Senza data, senza luogo.
«L’orizzonte è ancora incerto. Non si vede dove finisce il mare e dove inizia il cielo. La voce dentro la mia testa mi chiede quando arriviamo, io gli rispondo che giungeremo molto presto. Non mi chiede dove arriveremo. Aspetto una terra indirizzando gli occhi verso il blu indistinto, mentre la rotta si addormenta col beccheggio flebile della primavera appena arrivata.
Il vento a volte viene da sud, sembra quiete e ci culla, poi si fa più doloroso e ci scuote.
La notte nuvolosa si schiarisce la voce e il tempo si ammutina; nessun marinaio ci aiuta.Non ho idea di quanti fantasmi si adagiano sottocoperta, ma so con certezza che s’immaginano il mare come la loro tomba, liquida. Questo mare è diventato un padre che li caccia dalla loro madre terra con una speranza, come il vento amico che li trasporta con la mente alle nuove americhe. Si sentono clandestini senza conoscerne il significato. Il padre Mediterraneo sembra coccolarli e subito dopo li rifiuta, li rinnega, non li riconosce più.
Di solito io sono il primo e l’unico a gridare Terra! Scendo giù circondato dal grido del vento, sorpreso che lì giù non c’è più nessuno. E senza nessuno accanto a me, inizio il mio nuovo cammino. Un giorno i miei occhi sembrano vedere i colori, un altro mi atterriscono le luci.
Così inizio a scrivere con quelle luci, di quelle luci.
Se la fotografia è un’ombra silenziosa che guarda attentamente noi che la creiamo, allora il mare è un’eterna ombra, elegante, mossa, delicata, colorata. Il rumore di quest’ombra fa sparire tutto e rimane solo il ricordo.
Vi lascio dunque queste mie immagini.
Queste fotografie sono dunque il nostro ricordo delle ombre fatte luce. Il ricordo dello specchio del mare, di una sirena china sulle onde, delle ore in cui il sole si stanca rosso. E se si fa tardi, l’ombra si fa lunga, si immerge dentro il cuore dell’acqua.
Avvolti in questo mare aperto a tutto, le stelle sorridono al nostro oblò come fosse il nostro unico occhio. Quest’ombra combatte con il mare e migra lasciando il nido vuoto di uccelli errabondi, si fida allora della nostra immaginazione e si rincuora che la spedizione andrà a buon fine.
Conservate vi prego le mie ombre e i miei ricordi».
Nessuna firma
Il Mare che divide, oggi condivide e mi ha fatto immaginare di essere il fotografo/testimone della vita di tutte le anime migranti dentro le stive delle imbarcazioni fantasma del Mediterraneo. Un mare che in prosa non sa essere raccontato forse perché invidioso delle terre che bagna; ispira immagini che si seguono, si inseguono all’insaputa l’una dell’altra.
Proprio per questo motivo mi espongo alla lettura dell’altro che mi squarterà senza conoscermi. Siamo tutti gli stessi fantasmi sotto coperta.
Tutto ciò che ci appare meraviglia, diventa solo un varcare una finestra, o tuttalpiù un vetro smerigliato che incornicia un soggetto più o meno consapevole di essere osservato.
Nessun teatro, né palco, ma rappresento l’affezione della nostra madre patria divisa da confini mai ben definiti dal fluire salmastro.
Allora mi sono abbandonato in una delle poesie che nessuno ha scritto, senza la responsabilità di critica del reale ma solo con l’impegno di fotografo. Questo grande compito ha bisogno di saggezza e abbandono al proprio tempo. Abbandonarsi al proprio tempo fa sì che attraverso gli occhi, il presente diventa passato e futuro allo stesso tempo.
Sapere vedere è ri-vedere passato e futuro. Fernand Braudel ha scritto: «Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo […] significa immergersi nell’arcaismo dei mondi insulari e nello stesso tempo stupire di fronte all’estrema giovinezza di città molto antiche, aperte a tutti i venti della cultura e del profitto, e che da secoli sorvegliano e consumano il mare, […] nel paesaggio fisico come in quello umano, il Mediterraneo crocevia, il Mediterraneo eteroclito si presenta al nostro ricordo come un’immagine coerente, un sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in un’unità originale. Come spiegarla? Come spiegare l’essenza profonda del Mediterraneo?»
Alla fine rimane nient’altro che l’immagine di un naufrago.
Dialoghi Mediterranei, n.12, marzo 2015
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Giuseppe Sinatra, giovane fotografo di Palermo, laureato in Storia dell’Arte e specializzato in Storia della fotografia, è abilitato ad insegnare Tecnica fotografica nelle scuole superiori. Ha conseguito un Master in “Storia e Gestione della Fotografia” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano. Fotografo free lance, iconografo, tiene corsi, ha alle spalle esperienze presso agenzie di grafica e studi di architettura, cura l’editing di pubblicazioni, organizza eventi e rassegne fotografiche. Il punto di partenza per lui è stato e continua ad essere PALERMOFOTO, un’associazione che promuove cultura d’immagine e che si occupa principalmente di didattica e di produzione fotografica.
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