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“Gli invisibili”, ovvero la diaspora russa in Sicilia

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Casa Russa a Catania

di Oxana Fais

Su tutto il territorio della penisola italiana la Sicilia e la Sardegna sono le uniche regioni del Paese nelle quali storicamente, durante il Medioevo, non si sono registrate diaspore e migrazioni da parte dei popoli slavi. Tale fenomeno, infatti, ha interessato principalmente il Nord (Friuli-Venezia-Giulia), lievemente il Sud (Molise) e in misura frammentaria l’Italia centrale. In realtà, alla luce di un’analisi più dettagliata delle fonti, tale affermazione veicolante nella letteratura scientifica risulta inattendibile in riferimento alla Sicilia, territorio sul quale già dai primi secoli del Medioevo appaiono gruppi di slavi. Questi ultimi vengono menzionati per la prima volta da Ibn Hawqal, mercante, geografo e viaggiatore arabo del X sec., che in quel tempo visita molti Stati islamici, in particolare l’Imarah Saqqaliyya, o Emirato di Sicilia, fondato dai Berberi dopo la conquista dell’Isola nel IX secolo. Proprio nella capitale dell’Emirato, l’odierna Palermo, allora chiamata Madinat As Sigilliah (Ibn-Hawqal 1845), Ibn Hawkal scopre un compatto insediamento slavo dal nome «Schiavoni» (il toponimo esiste ancora), del quale non specifica né la collocazione territoriale né la composizione etnica degli abitanti (ibidem).

Nel XIX secolo questo argomento viene nuovamente affrontato dal filologo serbo Milan Rešetar, che conduce una serie di studi sul destino degli slavi in Italia, e dall’arabista Michele Amari. Il primo parla di un gruppo di serbo-croati stanziatisi a Palermo, evidentemente mercenari dei conquistatori berberi dell’Isola (Rešetar 1997: 26-27), che vivevano nel centro del quartiere arabo di Palermo, chiamato «Capo» (dal toponimo latino-arabo «Caput Seralcadi»), sebbene non escluda la possibilità che si possa trattare anche di schiavi di origine slava, prigionieri dei Saraceni, provenienti della costa adriatica: il toponimo «Schiavoni» potrebbe infatti derivare dal latino «Sclaueni», nome comune di tutte le tribù slave utilizzato dagli autori del primo Medioevo e del primo periodo bizantino, nonché dall’italiano «Schiavo» (ibidem: 27). La presenza slava viene confermata anche da M. Amari (Amari 1858, II: 176-179, 297)

Non è casuale questo interesse verso la sporadica presenza slava in Sicilia nel Medioevo. Dopo numerosi secoli di assenza di contatti della regione con il mondo slavo, la caduta dell’URSS dà inizio e continua ad intensificare la migrazione di massa dei popoli slavi, in modo particolare provenienti dall’Ucraina, dalla Bielorussia e dalla Russia, tutti definiti, fino a non molto tempo fa, «russi». Cosa rappresenta l’attuale diaspora russa in Sicilia? Nonostante l’elevata presenza russa sul territorio della Sicilia, il presente fenomeno, ad oggi, non è stato analizzato in modo approfondito né in Russia né in Italia. Gli studi da me condotti in loco e l’ausilio di materiale di prima mano raccolto in Sicilia fra gli anni 2016-2019 (ricerche, interviste, sondaggi ecc.) mi hanno consentito di mettere insieme degli appunti di un lavoro empirico di documentazione in grado di aggiungere un nuovo elemento al quadro delle diaspore russe oltre i confini della Russia.

Dal punto di vista terminologico occorre sottolineare che soltanto a partire dagli anni 2017-2018 in Sicilia la popolazione mediamente istruita riesce a comprendere la netta differenza fra persone provenienti dall’Ucraina e dalla Russia; nel linguaggio comune il termine «russi» non è più utilizzato per definire tutti i migranti russofoni provenienti dall’ex-URSS, ma prevalentemente per indicare i cittadini della Federazione Russa.

Il delineamento statistico di tale diaspora dà origine a una serie di problemi. Secondo i dati ISTAT, al 01.01.2019 in Sicilia il numero di cittadini provenienti dalla Federazione Russa ammontava a 1039, il che, stando alle stime ufficiali, costituiva lo 0,65% del numero complessivo di migranti regolari di diversa provenienza nella suddetta regione (200.022 persone). Tuttavia, bisogna precisare che i dati ufficiali non rispecchiano il reale stato dei fatti. Alla fine del 2016, infatti, al Consolato della Federazione Russa risultavano registrati circa 2.000 cittadini russi presenti su tutto il territorio della Sicilia, 502 dei quali residenti a Palermo. In realtà, stando a quanto dichiarato dagli stessi rappresentanti della diaspora russa, solo nella città di Palermo vivrebbero oltre 2 mila connazionali, mentre nel resto della Sicilia ne risiederebbero 16-17 mila in totale, cifra che, alla fine del 2019 sarebbe salita fino a 23-25 mila.

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Palermo, consegna attestati alle badanti russe, 2017

La diaspora russa in Sicilia è prevalentemente femminile (97%), ma ciò non rappresenta il suo unico tratto distintivo rispetto alle altre comunità di migranti, come si vedrà in seguito. Se analizziamo la composizione di tale fenomeno sociale, notiamo che essa può essere suddivisa in due gruppi. Nel primo rientrano gli immigrati in cerca di occupazione, i cosiddetti “labor migrants” che costituiscono il 35-40% di tutta la diaspora, molto di meno, ad esempio, della stessa categoria nella diaspora ucraina. Nella maggior parte dei casi (98,5%) si tratta di donne che lavorano in qualità di badanti, colf, collaboratrici domestiche, donne delle pulizie e tata o baby sitter.

La crescita della suddetta categoria di migranti si registra a partire dal 2018 ed è accompagnata da un radicale cambiamento non solo in termini numerici ma anche qualitativi. Inizialmente in questo gruppo rientravano soprattutto persone di media istruzione, appartenenti a ceti sociali bassi e provenienti da piccoli centri abitati russi. Attualmente, invece, notiamo un numero sempre maggiore di esponenti della classe media provenienti dalle grandi città della Russia europea, spesso laureate e anche con dottorati di ricerca. Occorre sottolineare che proprio a questo gruppo afferiscono gli immigrati irregolari. Negli anni 2015-2017 la loro presenza era concentrata maggiormente a Catania (più del 50%), Palermo (45%), Messina (15%), Agrigento (10%).

Attualmente le statistiche dimostrano una diminuzione del numero di migranti irregolari. Tuttavia, in alcune città della Sicilia, in modo particolare Palermo e Catania, il fenomeno dell’immigrazione illegale continua a persistere. Tali migranti irregolari vengono «importati» da diverse agenzie turistiche russe, ad esempio la «Virazh Plus» di San Pietroburgo, nonostante le autorità sia russe che italiane abbiano irrigidito i controlli sull’attività di organizzazioni di questo genere. Tuttavia a livello numerico prevale di gran lunga il secondo gruppo, quello del cosiddetto lifestyle migration. Pur trattandosi di un fenomeno migratorio molto diffuso, ad oggi non sono stati effettuati molti studi a tale riguardo. A prescindere dalla diffusione del termine, entrato in circolazione negli ambienti scientifici già da tempo, gli studiosi sono concordi nel ritenere che esso venga impiegato per definire un sottogruppo di migranti, le cui caratteristiche non sono ancora state ben approfondite e studiate. Si tratta di persone assolutamente abbienti, di norma provenienti da grandi città, per i quali il trasferimento all’estero è dettato non da problematiche di tipo socio-economico, come appunto per i migranti in cerca di occupazione, bensì dalla ricerca di una vita «migliore» qualitativamente parlando: ecologia, condizioni abitative, lavoro, studio, stabilità economica e politica, possibilità di crescita personale ecc.

Stando ai dati statistici formulati sulla base di diversi sondaggi, all’inizio del 2019 in Sicilia risiedevano circa 15 mila-16mila migranti russofoni appartenenti a questa categoria che, a sua volta, non risulta essere omogenea e, pertanto, si distingue in due sottogruppi. Nel primo rientrano giovani donne, molte delle quali laureate, coniugate con italiani / siciliani oppure divorziate, precedentemente coniugate e oggi collocate in uno stato di «semilibertà», impiegate nella maggior parte dei casi nell’ambito dell’assistenza ai turisti provenienti dalla Russia (guide turistiche, interpreti, mediatrici culturali, addette alla risoluzione di questioni di carattere giuridico e burocratico, persino ragazze escort che offrono ai propri connazionali servizi di carattere sessuale in modo più o meno velato). Questo sottogruppo costituisce il 50% di tutti i migranti lifestile, anche se la maggior parte di esse rientra nella categoria «mogli», il restante 9%, invece, appartiene alla categoria «single».

programma-settimana-russa-2018-low-resLa restante metà dei migranti lifestyle russi è costituita da persone del tutto benestanti che hanno diverse fonti di reddito stabile oltre i confini della Sicilia, e che di norma sono emigrati dalla Russia insieme alla propria famiglia. In alcuni casi si tratta di coppie sposate, trasferitesi all’estero con i propri bambini, ma nella maggior parte dei casi tale fenomeno interessa coppie di coniugi in età avanzata, che lasciano il proprio Paese da soli, senza figli, con lo scopo di «vivere un po’ per conto proprio». Il numero di persone appartenenti a quest’ultima categoria è aumentato in modo esponenziale: si è passati da 70 coppie nel 2016 a 310 coppie nel 2019, il che ci consente di definire tale tendenza un vero e proprio fenomeno sociale.

Nella parte continentale dell’Italia, e in modo particolare in Umbria e Toscana, un caso analogo a questo strato russofono “edonistico” è costituito da un piccolo gruppo di migranti lifestyle, benestanti, provenienti soprattutto da Gran Bretagna, Olanda, USA e Belgio. Si tratta di una sorta di happy few che, acquistando ville e proprietà abbandonate, si stabiliscono su nuovi territori, attratti da migliori condizioni di vita secondo il loro punto di vista: clima, cultura, storia, rapporti sociali. Inoltre, va sottolineato che i migranti appartenenti a tale categoria evitano di integrarsi, in modo del tutto volontario, con l’ambiente e il contesto circostanti e propendono per uno stile di vita dedito all’autoisolamento (Tucker 2007; Mayes 1997).

Fra gli “edonisti russi” in Sicilia si notano standard di comportamento del tutto simili: raramente essi si integrano nella società di accoglienza, evitando in modo consapevole ogni forma di confronto, e dichiarando esplicitamente il loro rifiuto ad adattarsi alle condizioni locali ovvero ad assimilarsi in questo nuovo contesto abitativo. Paradossalmente, il fatto che la Sicilia, da una parte, rappresenti una regione storicamente abbastanza stazionaria e refrattaria  in rapporto a innovazioni di qualsiasi genere, e dall’altra, che sia fondata sulla sua esperienza storica multiculturale e pluriconfessionale, costituisce un fattore abbastanza invitante per lo strato di migranti lifestyle. È del tutto esemplificativa la risposta di un intervistato appartenente a tale categoria, che ha preferito rimanere nell’anonimato: «A noi qui va bene tutto, i siciliani non ci danno fastidio e noi non abbiamo nessuna voglia di integrarci».

Tuttavia, prima di passare a dimostrare il livello di adattamento, integrazione e assimilazione dei migranti russofoni in Sicilia in un contesto culturale differente dal quello di partenza, è necessario ricordare alcune nozioni inerenti alle teorie migratorie. In primo luogo, si tratta della teoria dell’assimilazione segmentata. Basato sul modello «push-pull» di emigrazione (Lee 1966: 47–57), sulla teoria «classica» dell’assimilazione di Park e Gordon (Park 1975; Gordon 1964: 88–89), sulle conclusioni di P. Collier in riferimento ai tipi di relazioni che i migranti tendono a stabilire in un contesto culturale straniero (Collier 2014: 115), nonché sulla teoria del transnazionalismo, secondo la quale i migranti si adatterebbero alle norme, alle condizioni e ai requisiti della società locale a livello istituzionale, ma stringerebbero rapporti etnoculturali e linguistici esclusivamente nell’ambito della «loro» comunità  interattiva (Glick Schiller, Basch, Blanc-Szanton 1992: 1-4), il concetto di assimilazione segmentata (Portes, Rumbaut 1996; Portes, Zhou 1993) presuppone che il futuro adattamento di un migrante e la conseguente integrazione in un contesto “nuovo” dal punto di vista linguistico, culturale e comportamentale dipendano direttamente dal suo vissuto pre-migratorio e dal suo livello di “prestigio” nel tessuto sociale e relazionale precedente. A tale proposito occorre inoltre ricordare la ricerca condotta sul fenomeno migratorio russo in Austria da E. Holler, la quale, adattando i principi delle suddette dottrine al contesto oggetto delle proprie indagini, introduce il concetto di «transnazionalismo locale», che “funziona” principalmente a livello interattivo (mediante community auto-organizzate sui social network) all’interno di piccole comunità di migranti presenti sul territorio di specifiche città, e in misura minore a livello istituzionale (ad esempio attraverso le parrocchie della Chiesa ortodossa russa in Austria, che fungono da centri di raccolta dei fedeli e associazione dei migranti di lingua russa) (Holler 2018: 156-157).

Tornando all’argomento della diaspora russa in Sicilia, occorre valutare come e in quale misura la sua connotazione empirica si rapporti con gli studi teorici sopracitati. Apparentemente, le realtà studiate rientrerebbero nella categoria dell’assimilazione segmentata e dell’adattamento secondo la teoria del «transnazionalismo». Come confermano le stesse risposte da parte di cittadini russi intervistati in loco, essi non si considerano appartenenti né alla generica categoria dei «migranti in Italia», né a quella numericamente più esigua dei «migranti in Sicilia» ovvero dei «migranti in una concreta città della Sicilia», bensì a comunità più «ristrette». In questo modo è avvalorata la tesi sulla prevalenza dei legami consolidanti che stabilisce principalmente relazioni all’interno di gruppi compatti.

Ciò è dimostrato in modo convincente dall’esempio di alcuni migranti economici russofoni intervistati (60%), che sottolineano di essere «legati» prevalentemente a un particolare gruppo professionale, in base al carattere del lavoro che svolgono e alla specifica città in cui vivono. La scelta dei criteri prioritari della comunità viene effettuata sulla base di specifiche problematiche «localizzate», tenendo anche conto del livello di vita e dei valori della quotidianità.

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Settimana russa ad Agrigento

Tuttavia, le nostre ricerche sul campo hanno dimostrato che in Sicilia i legami reciproci tra lavoratori economici all’interno di una vasta comunità russofona non sono di fondamentale importanza. La maggior parte degli intervistati (63%) ha rivelato di non cercare incontri con i propri connazionali, nemmeno con coloro i quali svolgono attività lavorative affini, mentre il 57% ha sottolineato la mancanza di interesse a comunicare «con loro» via Internet. Allo stesso tempo, nel 92% dei casi i lavoratori economici russofoni intervistati hanno espresso un senso di nostalgia nei confronti della «lingua nativa» che spingerebbe loro a cercare contatti con i propri connazionali per poterla parlare. Inoltre si ha l’impressione che la prevalente maggioranza (il 78%) dei labor migrants russofoni non tenda all’integrazione e non compia alcun sforzo per essere accolta dalla società locale, rifiutando per giunta l’idea stessa della loro eventuale assimilazione per la sua assoluta inutilità, inclusa l’iniziazione all’apprendimento della lingua della regione del loro insediamento.

Da questo punto di vista le posizioni occupate dagli labor migrants e dagli immigrati lifestyle che rappresentano due poli estremi dell’autoisolamento dei russi in Sicilia e del loro rifiuto dei contatti con la comunià circondante, paradossalmente coincidono. In realtà nell’ambiente dell’èlite migratoria la linea dell’autoidentificazione segmentata si evidenzia in una maniera ancora più significativa. Questa categoria dei neoarrivati si considera e si presenta come parte integra di un’enclave particolare, in possesso di legami, valori e peculiari problematiche, di un circolo eletto, inventato e composto da loro, ossia di una comunità senza alcun “aggancio” né alle realtà locali (sociali, culturali, geografiche) né al contesto lasciato in Patria. Questa categoria fa parte dei rappresentanti meno socievoli della dispora; loro non sono inclini a mantenere legami nè con siciliani nè con i connazionali e riescono a cavarsela del tutto senza contatti sia con i primi che con gli altri; per dire di più, persino all’interno del loro stesso circolo i legami interpersonali, sia virtuali che quelli in real life non sono granchè intensi né solidi. Di conseguenza a questi processi di “autoisolamento” la dispora russa in Sicilia, nonostante la sua numerosità, risulta “invisibile” per la comunità accogliente.

La categoria delle “mogli” specialmente con figli si dimostra come gruppo più propenso alla frequentazione e all’assimilazione, da un lato, e alla conservazione della propria lingua e cultura, dall’altro. Sono proprio loro a dimostrare la maggiore attività nella protezione dei legami etnici e culturali all’interno della comunità russofona, nell’organizzazione dei gruppi “russi” online nei social e contemporaneamente, a livello istituzionale, nella creazione della comunità religiosa russofona con base nella chiesa, soprattutto perchè le chiese ortodosse così come le apposite parrocchie esistono già sia a Palermo che a Catania.

Non si può dire che le “mogli” abbiano un’esistenza del tutto facile in Sicilia – sono oggetto di irritazione e di invidia da parte delle altre connazionali, specialmente da parte delle immigrate “labor”, convinte che «le mogli abbiano ricevuto tutto senza alcuna fatica», al più sono chiuse nel circolo sociale determinato dal marito, spesso soffrono per la mancata possibilità di una loro crescita professionale in Sicilia, nonché per un dislivello culturale rispetto al marito (il 78% delle “mogli” russe in Sicilia sono non solo laureate, ma munite di titoli di dottorato). Inoltre per la diversità di mentalità ed educazione (sovietica nel caso loro, sicula ed occidentale nel caso dei coniugi), nonchè per le “regole del gioco” tradizionalmente esistenti nelle famiglie siciliane, diverse da quelle approvate nelle famiglie russe, le “mogli” spesso cadono in uno stato di stress (molto più spesso che in continente, secondo i dati d’inchiesta), aggravato dalla costante paura di perdere i figli lasciati al marito in caso di divorzio, – e dalla dichiarata «impossibilità di parlare la propria lingua».

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Palermo, turisti russi

E però sono proprio loro a contribuire volontariamente al consolidamento della comunità russa. La loro missione principale, secondo la loro valutazione, consiste nella formazione e trasmissione della lingua russa ai bambini “russi” indipendentemenete dal fatto si tratti di figli di immigrati arrivati con i genitori dalla Russia o da altre regioni dell’ex Unione Sovietica, o di figli mezzosangue nati già in Sicilia da matrimoni misti, poiché sia i primi che gli altri, a causa della mancanza dell’ambiente linguistico dominante, in uguale misura rischiano di esssere condannati alla perdita della propria lingua e cultura. Un certo aiuto in queste iniziative istruttive arriva dai Circoli Culturali Russi, che organizzano corsi di lingua russa. Lì dove queste strutture mancano, le mamme russofone si lamentano del fatto che l’unico canale di trasmissione di informazioni culturali e linguistiche per i bambini rimane quello familiare, non sempre affidabile, perché la sua efficacia dipende spesso non solo dalla disponibilità di tempo libero della madre, ma anche dal desiderio del padre siciliano di incoraggiare la conoscenza della lingua russa nel bambino. Dipende pure dalla volontà del padre la possibilità di registrare o meno presso il Consolato la cittadinanza russa del figlio avuto con una donna di cittadinanza russa.

Ma, per quanto possano essere fruttuosi gli sforzi delle “mogli” per radunare i migranti russofoni e trasformarli in comunità, le loro azioni, in primo luogo, non si estendono su tutto il territorio regionale e si concentrano nei singoli centri abitati in cui vivono e, in secondo luogo, le “mogli” non riescono sempre a contrastare lo spirito distruttivo di frammentazione e disintegrazione che permea tutta la diaspora russa in Sicilia. Questa estrema polverizzazione dei migranti provenienti dalla Federazione Russa e in genere da tutti i territori dell’ex-URSS, la loro, nella maggioranza dei casi, consapevole mancata volontà di mantenere legami all’interno della comunità sia a livello virtuale che a livello di prossimità fisica (il che, ad esempio, distingue radicalmente la diaspora «russa» da quella ucraina, molto più consolidata) rappresenta una caratteristica unica che non trova paralleli nelle altre comunità migratorie. Questo fatto è stato ripetutamente osservato da V. L. Korotkov, l’ex-Console della Federazione Russa in Sicilia e Calabria, personа che ha fatto parecchio per superare lo stato di frammentazione all’interno della diaspora. A parer suo, gli immigrati russi non compongono né una comunità né una diaspora, non solo a causa della dispersione della loro residenza, ma anche in virtù della mancanza di contatti tra di loro. In sostanza si tratta semplicemente di un insieme di russi immigrati, una sorta di molti «Ivan che non ricorda la parentela», secondo un proverbio russo.

Sembra che un tale modello della comunità “russa” sia presente non solo alla Sicilia. Lo scrive il sociologo italo-americano R. Gambino, che ha analizzato il grado di coesione delle comunità di immigrati italiani nel Vecchio e nel Nuovo Mondo, accernnando anche, se pur in una maniera molto superficiale, allo stesso fattore nel contesto delle colonie russe moderne e vecchie in Australia, negli USA e in America Latina. Secondo R. Gambino, l’alto indice di coesione dei russi in Uruguay e Paraguay non è tipico e non è indicativo: nel primo caso è stato motivato dal fattore religioso (in Uruguay c’era una colonia di russi composta dai rappresentanti di una setta religiosa), nel secondo ha funzionato lo spirito corporativo dei militari (in Paraguay sono rimaste le unità mililitari cosacche emigrate dalla Russia negli anni ‘20 del XX secolo). Le diaspore invece russo-sovietiche in Australia e a Brighton Beach (nonostante il fatto che l’ultima è dominata etnicamente da immigrati di origine ebraica) denunciano alti tassi di individualismo dei loro rappresentanti, nonchè la mancanza di spirito corporativistico e di solidarietà. Questo consente a R. Gambino di arrivare alla conclusione che la coesione determinata dal fattore di co-appartenenza etnica è, a quanto pare, inerente alle piccole nazioni, mentre quelle grandi dimostrano la mancanza di solidarietà interna e l’assenza di legami determinati dalle comuni radici etniche (Gambino 2000: 32, 114-116).

Rispetto al discorso del “segmentarismo” che caratterizza la coscienza e la mentalità della maggioranza degli immigrati russofoni in Sicilia occorre sottolineare che esso è aggravato da una radicale stratificazione sociale all’interno della diaspora che provoca un fortissimo senso snobistico di superiorità da parte degli immigrati più “realizzati” e di più alta istruzione nei confronti di quelli “più semplici” e “meno istruiti”. Di conseguenza i primi, che spesso fanno parte dei circoli culturali russi, frequentemente e apertamente dichiarono la mancata volontà di mantenere contatti con i connazionali, ricorrendo a motivazioni strettamente sociali.

La comunità russofona di Palermo è davvero la più disintegrata e dissociata in Sicilia. I locali circoli culturali russi (ad esempio, la “Sicilia-Russia”) si presentano più come una specie di club di èlite intellettuale impegnati a discutere vari aspetti della cultura russa – dalla cucina alla musica e pittura – ma non come eventuali centri di incontro e di aggregazione degli immigrati russi. Non è da escludere che con il tempo la chiesa di Sant’Alessandro dei Carbonai, parrocchia della Chiesa Ortodossa russa riconsacrata a Palermo (zona Cala) nel 2013, possa diventare centro di raduno per i russi fedeli e non.

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Palermo, chiesa di sant’Alessandro dei Carbonai

La multietnicità di questa comunità ecclesiastica (tra il clero e i parrocchiani ci sono russi, parte della diaspora dell’Ucraina occidentale, bielorussi, eritrei ortodossi, somali, siciliani, greci, serbi, zingari croati, macedoni, rumeni, bulgari, georgiani) non è in contrasto con la trasformazione della chiesa in un centro di sostegno e di concentrazione degli immigrati residenti a Palermo provenienti dalla Russia e dalle varie regioni dell’ex Unione Sovietica. Secondo le risposte dei russi intervistati di Palermo (59%), il tempio per loro è non tanto un luogo di culto, quanto un nucleo di cultura russa spesso frequentato solo allo scopo di «parlare e ascoltare la lingua russa».

Solo il caso di Catania rappresenta l’unico esempio di una consolidata comunità “russa”, nonostante la sua forte suddivisione sociale. La coesione ed integrità di questa diaspora è notevolmente determinata dall’unica provenienza dei suoi rappresentanti, tutti arrivati da città vicine dell’area nord-occidentale della Russia: Carelia, Gatchina, Tikhvin, Luga, Vologda. Ma sopratutto la comunità è cementata dalla politica scelta dai coniugi Pavlov, emigrati a Catania nel 2007. Fondando “La Casa della Russia” che diventò nucleo della colonia russa a Catania, i Pavlov misero sotto il proprio controllo tuti gli aspetti della vita degli immigrati russofoni in città – dall’organizzazione dei funerali dei connazionali deceduti in Sicilia all’aiuto nella ricerca di occupazione e nella legalizzazione dello status di permanenza di alcuni immigrati, dalla determinazione dei genitori biologici di bambini russi adottati da siciliani all’assistenza nella liberazione di connazionali caduti nei guai per responsabilità penali. I coniugi organizzano serate creative “russe”, concerti, il cui scopo comprende anche l’ampliamento del cerchio sociale di comunicazione dei migranti russi e la creazione per loro di un ambiente siciliano, il che per i Pavlov è vero segno di integrazione. Essi sono stati in grado inoltre di trovare un vero compromesso tra immigrati russi fedeli ed atei, riuscendo in questa maniera di evitare gli antagonismi e le tensioni che hanno logorato dall’interno l’eventuale unità della diaspora russofona a Palermo. Inoltre, i Pavlov, rendendo omaggio all’importanza della comunicazione nei social network, al fine di una maggiore unità della comunità russofona, creano sceneggiature che costringono gli immigrati a intensificare contatti in rete e la comunicazione «in vivo», così che a Catania vengono rimossi molti ostacoli nei contatti umani e si superano le incomprensioni sulla base di pregiudizi e intolleranze.

È significativo ed indicativo il fatto che i Pavlov, pur essendo professionalmente lontani dalla linguistica (Tatiana è infermiera, Andrea ingegnere in una società cantieristica), ritengono loro compito principale l’organizzazione di campagne culturali ed educative (scambi di studenti e docenti universitari russi e italiani in agraria e in linguistica; fondazione in Sicilia di scuole con l’insegnamento di lingua e cultura russa per bambini e adulti). Questa attenzione così grande che loro prestono alla lingua-madre e alla sua vitalità è basata sulla loro profonda convinzione che «finché c’è la lingua madre si conserva anche la comunità degli immigrati, senza la lingua cadremo nell’isolazionismo più profondo, la lingua è il nostro ultimo rifugio, purtroppo non ci lega più niente».

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Visita di scrittori russi a Taormina

Queste parole pur sentimentali hanno un valore altamente simbolico, poiché, con tutta la dissociazione degli immigrati russofoni in Sicilia, dispersi nella regione, con tutto il loro isolamento a volte provocato e stimolato da essi stessi, con tutta la “non corrispondenza” del caso russo ai concetti e criteri elaborati dalle teorie migratorie, con l’assoluta mancanza di desiderio da parte dell’enclave russofono di integrarsi, con l’instabilità di questa comunità priva di una forma definitiva in un ambiente alloetnico, alloglotto ed alloculturale, con tutta l’impossibilità di fare qualsiasi previsione per il futuro che la attende, si può affermare – sulla base dei risultati di questo studio – che la lingua russa non è solo il più efficace, ma anche l’unico fattore di identificazione e di coesione dei migranti russofoni al di fuori del loro Paese di esito.

In conclusione, è opportuno ricordare che «la diaspora diventa proprio diaspora russa e non un banale gruppo migratorio nè una semplice totalità di tutti gli esuli del Paese solo e quando tale riconosce, prende coscienza e riproduce la sua unità nel mondo esterno sulla base della principale caratteristica culturalmente distintiva, ovvero sulla lingua russa» (Tish’kov 2007). Per molte ragioni è difficile dire se in realtà esiste un’unità di migranti russofona in Sicilia e se il loro insieme può essere considerato una diaspora e se i suoi rappresentanti si rendono conto e prendono coscienza della loro appartenenza alla medesima comunità. Ma, consapevolmente o meno, questa unità oggettivamente si riproduce esclusivamente tramite e sulla base della lingua russa, la quale permette inoltre di allargare i margini del cosiddetto “mondo russo” includendovi soggetti non appartenenti etnicamente ai russi ma di madrelingua russa.

Le conclusioni della già citata E. Holler, fatte in base alle ricerche eseguite in Austria, consentono di affermare anche con riferimento alle realtà siciliane che, qualunque sia il percorso di sviluppo della comunità russofona in Sicilia – la via del consolidamento e trasformazione in comunità riconosciuta e riconoscibile o la via verso l’ulteriore frammentazione e indifferenziata indistinzione – gli immigrati russofoni hanno la possibilità di sceglierne una terza, la quale potrà condurli ad un diverso modello di convivenza diverso da quelli previsiti dalle teorie migratorie finora elaborate. Ma anche in questo caso un fattore decisivo rimarrà invariato ed intatto: la lingua (Holler 2018: 163).

Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020
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Oxana Fais, laureata in Etnologia presso la Facoltà di Storia dell’Università di Mosca (Russia); PhD in Storia ed Antropologia Culturale; attualmente Ricercatore Superior presso il Centro di Ricerche Europee ed Americane dell’Istituto di Etnologia ed Antropologia dell’Accademia delle Scienze Russe e docente universitaria presso l’Università delle Scienze Umanistiche (Mosca). Autrice di più 300 pubblicazioni in riviste scientifiche russe ed internazionali; e di interventi in numerose opere collettive, ha pubblicato, tra l’altro, Modernizzazione in Sardegna: Trasformazioni etno-culturali (Mosca, 2013) e La diaspora dell’Est in Sicilia (migrazioni dalla Russia, dall’Ukraina e dalla Belorussia) (Mosca, 2018).

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