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I Beni Culturali Ecclesiastici in dialogo: dal Museo Diocesano al territorio

Part. Ostensorio, 1769, Museo Diocesano Mazara del Vallo

Part. Ostensorio, 1769, Museo Diocesano, Mazara del Vallo

di Francesca Paola Massara

La recente pubblicazione dei corposi volumi degli Atti del Convegno Conoscere, conservare, valorizzare. Il patrimonio culturale religioso, curati da Olimpia Niglio e Chiara Visentin nel 2017, ripropone all’attenzione italiana e internazionale questioni di interesse comune legati alla cura, alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali di ambito ecclesiastico o, più in generale, “religioso”. Queste straordinarie risorse possono svolgere un ruolo di importanza decisiva non solo nella conoscenza della storia e delle tradizioni, ma anche, come è stato più volte evidenziato dai documenti del magistero della Chiesa, nel dialogo con i “lontani”, sia in senso geografico che spirituale e culturale.

In particolare, tra le diverse sollecitazioni, una delle più interessanti riguarda il ruolo dei Musei Diocesani o, più in generale, di ambito Ecclesiastico. Risulta di grande attualità, infatti, il ripensamento del patrimonio di arte sacra, delle sue caratteristiche peculiari e della sua comunicazione. Qual è e sarà la vocazione del Museo Diocesano nel XXI secolo? Quale la sua identità e la sua mission ?

1Museo Diocesano: identità e caratteristiche

Quali sono i caratteri di un Museo “ideale” ? Come deve essere strutturato? Il punto di partenza non può che essere la definizione di Museo data dall’ICOM (International Council of Museums): «Il Museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico e che effettua ricerche concernenti le testimonianze materiali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e le espone ai fini di studio, di educazione e di diletto».

Rispetto a questa affermazione, un Museo Diocesano non può che convenire in tutto e per tutto, aggiungendovi poi le sue caratteristiche, quelle che gli sono peculiari e ne costituiscono l’identità: si tratta di una Istituzione culturale ecclesiale fondata con decreto del Vescovo e gestita dalla Diocesi; la sua mission è conservare, studiare, esporre, valorizzare il patrimonio di cui dispone la Diocesi stessa, al servizio del territorio di cui è espressione. Ha due caratteristiche fondamentali: possiede un legame speciale con il territorio e contiene opere nate e realizzate non per mero diletto estetico, ma per il culto, la devozione e la vita dello Spirito.

Infatti, le opere conservate in un Museo Diocesano sono quasi sempre prodotte per un committente legato ai luoghi, così come legati ai luoghi sono gli artisti / artefici, le scelte iconografiche, i contesti devozionali. Inoltre, andrà sempre tenuto presente che il percorso espositivo mostra ai visitatori manufatti la cui destinazione originaria era certamente legata al culto e alla vita cristiana attiva: essi trovavano un tempo posto nelle chiese o nelle sacrestie, da cui venivano tratti per speciali occasioni liturgiche o devozionali (per esempio sacre suppellettili, fercoli processionali, etc.). Dunque è essenziale non dimenticare di presentare l’aspetto spirituale come imprescindibile, per la vera e reale comprensione di queste opere.

Oggi il Museo accoglie ed ospita tutti quei preziosi artefatti che non possono più trovare una collocazione nei luoghi originari di appartenenza per i motivi più diversi: o per la distruzione degli edifici sacri (e il pensiero corre sia alle drammatiche esperienze dei terremoti, di cui sono vittime monumenti e opere d’arte non meno degli uomini, che alle tragedie delle guerre) o per la loro attuale inadeguatezza a proteggere e salvaguardare i beni (inidonei sistemi di sicurezza e conservazione). Ma talvolta questa scelta si compie anche solo per consentire ad un pubblico più vasto il godimento di beni e manufatti non più in uso e ordinariamente inaccessibili.

Le indicazioni vigenti per i Musei Diocesani partono dalla Lettera circolare della Congregazione per il Clero ai Presidenti delle Conferenze Episcopali dell’11 aprile 1971, che dispone la conservazione in un museo diocesano o interdiocesano di quelle «opere d’arte e tesori» non più utilizzati a seguito della riforma liturgica. La Lettera circolare sulla funzione pastorale dei Musei Ecclesiastici (promulgata dalla C.E.I. il 15 agosto 2001) asserisce, poi, che i Musei Ecclesiastici costituiscono «un grande sistema nazionale, articolato in sistemi territoriali locali».

Il “museo ecclesiastico”oggi non è semplice raccolta di oggetti desueti: esso rientra a pieno titolo tra le istituzioni pastorali, poiché custodisce e valorizza beni culturali un tempo «posti al servizio della missione della Chiesa» e che continuano però ad essere significativi da un punto di vista storico e artistico. Esso si pone quale strumento di evangelizzazione cristiana, di elevazione spirituale, di dialogo con i lontani, di formazione culturale, di fruizione artistica, di conoscenza storica. È quindi luogo di conoscenza, godimento, catechesi, spiritualità (cfr. Lettera circolare del 2001).

 Calice, fine sec.XVII, Museo Diocesano Mazara.j

Calice, fine sec.XVII, Museo Diocesano, Mazara del Vallo

Il ruolo del Museo Diocesano, tra conservazione e vocazione al territorio

I Musei Diocesani in Italia sono realtà crescenti: nel 1971 erano 37; nel 2009 erano circa 230 e nel 2010 erano 994, tra diocesani e più genericamente ecclesiastici. Oggi sono più di mille. Ben lontano dall’idea vetusta di “sacrestia visitabile”, a cui tuttora qualcuno vorrebbe ricondurlo, il Museo diocesano del XXI secolo è soggetto formativo, protagonista di offerta didattica ed educativa, laboratorio culturale e risorsa territoriale.

Il museo ecclesiastico, perciò, è da considerarsi parte integrata e interagente con le altre istituzioni esistenti non solo in ciascuna Chiesa particolare, ma anche nell’area di pertinenza. Nella sua organizzazione, non è un’istituzione a sé stante, ma si collega e si diffonde sul territorio, così da rendere visibile l’unità e l’inscindibilità dell’intero patrimonio storico-artistico, la sua continuità e il suo sviluppo nel tempo, nonché le potenzialità e la modernità della sua fruizione, sia nell’ambito ecclesiale che in quello cosiddetto “laico”, o più genericamente civico.

Il fatto che il suo ruolo e la sua missione siano intimamente connessi alla missione della Chiesa, non rende meno alto il suo valore culturale e storico-artistico, come non viene meno il suo posto nella costruzione di un’identità territoriale forte e caratterizzata; ciò avviene ancora di più quando le opere in esso contenute non perdono la consapevolezza dell’intrinseca finalità e dell’originaria destinazione d’uso.

Risulta necessario avviare progetti di promozione e di animazione culturale per lo studio, la fruizione, l’utilizzazione dei beni musealizzati: attraverso esposizioni, convegni, sacre rappresentazioni, iniziative diverse, si deve poter rileggere organicamente e rivivere spiritualmente la storia della Chiesa di una particolare comunità che, è bene sottolinearlo, ancora vive nel presente.

Pertanto il museo ecclesiastico non è una struttura statica, bensì dinamica, che si realizza anche attraverso il coordinamento tra i beni musealizzati e quelli ancora in loco.

Un particolare strumento per la promozione culturale a largo raggio è il “Museo diffuso”: un piccolo sistema locale unificante più realtà contestualizzate, con itinerari di visita e supporti didattici. Si tratta di un “sistema di collegamento”, attraverso il quale è possibile affidare al Museo un ruolo di coordinamento di strutture programmaticamente policentriche in un sistema integrato con le altre istituzioni, ecclesiastiche e civili, presenti nel territorio; esso prevede l’elaborazione di un modello organizzativo avanzato e complesso, che mira alla coesistenza di autonomia e cooperazione, nel rispetto delle proprie specificità, per una progettualità comune. Potremmo, per esempio, pensare ad un circuito che preveda la visita facilitata di una serie di musei nella stessa area urbana e territoriale, o la possibilità di percorrere un itinerario tematico specifico, o semplicemente un percorso di visite per chiese e sacri edifici di solito non aperti al pubblico.

Progettare un museo diffuso significa stabilire un metodo di fruizione dell’intero territorio, quindi anche dei suoi beni culturali e ambientali, avendo come fulcro la struttura museale. Il Museo diventa il centro di un sistema che rende raggiungibili e comprensibili le realtà e i contesti culturali di un’area. Inoltre, last but non least, il Museo e il suo coordinamento devono elaborare e proporre i relativi criteri d’indagine scientifica, fruizione ordinaria, conservazione, recupero e valorizzazione dei beni curati. Alla dimensione antropologica della storia locale va aggiunta l’irrinunciabile dimensione scientifica, che evita ai monumenti di destare mero godimento estetico e alle raccolte di restare un repertorio di curiosità, per far divenire entrambi strumento di autentica comunicazione e accrescimento culturale.

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Sala degli argenti, Museo Diocesano, Mazara del Vallo

Reti museali e territorio: sinergie per la promozione culturale

Occorre fare distinzione tra “sistema”, ossia aggregazione di realtà omogenee, e “rete”, che indica un insieme di realtà anche eterogenee ma con gestione coordinata. Mons. Stefano Russo, già Direttore dei BB. CC. Ecclesiastici presso la C.E.I, indicava con “Rete museale interdiocesana” un sistema di soggetti che hanno le medesime finalità, che si sviluppa attraverso servizi e standard qualitativi comuni, capace di gestione coordinata, che mette in atto una serie di iniziative comuni a tutti i soggetti che la costituiscono.

La rete può anche essere di tipo diverso e accogliere in sé soggetti che hanno identità non tutte necessariamente ecclesiastiche; le possibili ragioni per la creazione di un sistema/ rete comprendono l’eventuale necessità/ obbligo di legge, il possibile vantaggio economico, la condivisione di risorse di diverso tipo, l’opportunità di valorizzazione di realtà sparse e “nascoste”, il naturale effetto di una visibilità condivisa e maggiorata.

L’auspicato effetto “traino economico” attorno ai Beni Culturali dipende dalla capacità degli investimenti e della gestione dei BB. CC. di richiamare attenzione di pubblico e dalla capacità del territorio di drenare le disponibilità economiche di visitatori e turisti, con particolare attenzione ai servizi e alle capacità ricettive.

Attualmente, se la rete è «sistema di soggetti che hanno le medesime finalità, che si sviluppa attraverso servizi e standard qualitativi comuni, capace di gestione coordinata, che mette in atto una serie di iniziative comuni a tutti i soggetti che la costituiscono», bisogna ammettere che la Sicilia non offre tali realtà organicamente strutturate. I motivi sono da ricercare nella frammentazione delle istituzioni sul territorio, nella generale recente istituzione delle realtà museali, ma anche nelle diseguaglianze strutturali e gestionali e nelle difficoltà organizzative e pratiche.

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Fibula da piviale, 1685, Museo Diocesano, Mazara del Vallo

Rispetto a questo modello, costituisce però un’esperienza estremamente significativa la Rete Museale e Naturale Belicina, di cui il Museo Diocesano di Mazara del Vallo fa parte integrante nella qualità di socio onorario. Della Rete fanno parte istituzioni e realtà molto eterogenee, ma accomunate dalla mission culturale ed educativa e dalla volontà di far emergere ricchezze e peculiarità del territorio belicino, in relazione con le aree contigue. Questo dimostra come la realtà museale ecclesiastica, lungi dall’essere “un mondo separato”, possa essere una risorsa supplementare e offrire un potenziamento dell’offerta culturale e turistica di un’area attraverso la creazione di percorsi inediti, fuori dai grandi circuiti un po’ scontati: percorsi tematici (per autore-artista, per soggetto-tema, per tipologia di monumento o opera d’arte, seguendo grandi restauri, etc.), storico-sociali (grandi anniversari, ricorrenze particolari) e sempre dinamici.

Un altro esempio di raccordo tra Istituzioni culturali, ma abbastanza omogenee, è l’A.M.E.I. (Associazione Musei Ecclesiastici Italiani): essa nasce nel 1996 per contribuire alla istituzione, valorizzazione e conservazione dei musei religiosi esistenti in Italia, proponendoli come strumenti di animazione culturale delle comunità cristiane e della società. Il suo intento è inoltre di «valorizzare gli specifici contenuti di fede e di religiosità popolare di tali istituzioni, incrementare il loro patrimonio, agevolare la loro corretta gestione e l’aggiornamento funzionale, promuovere iniziative che valgano a rendere più proficua l’attività tecnica e scientifica dei soci e degli operatori museali». L’A.M.E.I. Sicilia organizza incontri e attività per collegare i Musei siciliani tra di loro, ma anche per mantenere sempre in relazione la Sicilia stessa con la “rete” italiana.

In conclusione, il Museo Diocesano può essere definito, senza dubbio alcuno, un valore aggiunto sul territorio, con particolare riferimento alla realtà culturale e artistica religiosa. Le nuove interpretazioni e le strategie di gestione più aggiornate non ne snaturano la vocazione, ma la ampliano e la potenziano, collegando saperi e percorsi umani solo apparentemente distanti. Il Bene culturale religioso ha una caratteristica, quella di appartenere alla vita spirituale, che lo rende trasversale e ne decreta l’appartenenza non ad un limitato gruppo di persone, ma alla storia della civiltà umana e al mondo intero.

Dialoghi Mediterranei, n.30, marzo 2018
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Francesca Paola Massara, archeologa, è docente di Archeologia Cristiana ed Arte ed Iconografia Cristiana presso la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia “S. Giovanni Ev.” di Palermo, dove ricopre anche il ruolo di Direttore della Biblioteca. Dal 2008 è Direttore del Museo Diocesano di Mazara del Vallo. Ha coordinato manifestazioni culturali e bibliografiche e ha al suo attivo monografie, saggi e contributi di archeologia ed iconografia paleocristiana e medievale.
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