessitura di Giovanna Serri e di Nenetta Casu. A questa intensa attività assistemmo in tre, io con la mia videocamera, Franco Lai, che scattava immagini con la sua reflex e Gabriella Da Re, l’artefice etnografica di questo incontro e coordinatrice di tutte le attività di documentazione della cultura materiale ad Armungia che in quegli anni andavamo costruendo per un archivio delle immagini e dei suoni, parte integrante del progetto del Museo etnografico Sa Domu de Is Ainas.

Arrivavo in quel cortile come membro di una équipe, quindi con un rapporto con Giovanna e Nenetta mediato dalla presenza di Gabriella e della rete delle sue relazioni umane e di lavoro con tante protagoniste della vita sociale armungese, fra cui Mariuccia Usala, fra le più convinte sostenitrici del progetto del Museo. Avvertivo che il nostro lavoro di ricerca e documentazione era riconosciuto e sostenuto dal paese. L’occasione di crescita e di maturazione era per me di immenso valore. Vedevo, tallonando le attività di Gabriella, tante implicazioni nuove e preziose del lavoro etnografico, di cui facevo l’apprendistato. Ma la cosa più rilevante erano gli incontri umani che si facevano: gli allevatori che eravamo andati a visitare nei loro differenti caprili, gli artigiani, le panificatrici, le amministratrici e gli amministratori comunali, i giovani, gli ex emigrati.

Questi incontri hanno fatto parte poi di una esperienza di ricerca più ampia, visto che Armungia è stato l’argomento della mia tesi di dottorato. Dentro questa esperienza l’incontro con Giovanna e Nenetta ha avuto un carattere specifico. Non riesco a pensare a loro se non come alle custodi, ai numi tutelari di Casa Lussu, un luogo della memoria, un luogo di immaginari civili, un luogo di affetti e anche di concreta scena di una esperienza etnografica.  Forse è proprio il fatto che mi sia accostato a Giovanna con la mediazione di Gabriella e di tutte le componenti della comunità armungese a lei più vicine, che mi portano a distinguere tutti questi livelli.

Giovanna Serri (da Ordire)

Giovanna Serri (dal video Ordire)

In sostanza non ho avuto con Giovanna quella intimità di comunicazione e di rispecchiamento che emerge dalle parole scritte in questa occasione da Gabriella e che troviamo anche nelle etnografie di altre antropologhe che hanno incontrato donne capaci di raccontare intere comunità e allo stesso tempo di reciprocare in modo profondo lo sguardo con le loro interlocutrici (penso a Clara Gallini con Maria di Tonara, ma l’elenco di queste affinità antropologiche al femminile è lungo). Tuttavia Giovanna si è insediata perennemente nel mio immaginario e nella mia memoria di etnografo, e non solo. Aver condiviso con Giovanna i momenti di un suo lavoro di orditura, averlo potuto osservare e filmare e aver potuto poi riflettere a lungo su questa visione e sul tipo di sapere che ne veniva tracciato, mi ha fatto capire che la possibilità di conoscere in antropologia passa spesso attraverso un’esperienza umana più fusionale di quanto si possa immaginare, più intrisa di una sfaccettatura di sensazioni vissute “lì e allora”, ma che diventano, questa è la parte forse più inesplicabile del processo, elementi di una familiarità che l’immagine restituisce per tutti i pubblici potenziali.

Mi ricordo ancora bene l’attenzione del pubblico di Oxford che ha visto il film con Giovanna al lavoro, mentre ordiva i fili nel cortile di casa Lussu e poi li montava nel telaio. E ricordo il sorriso liberatorio di tutti quando alla fine lei affermava: «se lo sai fare nulla è complicato, se non lo sai fare, tutto complicato». Quindi Giovanna “viveva” nel film. La sua maestria, il suo saper fare esemplificava una dimensione dell’abilità e dell’incorporazione che stavo in quegli anni iniziando a studiare con strumenti concettuali diversificati: l’ecologia culturale di Ingold (2001), la cultura materiale di scuola francese attraverso il gruppo Matière à penser, (Warnier 2005), le etnografie angioniane sul sapere della mano (Angioni 1986), e infine l’antropologia visiva (MacDougall 2015, Tiragallo 2005).

Ma Giovanna era lungi dall’essere una mera esemplificazione di fenomeni che si rivelavano ‘buoni da studiare’ con quegli strumenti: la sua vita si intrecciava con qualcosa di più totalizzante, di più pervasivo, cioè la storia degli affetti e delle vite  che occupavano fisicamente casa Lussu e che si estendevano anche alla sfera affettiva e immaginaria di molti che, come me, sentivano un debito con quel luogo e chi vi abitava, e rivendicavano un legame anche personale, sia pure da lontano, con quelle vite. Ho ammirato la passione creatrice di Giovanna, la sua caparbietà e positività. Ho riconosciuto i suoi conflitti, alcuni almeno, e la profondità e forza di questa capacità di creatrice e di narratrice: tessere, nota Gian Paolo Gri, in fondo è anche narrare (Gri 2000).

Il film Ordire (2005), che Gabriella Da Re ed io abbiamo dedicato al lavoro di Giovanna con Nenetta, significa dunque per me tutte queste cose.  Un film etnografico, sostiene Antonio Marazzi, è un “genere” che permette di superare i confini fra le culture. Esso attraversa i confini percettivi, cioè l’occhio e il sistema sensoriale permettono di superare lo spazio fra noi e il mondo che ci circonda. La percezione è vista come momento non solo passivo, ma attivo «di acquisizione e rielaborazione interna e di dinamiche esterne» (Marazzi 2002: 124). In questa direzione il film su Giovanna e Nenetta ha imposto il superamento di un atteggiamento di neutralità percettiva, e l’adozione di strategie di avvicinamento anche esasperato del punto di vista della cinepresa su dettagli del lavoro delle mani, sui fili, su particolari in movimento del telaio.

Giovanna e Nennette (dal video Ordire)

Giovanna e Nenetta (dal video Ordire)

Il film etnografico, afferma ancora Marazzi, attraversa i confini tecnici. Il tempo e lo spazio ricostruiti nel filmato rispondono ai princìpi della loro logica interna, diversi da quelli della realtà diegetica (ivi: 125). L’esperienza compiuta con Ordire mostra anche che la ricerca di un tempo interno al film che corrispondesse al tempo del corpo e delle azioni di Giovanna e delle sue co-artefici.

Il film etnografico attraversa confini semantici: se in un film di finzione si suppone che ogni particolare visibile sia stato messo per trasmettere un certo messaggio, nel film etnografico le potenzialità referenziali di molti particolari sono deboli, perché essi si sono semplicemente trovati ad essere là, dentro l’inquadratura. Ma l’azione di significazione simbolica lavora anche in questo caso. Anche in un video programmaticamente dedicato alla documentazione di un processo tecnico, come Ordire, le potenzialità referenziali di molti dettagli sono in opera: le strategie discorsive di Giovanna, i vari segni della subalternità di Nenetta, i dettagli del giardino di casa Lussu, la grafia dei modelli sul quaderno di Giovanna, la foto di Nenetta giovane a passeggio per le vie di Roma con il piccolo Giovanni Lussu, ecc. È questo il terreno «dove si incontrano immagini mentali, interpretazioni culturali, stereotipi, esotismi, diversità e persino universi culturali di cui sono portatori autori e spettatori del film antropologici» (ivi: 131). Possiamo immaginare il mondo affettivo di Nenetta, la lotta caparbia di Giovanna con le avversità della vita, il suo viaggio in piroscafo “rivelatore” del disegno nei primi anni ’60.

Il film etnografico, infine, attraversa confini culturali: le forme narrative dominanti in antropologia visiva sono le descrizioni di comunità e i racconti personali. Nel racconto personale «l’accentuata soggettività dalla narrazione, a cui talvolta si aggiunge un andamento dialogico con il cineasta, rende questa forma stilistica particolarmente vicina a una certa antropologia riflessiva e interpretativa, interessata a decostruire il quadro di una antropologia positivisticamente descrittiva» (ivi: 132). La rappresentazione in video di Giovanna e Nenetta richiama dunque un problema lucidamente avvertito da Marazzi: l’attraversamento di confini culturali a mezzo di rappresentazione visive.

Giovanna Serra (dal video Ordire)

Giovanna Serra (dal video Ordire)

Il film Ordire, come già indicato, fa parte dell’archivio audiovisivo del Museo etnografico Sa domu de is ainas di Armungia. Il museo raccoglie e dispone in un linguaggio museale le memorie e i lasciti di una struttura tradizionale di produzione, ma anche di un insieme di esistenze, di vite che come quella di Emilio Lussu vivono nelle fotografie esposte e sono pronte ad animarsi quando sono osservate; così come i film o i loro brani, se vengono proiettati e utilizzati nel corso delle attività normali del museo, fanno e faranno rivivere allevatori, panificatrici, tessitrici, fabbri, ecc.

Ora, la persistenza e la durata rendono queste immagini qualcosa di altro e di sempre più distaccato dalla esperienza di vita di tutte le persone che sono state coinvolte nella loro realizzazione. Il corso naturale della vita fa sparire dei protagonisti. Nenetta è mancata da alcuni anni, Giovanna se ne è andata pochi giorni fa, e il film è una delle testimonianze della loro esistenza. La memoria della comunità armungese dovrà nutrirsi anche di queste testimonianze, e già esse sono uno dei materiali della formazione di un immaginario condiviso, a prescindere dalle intenzioni dei realizzatori del video. Ma la stessa circolazione interna ha riguardato molti altri materiali filmati prodotti dagli etnografi ad Armungia, e l’attribuzione a questi video di specifici significati da parte della comunità è stato un dato importante di riscontro della relazione fra proiezioni immaginarie degli osservati e concrete immagini di sé in una ricerca di campo (Tiragallo 2001).

La sfera pubblica in cui cade l’attività del filmmaker etnografo è dunque il luogo in cui il suo lavoro si incontra con quello delle attività spontanee di autorappresentazione dei componenti di una collettività (Marano 2002). È necessario, conclude Marazzi, sviluppare un settore di indagine specifico: quello del passaggio transculturale di immagini. Esso si giustifica a partire dalla «enorme, crescente espansione della comunicazione elettronica di messaggi visivi nei contesti metropolitani, così come il moltiplicarsi di contatti interculturali su scala planetaria» (Marazzi 2002:133).

Ma oltre questa traiettoria pubblica di immagini condivise, che viaggiano in tante orbite e anche in forma diasporica, rimane nel film il segno di un incontro, di una esperienza indimenticabile. Vivo queste immagini anche come un omaggio intimo a Giovanna e alla sua vita. 

Dialoghi Mediterranei, n. 52, novembre 2021 
Riferimenti bibliografici 
Angioni G., Tecnica e sapere tecnico nelle società preindustriali, in Id., Il sapere della mano, Saggi di antropologia del lavoro, Palermo, Sellerio, 1986
Da Re M. G., L’attività tessile nel Sarrabus-Gerrei: vecchi e nuovi saperi in Id. La casa e i campi. Divisione sessuale del lavoro nella Sardegna tradizionale, Cagliari, CUEC, 1990.
Gri G. P. Tessere tela, tessere simboli. Antropologia e storia dell’abbigliamento in area alpina, Udine, Forum, 2000.
Ingold T., Ecologia della cultura, Roma, Meltemi, 2001.
MacDougall D., Transcultural Cinema, Princeton, Princeton University Press, 1998.
Marazzi A., Antropologia della visione, Roma, Carocci, 2002.
Tiragallo F., “Sentivo le pernici cantare nel territorio di Armungia”. Note su una documentazione audiovisiva dei mutamenti nel territorio del Gerrei, in Aa. Vv. Il senso dei luoghi, Cagliari, CUEC, 2001.
Tiragallo F.  L’incorporazione dello sguardo. Visione, progetto e tessitura fra etnografia filmica e tecnologia culturale, in Caoci A., a cura di, Bella s’idea mellus s’opera. Sguardi incrociati sul lavoro artigiano, Cagliari, CUEC, 2005.
Warnier J.-P., La cultura materiale, Roma, Meltemi, 2005 (ed. or. 1999). 
Filmografia 
Tiragallo F., Da Re M. G., Ordire. Le fasi preparatorie della tessitura ad Armungia, 28’, Università degli Studi di Cagliari, Comune di Armungia, 2005.

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Felice Tiragallo, professore associato  in discipline Demo-Etnoantropologiche nell’Università di Cagliari, le sue principali aree di ricerca sono il mutamento culturale e sociale (in particolare lo spopolamento nelle zone rurali del Sud Europa, le dinamiche dell’azione politica fra centro e periferie), la cultura materiale (i saperi incorporati, i processi di mercificazione di demercificazione, e i modi di produzione dell’autentico nelle società complesse) e l’antropologia visiva (i metodi di ricerca digitali, la conoscenza e la comunicazione non testuale, le pratiche del filmare). Il focus della sua ricerca è lo spopolamento come fattore di mutamento nella cultura materiale e sociale in Sud Europa.

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