Sulle rinnovabili si gioca in Sardegna una partita che supera di molto i confini dell’isola. La transizione ecologica prevede a livello internazionale una serie di impegni assunti in varie sedi dai governi, compreso ovviamente quello italiano. L’obiettivo è diminuire progressivamente l’utilizzo delle fonti fossili a favore delle fonti rinnovabili. Obiettivo legato all’esigenza ormai pressante di ridurre le emissioni in atmosfera di anidride carbonica al fine di evitare effetti che potrebbero avere conseguenze disastrose.
Con il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec) il governo italiano ha stabilito i target nazionali al 2030 in tema di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni di CO2, nonché gli obiettivi in tema di sicurezza energetica, interconnessioni, mercato unico dell’energia e competitività, sviluppo e mobilità sostenibile, delineando per ciascuno di essi le misure che saranno realizzate per assicurarne il raggiungimento. All’attuazione del Pniec è legata l’erogazione da parte della Ue all’Italia di ingenti finanziamenti, che è auspicabile non vadano perduti. È in base al Pniec che alle diverse regioni italiane sono stati affidati precisi target di produzione di energia da fonti rinnovabili da centrare entro il 2030. Alla Sardegna spetta una quota di 6,2 Gigawatt, che è più alta di quella di ogni altra regione italiana in virtù della scarsa densità di popolazione.
Al momento le domande presentate dalle imprese per l’installazione di rinnovabili nell’isola superano di molto (circa 58 Gigawatt) l’obiettivo dei 6,2 Gigawatt assegnato alla Sardegna. Questo non significa che la quota sarda debba essere corretta al rialzo. Significa soltanto che bisognerà operare una selezione perché tra le richieste avanzate passino soltanto quelle necessarie al raggiungimento dei 6,2 Gigawatt. Chi opera la selezione? I decreti per l’energia approvati a suo tempo dal governo Draghi (decreto legislativo n.199, 2021 e Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 marzo 2022) mettono in capo al governo centrale la gestione dei procedimenti autorizzativi. Il Decreto ministeriale sull’individuazione delle aree per l’installazione di energie rinnovabili emanato dall’attuale governo (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.153 del 2 giugno 2024) dispone che siano le Regioni, entro sei mesi dalla pubblicazione del decreto medesimo, a individuare le aree dove installare gli impianti, fermi restando gli obiettivi in termini di Gigawatt già fissati per ciascuna Regione. Ove le Regioni, entro il 2 gennaio del prossimo anno, mostrassero di non riuscire a utilizzare l’autonomia loro riconosciuta dal decreto, tutto ritornerebbe alla disponibilità del governo centrale.
Questo il quadro legislativo generale. Dal quale si ricavano, in merito alle polemiche e alle tensioni in atto oggi in Sardegna, due considerazioni. La prima è che non è vero che i 6,2 Gigawatt assegnati alla Sardegna significhino una devastazione totale del paesaggio. Sarebbe così se venissero accolte tutte le domande presentate dalle imprese. Confondere le due cose e far credere che tutto ciò che viene chiesto dalle imprese sarà accettato, significa dire il contrario della verità. La seconda considerazione è che rispetto all’impostazione centralistica adottata dal governo Draghi siamo in presenza di una parziale correzione, operata dal governo Meloni anche grazie alle pressioni dell’attuale giunta regionale sarda, che assegna alle Regioni la responsabilità di scegliere dove mettere pale eoliche e pannelli solari. La Sardegna ha la possibilità di collocare impianti per complessivi 6,2 Gigawatt dove riterrà più opportuno (le aree idonee) in base a valutazioni tese al rispetto dell’integrità del paesaggio e delle caratteristiche storiche dei luoghi. Quindi, nessuna devastazione.
Il fatto che questo quadro generale sia stato stravolto per far credere che la Sardegna sia sull’orlo di un’immane catastrofe segnala che la questione delle rinnovabili non è soltanto una partita tecnico-giuridica. È anche una partita politica. Contro le rinnovabili è schierato nel mondo un potentissimo partito del petrolio, del carbone, del gas e del nucleare. Le realtà imprenditoriali legate a queste fonti di energia resistono con tenacia al passaggio alle rinnovabili. Cercano, se non di impedirlo, almeno di ritardarlo. È un partito del fossile e del nucleare che a livello mondiale ha i suoi sponsor politici nelle destre. Trump negli Usa, le forze sovraniste in Europa. In Italia Fratelli d’Italia non perde occasione per ripetere il ritornello della neutralità delle fonti energetiche rispetto agli obiettivi di riduzione delle emissioni. Che tradotto significa: non è detto che l’abbattimento delle emissioni si possa raggiungere soltanto con l’eolico, il fotovoltaico e l’idroelettrico. E infatti, a parte che il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida ha fermato l’installazione dei pannelli solari nei terreni agricoli, Matteo Salvini e il ministro per l’Ambiente e la sicurezza energetica Picchetto Fratin spingono, anche se in modi e con toni diversi, per il nucleare, insieme con i nuovi vertici della Confindustria. Per non parlare del sostegno che dall’attuale governo viene all’ipotesi di ricorrere alla Carbon Capture and Sequestration: una tecnologia che consente di “catturare” la CO2 prodotta dagli impianti fossili per metterla sotto terra in giganteschi depositi. Che è un modo per mantenere in vita le produzioni sia da metano sia da carbone: continuiamo a produrre dai fossili perché tanto poi l’anidride carbonica così generata la catturiamo e la seppelliamo.
Il partito del fossile e del nucleare ha i suoi sponsor politici anche in Sardegna. Sponsor che puntano a bloccare le rinnovabili perché al loro posto vogliono il gas. Vogliono che le due centrali a carbone sarde attualmente attive in Sardegna (Porto Torres e Portoscuso) siano riconvertite a metano, ma soprattutto vogliono che il metano diventi la principale fonte di approvvigionamento energetico dell’isola. Come? Attraverso la costruzione di un gasdotto che porti il gas da Cagliari a Sassari, con diramazioni in ogni angolo della regione. Impresa che genererebbe, se ad essa venisse dato il via, un giro di appalti milionario, a vantaggio principalmente della Snam, gigante dell’energia che i gasdotti li progetta e li costruisce, e poi delle imprese sarde che nel progetto sarebbero coinvolte.
Nei due decreti Draghi (confermati dal governo in carica) il gas c’è. Non però come i signori del metano vorrebbero. Ci sono i rigassificatori, da costruire a Porto Torres, a Oristano e forse nel Sud dell’isola (ma non si sa bene dove). Ai quali il gas arriverebbe via mare con le navi per essere poi trasportato attraverso brevi metanodotti. Il gas quindi c’è nel futuro dell’isola. E c’è per la prima volta. Come si sa, infatti, la Sardegna è al momento l’unica tra le regioni italiane a non avere il metano tra le fonti generatrici di energia. Che non sarebbe un fatto negativo, al contrario. Perché con le rinnovabili come sorgente unica la Sardegna avrebbe l’occasione di essere la prima regione italiana totalmente libera dai combustibili fossili. Un laboratorio di innovazione non soltanto italiano ma europeo. Un fatto decisamente positivo. Ma non accadrà. Sia Draghi sia Meloni hanno deciso che così non dev’essere. Nel futuro energetico disegnato per l’isola ci sono, insieme, i 6,2 Gigawatt da rinnovabili e i rigassificatori a metano. Questo però evidentemente non basta ai signori del gas. Ci vuole il metanodotto con i suoi appalti milionari. Siamo al Ponte di Messina della Sardegna, dannoso per i più, utile per pochi. Il piano è lineare: siccome è il metano trasportato dal gasdotto che deve fare la parte del leone nel sistema energetico regionale, bisogna ridurre il più possibile, tendenzialmente a zero, la quota prodotta da fonti rinnovabili. Tanto metano, poche rinnovabili.
E cosa dire della “norma urbanistica” invocata contro le rinnovabili con la legge di iniziativa popolare, chiamata “Legge di Pratobello”, in riferimento alla rivolta della comunità di Orgosolo che nel 1969 si mobilitò per impedire che nel suo territorio venisse collocato un poligono militare? Si chiede con essa che i vincoli che il Piano paesaggistico regionale pone sulle coste a tutela del paesaggio vengano estesi a tutta l’isola. Cosa fattibile, ma a condizione che la decisione venga presa dalla Regione in accordo con il governo, e più esattamente con il Ministero dei beni culturali. In materia, infatti, di pianificazione urbanistica legata alla tutela del paesaggio la legislazione nazionale (Decreto legislativo 22 gennaio 2004 n.42 Codice dei beni culturali e del paesaggio noto come Codice Urbani) pone l’obbligo di co-pianificazione tra Stato e Regioni. Le Regioni da sole non possono decidere nulla. Tant’è vero che tutte le volte che, in materia di pianificazione urbanistica legata alla tutela del paesaggio, hanno provato a fare da sole il governo è ricorso alla Corte costituzionale e ha vinto. C’è una giurisprudenza costante in tal senso della Consulta. Chi invoca la “norma urbanistica” dovrebbe sapere che la Regione Sardegna non può decidere da sola. E per fortuna che è così, bisogna aggiungere. Perché altrimenti i vari tentativi che le giunte regionali di centrodestra hanno fatto nel corso del tempo per stravolgere il Piano paesaggistico regionale del 2006 e dare il via libera al cemento sulle coste sarebbero passati da un pezzo.
Anche la presidente della giunta regionale sarda Alessandra Todde e i suoi assessori conoscono le norme costituzionali e la legislazione nazionale in materia di pianificazione urbanistica legata alla tutela del paesaggio, tant’è vero che la legge di moratoria (sospensione degli impianti di rinnovabili sul territorio dell’isola) che il consiglio regionale ha liquidato questa estate è stata presentata dalla giunta come una misura transitoria: un blocco di soli 18 mesi, una pausa in attesa del disegno legge sulle aree idonee da approvare a termini del decreto governativo dello scorso giugno (ddl effettivamente approvato dalla giunta il 19 settembre) e della creazione di un’Agenzia sarda per l’energia che Todde promette di far passare celermente insieme con un Piano energetico regionale. Ciò non è stato sufficiente, però, a evitare che la moratoria venisse impugnata dal governo davanti alla Corte costituzionale. Per l’esecutivo la norma eccede le competenze proprie della Regione secondo lo Statuto e si pone in contrasto con la normativa statale ed europea con la violazione degli articoli 3, 41 e 117 della Costituzione. Il governo chiede inoltre alla Consulta che si applichi immediatamente e in via cautelare la sospensione dell’articolo 3, il cuore cioè della moratoria approvata dalla giunta regionale.
In attesa che la Corte costituzionale si pronunci, al centro dell’attenzione è in questo momento il disegno di legge sulle aree idonee. Secondo la proposta presentata dalla giunta, le uniche zone idonee a ospitare pale eoliche e pannelli fotovoltaici sono quelle industriali e le aree già compromesse dal punto di vista paesaggistico. Ovvero l’1,6% della superficie regionale. Nel restante territorio dell’isola gli impianti per la produzione di energia da rinnovabili saranno vietati. Con una notazione importante: la legge è retroattiva, sarà cioè applicata anche agli impianti in corso di autorizzazione, o agli impianti che hanno ottenuto l’autorizzazione ma non hanno ancora iniziato i lavori nel caso che l’area prevista dal progetto sia stata nel frattempo individuata dalle nuove norme come non idonea. La legge istituisce inoltre un fondo, con una dotazione di 678 milioni di euro, per l’installazione di impianti fotovoltaici e di accumulo di energia elettrica destinati all’autoconsumo. L’investimento sarà ripartito in sei anni, ovvero 50 milioni nel 2025, 70 milioni nel 2026 e i restanti 139.500 per ciascuno degli anni dal 2027-2030. Tra i potenziali beneficiari ci sono le comunità energetiche, ma anche Comuni, imprese, privati ed enti regionali. Il testo prevede poi l’obbligo per le imprese che propongono un impianto di presentare due polizze fideiussorie: una per garantire la corretta realizzazione dell’impianto ed evitare di lasciare cantieri incompiuti, la seconda, pari al doppio del valore dell’impianto, per garantirne la dismissione.
«La Sardegna – ha commentato Todde al varo del disegno di legge – è la prima Regione d’Italia a proporre una legge sulle aree idonee, e lo fa con tre mesi di anticipo rispetto alla scadenza prevista dal governo. Vogliamo realizzare un modello di transizione ecologica basato sullo sviluppo sostenibile, sulla tutela dell’ambiente, sul rispetto del suolo, del paesaggio, dei territori e dei cittadini sardi. Con la legge sulle aree idonee non soltanto decliniamo i criteri che rendono un’area idonea o non idonea all’installazione di impianti rinnovabili, ma stanziamo un’importante dote economica a favore della Sardegna. Da oggi al 2030 investiamo 678 milioni di euro per l’autoconsumo».
Critiche sul disegno di legge Todde sono le associazioni ambientaliste (Wwf, Legambiente, Club Kyoto e Greenpeace Italia) riunite nell’isola sotto la sigla Sardegna rinnovabile. «Pur apprezzando e riconoscendo – sostengono Wwf, Legambiente, Club Kyoto e Greenpeace Italia – lo sforzo della giunta della Regione Sardegna nell’affrontare un tema troppo a lungo lasciato in sospeso, nel difficile contesto dell’aspro dibattito alimentato da chi nei fatti sostiene il permanere di un’economia basata sulle fonti fossili, ritiene che il disegno di legge sulle aree idonee e non idonee allo sviluppo di energie rinnovabili approvato dalla giunta confermi le forti preoccupazioni di chi crede in uno sviluppo diverso: la presidente Todde ha infatti dichiarato che la quasi totalità del territorio sardo è stato classificato come non idoneo per gli impianti rinnovabili. Del resto, di sette allegati al testo della legge regionale, soltanto uno, piuttosto sintetico, riguarda la selezione delle aree idonee, mentre i restanti sono lunghi elenchi di aree non idonee e di ulteriori requisiti urbanistici ed edilizi richiesti per tipologia di impianto». «La selezione delle aree idonee e non idonee – dice ancora Sardegna rinnovabile – avrebbe dovuto favorire il rapido sviluppo di energia rinnovabile in tutto il Paese, garantendo iter autorizzativi semplificati e snelli in quelle aree particolarmente vocate all’installazione degli impianti. Invece, la preoccupante assenza di criteri validi, strutturati e uniformi a livello nazionale ha rappresentato un prevedibile boomerang per le rinnovabili, con la Regione Sardegna che si sta apprestando a tradurre in legge, anche con effetto retroattivo per gli impianti con procedura autorizzativa in corso, le diffuse preoccupazioni determinate anche dalla martellante campagna mediatica contro le rinnovabili spalleggiata da forti interessi legati ai combustibili fossili, quegli stessi combustibili all’origine del cambiamento climatico che minaccia il futuro di patrimoni inestimabili tra cui proprio il territorio sardo, su cui grava una crisi idrica senza precedenti».
«In questo scenario – aggiungono Wwf, Legambiente, Club Kyoto e Greenpeace Italia – Sardegna rinnovabile continua a sostenere che la Regione Sardegna potrebbe davvero costituire un laboratorio dei paesaggi dell’energia, un esempio di coesistenza e armonia tra natura e produzione energetica rinnovabile, ma occorre un deciso cambio di passo e una nuova considerazione delle ragioni delle fonti di energia rinnovabile, che consentono di tutelare proprio la natura e il territorio con un irrisorio impatto sulla biodiversità rispetto alle fonti fossili. Allo stato dei fatti, invece, il governo e la Regione Sardegna condividono la responsabilità di mettere a serio rischio la produzione di energia rinnovabile nella regione con il più alto tasso di emissioni di CO2 pro capite e con un mix energetico che vede ancora una preponderanza di carbone e derivati del petrolio, ed un’intensità di carbonio molto alta. Non è chiaro, inoltre, come farà la Regione Sardegna a raggiungere gli obiettivi del burden sarin (6.2 GW al 2030, contro i 0,4 GW installati fino al 2023) e la produzione ulteriore che sarà necessaria dopo il phase out dal carbone con così tante limitazioni e preclusioni per le rinnovabili sull’intero territorio regionale. A pagarne le conseguenze saranno soprattutto gli stessi cittadini sardi, costretti a sopportare i danni di un’economia fossile con ripercussioni sulla salute e sul prezioso ecosistema sardo già oggi in forte sofferenza per gli impatti dei cambiamenti climatici che le rinnovabili contribuirebbero a contrastare». «Abbiamo da sempre ritenuto imprescindibile – concludono Wwf, Legambiente, Club Kyoto e Greenpeace Italia – la tutela dello straordinario patrimonio naturale della Sardegna e condivide l’esigenza di impegnarsi attivamente per coniugare rinnovabili e natura, nella prospettiva di un equilibrio armonico e plurale in funzione della transizione ecologica, tenendo anche conto di altre rilevanti esigenze sociali e culturali. Tuttavia, questo non può tradursi in una disciplina regionale che, invece di ricercare con spirito propositivo gli ottimali punti di equilibrio, punta al ribasso e confina di fatto gli impianti nelle aree già compromesse e non necessariamente vocate alla produzione di energia. Le aree non idonee, anche secondo le disposizioni europee, vanno limitate il più possibile e giustificate caso per caso con puntuali motivazioni tecnico-scientifiche. Il disegno di legge regionale, oltre a mettere a rischio la transizione energetica sarda, appare quindi poco lungimirante e rischia di segnare l’apertura di un importante contezioso legale (come già avvenuto con la moratoria), che determinerà, quale drammatico effetto, ancora maggiore incertezza e rallentamento del processo di decarbonizzazione. Nel frattempo, il clima non aspetta».
Queste le posizioni in campo. Che cosa succederà nei prossimi mesi resta tutto da vedere. I problemi sono complessi e gli interessi coinvolti fortissimi. Serve da parte di tutti, ma in particolare da parte del governo e della Regione Sardegna, un’azione responsabile e istituzionalmente corretta che, nei limiti della Costituzione, dello Statuto speciale e del Codice Urbani, punti a governare la transizione energetica. Bisogna garantire il raggiungimento dei target assegnati all’Italia dalla comunità internazionale in funzione del green deal senza che questo significhi arrecare danni irreversibili alla Sardegna, al contrario, favorendone la crescita. Dentro un quadro europeo e nazionale che impone scelte non rinviabili, ci sono esigenze tecniche e ci sono problemi legati ai mercati che devono conciliarsi con i bisogni dell’isola e con l’autonomia della regione. La mediazione è possibile. Tocca alla politica sciogliere i nodi.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
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Costantino Cossu, giornalista, ha studiato a Sassari al Liceo Azuni e a Urbino alla Scuola di giornalismo e alla facoltà di Sociologia dell’Università “Carlo Bo”. Dal 1993 al marzo del 2022 ha curato le pagine di Cultura del quotidiano La Nuova Sardegna. Dal 2004 collabora con il quotidiano Il Manifesto. Ha collaborato con il settimanale Diario diretto da Enrico Deaglio e con la rivista Lo Straniero diretta da Goffredo Fofi e collabora con le riviste Gli Asini e Doppiozero. È stato docente a contratto nel corso di laurea in Scienze della comunicazione dell’Università di Sassari. Per la casa editrice Cuec ha curato il libro Sardegna, la fine dell’innocenza; e per le Edizioni degli Asini il libro Gramsci serve ancora?
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