di Giuseppe L. Bonanno e Vincenzo Maria Corseri
Il ritrovamento, risalente all’agosto 2013, nel Fondo “Gianni Diecidue”, che si conserva presso l’Archivio Storico Comunale “Virgilio Titone” di Castelvetrano [1], di tre lettere di Giuseppe Garibaldi, insieme a una quarta, di Stefano Canzio, a Giovanni Pantaleo, è direttamente collegato ad alcune ricerche che Gianni Diecidue (1922-2009) – drammaturgo, poeta e storico castelvetranese – pubblicò negli anni Cinquanta e Sessanta [2] e ad una monografia che pensò di redigere nell’ultima parte della sua vita, ovvero La Cultura a Castelvetrano tra Ottocento e Novecento, opera rimasta incompleta a causa prima della malattia e poi della morte dell’Autore, che la lasciò in parte in forma di dattiloscritto e in parte di manoscritto. Non è questa la sede per parlare delle vicissitudini di tale materiale; basterà dire che è in corso ora la trascrizione, per quanto possibile, e la revisione filologica dell’opera, che dovrebbe essere pubblicata il prossimo anno. Una delle parti più cospicue dello scritto è dedicata da Diecidue a Giovanni Pantaleo “scrittore”, alle sue opere e alle sue lettere. Spazio trovano, inoltre, nello scritto le lettere, due delle quali (la seconda e la terza) finora inedite [3], inviate a Pantaleo da parte di Garibaldi.
Giovanni Pantaleo è, tra i protagonisti della spedizione garibaldina, una figura certo da riscoprire. Egli non era più un frate cappuccino da qualche anno, quando riceve le lettere che qui si presentano, ed era chiaramente inserito come Garibaldi nella massoneria (come si evince anche dalla nostra terza lettera, la più interessante); sia il monumento a Roma che l’intestazione del Liceo di Castelvetrano sono relativi alla sua vita di combattente e alla sua nuova posizione sociale, anche se erroneamente alcuni continuano a definirlo fra’ Giovanni Pantaleo.
La prima lettera, datata 19 luglio 1867, fu inviata all’ex frate castelvetranese da Garibaldi qualche mese prima del drammatico scontro di Mentana, dove Pantaleo combatté come assistente di campo di Menotti Garibaldi. In queste poche righe emerge emblematicamente l’icastica avversità di Garibaldi alla Chiesa di Roma («occuparsi di coloro che respingono le insegne dell’Idra papale – è dovere di noi tutti»): una vis polemica, quella del Generale nei confronti del Papato, fortemente condivisa da Pantaleo, il quale, tra l’altro, non ha mai esitato a mostrarsi, almeno dall’impresa dei Mille in poi, apertamente ostile alla Chiesa «dei Papi», gerarchica, autoritaria e antiprogressista – ci rammenta anche Gianni Diecidue nei suoi studi risorgimentistici – a fronte del vagheggiamento di una «Chiesa di Cristo», umile vera ed autentica. Si ricordi, a tale proposito, la convinta partecipazione di Pantaleo all’Anticoncilio promosso a Napoli da Giuseppe Ricciardi in contrapposizione al Concilio Vaticano I, indetto il 9 dicembre del 1869 da Pio IX.
Sia la seconda (4 giugno 1869) che la terza (31 maggio 1870) furono scritte, invece, da Caprera. Sono i mesi che precedono la dichiarazione di guerra, da parte di Napoleone III, imperatore dei francesi, abilmente provocato da Bismarck, alla Prussia. Il 2 settembre 1870, a Sedan, Napoleone sarà sconfitto in una battaglia campale e verrà fatto prigioniero dall’esercito prussiano. Due giorni dopo, a Parigi viene proclamata la terza repubblica. Garibaldi segue con trepidazione le dinamiche internazionali che lo spingeranno, immediatamente dopo che sarà ufficialmente costituita la repubblica francese, a manifestare la sua disponibilità a partecipare alla campagna militare in sostegno delle istanze politiche, dei valori e degli ideali propalati dal nuovo governo francese. Si ricordi, solo per rendere l’idea della ferma decisione presa dal non più giovane Garibaldi, il celebre telegramma inviato ai francesi: «Quanto resta di me è al vostro servizio. Disponete». Il resto è storia. Garibaldi otterrà il comando di tutti i corpi franchi dei Vosgi da Strasburgo a Parigi e di una brigata di guardie mobili e sconfiggerà a Digione le truppe prussiane (21-23 gennaio 1871). Anche in quest’impresa, con il grado di capitano aiutante di campo, Pantaleo sarà al suo fianco, e combatterà con vigore e prontezza di spirito. Per commentare, in sintesi, quest’ultima, leggendaria, campagna militare garibaldina, si potrebbero ricordare le parole di Bakunin, scritte nel 1872: «Nessuno ammira più sinceramente, più profondamente di me l’eroe popolare Garibaldi. La sua campagna di Francia, tutta la sua condotta in Francia è stata veramente sublime di grandezza, di rassegnazione, di semplicità, di perseveranza, d’eroismo. Mai mi era sembrato così grande».
A Garibaldi e a Pantaleo toccò lottare per tutta la vita, per essere alla fine sconfitti dalla stessa. Lo stesso regime che avevano contribuito a far vincere non era per loro, come non lo era la stessa massoneria, che avevano ritenuto cosa più ben nobile. Non sappiamo, inoltre, se Pantaleo si rese conto di avere, alfine, consegnato al meridione d’Italia un governo peggiore di quello borbonico.
Figure nobili e in buona fede, Pantaleo e Garibaldi, che, come spesso accade, furono usate da altri per scopi non nobili.