di Luisa Messina
Appare allarmante il numero sempre crescente di minori che si imbarcano alla volta delle coste siciliane, affrontando un viaggio pieno di insidie ed incertezze e mettendo a rischio la propria vita. Si tratta di una categoria, quella dei minori stranieri non accompagnati (MSNA), particolarmente vulnerabile. In questa sede ci si vuole soffermare ad analizzare la loro condizione di fuori luogo, senza posto, come direbbe Bourdieu, di migranti che vivono il paradosso della doppia assenza – di cui ci parla Sayad - e verso i quali il Paese di accoglienza attua precise politiche di rieducazione attraverso la rimodellizzazione di corpi altri che risultino sociocompatibili nello spazio nazionale dei corpi nostri.
Per il migrante, lungo il passaggio dalla condizione di emigrato a quella di immigrato, la doppia assenza di fatto si traduce in una crisi della presenza, determinata dall’abbandono della terra di origine e dall’arrivo in un Paese restio ad accogliere lo straniero, se non a patto di un processo di integrazione che di fatto si traduce in forme di acculturazione coatta, ovvero la messa a norma di un corpo spogliato di ogni soggettività. Di esso non si conosce la vita prima del suo arrivo, le aspettative, la cultura, l’habitus di pratiche e disposizioni ormai incorporate, ma rimesse in discussione attraverso processi di biolegittimità che hanno come obiettivo non tanto l’accoglienza del migrante quanto piuttosto il suo controllo.
Ed è proprio di controllo che si deve parlare nel momento in cui si avviano le pratiche di identificazione e presa in carico dei minori stranieri non accompagnati. Per via del loro status di minorenni, di norma, vengono immessi entro circuiti diversi rispetto a quelli dei migranti adulti, anche se sono frequenti i casi in cui si denuncia la presenza di minori presso i CIE o presso strutture non idonee.
Una volta identificati, le pratiche messe in atto riguardano soprattutto azioni rivolte al corpo del minore. In primo luogo si agisce nell’ambito della sfera igienico-sanitaria e gradualmente si applicano precisi modelli educativi tesi a regolare il suo comportamento e le sue attività durante tutti i giorni di permanenza nelle comunità di accoglienza, così come nei centri di detenzione, nei casi non rari in cui incappa nella maglie della giustizia e in percorsi di tipo penale.
Accertata l’età del minore – accolto nei centri di prima accoglienza e affidato a un tutore – sarà necessario trovare una comunità che possa prendersene carico. Perché ciò possa avvenire è opportuno presentare alle autorità competenti un preciso progetto costruito su misura per il minore e tale da garantirne il pieno inserimento in società una volta raggiunta la maggiore età. In questo modo equipe di educatori, operatori, psicologi, assistenti sociali si attivano per garantire la crescita psico-fisica del minore all’interno di schemi condivisi.
Che si tratti di scuola, corsi di italiano, stage, borse lavoro, i MSNA devono dimostrare di essere disposti a compiere i dovuti sacrifici per ottenere il permesso di soggiornare sul suolo italiano una volta raggiunta la maggiore età, e per avere la garanzia di un lavoro futuro. Per cui, appena arrivati in Italia, il prima possibile vengono immessi in circuiti di cui forse poco capiscono il senso, e verso i quali non necessariamente sono mossi da forti motivazioni. Bisogna scegliere la scuola più adatta – spesso si tratta di istituti tecnici o alberghieri – o uno stage che può voler dire lavorare ad esempio come cameriere o come aiuto-cuoco senza retribuzione. Il che implica il mancato raggiungimento di uno degli obiettivi cardine per cui si è deciso di lasciare la terra di origine.
Una comunità di Bologna, dove ho avuto modo di raccogliere alcune osservazioni, si caratterizza come luogo di accoglienza per MSNA, ma anche per minori italiani con problemi civili o penali. Per cui l’affluenza dei minori coinvolti è abbastanza varia. Tuttavia, le linee guida condivise nei diversi progetti educativi sono ispirate al controllo della crescita dei minori con problematiche di varia natura perché sia indirizzata verso modelli socialmente conformi.
Appena arrivato in comunità il minore viene inserito all’interno del gruppo già formato, gli viene assegnato un posto letto in una stanza da condividere con un altro ospite, e viene informato sul regolamento della comunità. Ha diritto ad un pocket money settimanale di 15 euro, che può accumulare nei casi in cui si presenti l’opportunità di rendersi utile con qualche lavoretto, o che può perdere nel caso in cui viene meno a qualche regola, come – per esempio – non rispettare i turni delle pulizie, o perché ci si comporta in modo irrispettoso nei confronti dell’educatore, perché si litiga, o per qualsiasi altra trasgressione. Si consideri che i MSNA, non potendo far affidamento ad un eventuale aiuto finanziario da parte della propria famiglia, tengono molto alla paga settimanale e hanno altresì la possibilità di aver accesso ad altri fondi per l’acquisto di indumenti di prima necessità, entro un budget molto limitato.
All’arrivo del minore una fase di primaria importanza riguarda l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, con annesso il rilascio del tesserino sanitario e l’iscrizione presso un medico di base, nel caso in cui dispongano di un permesso di soggiorno regolare o di una ricevuta che ne attesti la richiesta di rilascio. In caso contrario, viene loro fornita una tessera sanitaria denominata S.T.P. (straniero temporaneamente presente), che dà accesso alle cure mediche.
A partire da questo processo comincia l’iter di azione/controllo sui corpi per una corretta messa a norma. È necessario in primis, e nei casi previsti, somministrare le vaccinazioni obbligatorie secondo il piano nazionale, la cui certificazione inoltre sarà richiesta per l’eventuale iscrizione a scuola. Somministrati i test ed effettuate le dovute profilassi nel caso di malattie infettive, e in definitiva accertato lo stato di salute del minore, si potrà così procedere verso il suo progressivo accompagnamento e inserimento all’interno del tessuto sociale.
Per i nuovi arrivati, passati i primi quindici-venti giorni in cui anche per uscire hanno bisogno di un accompagnatore, pian piano la vita all’interno della comunità acquista il carattere della quotidianità, ci si sveglia, chi va a scuola, chi allo stage, chi si rifiuta di alzarsi, poi si pranza insieme e c’è chi cucina e chi ha il turno delle pulizie. Sono diversi i momenti in cui si sta in compagnia e si familiarizza con le figure degli educatori e dei volontari presenti 24 ore su 24 per supportare i tempi della convivenza spesso difficile e per vigilare in modo che tutto vada secondo le regole.
In questo modo pian piano il minore straniero sarà portato, attraverso forze esterne di biopolitica, ad incorporare quelle pratiche tese a modellare e disciplinare la figura di individui marginali che non hanno ancora occupato un posto ben preciso all’interno dello spazio sociale, poiché privi di una precisa collocazione. Questo processo appare ancora più chiaro nel caso delle comunità per minori di tipo penale, dove emerge in modo meno implicito la necessità di rendere docile il corpo, nel senso foucaltiano del termine, attraverso la disciplina e la normalizzazione.
Dalla ricerca sul campo effettuata presso la comunità ministeriale di Bologna è emerso che, nonostante le struttura sia stata pensata come aperta e rivolta al territorio, tuttavia di fatto limita il minore, non di rado MSNA, ad uno stile di vita vincolato a regole e restrizioni, che agisce proprio sul corpo. Fisicamente i ragazzi vivono tra le mura di un ambiente in parte videosorvegliato, dove il tempo è scandito dallo svolgersi di attività a tratti monotone e ripetitive. Il corpo viene addestrato a muoversi in maniera disciplinata all’interno di un casellario in cui vengono programmati e ordinati sulla base di un planning settimanale i compiti, le attività, gli appuntamenti di ogni ragazzo ospite della comunità. Tutte le mattina la sveglia suona alla stessa ora, e si sta bene attenti affinché tutti curino con attenzione l’igiene personale, è obbligatorio farsi una doccia al giorno, e alla sera, alle undici si spengono le luci e si deve mantenere il silenzio. Ognuno, con l’aiuto degli operatori che vigilano sul loro operato, si deve impegnare a mantenere gli ambienti in ordine, deve preoccuparsi di fare il bucato e deve rispettare tutti gli impegni predisposti per lui. Attraverso un lavoro di special-prevenzione e contenimento si punta a disciplinare un corpo poco abituato ai ritmi imposti.
Il problema di come accogliere e far fronte alla presenza dei MSNA in definitiva viene demandato ad istituzioni di controllo, il cui obiettivo sarà quello di formare degli individui ripuliti in qualche modo dallo stigma di straniero e integrati o per meglio dire acculturati. Poco importa della loro vita passata, del perché abbiano lasciato il loro Paese di origine, e dei modi in cui hanno raggiunto il Paese di accoglienza. Sembra prevalere piuttosto l’intenzione di rassicurare chi li ospita sulla presenza di forze in grado di fronteggiare l’arrivo inquietante dell’Altro che per essere accolto deve necessariamente essere iniziato al nostro vivere comune. Come scrive Michela Fusaschi in Corporalmente Corretto (Meltemi, Roma 2008:107): «si tratta in fin dei conti di una paradossale “messa a norma”, conseguenza di un vero e proprio potere di normalizzazione, in cui la libertà individuale viene controllata dall’alto, al fine di produrre il buon cittadino all’interno dello spazio dello Stato nazionale che prescinde dalla storia e dall’identità pregressa». È così che il migrante trova la sua legittimità. Un compito arduo e difficile ma da una parte semplificato nel momento a cui si ha a che fare con i minori, forse non del tutto strutturati e per questo più facilmente plasmabili.
Dialoghi Mediterranei, n. 8, luglio 2014
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Luisa Messina, laureata in Beni Demoetnoantropologici presso l’Università degli Studi di Palermo e in Antropologia Culturale ed Etnologia presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, fa parte di alcune associazioni di volontariato che si occupano di emarginati e immigrati. È impegnata a studiare e analizzare i processi di violenza strutturale presenti nella società attraverso un approccio antropologico.
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