di Martino Zummo
Partito di sera… senza un saluto … un treno annoiato mi portò a Messina e poi a Villa S. Giovanni, e da lì l’ignoto verso Brindisi. Notte d’estate e finestrini aperti per rinfrescare l’aria umida e polverosa dei sedili, su cui innumerevoli piedi erano stati poggiati da file di sconosciuti passeggeri senza meta come me.
Le tendine svolazzavano senza posa, disegnando ampi cerchi in quel piccolo microcosmo di uno scompartimento delle Ferrovie italiane.
Chiamato a rapporto da un meltemi interiore e violento, fresco di diploma magistrale, compio il mio viaggio iniziatico della conoscenza dei miti e delle storie apprese in trascinanti lezioni del mio vecchio caro latinista e grecista, con un passato di monaco restituito alla società, che ci seduceva: il professore Torregrossa, che approfitto per salutare…ovunque si trovi attualmente.
L’unica cosa che ricordo di Brindisi era una lapide, memoria della morte in quel luogo del sommo Virgilio, anche lui al ritorno di un viaggio come me, alla ricerca del suo meltemi profondo.
Poi il mare blu cobalto mi prese a morsi nello stomaco, e il bianco delle Cicladi, e il nero degli ortodossi di Tinos e il bianco Maghreb sprofondato in una luce senza ritorno. Sifnos, il contatto con l’abisso del mare a strapiombo su qualche dea dalle labbra seducenti, travestita da una piccola calabrese di Milano. Alla ricerca del suo meltemi anche lei.
«Con animo furente hai viaggiato molto lontano da casa di tuo padre, superando le rocce del mare, e abiti in una terra straniera». Le parole di Euripide sembravano scritte per me.
A Skiatos, una volta, di notte vidi dei crani di vacca infissi in pali, stavano in fila in una caletta, sembravano scrutare il mare, e scongiurare o augurare il ritorno di mostri omerici. A richiesta di chiarimenti mi risposero che le Baccanti postmoderne esistono.
Di Kairouan, bianca di luce estrema, ricordo un bambino che emerge da un muro chiaro, senza speranza, e il keftegi, un piatto di uova e verdure, povero ma prelibato.
Il perdersi nel deserto di questa città sembra la metafora di una vita, perdersi nella luce del deserto o nella luce della morte. Cittadina di un passato senza passato.
A Bizerta, ancora oggi i ragazzini si tuffano in mare da scogli altissimi per il piacere di farlo, innocenza e incoscienza…
«No decisamente, non andate laggiù se vi sentite il cuore tiepido e se la vostra anima è povera! Ma, per chi conosce lo strazio del sì e del no, del mezzogiorno e delle mezzanotti, della ribellione e dell’amore, infine per chi ama i roghi davanti al mare, c’è laggiù una fiamma che lo attende». Così ha scritto Albert Camus.
Queste parole mi hanno accompagnato nel mio primo viaggio nel Mediterraneo, tra la Grecia e la Tunisia.
A queste parole mi sono ispirato per conoscere e tentare di capire gli uomini e i paesaggi di questo mare antico, per strapparne qualche immagine, frammenti di memoria di un vento secco e fresco, di un meltemi di qualche anno fa.
Dialoghi Mediterranei, n.14, luglio 2015
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Martino Zummo, fotografo palermitano, laureato in Giurisprudenza, svolge a partire del 1984, per conto di vari gruppi ed enti teatrali palermitani e non, incarichi professionali come fotografo di scena. Alterna ricerche e campagne fotografiche a mostre presso gallerie. Sue immagini sono state pubblicate negli USA e su riviste a diffusione internazionale. Ha esposto in Svizzera, Germania e ha recentemente curato a Palermo una mostra su Istanbul. Past and Present. Ha ricevuto dal Consiglio Regionale Friuli Venezia Giulia un Premio per la sua produzione fotografica quale “migliore autore italiano emergente”. Collabora con case editrici e redazioni di riviste.
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