di Ada Bellanova
Il 13 giugno 2024 mentre nel territorio di Fasano, a Borgo Egnazia, i grandi della Terra cominciano a confrontarsi sulle principali questioni globali e quindi anche su ambiente e ecologia, a poche decine di chilometri di distanza – siamo sempre nella provincia di Brindisi –, da un balcone al primo piano nel centro storico di Ceglie Messapica si vede spuntare una tenda diversa dalle altre. Originali questi inglesi, pensano i vicini, le vicine soprattutto, tutte donne avanti con gli anni, che si conoscono tra loro da sempre, da quando lavoravano la terra, tagliavano e cucivano o preparavano i biscotti. In effetti, originali questi inglesi, che scelgono una tenda da sole che pare un film, con immagini in bianco e nero su tessuto, un aereo che sta rovesciando qualcosa dall’alto, una donna, il suo volto e la sua mano con un dito indice che accusa – o suggerisce? –. Chi è quella donna? È famosa quella donna?
Premessa: una primavera silenziosa
«C’era una volta una città nel cuore dell’America dove tutta la vita sembrava scorrere in armonia con il paesaggio circostante. La città si stendeva al centro di una scacchiera di operose fattorie, tra campi di grano e colline coltivate a frutteto dove, in primavera, le bianche nuvole dei rami in fiore spiccavano sul verde dei prati. D’autunno le querce, gli aceri e le betulle si vestivano di un fogliame rosseggiante che lampeggiava come fiamma tra le scure cupole dei pini. Era quello il tempo in cui le volpi ululavano sulle colline e i daini scorrazzavano silenziosi nella campagna, seminascosti dalla bruma del mattino.
Lungo le strade, siepi di bosso e di alloro, ontani, felci giganti e fiori selvatici rallegravano l’occhio del viandante per buona parte dell’anno. Perfino d’inverno i bordi delle strade avevano una loro particolare bellezza, perché innumerevoli uccelli si abbassavano sulla terra per nutrirsi delle bacche e delle gemme rimasti sui rami sporgenti dalla neve. La regione era famosa, infatti, per l’abbondanza e la varietà degli uccelli che vi stanziavano, e, quando gli stormi migranti arrivavano e ripartivano in primavera e in autunno, la gente veniva da grandi distanze per assistere al loro passaggio. Altri visitatori venivano a pescare lungo i corsi d’acqua che scendevano limpidi e freddi dalle montagne; qui in punti ombrosi e profondi, le trote deponevano le uova. […]
D’improvviso un influsso maligno colpì l’intera zona, e ogni cosa cominciò a cambiare. La popolazione cadde sotto il potere di una diabolica magia […] Gli uccelli […] dov’erano andati a finire? Molta gente ne parlava con perplessità e sgomento; nei cortili non se ne vedeva più uno in cerca di cibo.
I rari uccellini che si potevano vedere erano moribondi; assaliti da forti tremiti non potevano più volare. La primavera era ormai priva del loro canto. Le albe, che una volta risuonavano del gorgheggio mattutino dei pettirossi, delle ghiandaie, delle tortore, degli scriccioli e della voce di un’infinità di altri uccelli, adesso erano mute; un completo silenzio dominava sui campi, nei boschi e sugli stagni» [1].
Questa fiaba nera dai toni apocalittici apre Primavera silenziosa della biologa Rachel Carson annunciando per il mondo reale l’avvento di un tempo senza cinguettii.
Chissà se libro e autrice passano ora inosservati agli amanti della fortunata serie sci-fi 3 Body Problem? Creata da David Benioff, D. B. Weiss e Alexander Woo e distribuita su Netflix di recente anche in Italia, la fiction è un adattamento del romanzo Il problema dei tre corpi, di Liu Cixin che nella prima parte già dà risalto al libro di Carson. In Cina ai tempi della Rivoluzione culturale, la giovane Ye Wenjie, figlia di uno scienziato ucciso dalle guardie rosse, si immerge nella lettura proibita del libro occidentale Silent Spring – il messaggio riassunto nella frase «in natura nulla esiste da solo» fa in tempo a colpirla e a sedimentare nella sua coscienza – e per questo viene punita.
Ma se il romanzo e la serie sono incentrati sul rischio che corrono intere civiltà, la cui sopravvivenza è messa a repentaglio da barriere tecnologiche e disprezzo ecologico, chi è allora Rachel Carson e perché il suo libro è così pericoloso ed è significativamente posto quasi in apertura?
All’origine di Silent Spring, uscito nel 1962, e delle lunghe ricerche che ne costituiscono il fondamento, c’è un’oasi privata a Duxbury nel Massachussets, dove la strage prevista nella fiaba iniziale c’è già stata. A dare l’allarme è nel 1958 Olga Owens Huckins: ha visto morire gli uccelli ospitati nel suo rifugio dopo una disinfestazione aerea contro le zanzare effettuata in tutta la zona con importanti quantità di DDT, l’insetticida che già da dodici anni viene irrorato in maniera selvaggia e indiscriminata su aree rurali, boschive e urbane degli Stati Uniti. Per questo la donna scrive una lettera al Boston Herald e ne manda una copia con nota all’amica biologa Rachel Carson, che si mette subito al lavoro, tanto più che le evidenze del pericolo si sono accumulate, e esistono, sebbene isolate, voci di dissenso. Si dedica allora allo studio attento di scopi e effetti collaterali di DDT e di molti altri agenti chimici impiegati massicciamente, con raccolta di dati, testimonianze e evidenze scientifiche. Lo fa in un’epoca in cui gli scienziati si sentono invincibili: ‘l’insect bomb’ è come la bomba atomica in un’epoca di arroganza e volontà di sopraffazione. Carson vede bene il rischio e denuncia inoltre la pericolosità di una tendenza della scienza all’iperspecializzazione e al particolarismo che ha come conseguenza una mancanza di considerazione per il contesto. Suolo, acqua, aria, piante e animali sono tutti collegati. Cercando di colpire le zanzare con il DDT si finisce con lo stendere ovunque e a tutto e tutti una terribile veste di Medea, altamente tossica:
«un mondo in cui le foreste incantate delle favole sono diventate foreste avvelenate, dove ogni insetto che mastica una foglia o succhia la linfa di una pianta rimane ucciso; dove una pulce punge un cane e muore perché il sangue del cane è avvelenato; dove un insetto può ricevere la morte dalle esalazioni di un albero che non ha mai toccato, e un’ape può tornare al proprio alveare con un nettare intossicato per produrvi miele velenoso» [2].
In natura nulla esiste da solo, per l’appunto. Vegetali o animali sono resi velenosi per colpire gli insetti che vi entrano in contatto, che ne succhiano succhi o sangue – proprio come la veste che la maga Medea regala alla futura sposa di Giasone mascherando da regalo ciò che è subdolo strumento di morte – ma, sfortunatamente, l’insetticida ottiene un raggio d’azione incredibilmente più vasto, proprio perché organismi animali e vegetali sono tutti strettamente collegati ed è un’illusione senza fondamento, non corrispondente al vero, la convinzione che gli uomini possano esserne immuni.
In tutto il libro, Carson si impegna a mettere in evidenza – ed è la prima a farlo – e delicate interdipendenze all’interno degli ecosistemi e avvisa delle conseguenze disastrose dell’eccesso umano. Nella sua ricerca sostiene che il DDT uccide non solo numerose specie di insetti, tra cui quelle benefiche come le api, ma causa anche problemi agli uccelli e ai mammiferi più grandi nella catena alimentare, compresi gli esseri umani. Le aziende chimiche ovviamente non sono mai state fan del suo libro. Eppure il pubblico ha accolto la sua ricerca e le sue parole hanno innescato un importante cambiamento nella percezione collettiva riguardo alla conservazione ambientale. E proprio il sostegno al suo libro nonché l’interesse da parte del presidente John F. Kennedy hanno addirittura invertito la politica degli Stati Uniti sul DDT.
Oggi insetticidi, pesticidi e veleni non sono più al centro del dibattito politico internazionale, e questo perché costituiscono un pericolo solo in aree economicamente svantaggiate. Ma il fatto che in alcune parti del mondo ancora il problema sia importante non dovrebbe essere sufficiente a tenere l’attenzione alta? E forse non si deve andare neppure così lontano per raccogliere notizie del perdurante rischio di un uso sistemico di insetticidi, anche di ‘nuova generazione’. È del 18 settembre scorso un articolo del Guardian in cui Butterfly Conservation chiede al governo britannico di dichiarare emergenza nazionale per la riduzione drastica del numero di farfalle e di vietare del tutto i pesticidi neonicotinoidi che uccidono in maniera indiscriminata gli insetti colpendo anche gli impollinatori: «Butterflies are a key indicator species; when they are in trouble we know that the wider environment is in trouble too. Nature is sounding the alarm call. We must act now if we are to turn the tide on these rapid declines and protect species for future generations» [3].
Il messaggio di Carson insomma non smette di essere attuale. Ma anche se si guarda ai grandi temi dell’agenda ambientalista, ovvero gas serra, riscaldamento globale, nuove forme di inquinamento come quello da microplastiche, scarsità di risorse, soprattutto idriche, tutte questioni che la biologa non poteva prevedere, l’insegnamento lasciato in Primavera silenziosa resta fondamentale «per il modo in cui ci invita a ragionare sui temi ambientali del presente: gli ecosistemi, le concatenazioni micidiali, il ragionamento fondato sui dati, la rivendicazione della bellezza, la presa di posizione politica. E la ricerca di soluzioni» [4]. Soprattutto per la ricerca di soluzioni, che non devono e non possono consistere in una pretesa arrogante e presuntuosa di controllo della natura ma piuttosto in modi sensati e sostenibili di influenzare l’ambiente, anche a nostro beneficio. E questo è possibile solo attraverso la conoscenza.
Ode to Rachel Carson e l’importanza del contesto
Sulla tenda di stoffa apparsa il 13 giugno in via Murigini, bianca stradina ottocentesca, sono il volto di Rachel Carson e la sua mano ad aprirsi un varco tra le immagini niente affatto rassicuranti degli aerei che spargono DDT sulle distese statunitensi. Due fotogrammi sono tratti dal documentario CBS andato in onda il 3 aprile 1963, a cui la biologa partecipò con grande calma e forza nonostante i trattamenti contro il cancro, poche settimane prima che il rapporto dei consiglieri di Kennedy corroborasse le principali affermazioni del libro e ne rafforzasse l’autorevolezza approfondendone l’impatto.
Autrice di Ode to Rachel Carson è Laura Malacart, visual artist italiana, inglese d’adozione, che attraverso video, fotografie, testo, installazioni multimediali e performance esplora questioni contemporanee relative a potere e etica, guardando con attenzione a esseri viventi umani e non umani e inquadrando esperienze escluse o marginali nelle narrazioni dominanti. La pratica artistica è per lei strumento per aprire dialoghi, già in fase di progettazione, ma anche al momento della fruizione. La scelta del particolare spazio per l’opera d’arte, perciò, è molto significativa. Nelle vie di un tempo dei paesi del Sud, soprattutto d’estate, porte, finestre, balconi restano aperti, permettono la comunicazione, lo scambio, l’incontro. Questo balcone, non solo o non tanto luogo espositivo ma soprattutto richiamo visivo per incuriosire e creare conoscenza, affacciato com’è sulla strada, spostato in avanti, va incontro ai passanti, richiama le loro teste a sbirciare uno schermo dal sole diverso dal solito, e cerca il contatto con il vicinato, per esempio con gli anziani contadini che abitano di fronte e riempiono i margini di piante verdi o con l’ancor più anziana Domenica che vive da sola, nonostante i novant’anni e più, e resiste nella stessa casa dove un tempo preparava i biscotti.
Per quanto The Balcony Project (@thebalconyprojectceglie) sia ora spazio aperto a nuove suggestioni, nuovi interventi, dopo che, alla fine dell’estate, la ‘tenda’ è stata conservata, l’implicita ma evidente volontà di aprire canali di conoscenza che ne costituisce il fondamento a me fa venire in mente proprio Rachel Carson:
«È alla popolazione che viene richiesto di assumersi il rischio determinato da chi controlla le infestazioni. E dunque la popolazione che deve decidere se bisogna andare avanti per questa strada; e può farlo soltanto se ha una completa conoscenza dei fatti. Per usare le parole di Rostand, “il dovere di sopportare ci dà il diritto di sapere”» [5].
Le persone devono conoscere ciò che riguarda la loro vita, il loro territorio, l’ambiente in cui vivono, e l’opera d’arte può dare il via a questo processo conoscitivo. La scelta della data per l’inaugurazione di Ode to Rachel Carson è significativa. L’indice teso della scienziata non avvisa più o non solo dei rischi dell’uso dei pesticidi ma mette in guardia a proposito di tutte le urgenti questioni ambientali: qual è sul tema l’impegno dei grandi della Terra convenuti a pochi chilometri di distanza per il G7 il 13 giugno? Sembra quasi che a chiederlo sia lei, la pioniera, l’iniziatrice del movimento ambientalista, lei che nel documentario CBS dal portavoce dell’industria chimica agricola Robert White-Stevens, ovviamente ignaro dei futuri sviluppi delle sue ricerche, viene apostrofata con atteggiamento paternalistico ‘signorina’ e che, donna, dal margine di una società e di un mondo dominati dall’arroganza della scienza e dell’industria compone per prima il quadro, determina un cambio di passo nelle scelte degli USA e del mondo. Il volto di Rachel Carson, rappresentativo di un processo di conoscenza dell’ambiente sostanziato dal desiderio di cura e dalla genuina meraviglia per la natura, avvisa che c’è un’attesa comune, la speranza di decisioni importanti sul piano politico, di un testo conclusivo ambizioso. Lo aspettava per esempio il WWF. E il fatto che le conclusioni appaiano tiepide – non solo alla stampa specializzata in temi ambientali – è il segno che il lavoro da fare ancora è grande, da parte dei potenti ma anche da parte dei cittadini per innescare un cambiamento necessario.
Da dove partire se non dalla consapevolezza del territorio in cui ciascuno vive? È necessario allora guardare di nuovo al contesto in cui ha ‘abitato’ Ode to Rachel Carson per comprenderne pienamente il significato. Sotto lo sguardo della biologa ci sono infatti la Puglia e i suoi ulivi malati.
Laura Malacart prova a far circolare conoscenza nelle persone comuni, siano i vicini, i passanti incuriositi o i partecipanti all’incontro che proprio lei ha voluto con un’agronoma del territorio, Emanuela Sardella, nello spazio ancora più aperto della villa comunale, a proposito dell’uso dei pesticidi nel trattamento della Xylella. Ecco, viene in mente di nuovo Primavera silenziosa: «Abbiamo imposto il contatto con questi veleni a una gran parte della popolazione senza chiedere il suo consenso e, spesso, a sua insaputa» [6]. È un’altra fiaba nera quella che possiamo, dobbiamo raccontare? C’era una volta una terra di boschi; poi dove c’erano il fragno e la roverella gli esseri umani forzarono gli ulivi a crescere immensi. Gli incentivi statali crearono vaste lande di monocoltura. Arrivò la sputacchina. Anzi, a dire il vero, la sputacchina c’era sempre stata: i contadini anziani se ne ricordavano la schiuma. Ma adesso si portava addosso un batterio chiamato Xylella. E gli ulivi cominciarono a disseccarsi. Una strage di giganti. Poi vennero gli abbattimenti. E i trattamenti…
La circolare del 24 maggio scorso del Dipartimento agricoltura, sviluppo rurale e tutela dell’ambiente prescrive l’esecuzione del trattamento insetticida nell’agro dei comuni elencati per ridurre la popolazione adulta di Philaenus spumarius, ovvero la sputacchina, vettore della Xylella fastidiosa. Ma nessuno dei prodotti suggeriti è specifico: quali sono allora gli effetti sugli altri insetti, su api, farfalle, su tutti gli impollinatori? Quali sono gli effetti sull’ecosistema? Abbiamo una conoscenza adeguata del livello di rischio ambientale e, di conseguenza, sanitario?
Se Rachel Carson, ha portato a uno sconvolgimento politico prima inconcepibile [7], cosa ci vorrà oggi per innescare un’altra rivoluzione che si traduca in un’azione politica, sociale e globale? C’è ancora speranza? Jonathan Franzen nel suo breve saggio E se smettessimo di fingere? Ammettiamo che non possiamo più fermare la catastrofe climatica [8] propende per il sì e invita a impegnarsi oggi mettendo da parte il pensiero dell’ormai inevitabile apocalisse di un non troppo lontano futuro, e suggerisce un’attenzione speciale per la crisi della biodiversità che si esplichi attraverso l’amore e la gentilezza, ovvero la cura di ciò che abbiamo più vicino nel quotidiano.
Ma l’amore, la cura si nutrono con la conoscenza. «Nessun bambino dovrebbe crescere senza aver ascoltato il coro degli uccelli all’alba in primavera» scrive Carson nello splendido Brevi lezioni di meraviglia [9]. Conoscere la natura significa potersi disporre con gentilezza nei suoi confronti, fare di tutto per evitare primavere silenziose. È un cammino che va fatto insieme, incontrandosi, anche, perché no?, grazie ad un’opera d’arte su un balcone.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
Note
[1] R. Carson, Primavera silenziosa, trad. it. a cura di C.A. Gastecchi, Feltrinelli, Milano 2023: 21-22.
[2] Ivi : 49-50.
[3] P. Barkham, ‘Butterfly emergency’ declared as UK summer count hits record low, «The Guardian», 18 settembre 2024.
[4] P. Giordano, Prefazione a R. Carson, Primavera silenziosa, cit.: 12.
[5] R. Carson, Primavera silenziosa, cit.: 32.
[6] Ivi :31.
[7] D. Brinkley, Silent Spring RevolutionJohn F. Kennedy, Rachel Carson, Lyndon Johnson, Richard Nixon, and the Great Environmental Awakening, Harper, New York 2022.
[8] J. Franzen, E se smettessimo di fingere? Ammettiamo che non possiamo più fermare la catastrofe climatica, trad.it. a cura di S. Pareschi, Einaudi, Torino 2020.
[9] R. Carson, Brevi lezioni di meraviglia. Elogio della natura per genitori e figli, trad. it. A cura di M. Falconetti, Aboca, Sansepolcro 2020: 26.
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Ada Bellanova, insegna lettere in un liceo pugliese. Si interessa di permanenza della letteratura greca e latina nel contemporaneo, di ecocritica, della percezione dei luoghi, dei temi della memoria, delle migrazioni e dell’identità. Si dedica da alcuni anni allo studio dell’opera di Vincenzo Consolo: da qui è nata la monografia Un eccezionale baedeker. La rappresentazione degli spazi nell’opera di Vincenzo Consolo (Mimesis 2021). Ha collaborato con La macchina sognante, Erodoto108. Nel 2010 ha pubblicato il libro di racconti L’invasione degli omini in frac, con prefazione di Alessandro Fo e nel 2016 Papamusc, un breve romanzo edito da Effigi.
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