di Monica Pendlebury
La tradizione artistica del cristianesimo è costellata di immagini di Gesù – il Cristo, il salvatore, il risorto, il pantocratore, il medico, l’orante, il maestro, il figlio di Dio, il figlio dell’uomo – rese con ogni materiale disponibile: mosaico, pittura, legno, marmo, bronzo, pietra. Ciò che domina, però, diventando simbolo iconico del personaggio, in modo particolare nell’arte cristiana occidentale, è il Cristo in croce. La pena estrema inflitta a Gesù dai Romani, la morte atroce su una croce di legno, il supplizio riservato per chiunque contestasse il potere romano, infrangesse la legge imperiale, è ormai la rappresentazione riconosciuta universalmente come simbolo incontestabile del cristianesimo.
Innumerevoli sono le rappresentazioni della morte e passione di Gesù, diversissimi gli stili, le interpretazioni della scena secondo la sensibilità, la percezione e la penetrazione psicologica degli autori attraverso i secoli. Spaziano dalla silenziosa, lineare crocifissione in legno dipinto, di anonimo autore, che si trova nell’Abbazia di Sant’Antimo in Toscana, alla truce visione della crocifissione di Matthias Grünewald dell’altare di Isenheim in Germania, opera dei primi decenni del cinquecento tedesco.
Ma qui non si vuole sostenere uno sguardo storico artistico su tale iconografia, quanto piuttosto approfondire una visione di trasformazione insita e fondamentale nel messaggio cristiano. Nella piccola chiesa di Scopello, borgo siciliano ormai meta di turismo di massa, nella provincia di Trapani in Sicilia, l’immagine situata sulla parete di fronte e che incontra per prima lo sguardo del visitatore è una luminosa pittura in giallo su muro di un Gesù vivo. Chi l’ha ideata? Chi l’ha realizzata? Come e quando?
Non tantissimi anni fa, nel 1967, un giovane prete, Angelo Bertucci, animato dal messaggio ispirante e liberatorio del Concilio Vaticano II, fresco dei suoi studi a Roma e desideroso di rinnovare il messaggio cristiano di vita, di servizio e fraternità in una terra difficile, divenne parroco a Scopello. In Sicilia e non solo, nelle chiese parrocchiali di allora, l’onnipresente statuaria e dipinti spesso anonimi diffondevano un’aura di sofferenza e lacrimosa devozione. Il colore nero sembrava dominare, e non solo nel luttuoso quotidiano vestiario delle donne. La piccola chiesa non era molto diversa quando egli arrivò a Scopello. Ci voleva qualcosa di basilare che richiamasse da subito la peculiarità gesuana, motore e fulcro dell’esperienza cristiana.
Dopo tanti incontri con la comunità nei quali si discusse a lungo la rinnovata teologia, si arrivò alla trasformazione liturgica della chiesa, liberandola dell’incombente e sproporzionato confessionale nero, alleggerendola dal massiccio altare murale di marmo, dalle vie crucis in carta, creando invece un luogo solare di incontro e condivisione, di ascolto e accettazione dove, insieme, la parrocchia-comunità faceva strada nel comprendere e vivere l’insegnamento evangelico ormai disponibile attraverso la Bibbia tradotta in italiano e per tutti i credenti. L’impegno di pacificazione tra le famiglie avviava verso una comunità più affiatata.
Un altare semplice, tavolo di legno di cipresso chiaro appoggiato sulla base di un tronco di ulivo saraceno, richiamo al mondo contadino all’esterno: la tavola del convivio. Una rete di pescatori, antico simbolo della ecclesia, venne adagiata attorno al tabernacolo, chiuso da una portiera di legno decorato con un pesce – millenario simbolo di Cristo – dipinto in basso rilievo: un tonno che rimanda alla tonnara e al lavoro secolare dei pescatori del luogo. E infine il crocifisso non dolorante di San Damiano sospeso dal tetto. Null’altro. Pareti bianche. Un’essenzialità carica di autentico significato cristiano.
La comunità fu orgogliosa e partecipe. E con l’arrivo nel 1968 di una famiglia inglese – una giovane coppia con tre figli piccoli – entrò una nuova dimensione, esotica quasi. La moglie, Yasmin David, riservata e onirica nella sua ricerca artistica, pittrice con attenzione profonda verso tutto ciò che vedeva. E a Scopello vedeva una natura spettacolare, ancora incontaminata, una natura primordiale ma nel contempo addolcita dall’imparagonabile luce mediterranea.
Yasmin e Angelo comunicavano, non attraverso grandi discorsi, ma per intuizioni e sensibilità: lei per un misticismo poetico da artista, lui per ricerca delle origini, della primigenia esperienza evangelica, insoddisfatto dei secoli di incrostazioni offuscanti della storia cristiana. Angelo voleva un’immagine di un Gesù nuovo. Spiegò a Yasmin la visione e i tratti che desiderava catturare per la chiesa rinnovata: non più una figura martoriata, vittima della pena capitale inflitta dai romani, torturata, sacrificata. Il messaggio cristiano non poteva passare solo per immagini di morte, ma attraverso un Gesù vivo, non offuscato, risorto che emanasse gioia di vivere, amore, speranza per cacciare la rassegnazione: una figura che facesse alzare con fierezza le teste dei battezzati finora piegate in commiserazione per le sofferenze del Signore, dei santi e della vita.
E Yasmin capì. Diversi schizzi in inchiostro nero e matite colorate incarnavano l’intuizione della pittrice: un Gesù immerso nelle verzure di una natura esuberante e accogliente, un Gesù danzante. E ad Angelo piacque ciò che vedeva, ma, temendo che non sarebbe stato capito ed apprezzato la radicale reinvenzione della figura gesuana, chiese a Yasmin una nuova elaborazione. Nacque così il Gesù Giallo di Scopello, risultato di una sinergia tra teologia ed arte [1].
Certamente, per quel luogo e per quei tempi, l’opera rappresentava un riequilibrio, un bilanciamento. Già la chiesa stessa, spoglia e quieta, poteva scioccare chi era abituato all’affollamento iconografico di consueta frequentazione; ora in più si doveva affrontare quest’altra grande novità. Qui Gesù non richiama né il quattrocentesco vittorioso Cristo risorto di Piero della Francesca: figura frontale, torso nudo, un piede ancora nella tomba, l’altro sul parapetto, pronto a scavalcare con fare quasi militaresco, eretto con la bandiera, segno della sconfitta della morte, viso inscrutabile; né il Cristo risorto di Rembrandt nel Noli me tangere del 1651 la cui figura, già divinizzata dal pittore, si presenta attraverso una luminosità spettrale, scagliata contro uno scuro sottofondo boschivo. Nessuna eco di passate rappresentazioni, nessuna rivisitazione di iconografie tradizionali. Neanche accenni alle rappresentazioni più vicine ai nostri tempi, come quelle di Chagall o Gauguin, che comunque, nella figura crocifissa, si tennero fedeli all’iconografia di sempre.
Il lavoro dell’artista sta nell’evocare immagini nuove, ridestare sensi assopiti, avere visioni che rendano originale anche ciò che risale al passato lontano. E nel dare da pensare: far riflettere, spingere oltre il consumismo del consueto, il pre-stabilito, lo stantio dell’abitudine.
Yasmin ha dato forma pittorica a un’idea nuova per quei tempi. La parete larga e alta dietro l’altare, in origine tutta bianca, come il resto della chiesa, ospita un Gesù raggiante in tutti i sensi, una figura stilizzata formata da semplici linee dipinte in pittura ad olio, di due tonalità di giallo – una più chiara e vibrante, l’altra un giallo arancione – che, alternandosi, danno un senso di scintillio: un Gesù vivo, vestito, eretto, frontale che ci guarda con occhi grandi e sereni.
Il semplice vestito, striato di pieghe dritte, si scioglie nelle maniche in dolce curve che rispecchiano la vita che attorno sta nascendo. Dietro la testa di Gesù tre cerchi di gocce di luce creano un’aureola; dietro il suo corpo intero un sole grandissimo brilla e si espande con quattro cerchi di raggi. E solo un accenno, ma necessario, a una croce, non più protagonista simbolica, il cui legno orizzontale è ritornato ormai a essere un ramo reale in fiore, con polloni sprizzanti vita primaverile; quattro uccelli svolazzanti, usciti, sembra, dalle mani alzate di Gesù; le sue braccia aperte, accoglienti, in un gesto disarmato e disarmante verso chi lo guarda. Anche i segni dei chiodi nelle mani e nei piedi sono presenti, ma ridotti a semplici tratti accennati che quasi scompaiono dinanzi alla luminosa iconografia che nella sua completezza salta subito agli occhi dell’osservatore.
È una rappresentazione gioiosa, che emana grande vitalità malgrado l’apparente staticità della figura. È pacifica ed esplosiva nel contempo grazie ai colori della primavera siciliana, dove campi e monti si trasformano in una lieta coltre di natura smagliante – le margherite gialle, le ginestre gialle, l’euforbia gialla, l’oxalis gialla – un jeu de feu jaune. La brillantezza della rinascita della natura che scaccia il buio dell’inverno. Gesù che risveglia l’umanità e invoglia verso la vita. La natura è la garanzia di tutto ciò.
Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023
Note
[1] L’enorme successo di pubblico e di critica che ha suscitato la mostra dell’artista inglese Yasmin David (1939-2009) intitolata Into the Light – Verso la Luce (The New Gallery, Walsall Birmingham, Gran Bretagna) pare non avere alcuna connessione con la Sicilia. Eppure questi due luoghi così lontani l’uno dall’altro e così diversi, sia geograficamente sia culturalmente, custodiscono un legame affascinante di storia, visione e affetto. The New Gallery di Walsall ha ospitato la prima mostra personale di Yasmin David che in seguito è stata acclamata come una tra le paesaggiste più significative del secondo dopoguerra britannico. E la Sicilia, in un piccolo suo borgo antico, Scopello, accoglie l’unica opera pubblica che la David abbia mai realizzata: un Gesù giallo dipinto su una parete bianca della chiesa del paesino. Figlia naturale del celebre autore e poeta inglese Laurie Lee e di un membro preminente del Bloomsbury Group, Lorna Garman, Yasmin David è stata una pittrice che ha saputo cogliere l’essenza delle cose, l’umore del paesaggio ovunque fosse. I suoi quadri sono sia intimi che drammatici, emotivi e turbolenti. Nel caso del Gesù di Scopello ha fatto suo lo spirito vitale e gioioso della figura che la commissione ha richiesto, usando solo uno stile lineare e gialli brillanti. La figlia della David, Clio David, filmmaker e documentarista che ha lavorato anche per la BBC, mentre elencava i lavori di sua madre in preparazione al catalogo ragionato dell’intera sua opera, a breve in pubblicazione, ha deciso, nel giugno 2022, di rivisitare la chiesa di Scopello per appurare lo stato di salute dell’opera. Da quel momento si è creato un grande interesse sia in Gran Bretagna che in Sicilia per proteggere la pittura murale, al punto che la Sovrintendenza delle Belle Arti di Trapani sta indagando sul caso con l’intenzione di promuovere la sua ufficiale protezione. Salvaguardare il Gesù Giallo a Scopello, realizzato dall’artista britannica Yasmin David è la dimostrazione che dove la politica spesso non riesce ad avvicinare i popoli tra di loro, la cultura e l’arte spesso possono.
Ulteriori informazioni: The New Art Gallery Walsall.
http:/thenewartgallerywalsall.org.uk/exhibition/yasmin-david-2/M Yasmin David: Into the Light. Documentary film by Clio David; thebestofwalsall - Yasmin David: Into the Light
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Monica Pendlebury, nata ad Altrincham U. K., laureata in storia dell’arte all’università di Manchester nel 1973, collabora per diversi anni in progetti sociali e artistici a Palermo, Trapani e a Scopello. Co-fondatrice di un laboratorio di ceramica artistica, ha creato lavoro per ragazzi locali. In Trentino è stata per trenta anni direttrice di una scuola di lingue straniere, formatrice per docenti di lingua inglese della Provincia Trentina presso l’IPRASE (Istituto Provinciale per la Ricerca e la Sperimentazione Educativa). Ha continuato il suo lavoro di ceramista, assieme ad una produzione artistica di opere in pastello e collages esposte in varie mostre, in Italia, Svizzera e Inghilterra.
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