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Gli ecomusei e la sfida del contemporaneo: considerazioni ed esperienze

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Passeggiata patrimoniale sugli argini della bonifica agraria nei pressi della Raccolta Casa Rossi (ph.F. Rossi)

il centro in periferia

di Andrea Rossi [*]

La sfida partecipativa dell’ecomuseo: appunti di pratica gestionale

Con queste pagine intendo inserirmi, se pur indirettamente, nel dibattito sul ruolo sociale dei musei a partire dall’articolo a cura di Piercarlo Grimaldi e Andrea Porporato [1] cercando di dare un contributo dal punto di vista degli ecomusei e facendo riferimento in particolare all’esperienza di cui mi occupo in qualità di coordinatore da alcuni anni per conto dell’Unione dei Comuni Montani del Casentino: l’Ecomuseo del Casentino [2]. Le altre due sezioni, invece, annunciando sin da ora un cambio di passo, sono rispettivamente rivolte a dare conto delle attività svolte da alcuni ecomusei durante il Corona virus a alla cronaca dello stesso Ecomuseo del Casentino in tempi di pandemia.La dimensione sociale e relazionale, la dimensione partecipativa per un ecomuseo non sono aspetti che possano essere ignorati anche se suscettibili di interpretazioni. Al fascino indiscusso delle premesse corrisponde la difficoltà delle pratiche operative, delle soluzioni e dei compromessi che di volta in volta vengono sperimentati. In particolare, la partecipazione negli ecomusei ha rappresentato da sempre uno degli aspetti più dibattuti, costituendo un elemento fortemente caratterizzante ma anche “di criticità”, sul quale si sono spesso riversate contemporaneamente, ed in maniera contrastante, atteggiamenti celebrativi, accuse di eccessivo ideologismo, superficialità e demagogia. Il coinvolgimento della società locale, tuttavia, è un aspetto al quale non si può rinunciare perché tende a coincidere con il fine stesso di un ecomuseo.

Quello della partecipazione attiva dei cittadini è sicuramente uno dei temi focali della contemporaneità e riguarda indifferentemente sia la sfera socio-politica che culturale nella sua globalità. «Infatti, ciò che sembra non più procrastinabile è un concorso attivo dei cittadini, che modifichi in parte l’attuale approccio di delega e che si faccia carico collettivamente di aspetti, spesso immateriali ma di enorme valore, senza i quali il patrimonio si impoverisce, il territorio si degrada, il paesaggio culturale nel quale viviamo e nel quale vivono le persone che ci sono care, lentamente si consuma e viene rimpiazzato da altro, di qualità spesso inferiore. Non bastano le regole e i divieti, talvolta necessari, per impedire il saccheggio del territorio, che spesso degrada per azione degli abitanti anche nel pieno rispetto delle leggi: occorre consapevolezza che si tratta di un bene prezioso, appartenente a tutti e che costituisce il tessuto connettivo, la base sulla quale vivere con gli altri nostri simili e che perciò va collettivamente preservato» (Maggi 2005). Se tutto ciò è considerato la sfida e l’emergenza declamata a più voci, molto, tuttavia, deve ancora essere sperimentato e fatto.

L’ecomuseo, in quanto struttura che nasce con caratteri non effimeri, con un approccio territoriale di tipo olistico e che non esaurisce la propria missione intorno a processi partecipativi focalizzati, può giocare una carta importante. Questo presuppone, tuttavia, che l’ecomuseo raggiunga un livello di autorevolezza, riconosciuto a livello territoriale soprattutto da parte degli enti che lo governano e che sappia coinvolgere non solo gli esperti, ma sappia fare leva sulla mobilitazione di una creatività di base molto più ampia. La partecipazione, per un ecomuseo che voglia operare in questa direzione, diviene allora una sfida permanente, una tensione che non si esaurisce in pratiche o progetti specifici, ma costituisce una modalità di lavoro da adottare in corrispondenza dei diversi livelli di gestione del progetto. È fuori dubbio, inoltre, che la partecipazione vada rinnovata e rimotivata costantemente in funzione dei cambiamenti fisiologici del contesto e degli attori. Sia che il processo venga promosso da una amministrazione che da un gruppo o un’associazione locale, si pone il problema dell’informazione e della corretta comunicazione del progetto alla comunità locale. Da questo punto di vista, a livello esemplificativo, l’utilizzo della mappa di comunità può costituire uno strumento di eccezionale valore.

Nelle fasi di gestione (progettazione e programmazione) la rappresentatività dei vari soggetti a diverso titolo presenti nel progetto costituisce una premessa importante. Diverse soluzioni si registrano in questo ambito a seconda della natura del progetto. I comitati di pilotaggio e i consultivi tecnico-scientifici, le consulte delle associazioni pro ecomuseo e dei comitati di volontari, rappresentano alcuni strumenti fattivi messi in campo dagli ecomusei per la gestione. È inutile dire che questi organi debbano rappresentare degli effettivi momenti di ascolto su cui impostare atteggiamenti di fiducia reciproca per procedere verso livelli di interazione più maturi. I tavoli di lavoro, i gruppi di ricerca-azione creati in occasione di particolari iniziative possono rappresentare un esempio concreto di scambio e collaborazione fattiva soprattutto quando sono chiamati a partecipare soggetti al di fuori dell’esperienza ecomuseale.

Il protagonismo della comunità locale nelle scelte non dovrebbe tuttavia entrare in concorrenza con la figura del direttore/coordinatore, figura di solito presente almeno nelle esperienze più strutturate, che esplicita il proprio ruolo nell’ambito di un livello diverso. Coordinare un processo ecomuseale, in una logica partecipativa, significa tentare di esplicitare le potenzialità e le vocazioni ma soprattutto di valorizzare le risorse umane esistenti. La figura si avvicina, in qualche modo, a quella del “facilitatore” tipico dei processi partecipativi, che prefigura scenari, riorganizza informazioni per offrire chiavi interpretative nuove. La figura del facilitatore dovrebbe, quindi, essere unanimemente riconosciuta possedendo l’autorevolezza di chi conosce ed opera nel proprio contesto e al contempo dovrebbe essere in grado di interfacciarsi con l’esterno, con le comunità scientifiche e di pratica, attingendo a strumenti e progettualità da adattare al proprio contesto. È demandata a questa figura, in primis, e alle sue capacità di interpretazione ed ascolto, la messa in pratica di strategie e l’attivazione di strumenti diversi di coinvolgimento (incontri informali e conviviali, di formazione e auto-formazione, visite guidate, questionari, interviste, racconti, mappe di comunità) in relazione alla struttura e ai tempi del percorso/processo attivato. La coerenza e la continuità di quest’ultimo si alimenta, tuttavia, una volta innescato, con l’intensità dei legami e degli accordi trasversali intessuti tra persone che rappresentano i diversi livelli e ruoli sociali di un territorio che si riconosce in un progetto di sviluppo locale responsabile.

Il rapporto interpersonale, il sistema di “alleanze” e rispondenze rappresenta anche l’“humus” dal quale nasce e si sviluppa una particolare forma di partecipazione attiva, che rappresenta una risorsa molto preziosa, se non addirittura irrinunciabile per la gestione e lo sviluppo di un ecomuseo: il volontariato. Numerosi ecomusei si avvalgono di volontari che a diverso titolo prestano la loro opera anche in seguito a percorsi di formazione. Tra le problematiche, che emergono in maniera pressoché unanime rispetto a questo tema negli ecomusei, va sicuramente messa in evidenza la difficoltà di ricambio generazionale. Se la popolazione anziana e quella dei bambini rappresentano, per motivazioni anche opposte, i fruitori più diretti e naturali, è fuori dubbio tuttavia che l’incisività del progetto potrà essere più alta nel momento che riesce a coinvolgere le fasce degli adulti e dei giovani. Un contributo efficace in questo senso è costituito dalle azioni di sostegno e aggiornamento e da un generale atteggiamento effettivamente inclusivo ma soprattutto propositivo rispetto alle risorse umane locali. Anche questo aspetto conferma l’oggettiva complessità che caratterizza la gestione partecipativa del progetto ecomuseale. Si rende quindi necessario mantenersi in ascolto, aggiornare strategie, rinnovare e rimotivare gli interlocutori [3]. Tutto ciò presuppone anche la messa in campo di azioni permanenti di autovalutazione e verifica della coerenza con gli obiettivi assunti. Questo aspetto rappresenta una componente sempre più presente nelle esperienze italiane più mature che stanno sperimentando, in collaborazione con istituti di ricerca, griglie autovalutative e sistemi di lettura critica delle esperienze in corso come anche i “bilanci sociali” [4].

2La componente socio-educativa

Parlando di ruolo sociale non possiamo non prendere in considerazione la funzione educativa dell’ecomuseo. La proposta che di solito viene offerta in questo senso è di solito variegata e ampiamente articolata. Oltre alle attività rivolte agli istituti scolastici, che di solito rappresentano gli interlocutori privilegiati, si aggiungono le iniziative non formali quali laboratori estivi, campus, laboratori per adulti di diversa tipologia. Diviene tuttavia necessario

 «considerare anche le forme di apprendimento informale di coloro che attivamente partecipano alle attività dell’Ecomuseo. …Se, infatti, assumiamo il potenziale educativo della collaborazione, quale proprietà emergente delle forme di auto-organizzazione e di cooperazione fra i soggetti in grado di strutturare organizzazioni di tipo reticolare, è evidente, dunque, che la funzione educativa dell’Ecomuseo si allarga alle dimensioni informali dell’apprendimento. L’insieme di queste opportunità formative formali, non formali ed informali ed il collegamento tra servizi culturali ed educativi consentono di leggere l’Ecomuseo come un’infrastruttura educativa di comunità ovvero, l’elemento del sistema educativo territoriale che connette i servizi e supporta lo sviluppo e la gestione dei processi formativi individuali e collettivi. Considerando, dunque, la dimensione formativa delle relazioni sociali che si instaurano attorno ad un bene culturale, l’infrastruttura diviene elemento portante dello spazio di apprendimento comunitario, in cui i soggetti hanno la possibilità di sviluppare conoscenza in modo attivo, costruttivo, intenzionale, autentico e collaborativo. Tale spazio si configura come risposta all’evoluzione della domanda di formazione collegata al lifelong, lifewide e lifedeep learning: garantisce di entrare e rientrare in formazione in ogni momento della vita, riconosce la validità formativa dei contesti di vita e dell’esperienza, promuove l’apprendimento significativo. Elementi, questi, che favoriscono una progressiva apertura e flessibilizzazione dei percorsi educativi, per adattarsi sempre più alle traiettorie di vita e agli itinerari formativi degli individui, spostando il focus dall’istituzione erogatrice ai bisogni di sviluppo dei soggetti» [5].

Gli aspetti qui brevemente descritti sono gli assi portanti della progettazione territoriale della Strategia d’Area del Casentino e Valtiberina, promossa nell’ambito della Sperimentazione Nazionale delle Aree Interne del Ministero dello sviluppo economico ed attualmente in corso. Riconoscendo all’Ecomuseo la capacità di collegare diversi ambiti e sfere del sistema di vita locale, la Strategia prevede azioni di sostegno allo sviluppo qualitativo del sistema educativo territoriale, rafforzando il ruolo di connettore e di infrastruttura educativa svolto dall’esperienza ecomuseale. Uno degli obiettivi della Strategia è, infatti, consolidare il ruolo educativo della comunità a partire proprio dalle azioni collaborative di salvaguardia del patrimonio culturale locale: rafforzare le connessioni fra le sfere educative formali, non formali e informali favorisce la continuità educativa orizzontale e verticale, riconosce la responsabilità ed il ruolo educativo degli attori del territorio, dei contesti di vita e dell’esperienza. La principale attività in questo contesto riguarda la realizzazione di un Atlante del Patrimonio Immateriale del Casentino e della Valtiberina [6] ispirato alla Convenzione UNESCO del 2003. Il progetto si propone di rinsaldare i legami di appartenenza tra le giovani generazioni ed il loro territorio in un’ottica proattiva nel quale i valori e le specificità locali, a rischio di scomparsa, siamo letti ed interpretati creativamente per contribuire ad una loro trasmissione e ad uno sviluppo consapevole e sostenibile del territorio.

Considerazioni

Nella difficile dinamica dei rapporti a scala locale (sempre complessi indipendentemente dalla dimensione) fatti di alleanze, diffidenze, voglie di protagonismo, l’ecomuseo non può che candidarsi, in funzione della sua natura relazionale, quale riferimento e collettore di azioni progettuali diversificate che coinvolgono soggetti ed interessi molteplici. Non sempre tuttavia, va evidenziato, l’azione di un ecomuseo riesce ad essere efficace, spesso anche per l’oggettiva mancanza di condizioni socio-culturali-politiche che a livello locale possono garantire l’avvio e lo sviluppo del processo.

A differenza dei musei Dea, tuttavia, che possono vantare a loro credito la presenza di una collezione o di una raccolta di diverso genere, il solo capitale che un ecomuseo può vantare, spesso, è quello umano. Un museo che non trovi una condizione favorevole per essere valorizzato e promosso, può a ragione cadere nel sonno in attesa di essere risvegliato dal “principe illuminato” di turno. Il destino della “bella addormentata” [7] non si confà a quello degli ecomusei in cui il venir meno temporaneo equivale spesso alla sua disgregazione definitiva. L’eventuale rinascita non potrà che fiorire dalle ceneri, spesso, tuttavia, scomode e scoraggianti se legate ad esperienze fallimentari.

La trasformazione o la definitiva cessazione di un ecomuseo, o di alcune delle sue articolazioni, tuttavia, deve rappresentare una prospettiva del tutto normale, in coerenza con lo stesso concetto di “museo evolutivo” coniato da de Varine [8]: «ogni processo di museologia popolare, o comunitaria, dovrebbe, a mio parere, essere accompagnato da un processo di valutazione permanente, in modo da verificare continuamente l’adeguatezza fra gli obiettivi posti alla partenza – eventualmente modificati lungo il percorso – e la realtà delle azioni effettuate» (de Varine 2004)

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Vallesanta (Chiusi della Verna)

Ai tempi del Coronavirus: nel mondo degli ecomusei italiani

La dimensione fortemente sociale e relazionale dell’Ecomuseo ha evidentemente subìto un repentino rallentamento a causa del Corona Virus. Aperture degli spazi, iniziative, incontri, hanno visto, in linea con il resto della vita civile, un sostanziale blocco per poi lentamente ripartire con l’allentarsi dell’emergenza. Gli atteggiamenti di resilienza dell’ecomuseo tuttavia, hanno da subito battuto la strada del dialogo con la propria comunità di riferimento allo scopo di non interrompere i legami costruiti nel tempo attraverso anche la proposta di attività mediante le quali far sentire la vicinanza e la presenza dell’istituto stesso presso le proprie comunità di riferimento. Questa considerazione nasce come sintesi a valle dell’ultimo incontro[9] della Rete italiana degli ecomusei dove all’ordine del giorno era contemplato anche il tema della ripartenza nella fase due del Covid19.

Le varie testimonianze raccolte hanno consentito di comporre un mosaico variegato di iniziative mettendo in atto strumenti e strategie creative e innovative. Uno dei mezzi maggiormente utilizzati sono stati chiaramente le pagine social esistenti o direttamente approntate per l’occasione dai diversi ecomusei.

L’ecomuseo Casilino [10] si è distinto per la prontezza con la quale ha saputo reagire alla situazione attraverso un’azione strutturata e puntuale di coinvolgimento virtuale delle comunità locali. Attraverso il gruppo FacebooK Co.Heritage [11] e la piattoforma di censimento partecipativo, ha sviluppato strumenti digitali e virtuali di promozione della valorizzazione del patrimonio culturale del territorio. L’attività è poi continuata attraverso i VirtualWalks [12], passeggiate virtuali su piattaforma Zoom che hanno consentito ai partecipanti di godere dei percorsi museali realizzati dall’Ecomuseo stesso. Le passeggiate virtuali sono state al centro anche dell’iniziativa dell’Ecomuseo Villa Ficana con Le erbe che calpesto [13] dedicate al riconoscimento e all’uso delle erbe spontanee.

Anche processi caratterizzati da forti interazioni sociali come quelli delle Mappe di Comunità, hanno saputo trovare strategie di confronto e comunicazione efficaci come il “Gruppo Mappe” [14] virtuale costituitosi in occasione della stesura della Mappa di Comunità coordinata dall’Ecomuseo del Gemonese riferita al comune di Majano (Comerzo, San Tomaso, Susans, Tiveriacco e Ponte Ledra le frazioni coinvolte).

Medesime considerazioni possono essere fatte sull’Ecomuseo del lago d’Orta e Mottarone che, nonostante le difficoltà oggettive, ha saputo dare continuità al percorso riferito al “Contratto di Lago” [15]. Gli Ecomusei della Regione Lombardia hanno messo a punto una speciale sezione sul loro sito Gli ecomusei lombardi in tempo di isolamento forzato: esperienze e iniziative attivate online per non fermare l’interazione con le comunità locali [16], nel quale hanno dato spazio alle diverse attività promosse. Condivisione di storie, ricette e prodotti, mappe emozionali, mostre virtuali, sono alcune delle proposte dedicate alla fruizione ‘digitale’ del patrimonio culturale (materiale e immateriale) e di quello ambientale.

Una particolare tipologia di attività ha riguardato l’utilizzo dell’audiovisivo. Citiamo a questo proposito l’Ecomuseo di Cascina Moglioni con la sua selezioni di filmati [17], l’Ecomuseo della Martesana che ha proposto la condivisione di video auto-prodotti con il progetto Giralacomevuoi[18] o l’Ecomuseo di Argenta che attraverso i propri canali social ha divulgato video sulle attività didattiche e i temi della sostenibilità per preparare il ritorno sui progetti e le iniziative partecipative dedicate ai saperi e ai mestieri di arte, artigianato e gastronomia [19]. Non sono mancate iniziative volte a sollecitare l’interazione con gli abitanti come l’alfabeto dell’Ecomuseo a cura dell’Ecomuseo del Lagorai [20] o la caccia all’oggetto dell’Ecomuseo delle Acque del Gemonese [21].

Anche la dimensione più fattiva come quella del laboratorio manuale e della valorizzazione dei saper fare, che caratterizza molti ecomusei, non poteva non trovare il suo spazio. Rimandiamo a questo proposito alle esperienze promosse dall’Ecomuseo Terra del Castelmagno con la versione in miniatura dei caratteristici babaciu [22], fantocci di fieno e legno a grandezza naturale e dall’Ecomuseo del Gemonese, dove, sospeso il lavoro in aula, le lezioni sull’intreccio e di cesteria sono continuate via whats app. Artigiani e allievi si sono scambiati nozioni e gesti, hanno utilizzato foto e filmati di dettaglio; fino a giungere alla realizzazione dei vari manufatti [23].

Infine, alcuni ecomusei si sono adoperati direttamente anche nel settore economico-sociale, continuando ad esempio la promozione, distribuzione e consegna a domicilio dei prodotti del Paniere Solidale [24], come l’Ecomuseo del Gemonese, o ponendosi come tramite nelle azioni di solidarietà socio-economica a livello locale. È questo il caso dell’Ecomuseo di Argenta dove mentre i servizi sociali si sono occupati dell’assegnazione dei buoni spesa ad alcune famiglie in difficoltà, l’Ecomuseo ha curato l’adesione alla stessa misura per gli esercizi commerciali per l’erogazione dei prodotti alimentari e di prima necessità; in numerosi hanno aderito, aiutati dai rappresentanti di partecipazione locale con evidenti benefici sia per le famiglie che per gli esercizi commerciali di prossimità.

In sintesi, per usare le parole di Raffaella Riva [25], «l’emergenza sanitaria ha messo in luce come l’avere una rete sociale e una economia di prossimità sia importante, gli ecomusei possono aiutare a rafforzare queste reti e anche proporre soluzioni locali, declinate per gli specifici territori, che vadano oltre le regole generali che vengono date a livello centrale». I legami, le relazioni sociali, il senso dei luoghi che gli ecomusei stimolano e coltivano, così come i circuiti alimentari e la valorizzazione delle produzioni che sperimentano, costituiscono dei valori preziosi che ancora una volta rimettono al centro la periferia e sostanziano la resilienza dei nostri territori.

Per chiudere questa breve rassegna, che sicuramente non rende giustizia delle altre numerose attività messe in campo dal mondo degli ecomusei, segnalo una riflessione emersa spontaneamente da tutti i partecipanti all’incontro fatto attraverso la piattaforma web, mai così numerosi e provenienti da tutte le parti d’Italia: perché non abbiamo utilizzato prima questo strumento? Non si sostituisce certo alle riunioni fatte di persona ma rappresenta un validissimo modo per poter continuare a tenere rapporti che sicuramente verrà replicato in futuro. Un passo avanti, quindi, per vincere l’inerzia e facilitare gli scambi e i confronti della comunità di pratica.

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Escursione sulla linea Gotica (ph. D. Tassini)

 Cronaca dai margini

Chiudo questo contributo con alcuni appunti riferiti al durante e al post quarantena da Corona virus nell’Ecomuseo del Casentino. Una breve cronaca delle diverse fasi, dal lock down alla progressiva riapertura. Il primo periodo della chiusura l’abbiamo vissuto da increduli privilegiati, per la bassa incidenza della pandemia nel nostro territorio, al sicuro nelle nostre abitazioni e raccolti nel rituale della conta dei contagiati divulgata quotidianamente dalla televisione. In questa situazione, la prima iniziativa messa in campo, nata quasi istintivamente, è stata quella di Pillole di Cultura la condivisione quotidiana di video tratti da La Banca della Memoria, riferiti al contesto casentinese. L’iniziativa ha avuto molto successo [26] e ha in un certo senso consentito ad un intero territorio, nei momenti più bui e difficili della pandemia, di potersi stringere intorno a frammenti di memoria e di poter condividere luoghi, persone, vicende, microstorie che hanno avuto il compito di intrattenere ma anche di consolidare i legami con il proprio contesto di vita ed i suoi abitanti. In una seconda fase si è passati ad una modalità maggiormente interattiva attraverso il progetto LISTEN, Paesaggi Sonori attraverso l’Ecomuseo del Casentino [27] che, in modalità di lavoro agile, si è spostato temporaneamente sui social. In questo caso è stato stimolato il confronto sull’eredità linguistica del Casentino andando ad indagare sui confini, le contaminazioni, i blasoni, tutti temi strettamente legati alle dinamiche di percezione e appartenenza territoriale.

Con il passare dei giorni la bolla spazio-temporale creatasi ci ha come protetti e in qualche modo invitati alla riflessione, alla progettazione. Abbiamo preparato candidature per bandi e messo a punto proposte tra cui la partecipazione alla selezione per essere inclusi in un percorso di accompagnamento e sostegno per gli Smart Rural Village [28]. Al di là di quello che sarà l’esito, l’occasione ci ha permesso di confrontarci con una serie di questioni che da tempo animano la nostra quotidianità. Il gruppo che si è costituito, tra diffidenze e deferenze, ha concordato di lavorare sui borghi del Pratomagno, già al centro anche del Progetto di Paesaggio, promosso dalla Regione Toscana nell’ambito del Piano Paesaggistico, dove l’Ecomuseo ha coordinato il processo partecipativo [29]

Il bando ci ha ricondotto nei consueti circoli chiusi stretti dalle catene logiche da cui sembra impossibile divincolarsi e che sembrano segnare inesorabilmente il destino della montagna: invecchiamento, mancanza di lavoro e di servizi; abbandono; degrado idro-geologico; perdita di biodivesità; disgregazione socio-culturale. Da dove ripartire quindi per dare una nuova prospettiva alle aree interne/montane? Da più voci viene invocata la banda larga come la soluzione di tutti mali.

La garanzia di connessione stabile e veloce con il resto del mondo. Pur riconoscendone il valore, la tecnologia, tuttavia, non è sufficiente da sola, per poter garantire processi duraturi di ritorno e restanza senza una politica della montagna che ridia dignità e ruoli rinnovati a questa parte essenziale del territorio e soprattutto non è in grado di assicurare una gestione e una rigenerazione consapevole e sostenibile dei giacimenti sociali/culturali/ambientali conservati per secoli.

Il periodo del corona virus nelle “terre alte” ha evidenziato in maniera inconfutabile non solo le carenze dell’infrastruttura di base (vi sono ampie parti del territorio con notevoli difficoltà di connessione), le difficoltà di ordine socio-economico e culturali di accesso al servizio (tanto più grave quando si parla del settore educativo) ma anche una diffusa non conoscenza e incompetenza rispetto agli strumenti e alle potenzialità da parte di molti. È pur vero, tuttavia che i territori montani, come e forse più di altri, hanno i loro tempi, il loro funzionamento autopoietico ed hanno le loro regole che possono essere pienamente comprese solo dall’interno. Per dirla con le parole di Giampero Lupatelli

«…anche questa frontiera ha i suoi nativi. Soprattutto ha storia e tradizione di pensiero e di programmazione. Ha visioni e traguardi… e soprattutto ha un sistema di istanze e di progetti; dalla fiscalità di favore al contrasto della disertificazione commerciale, dalla re-interpretazione del turismo e delle attività sportive e ricreative come occasioni di responsabilità sociale ed ambientale al riconoscimento dei servizi ecosistemici, dal recupero dei borghi al superamento del digital divide, dal potenziamento della domiciliarietà assistenziale alla innovazione tecnologica, metodologica, contenutistica e organizzativa della didattica e della educazione. Con queste istanze bisogna fare i conti e stringere i patti giusti»[30].

festa-saggiaRipartire

Dopo la pausa forzata, svanite rapidamente le illusioni del “non sarà più come prima”, siamo ricaduti quasi inconsapevolmente nella quotidianità con l’ansia di recuperare il tempo perso. L’imperativo al solito è: “performanti a tutti i costi”, ovunque tu sia. Lo abbiamo toccato con mano nel percorso info-informativo che abbiamo dovuto intraprendere per la riapertura delle sedi dell’Ecomuseo, subissati dalla mole della burocrazia e ancor prima dalla difficoltà di poter condividere strumenti tecnologici, piattaforme web, vide-chiamate non alla portata di tutti.

È stato necessario, nella massa informe di protocolli, auto-dichiarazioni, delibere, decreti, sanificazioni e distanziamenti, arrivare alla definizione di un Vademecum per la sopravvivenza dell’Ecomuseo, una sorta di mediazione e sintesi e insieme una guida per non scoraggiare e far fuggire tutta quella base operosa fatta di volontari, associazioni, privati che rappresenta il valore più autentico e prezioso di tutta la nostra esperienza.

Con poche defezioni ci accingiamo a riaprire i battenti. La fase della ripartenza è stata caratterizzata anche da un altro momento che abbiamo chiamato Ripartiamo.. da noi!. Ci siamo interrogati su come dare un segno di condivisione e coralità che segnasse il passo da prima a dopo e che contribuisse a risvegliare gli entusiasmi. È stato così messo a punto e divulgato un questionario online dedicato alla progettazione delle attività di animazione durante il periodo estivo [31]. Le preferenze ma anche le proposte e le idee pervenute, consultabili sul sito dell’ecomuseo [32] rappresentano la base di riferimento dalla quale siamo partiti per la fase di programmazione insieme agli operatori del territorio: guide ambientali, esperti, attori, proprietari di asini e cavalli, giovani laureati, musicisti e saltimbanchi, produttori, archeologi…Il calendario delle proposte uscirà nel giornale dell’ecomuseo di luglio.

Infine, altro tema di interesse e di lavoro in questa fase di ripartenza è quello legato alle produzioni locali, più che mai bisognose di supporto. Le Festesagge [33], le feste a misura di paesaggio che l’Ecomuseo propone da oltre dieci anni in collaborazione con le associazioni del territorio, con il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi e Slow Food, che garantivano il perpetuarsi dei patti tra produttori e organizzatori degli eventi gastronomici, quest’anno difficilmente potranno svolgersi. Si sta quindi pensando ad altre modalità per garantire l’implementazione all’uso dei prodotti locali come ad esempio il sostegno alla creazione di un “Mercato contadino a km zero” promosso dal locale biodistretto e dal gruppo di acquisto solidale.

Chiudendo, una delle cose più rimotivanti nella ripartenza, tuttavia, è stato incontrare di nuovo, dopo mesi, alcuni dei volontari attivi nelle diverse antenne. Lorenzo, il custode e l’anima dell’Ecomuseo del Contrabbando, si è presentato e mi ha fatto dono di una trottola di legno fatta da lui e di un quaderno colmo di proverbi, indovinelli e modi di dire della tradizione locale raccolti durante la quarantena:

se è molle mi sguazziglia
se è asciutta mi sbanlona
in tutti modi mi cogliona

Cos’è? È la terra al momento della semina, con cui abbiamo avuto a che fare da sempre e di cui troppo spesso ci dimentichiamo.

Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
[*] La parte iniziale di questo articolo riprende alcune riflessioni contenute in La pratica partecipativa negli ecomusei italiani. Aspetti, strumenti e potenzialità a cura del sottoscritto pubblicate in Silvia Vesco (a cura di) Gli Ecomusei. La cultura locale come strumento di sviluppo, Pisa 2011
Note
[1] Intendo riferirmi all’articolo “I musei etnografici. Forme e pratiche di resilienza alpina” , in “Dialoghi Mediterranei”, n. 41, gennaio 2020 – http://www.istitutoeuroarabo.it/DM
[2] Per ulteriori informazioni sul progetta si romanda al sito www.ecomuseo.casentino.toscana.it
[3] L’Ecomuseo del Casentino, da questo punto di vista, ha da poco concluso un percorso partecipativo dal titolo Casentino Telling: dall’ascolto del territorio verso nuove strategie gestionali che ha affrontato i temi dell’allargamento della governance verso prospettive maggiormente collaborative
[4]In seno al documento del Manifesto Strategico degli Ecomusei Italiani (vd. http://www.ecomusei.eu/ecomusei/wp-content/uploads/2016/01/Documento-strategico.pdf) sono riportati gli strumenti di lavoro sperimentati e raccomandati dagli ecomusei, una sorta di “cassetta degli attrezzi” e insieme un glossario per condivisione di pratiche e linguaggi.
[5] Glenda Galeotti, La salvaguardia dell’eredità culturale che genera valore sociale. Collaborazione ed educazione attraverso il patrimonio culturale per il benessere della comunità in Giovanna Del Gobbo, Glenda Galeotti, Valeria Pica, Valentina Zucchi a cura di, Museums & Society. Sguardi interdisciplinari sul museo, Pisa 2019. Tali considerazioni sono scaturite anche in seguito al lavoro svolto da Glenda Galeotti in corrispondenza dell’Ecomuseo del Casentino dove ha svolto una ricerca sull’impatto socio-culturale dell’istituto culturale rispetto al proprio territorio di azione attraverso la somministrazione di una serie di questionari a diverse tipologie di interlocutori. Nello specifico, le evidenze raccolte dall’indagine hanno messo in luce i principali apprendimenti, in termini di competenze acquisite da volontari, responsabili dei nodi della rete ecomuseale, esperti ed imprenditori che circuitano intorno all’Ecomuseo.
[6] http://www.ecomuseo.casentino.toscana.it/atlante-del-patrimonio-immateriale
[7] Questa espressione, particolarmente felice, che ben illustra lo stato attuale di quiescenza in cui versano molti musei Dea ma anche la loro condizione di possibile nuovo risveglio e ritorno in attività, la si deve a Pietro Clemente durante una lezione tenutasi presso l’Università di Bologna il 19 febbraio 2020.
[8] Nella stessa storia dell’ecomuseo del Casentino si è assistito a trasformazioni sostanziali. Questa dinamicità tuttavia, richiamata nello stesso regolamento, fatta di mutazioni sociali, tensioni, ricerche di soluzioni, non può che rappresentare, a buon vedere, una spia di buona salute del progetto.
[9] L’incontro è avvenuto via web il 25 maggio 2020 su proposta dell’Ecomuseo di Parabiago.
[10] http://www.ecomuseocasilino.it/
[11] https://www.facebook.com/groups/ecomuseo.coheritage/
[12] http://www.ecomuseocasilino.it/2020/05/12/programma-virtual-walks-ecomuseo-casilino/
[13] https://www.ecomuseoficana.it/le-erbe-che-calpesto-passeggiate-virtuali-al-tempo-del-coronavirus/
[14] https://mailchi.mp/98189c0f3ee8/gruppo-mappe-virtuale-5057789
[15] http://www.lagodorta.net/scheda.asp?contID=333
[16] https://sites.google.com/site/ecomuseidellalombardia/home/noirestiamoacasa?authuser=0
[17] https://www.youtube.com/channel/UCDI3N66nrlmdWm6gjp37G-A/videos
[18] https://www.giralacomevuoi.com/
[19] www.vallidiargenta.org
[20] https://www.ecomuseolagorai.eu/news/lalfabeto-dellecomuseo/
[21] https://mailchi.mp/ee0ff4b2eeb5/oggetti-ritrovati-5032881
[22] https://www.terradelcastelmagno.it/dai-babaciu-in-miniatura-un-aiuto-per-affrontare-lemergenza-covid-19/
[23] https://mailchi.mp/d5766709348a/nuovo-corso-di-cesteria-4770993
[24] https://mailchi.mp/b51d9f804cd6/paniere-solidale-5047785
[25] Raffaella Riva, architetto, è dottore di ricerca in “Design e tecnologie per la valorizzazione dei beni culturali”, e ricercatrice di Tecnologia dell’architettura presso il Politecnico di Milano (Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle costruzioni e Ambiente costruito). Da anni partecipa attivamente nell’ambito della comunità di pratica degli ecomusei italiani.
[26] Si sono registrate circa 35.000 visualizzazioni a settimana della pagina facebook Ecomuseo del Casentino.
[27] http://www.ecomuseo.casentino.toscana.it/node/77
[28] https://www.reterurale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/20918
[29] http://ecomuseo.casentino.toscana.it/pratomagno
[30] Giampiero Lupatelli, Fragili e Antifragili – Territori, Economie e Istituzioni al Tempo del Coronavirus 5.0. CAIRE Consorzio Reggio Emilia 2 Giugno 2020
[31] http://www.ecomuseo.casentino.toscana.it/festasaggia

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 Andrea Rossi, laureato in architettura, con indirizzo in Tutela e Recupero del Patrimonio Storico-Architettonico, ha indirizzato la sua ricerca e la sua esperienza professionale nella valorizzazione e salvaguardia del patrimonio materiale e immateriale e nella realizzazione di progetti di sviluppo locale nell’ottica della sostenibilità. Tra i fondatori di “Mondi Locali”, la “Comunità di Pratica degli Ecomusei Italiani”, attualmente partecipa al gruppo di coordinamento della Rete italiana degli ecomusei. Dal 2004 è coordinatore dell’Ecomuseo del Casentino per conto dell’Unione dei Comuni Montani del Casentino.

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