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I giovani e il voto in Tunisia

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Elezioni in Tunisia ottobre 2019

di Emanuele Venezia

Sono appena terminate le tornate elettorali in Tunisia (elezioni legislative e presidenziali) che, pur confermando alcuni “trend strutturali” del Paese non hanno risparmiato veri e propri colpi di scena e anomalie uniche al mondo a partire dal fatto che il secondo candidato favorito per le presidenziali, il magnate delle telecomunicazioni Nabil Karoui, ha condotto la quasi totalità della campagna elettorale in carcere, accusato di corruzione e riciclaggio di denaro sporco, dal quale è uscito solo pochi giorni prima il secondo turno per poter partecipare al dibattito televisivo con il suo avversario.

Nonostante la Tunisia, come molti Paesi eufemisticamente chiamati “in via di sviluppo”, sia giovane (l’età media è di 31 anni), i giovani e giovanissimi aventi diritto non si può dire che abbiano partecipato in maniera entusiasta all’appuntamento elettorale. Le ragioni sono molteplici e le vedremo più avanti. Intanto circa gli elementi strutturali ribaditi in questa tornata elettorale, viene confermata l’astensione con punte del 60% per le elezioni legislative e rispettivamente del 55% e del 45% nel primo e nel secondo turno delle presidenziali.

administrative-divisions-map-of-tunisia-maxLe circoscrizioni in cui vi è stata maggiore affluenza, sopra la media nazionale, sono state quelle di Tunisi, Ben Arous, Ariana, Manouba (queste prime quattro formano la regione di Grande Tunisi), Siliana, Bizerte, Nabeul, Sidi Bouzid, Tozeur , Kebili, Sousse e Sfax. Le circoscrizioni in cui invece l’affluenza è stata ancor più bassa della già esigua media nazionale sono: Jendouba, Kef, Beja, Zaghouan, Kairouan, Kasserine, Gafsa, Mahdia, Monastir, Gabes, Medenine e Tataouine. Bassissima l’affluenza nelle circoscrizioni estere, la più bassa in Italia.

Se non desta sorpresa il fatto che le percentuali più alte di affluenza si siano verificate nei seggi della regione di Grande Tunisi, nella città portuale settentrionale di Bizerte, nei due centri nel cuore della grande conurbazione costiera del Sahel (Nabeul e Sousse) e nella seconda città del Paese (Sfax), la novità è rappresentata da un relativo aumento del tasso di partecipazione in alcune zone sottosviluppate come la regione agricola di Siliana nel nord-ovest (comunque solo leggermente sopra la media nazionale), nella zona agricola centrale di Sidi Bouzid e nei due grandi (quanto poco popolosi) governatorati frontalieri centrali di Kebili e Tozeur. Questi quattro governatorati sono da sempre stati emarginati dalle politiche dello Stato centrale, caso a parte è Tozeur dove è relativamente sviluppato il turismo nel deserto (con ricadute positive molto contenute in ogni caso), gli altri tre sono spesso epicentro di rivolte popolari e contadine.

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Tasso di partecipazione al voto per classi d’età

Nel secondo gruppo delle circoscrizioni a bassa affluenza, sono due anomalie rappresentate da due centri importanti del Sahel: Monastir e Mahdia. Le restanti circoscrizioni confermano il trend precedente: le aree agricole del nord-ovest (Jendouba, Kef, Beja), la regione centrale transfrontaliera di Kasserine, i distretti agricoli poco a sud di Grande Tunisi (Zaghouan e Kairouan), il bacino minerario di Gafsa, le zone costiere meridionali di Gabès e Medenine e la regione petrolifera dell’estremo sud di Tataouine; la maggior parte delle popolazioni di queste aree non ha fiducia nello Stato e nel governo centrale e ripone poche illusioni nello strumento elettorale.

Rispetto alle precedenti elezioni del 2014 per quanto concerne l’affluenza vi è stato un turn over di circa il 20%, ovvero milioni di persone che avevano votato principalmente Nidaa Tounes ed Ennahdha hanno preferito rimanere a casa.

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Elezioni legislative: affluenza al voto

Sconfitta dell’asse governativa uscente

Il dato politico principale è rappresentato dal fatto che sia i candidati presidenziali espressione dei partiti governativi e istituzionali sia i partiti governativi sono stati penalizzati dall’elettorato: i due candidati del campo laicista, il primo ministro uscente Chahed che intanto ha fondato un partito personale (Taya Tounes) e il ministro della difesa Elkaroui Zbidi sostenuto da Nidaa Tounes si attestano rispettivamente al quinto (7,4%) e al quarto posto (10,3%), il candidato del partito islamista di governo, Ennahdha (la sezione tunisina dei Fratelli Musulmani) Muru arriva al terzo posto con il 13%. Da notare che sul risultato negativo di Zbidi, originario di Mahdia e appoggiato dal clan del Sahel che regna imperterrito dai tempi dell’indipendenza, probabilmente pesa la scarsa affluenza verificatasi a Monastir e nella sua città natale.

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Elezioni presidenziali: affluenza al voto

Il risultato delle legislative consegna sicuramente un parlamento più frammentato dal punto di vista delle liste e partiti rappresentati rispetto alla legislatura precedente. L’ex partito di maggioranza relativa all’inizio della legislatura precedente, Nidaa Tounes, fondato dal defunto presidente Essebsi, contava nel 2014 su 86 seggi, oggi il partito ha solo 3 seggi a cui però vanno sommati quelli dei partiti frutto di sue scissioni, Machrou Tounes (4) e Taya Tounes, partito del premier uscente (14): un totale di 21 seggi ovvero 65 seggi in meno rispetto alla legislatura precedente.

La seconda importante componente del governo uscente, i Fratelli Musulmani di Ennahdha viene anch’essa ridimensionata oltre che dal turn over di voti ricevuti anche dalla presenza parlamentare: da 69 seggi del 2014 agli attuali 52 diventando in ogni caso il partito di maggioranza relativa.

Come secondo partito si piazza Qalb Tounes (Cuore della Tunisia) il partito fondato recentemente da Nabil Karoui (il “Berlusconi tunisino”) recentemente scarcerato per permettergli di partecipare al dibattito televisivo con il suo avversario Kais Saied, entrambi infatti si sono qualificati per il secondo turno delle elezioni presidenziali. Il partito populista entra in parlamento con 38 seggi.

Seguono il partito social-democratico di Corrente Democratica che clamorosamente passa dai 3 seggi del 2014 agli attuali 22, il partito islamista al Karama (dignità n.d.a.) con 21 seggi, il Partito Destouriano Libero guidato dalla fascista benalista Abir Moussi con 17 seggi, il Movimento del Popolo, partito secolarista e panarabista con 16 seggi.

Il risultato elettorale consegna dunque una compagine parlamentare in cui predomina un blocco di destra reazionaria trasversale laicista/islamista (75 seggi islamisti e 81 tra populisti di destra e laicisti), i restanti 61 seggi sono divisi tra vari partiti social-democratici, riformisti, panarabisti e di liste indipendenti di varia natura.

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Giovani tunisine al seggio elettorale

Anche in Tunisia avanza l’astensione come forma di protesta anti-sistema, supportata da una campagna di boicottaggio elettorale lanciata da una coalizione di sei partiti e gruppi rivoluzionari. A questo dato i giovani e i settori sociali in lotta hanno significativamente contribuito sfatando la retorica della “transizione democratica” e dell’unica “rivoluzione araba riuscita”, interpretazione sostenuta soprattutto in Occidente. A tal proposito i media italiani continuano a dare una falsa rappresentazione del Paese: i servizi degli inviati Rai nei seggi della capitale hanno dato l’immagine di un’elezione molto partecipata e di un forte processo democratico in atto. In verità, oltre al dato quantitativo di cui abbiamo parlato, si sono anche verificate anomalie in alcuni seggi con intimidazioni da parte della polizia nei confronti di alcuni attivisti nonché disfunzioni organizzative, tutto ciò lontano dagli occhi servili degli osservatori inviati dall’UE che insieme ai giornalisti europei stavano comodamente nei seggi di Grande Tunisi nei quartieri bene a pieno sostegno della narrazione ufficiale.

Vi è una sfiducia diffusa tra i giovani verso la politica e i partiti politici istituzionali; d’altronde le enormi aspettative sintetizzate dallo slogan choghl, hurrya, karama watanya (lavoro, libertà, dignità nazionale) all’indomani della Rivolta Popolare del 2010/2011 sono state ampiamente tradite da una classe dirigente al potere trasversale che ha incorporato elementi del vecchio regime fascio/laicista con il “nuovo” fascio/islamista, confermando nel complesso la subalternità del Paese alle potenze straniere (Francia, Italia e USA ma anche potenze regionali del Golfo Persico e Turchia). Si consideri poi che il tasso di disoccupazione non è diminuito in generale, restando drammaticamente elevato anche tra i giovani laureati in particolare; la libertà di associazione e di espressione (unica vera conquista immediata dei giovani) si va quotidianamente restringendosi ritornando ai livelli dell’era di Ben Ali sotto la scure di uno “stato d’emergenza” che dura ormai da quasi tre anni.

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Tunisia, votanti

Non vi sono stati solo giovani sfiduciati ma anche altri che si sono resi protagonisti altri di una campagna di boicottaggio elettorale attivo che in varie zone del Tunisia hanno organizzato assemblee, sit-in e volantinaggi, come riportato anche vagamente da alcuni articoli apparsi in lingua francese.

Per quanto riguarda invece i giovani che si sono recati alle urne, la maggioranza di essi ha disertato il primo turno delle presidenziali e le legislative ma per il ballottaggio delle presidenziali ha scelto nettamente l’attuale presidente eletto Kais Saied. Tuttavia, lo ripetiamo, i giovani del Paese non sono andati in massa a votare: dai dati forniti dalla stessa ISIE si evince che i votanti per il secondo turno delle presidenziali è formato in gran parte da persone di età maggiore ai 45 anni (49,2%), seguiti da elettori in età compresa tra i 26 e i 45 anni (39,2%), i giovani (18-25 anni) sono stati quindi solo l’ 11,6%.

In ogni caso perché l’elettorato giovane ha espresso questa preferenza? Kais Saied è in effetti l’altra anomalia di queste elezioni: non appartiene a nessun partito ed è alla sua prima candidatura; anche se dobbiamo subito rimarcare che non è un perfetto sconosciuto e del tutto estraneo alla politica in senso largo e non istituzionale. Se è pur vero che Kais Saied non è legato a nessun partito politico della scena tunisina, che ha condotto una campagna elettorale con il “minimo sindacale” di mezzi finanziari e mediatici, con uno staff ristretto all’osso, in gran parte composto dai giovani sostenitori locali con i quali ha condotto l’ormai famoso tour dei caffè popolari, è anche vero che il professore universitario esperto di diritto costituzionale, in tempi non sospetti, a partire dal 2013 ha sostenuto diverse esperienze popolari e dal basso in giro per il Paese: giusto per citarne un paio: l’università popolare di Tunisi, esperienza di istruzione autogestita nata dall’idea di alcuni attivisti politici e sociali di sinistra e il movimento ambientalista “Stop Pollution” nella città meridionale di Gabès, afflitta dall’inquinamento prodotto da uno stabilimento del Gruppo Chimico Tunisino.

Nonostante venga deriso per il suo uso dell’arabo standard piuttosto che del dialetto tunisino (la lingua correntemente parlata da tutti al contrario della prima), è riuscito, nel dibattito televisivo che ha preceduto il secondo turno, a mandare un messaggio semplice e chiaro all’elettorato, risultando più convincente e condivisibile rispetto alla mediocrità e inconsistenza conclamata dal suo avversario, Nabil Karoui.

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Giovani tunisini al seggio elettorale

Sicuramente Kais Saied è uno strenuo sostenitore del regime politico-istituzionale venutosi a creare con la caduta del regime di Ben Ali, in questo senso ha sostenuto i movimenti popolari e territoriali negli ultimi anni e da costituzionalista auspica un miglioramento del quadro istituzionale tramite gli strumenti “del sistema” offerti dal quadro costituzionale. Ha infatti dichiarato più volte che «Oggi viviamo la continuità della rivoluzione nel quadro costituzionale. Ed è un fatto del tutto inedito: ‘accettiamo le vostre regole, ma con esse inventiamo un altro sistema’». In realtà non è proprio un fatto inedito che, a seguito di una rivolta popolare (e non “rivoluzione”), le basi dello Stato rimangano nella sostanza le stesse lasciando al potere le medesime classi sociali ma cambiandone l’involucro formale (il cosiddetto “quadro istituzionale”). Ciò veniva per esempio analizzato magistralmente da Marx ne “Il 18 Brumaio” circa le illusioni rivoluzionarie del proletariato francese in seguito ai moti rivoluzionari del 1848 o potremmo citare Gramsci quando si riferisce al Risorgimento italiano come ad una “rivoluzione passiva” in cui il vecchio viene inglobato dal “nuovo” che in realtà non è ancora in essere.

In questa concezione che potremmo definire generalmente costituzional-progressista Saied ha in mente una riforma costituzionale che alcuni hanno paragonato al sistema politico libico gheddafiano della Jamahirriyya o addirittura al consiliarismo: ovvero un assetto federativo/popolare in cui delle assemblee popolari e locali a suffragio universale e con candidati di egual numero di entrambi i sessi eleggano un candidato di quartiere per dei consigli locali che, a loro volta, designeranno un rappresentante per dei consigli provinciali la cui prerogativa sarà di stilare dei piani di sviluppo e di nominare un rappresentante per il consiglio regionale; così che l’insieme dei consigli regionali eleggerebbero i rappresentanti di ogni consiglio locale per andare a formare il parlamento nazionale. Secondo Saied questa struttura istituzionale terrebbe conto delle esigenze regionali e territoriali dando un colpo mortale alla “frattura territoriale” o “colonizzazione interna” che affligge la Tunisia dalla sua nascita, ovvero la grande differenza di sviluppo economico-sociale tra le regioni del Sahel e quelle interne e meridionali.

Quando però una giornalista francese, Celine Lussato, nel corso di un’intervista fa notare a Saied che una tale riforma costituzionale per essere approvata avrebbe bisogno di una maggioranza dei 2/3 del parlamento, la risposta non convince: «certo bisogna avere la maggioranza dei 2/3 che non è facile, soprattutto con la frammentazione dei voti (oggi dopo i risultati delle legislative possiamo affermare che tale frammentazione è forse superiore all’idea che aveva lo stesso Saied quando ha rilasciato l’intervista n.d.a.). Purtroppo abbiamo scelto uno scrutinio di lista con una rappresentanza proporzionale dove il più forte resta». Molti degli elettori giovani di «sinistra» sono stati attratti da questa proposta totalmente impraticabile.

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Kais Saied presidente

Un’altra componente progressista-riformista di Saied che ha attratto l’elettorato giovane è il ritorno ad un intervento forte dello Stato nell’economia per assicurare i servizi sociali di base; ciò entrerebbe in conflitto con gli accordi che la Tunisia ha finora siglato con il FMI che al contrario hanno spinto per una graduale privatizzazione e deregulation. «Diritto alla sanità, all’insegnamento, alla dignità. I servizi pubblici dovranno essere assunti dallo Stato».

Quando la giornalista chiede dove trovare i finanziamenti per tale misure Saied risponde: «Bisogna ripartire equamente le ricchezze. Bisogna che le tasse siano pagate. Perché lo Stato tunisino è riuscito dopo l’indipendenza quando i mezzi erano molto più deboli? Perché lo Stato stesso ha investito. L’insegnamento ha allora metamorfizzato la società tunisina. Lo Stato ha delle missioni fondamentali. La copertura sociale e l’insegnamento non sono dei prodotti commerciali».

Circa la politica internazionale non è vero che vi è una piena chiusura verso gli storici partner occidentali (Francia e Italia), quindi anche qui niente di rivoluzionario all’orizzonte, ma sicuramente vi è un accento maggiore sul panarabismo (seppur in “forme nuove”, essendo superato, secondo Saied, il concetto di federazione del Maghreb e del mondo arabo) e annunciando ad esempio la rottura dei rapporti con Israele (cosa buona e giusta se avvenisse realmente oltre i semplici proclami) ha anche espresso la volontà di svolgere il primo viaggio di Stato nella vicina Algeria, storico Paese arabo amico della Tunisia. Anche questo punto del suo programma è apprezzato da molti giovani.

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Il movimento dei Fratelli musulmani in Tunisia

A queste posizioni progressiste va segnalato che, al contrario, le posizioni su omosessualità, pena di morte e diritto di successione strizzano l’occhio ai conservatori di vario tipo e hanno attratto l’appoggio dei Fratelli Musulmani di Ennahdha ma, c’è da dire, che l’attrazione principale del partito islamista è costituita dal fatto di aver fiutato le potenzialità elettorali di Saied e, dopo aver accettato la sconfitta del proprio candidato al primo turno, Ennahdha ha tentato di appropriarsi del concorrente “indipendente” per capitalizzarne la vittoria elettorale.

Infine ciò che ha spinto la maggioranza dei giovani che sono andati a votare (pochi), gli attivisti sociali, gli intellettuali e anche parte delle classi popolari a scegliere Kais Saied (che è stato eletto con quasi il 75%), è stata probabilmente una considerazione principale: l’integrità morale di un intellettuale conosciuto ma estraneo (finora) ai giochi di palazzo, al contrario del suo concorrente considerato mafioso, corrotto e ammanicato con l’ex regime e di ciò che ne rimane.

È pure un fatto che la sera stessa del voto con la diffusione delle prime proiezioni che lo davano vincente, migliaia di giovani tunisini sono scesi in piazza per festeggiare nella capitale e in altre città del Paese.

Dialoghi Mediterranei, n. 40, novembre 2019

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Emanuele Venezia, laureato nel Corso di Laurea Magistrale in Cooperazione e Sviluppo presso l’Università di Palermo, dottorando presso l’Università di Manouba (Tunisi) in Civiltà contemporanea con una ricerca comparativa diacronica inerente la comunità siciliana di Petite Sicile (La Goulette, Tunisi XIX e inizio XX sec.) e la comunità tunisina di Mazara del Vallo. Attualmente insegna italiano applicato all’economia in Tunisia.

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