il centro in periferia
di Andrea Del Duca, Laura Minacci, Elena Poletti Ecclesia
Inquadramento territoriale
I territori piemontesi a oriente del fiume Sesia, corrispondenti in gran parte alle attuali province di Novara e del Verbano Cusio Ossola, furono tra le acquisizioni territoriali più recenti del Regno di Sardegna. In particolar modo l’Alto Novarese fu ceduto allo Stato sabaudo con il Trattato di Aquisgrana del 1748, benché il processo di inclusione si sia concluso nel 1767 con la cessione ai Savoia del principato della Riviera di San Giulio, che il Vescovo di Novara possedeva come signoria territoriale dal 1219.
Come si comprende da questo breve excursus storico prima del XVIII secolo l’attuale Piemonte orientale rientrava, seppur nell’ambito di una complessa e nel tempo mutata organizzazione politico-amministrativa, nei territori lombardi. Questa situazione dal punto di vista culturale si riscontra fin da epoche preistoriche e ha lasciato un’impronta profonda sul territorio. Non solo dal punto di vista linguistico i dialetti dell’area rientrano tra quelli lombardi, ma molti aspetti della cultura, delle tradizioni, dell’architettura e delle relazioni economiche risentono della vicinanza della Lombardia.
La presenza di una complessa rete di vie d’acqua che confluiscono sul Verbano, connesso tramite il Ticino al fiume Po e la rete dei navigli a Milano, oltre a favorire gli scambi commerciali fin dall’Età del Ferro, ha permesso lo sfruttamento di una importante risorsa del territorio. La pietra, in numerose tipologie e varietà, abbonda nell’area ed è stata oggetto di sfruttamento sin da epoche antiche. A titolo di esempio si possono citare il marmo di Candoglia nel comune di Mergozzo, utilizzato ancora oggi per il Duomo di Milano; il serpentino di Oira, sul lago d’Orta, utilizzato fino al XVII secolo sempre nel Duomo di Milano; o la pietra ollare della Valle Vigezzo impiegata per la realizzazione di strumenti atti alla conservazione e alla cottura dei cibi.
La prossimità coi passi alpini e forse quella naturale versatilità degli uomini di montagna che non potendo contare su un’agricoltura particolarmente ricca finiscono con l’essere versatili nelle arti e nell’artigianato, ha fatto di quest’area una zona storicamente di forte emigrazione. Accanto ai trasferimenti definitivi nei vari continenti, una notevole rilevanza ebbe quella che potremmo definire un’emigrazione stagionale, con gli uomini all’estero per molti mesi all’anno per svolgere i più svariati lavori. In questi casi le mogli erano impegnate non solo a portare avanti un’agricoltura di sussistenza, ma spesso a gestire in modo oculato i risparmi accumulati con le rimesse dell’emigrazione, rappresentando talora anche gli interessi familiari nelle adunanze locali. Risparmi che in molti casi divennero capitali oculatamente investiti in nuove imprese economiche, con una sorprendente capacità di cedere fiorenti rami produttivi per intraprendere nuove e più promettenti attività.
Ancora la disponibilità di acqua fu alla base di un precoce sviluppo industriale, che a partire dal Settecento vide un fiorire di attività produttive basate sull’energia idraulica. Cartiere, tornerie per il legno, i metalli e la pietra, industrie tessili e metallurgiche si moltiplicarono sfruttando anche la disponibilità di manodopera a costi contenuti e fornendo un’alternativa concreta all’emigrazione. Con la fine dell’Ottocento alla forza idraulica si aggiunse quella elettrica, prodotta dalle numerose centrali idroelettriche sorte sul territorio, tra le prime in ambito nazionale.
Gli ecomusei di quest’area presentano le caratteristiche del patrimonio culturale e ambientale del territorio con un forte taglio diacronico, dove i reperti studiati dall’archeologia diventano occasioni per riflettere e comprendere le tradizioni, gli usi e i costumi di popolazioni che fin da epoche remote hanno saputo adattarsi all’ambiente e trasformarlo secondo le proprie esigenze. Cultura materiale e immateriale sono narrate, anche mediante un importante coinvolgimento delle scuole, nel contesto di un paesaggio in cui gli elementi visibili rimandano a stratificazioni storiche sedimentatesi nel corso dei secoli in un mosaico di grandiosa complessità.
Un paesaggio, questo, dove può capitare di incontrare una chiesa romanica edificata sui resti di una villa romana con riscaldamenti a pavimento situata a breve distanza da aziende, fondate da peltrai e scalpellini, che nel XXI secolo producono impianti per la climatizzazione degli edifici. E questo è solo uno dei possibili esempi che si possono trarre da un territorio di grandissima ricchezza culturale.
L’Ecomuseo del lago d’Orta e Mottarone (Ecomuseo Cusius)
L’idea di un ecomuseo del lago d’Orta fu presentata per la prima volta nel 1994 in un convegno a Pettenasco. L’anno successivo la Regione Piemonte approvò la prima legge in materia di ecomusei (L.R. 31/95) e avviò parallelamente un’azione di promozione turistica in rete del lago d’Orta che mostrò le potenzialità di una messa a sistema del ricco patrimonio culturale locale.
Da queste premesse il 14 maggio 1997 nasceva l’Associazione Ecomuseo del Lago d’Orta e Mottarone, costituita da enti pubblici e privati mossi dalla volontà di dar vita ad un ecomuseo del Cusio, del Mottarone e della Val Strona. L’associazione fu operativa fin dalla stagione estiva 1997 con la prima edizione di “Musei Aperti”, che mise in rete i musei del territorio garantendone apertura e promozione. L’anno successivo il Consiglio Regionale istituiva l’Ecomuseo del Lago d’Orta e Mottarone riconoscendone come soggetto gestore l’associazione omonima.
I primi anni furono dedicati a
- promuovere l’ecomuseo sul territorio e all’esterno attraverso operazioni di comunicazione e marketing (adozione di un’immagine coordinata, organizzazione della proposta culturale su tre temi, sviluppo del sito internet e dell’ufficio stampa);
- rafforzare la collaborazione dell’ecomuseo con gli altri attori territoriali (enti pubblici, privati e singoli cittadini), senza considerare l’adesione all’ecomuseo stesso quale condizione privilegiata e pregiudiziale;
- attivare la collaborazione con altre realtà esterne al territorio (laboratorio ecomusei, università, musei, ecomusei, ecc.) al fine di creare “reti lunghe”;
- sviluppare attività rivolte alle scuole come priorità strategica di medio lungo termine per l’ecomuseo, per la valenza educativa delle generazioni future;
- promuovere attraverso attività di ricerca, conservazione, animazione la conoscenza del patrimonio culturale rivolgendosi in prima istanza alla popolazione locale, intesa come insieme delle persone che vivono il territorio, ma che non necessariamente vi risiedono;
- rendere l’ecomuseo un soggetto autonomo, affidabile ed efficiente, in grado di proporsi quale soggetto coordinatore ideale tra i soggetti ordinatori (Regione, Enti Locali) e i soggetti proponenti (attori culturali locali);
- dotare l’ecomuseo di uno staff di collaboratori in grado di gestire le attività.
La prima rete di musei fu ampliata anche grazie alla creazione di nuovi siti che ad oggi sono Museo Arti e Industria Forum Omegna, Museo degli alberghieri di Armeno, Museo del lavoro della Valle Strona, Museo del Rubinetto e della sua tecnologia di San Maurizio d’Opaglio, Museo dell’Arte della Tornitura del Legno di Pettenasco, Museo dell’Ombrello e dal Parasole di Gignese, Museo della Latteria Turnaria di Casale Corte Cerro, Museo etnografico e dello Strumento musicale a fiato di Quarna Sotto, Museo Rodari di Omegna, Spazio Museale Palazzo Tornielli di Ameno, Antiquarium e Minimuseo “Felice Pattaroni” di Gravellona Toce, Centro Museale geologico “M. Bertolani”, Fondazione Calderara a Vacciago di Ameno, Giardino Botanico Alpinia.
Questa attività di radicamento sul territorio portò nel 2005 i comuni del lago, in gran parte già soci, a individuare nell’ecomuseo lo strumento tecnico operativo per sviluppare una nuova progettualità di cui il territorio cominciava ad avvertire la necessità. L’idea di creare un percorso di trekking ad anello attorno al lago d’Orta incontrava l’azione dell’ecomuseo sempre più incentrata sulla valorizzazione anche di quanto stava fuori dai musei, fossero chiese, edifici civili, giardini privati, laboratori artigianali e le relazioni tra questi luoghi e il contesto visibile nel paesaggio. Facendo da tramite tra le esigenze degli enti locali e le proposte di un giovane appassionato che stava mappando i percorsi sul territorio, nasceva “Girolago, i sentieri del lago d’Orta”, progetto che portava di lì a poco alla realizzazione dell’Anello Azzurro del Girolago, un percorso di circa 40 km interamente segnalato sul territorio.
Contemporaneamente veniva avviata un’azione di animazione rivolta al pubblico denominata “Scopriamo Girolago” basata su uno slow walk, con voluta allusione alla celebre iniziativa gastronomica, mirata a gustare il territorio attraverso una camminata di gruppo guidata con momenti dedicati a visite guidate, musica, danze, spettacoli e assaggi di prodotti locali. Se all’epoca era raro vedere persone camminare sui sentieri e le centinaia di “girolaghini” destavano grande curiosità, attualmente una buona parte dei percorsi del territorio è frequentata sia a piedi che in mountain bike. Merito certamente anche di iniziative sorte successivamente, sia per iniziativa di amministrazioni locali che di privati. Azioni previste e incoraggiate da Girolago come ricadute positive del progetto.
Nel 2014, anche in questo caso seguendo lo stimolo di un privato, un giornalista tedesco da anni villeggiante sul lago, l’ecomuseo avviava un nuovo filone progettuale basato sulla riscoperta della storia ambientale del lago d’Orta. “Morto” per inquinamento negli anni Venti del Novecento, il lago era “risorto” nel 1989 grazie a un’azione di bonifica, detta liming, studiata in tutto il mondo. In occasione dei 25 anni dal liming fu avviata un’azione di riscoperta di questa storia indirizzata sia ai visitatori che, soprattutto, alla comunità locale, che l’aveva dimenticata. La riscoperta di questa vicenda ha portato a numerose iniziative sia di tipo culturale che scientifico, con una generale ripresa anche dell’attività di monitoraggio del lago che si stava esaurendo per il venir meno dell’interesse e delle risorse.
Nel 2017, nell’ambito di un convegno organizzato da Ecomuseo si cominciò a parlare dell’ipotesi di un Contratto di Lago del Cusio, che già nel 2018 vedeva la stesura di un protocollo di intesa da parte di 84 soggetti pubblici e privati, con l’ecomuseo nel ruolo di soggetto facilitatore. Nel novembre 2021, superati anche i processi amministrativi previsti dalle leggi regionali in materia di Contratti di Fiume e di Lago, il Contratto di Lago veniva così firmato da oltre 130 soggetti, ciascuno dei quali impegnato a realizzare almeno un’azione, coordinata con le altre all’interno di un Abaco delle Azioni condiviso, a favore dell’ambiente e del territorio su quattro tematiche definite che costituiscono la cornice strategica degli interventi previsti.
L’Ecomuseo non ha peraltro abbandonato le iniziative precedentemente avviate, rafforzando piuttosto la propria attività e il riconoscimento sul territorio. Nel 2022, dopo due anni di pandemia in cui si è lavorato al rafforzamento di settori strategici (comunicazione, progettazione, fundraising), l’Ecomuseo del lago d’Orta e Mottarone compie 25 anni e nella sua storia mostra la vitalità e la versatilità di un concetto, quello di ecomuseo, che a oltre 50 anni dalla sua prima enunciazione, conserva una straordinaria capacità di adattarsi alle situazioni, stimolando nuovi modi per valorizzare il patrimonio culturale e ambientale, facendo della memoria condivisa le radici su cui le comunità possono progettare insieme il loro futuro.
Ecomuseo della Pietra Ollare e degli Scalpellini di Malesco
L’Ecomuseo della Pietra ollare e degli scalpellini, denominato in dialetto locale “Ed Leuzerie e di Scherpelit” è il fiore all’occhiello del Comune di Malesco, borgo montano di quasi 1500 abitanti che si trova in Valle Vigezzo, sulle Alpi piemontesi, tra Domodossola e la Svizzera. Comune del Parco Nazionale della Val Grande, nel 2007 ha ottenuto il riconoscimento di Bandiera Arancione dal Touring Club Italiano.
Il fil rouge è la pietra e in particolar modo la pietra ollare, utilizzata fin dall’antichità per la realizzazione di manufatti di varia natura, di uso domestico ma anche architettonico e urbanistico. L’Ecomuseo, riconosciuto dalla Regione Piemonte nel 2007, (grazie alla L.R 31/95), tutela il ricco patrimonio culturale, ambientale e tradizionale di Malesco e delle frazioni, Finero e Zornasco.
La ricchezza del territorio è stata da sempre la pietra, unita al lavoro degli scalpellini. L’ambiente è caratterizzato da monumenti scenografici naturali (le marmitte glaciali della Cascata della Loana e i giacimenti di Pietra Ollare e di Marmo) e dalla costante presenza di un’architettura particolare. L’eccezionale resistenza al calore ha fatto della pietra ollare il materiale principe per la fabbricazione di camini, stufe e laveggi, presenti anche tra i reperti custoditi nel Museo archeologico.
La facilità nella lavorazione ha reso la pietra ollare ideale per la produzione di colonne, capitelli, architravi, fontane, pavimenti, tubazioni, vasi e contenitori, battisteri, obelischi.
La storia dell’ambiente antropizzato è la storia del mestiere antico dello scalpellino la cui
attività è testimoniata anche nell’architettura con i suoi tetti in piode, i pavimenti, i lastroni per le strade, le mulattiere, i lavatoi, il campanile, le balaustre delle chiese e altri manufatti.
Tre le cellule museali incluse nel patrimonio ecomuseale:
- Museo archeologico del Parco Nazionale Val Grande:
L’edificio di origine medioevale che ospita oggi il museo, fu nel tempo Tribunale Vigezzino dell’Inquisizione, Palazzo della Pretura, dimora di importanti famiglie e verso la fine del ‘800, fu acquistato dal Comune per farne una latteria turnaria. Delle due sezioni presenti, quella archeologica, testimonia lo sfruttamento e l’uso della pietra ollare nel corso dei secoli e ospita interessanti reperti provenienti da diverse necropoli vigezzine, la maggior parte dei quali rinvenuti a Craveggia.
La sezione geologica, inaugurata nel 2013, pone l’attenzione, in seguito anche al riconoscimento da parte dell’UNESCO del Sesia-Val Grande Geopark, sui fenomeni geologici del territorio (data la presenza di strutture tettoniche rilevanti come la linea Insubrica, linea del Canavese in questa zona) valorizzando la cultura della pietra: l’estrazione e lavorazione della pietra ollare e lo sfruttamento delle fornaci per la produzione di calce.
- Mulin dul Tač
Questo mulino è il più grande dei circa cinquanta esistenti nei primi decenni del secolo scorso in Valle Vigezzo. L’edificio di costruzione secentesca, a partire da metà ‘800, passò di proprietà a due famiglie vigezzine ed infine alla famiglia Jelmoli che per tre generazioni trasmise al primogenito, il mestiere. All’ultimo, Francesco, soprannominato Tač, si deve il nome. Questo mulino rappresentava il luogo di lavoro, ma anche la casa del mugnaio che oltre alla macinatura delle granaglie si occupava della manutenzione dei rotismi. Il fabbricato ospita anche una piccola stalla e oltre alla sala con tre macine dedicate alla lavorazione dei cereali, espone una quarta macina utilizzata come frantoio per sfibrare la canapa.
- Il lavatoio di Malesco
Il lavatoio storico presenta una mostra permanente dedicata a Giovan Maria Salati: primo uomo nella storia ad aver attraversato a nuoto la Manica nel 1817. Una lapide nella sua casa natale ricorda l’impresa del giovane maleschese, soldato di Napoleone che catturato dagli inglesi e fatto prigioniero a Dover, riuscì a fuggire, raggiungendo la Francia a nuoto.
Questi sono alcuni dei punti di interesse dell’Ecomuseo che comprende inoltre una serie di edifici storici (Casa della Vicinanza, Ex Ospedale Trabucchi, Casa Mellerio), luoghi comunitari (oltre al Mulino, due lavatoi, la latteria citata in precedenza, presente nel Palazzo che oggi ospita il Museo archeologico), beni artistico-religiosi che includono il complesso della chiesa parrocchiale e i luoghi sacri, sparsi sul territorio.
Da non dimenticare il patrimonio archeologico e geologico, i siti di interesse minerale o naturalistico (ad esempio, le fornaci per la lavorazione della calce, i “laghetti del marmo”, i luoghi di estrazione della pietra ollare, l’acqua termale, l’Oasi del pian dei Sali), gli itinerari della Resistenza e i monumenti commemorativi e per finire gli affreschi e gli orologi solari. Rientrano nel patrimonio ecomuseale, i beni immateriali tra cui mestieri, saperi e tradizioni; nel caso specifico di Malesco, potremmo citare i runditt, il Carnevale storico maleschese, il dialetto, la matuzinaa.
L’Ecomuseo lavora in sinergia con associazioni ed enti, adattando il proprio operato ai bisogni della comunità e diventando così strumento di sviluppo sociale e culturale. Definito da Nadia Caretti (che ha svolto attività di ricerca in diversi ambiti ecomuseali), una sorta di “cassetta degli attrezzi”, a disposizione della popolazione. Sono nate così collaborazioni nella gestione di servizi, nella realizzazione di eventi e nell’attività di ricerca. Per citare alcuni esempi, ricordiamo le iniziative legate al recupero della lavorazione della canapa, collegate al mulino, il lavoro di archiviazione avviato con il comitato Carnevale oppure i corsi di dialetto con la Proloco del paese.
La realtà ecomuseale si inserisce a volte in progetti già esistenti con un’azione di supporto, come nel caso del Gruppo teatrale di Malesco, il quale interessato ad approfondire la ricerca sul grecista e uomo di teatro, Ettore Romagnoli, ha sviluppato un vero e proprio progetto, coinvolgendo l’Ecomuseo. Sono stati realizzati una mostra, un opuscolo della collana “Quaderni dell’Ecomuseo”, e si sta lavorando all’allestimento di un’opera teatrale.
L’attenzione al passato con uno sguardo al futuro, fanno sì che l’operato ecomuseale sia sempre in divenire. Negli anni scorsi si è assistito alla nascita dell’Accademia dei Runditt che si occupa di tutelare un prodotto culinario della tradizione e che è stata istituita in seguito ad una serie di incontri rivolti alla popolazione, voluti dal Comune e dall’Ecomuseo. Oggi tale Associazione ha ottenuto il riconoscimento di Comunità del cibo di Slow Food e il marchio De. Co dal Comune di Malesco. Il raggio d’azione dell’Ecomuseo spazia inoltre dalla didattica, agli eventi di natura ricreativo-turistica e da anni si occupa del Festival internazionale Malescorto, giunto alla 22a edizione e che raggruppa cortometraggi provenienti da tutto il mondo.
Ecomuseo del Granito di Montorfano
Le tematiche ecomuseali sviluppate dall’Ecomuseo del Granito di Montorfano, che si estende sul territorio comunale di Mergozzo, ma che considera nelle proprie azioni anche il vicino bacino geologico del granito di Baveno attorno al Golfo Borromeo sul Lago Maggiore, prendono spunto da quella che è stata per secoli la principale risorsa economica di questo comprensorio: il granito, appunto. L’approfondimento storico e la raccolta di testimonianze delle cultura materiale dell’attività estrattiva si avviano fin dagli anni Settanta, grazie ad un dinamico gruppo di volontari, riuniti in associazione (Associazione per la ricerca e la conservazione dei reperti archeologici, valori artistici storici e bibliografici di Mergozzo), che pubblica il volume Ossola di pietra nei secoli, la prima ricerca collegiale che fa il punto sulla storia dell’attività estrattiva ampliando l’analisi ad aspetti etnografici e di cultura materiale. Contemporaneamente vengono raccolti presso la comunità locale strumenti e reperti che costituiscono la sezione pietra allestita nel 1979 presso l’Antiquarium (poi divenuto Mu.Me. Museo Archeologico Mergozzo dal 2004).
Negli anni Novanta il tema è al centro dell’attenzione, oltre che dei volontari cultori delle tradizioni locali, dell’Amministrazione comunale di Mergozzo e dell’Ente Parco Lago Maggiore, i quali, a conoscenza della legge regionale che promuove gli ecomusei (L.R. 31/1995), avviano le attività di concertazione tra enti e comunità locale per costituire un Ecomuseo del Granito a Mergozzo, presentando nei primi anni 2000 tale candidatura. Il riconoscimento regionale arriverà nel 2007.
All’arrivo del riconoscimento il quadro organizzativo iniziale era parzialmente cambiato, poiché nel frattempo il Comune di Mergozzo si era dotato di un nuovo presidio culturale modernamente organizzato, il Mu.Me. Civico Museo Archeologico, raccogliendo l’eredità del precedente Antiquarium. Il coordinamento delle attività per “costruire” il concetto di Ecomuseo e fare animazione culturale sul tema viene gestito dal Comune insieme all’ente museale, sempre affiancato dall’Associazione citata.
Le prime attività sono state rivolte a creare consapevolezza nelle varie componenti della comunità locale in quanto parte di un “Ecomuseo”, che è fatto non solo di beni, luoghi, percorsi, ma soprattutto di persone, memoria, saperi e cultura immateriale. Vengono quindi proposte iniziative ambientate negli antichi luoghi di estrazione e in particolare nel borgo di scalpellini di Montorfano. Sono realizzati, con la collaborazione delle scuole locali che fanno opera di raccolte delle testimonianze presso le famiglie, i primi strumenti di presentazione (depliantistica, percorsi guidati sul territorio con pannelli, sito internet). Viene così messo pienamente a fuoco l’Ecomuseo del Granito, che coinvolge il territorio di Mergozzo (VB) e i dintorni (dal 2017 è formalizzata la collaborazione con il Comune di Baveno), comprendendo le aree estrattive dei graniti bianco di Montorfano, verde di Mergozzo, rosa di Baveno e del marmo rosa di Candoglia. Ne è fulcro il Montorfano, rilievo isolato nella piana del fiume Toce nei pressi del Lago Maggiore e di Mergozzo, all’imbocco della Valle Ossola.
L’Ecomuseo del Granito è dunque terra di pietra, in cui il paesaggio coniuga la trasparenza delle acque lacustri e fluviali all’imponente presenza dei massicci rocciosi, ed è terra millenaria, con le tracce archeologiche risalenti all’età della pietra e conservate nel Mu.Me. Civico Museo Archeologico. In questo grande laboratorio a cielo aperto si possono osservare le testimonianze del mestiere dei cavatori di oggi e le tracce delle lavorazioni antiche nelle cave dismesse, con un paesaggio che declina la pietra nelle diverse tipologie edilizie tradizionali, nei terrazzamenti a coltivi, nei manufatti, nella rete delle fortificazioni militari della “Linea Cadorna”, nella viabilità minore di collegamento (sentieri, “vie di lizza”), nelle emergenze orografiche frequentate come palestra di roccia. Si possono inoltre comprendere le relazioni instaurate nel tempo con le comunità limitrofe (Fondotoce, Feriolo, Baveno e Gravellona Toce), da cui proveniva la maggior parte della manodopera impiegata nelle cave.
Ma la pietra non rappresenta solo un passato da valorizzare, ma anche un presente con i relativi risvolti economici: nel territorio ecomuseale tre sono le cave ancora attive, una di granito bianco sul Montorfano, una di granito rosa sul Monte Camoscio a Baveno, una di marmo rosa a Candoglia, da secoli interamente destinata alla costruzione e manutenzione del Duomo di Milano.
Dal 2019 l’Ecomuseo si è inoltre arricchito di una nuova cellula, l’antica Latteria di Mergozzo, recuperata grazie ad un progetto finanziato su Bando Cariplo Emblematici Minori come spazio polifunzionale per iniziative culturali e laboratoriali. Le attività ecomuseali dal 2017 sono proposte come vera e propria rassegna, con il titolo “La pietra racconta”. I luoghi di estrazione divengono palcoscenico per concerti, spettacoli e mostre d’arte diffuse. Le cave sono fruite tramite escursioni di diversa tipologia che vedono in campo collaborazioni con la Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano e con il Parco Nazionale Val Grande.
Sono inoltre attive collaborazioni anche al di fuori del territorio con Università, Soprintendenza e altri Ecomusei che hanno dato luogo a proposte di ampio respiro e valenza scientifica, quale, per ricordare una delle ultime e con stretto legame ai temi ecomuseali, il convegno “Lungo la via del Marmo” (2017 in occasione del decennale di istituzione dell’Ecomuseo del Granito). Durante i periodi di lockdown degli ultimi due anni si è fatta di necessità virtù sviluppando varie proposte a distanza, attraverso la piattaforma YouTube con l’apertura di un proprio canale. Si sono, inoltre, curate alcune campagne social, in particolare la serie #pietreinviaggio, con cui abbiamo raccontato le molteplici destinazioni raggiunte dai nostri marmi e graniti in tutta Italia e nel mondo. Attualmente stiamo sviluppando, grazie alla regia del Parco Nazionale Val Grande nell’ambito dell’Interreg “Museo più lungo del Mondo”, un nuovo polo culturale ed espositivo interattivo, Mu.Ma.G. (Museo del Marmo e del Granito), con il recupero di un edificio dei primi del Novecento (ex Asilo), in prossimità delle Cave di marmo di Candoglia, del percorso ciclabile del Toce e in stretto collegamento con altri siti e percorsi sul territorio.
Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022
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Andrea Del Duca, laureato presso la Statale di Milano con una tesi in archeologia, dal 1999 è Direttore dell’Ecomuseo del Lago d’Orta e Mottarone (Ecomuseo Cusius), Cusius. Dal 2009 è consigliere della Rete Ecomusei del Piemonte. All’interno del Coordinamento nazionale degli ecomusei ha partecipato alla stesura del “Documento strategico degli ecomusei”, che ha presentato al convegno internazionale ICOM “Musei e paesaggi culturali” (Milano 2016).
Laura Minacci, dal 2011 coordina le attività dell’Ecomuseo della Pietra Ollare e degli Scalpellini del Comune di Malesco (VB), è Responsabile organizzazione di MALESCORTO, Festival Internazionale di Cortometraggi. Ha lavorato in ambito turistico, sociale e culturale e come segretaria organizzativa in festival di cinema e di teatro.
Elena Poletti Ecclesia, archeologa e storica del territorio, è conservatrice del Museo Archeologico di Mergozzo dl 2004, coordinatrice dell’Ecomuseo del Granito dal 2010 e della Rete Museale Alto Verbano dal 2007. Come libera professionista si occupa inoltre di progettazione e comunicazione in campo museale, ecomuseale e culturale.
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