Sulla base delle grandi speculazioni filosofiche e teoriche dell’Ottocento, il cosiddetto secolo breve, cioè il Novecento, ha cercato di trasformare radicalmente la struttura della società attraverso l’azione politica al fine di creare l’uomo nuovo. Questo processo, iniziato con la Rivoluzione russa del 17 e continuato con i totalitarismi fascisti che hanno condotto alla Seconda guerra mondiale quale fisiologica continuazione della prima, si è concluso con la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la fine del socialismo reale.
Nell’epoca attuale, quindi, la borghesia festeggia il suo indiscusso trionfo e la sua ideologia sembra essere diventata l’elemento unificatore di tutte le classi e di tutti i gruppi sociali. L’assenza poi di adeguate interpretazioni filosofiche del reale, che caratterizza la contemporaneità, rende particolarmente ardua la possibilità di pensare e di praticare il superamento dell’esistente e l’opzione alternativa rispetto a quanto è dato e appare. L’ideologia del lavoro e della produzione infinita, la quale affonda le sue radici nel pensiero cristiano e attraversa il pensiero sociale e politico degli ultimi secoli, diviene oggi la dimensione prevalente su cui appiattire ogni destino individuale.
La politica odierna, dal canto suo, abbandonata la pretesa di rivoluzionare il mondo sociale appare sempre più subordinata alla rappresentanza di interessi economici consolidati nel tempo che finiscono per confermare lo status quo. Il mondo del lavoro e la borghesia sembrano accomunati dalla medesima concezione antropologica che di fatto tende a integrare completamente l’uomo nel sistema di produzione e di consumo capitalistico. Il filosofo tedesco Herbert Marcuse nel 1964 con la sua celebre opera L’uomo a una dimensione denunciava già, nelle società industriali avanzate, l’esistenza di un universo “unidimensionale” di pensiero e di azione, in cui progressivamente tendeva a scomparire ogni forma di pensiero critico e di comportamento di opposizione. «Gran parte del libro è una difesa del pensiero negativo come forza dirompente contro il positivismo prevalente» [1].
L’omologazione diffusa e generalizzata nella contemporaneità ribadisce la lungimiranza e l’attualità del pensiero di Marcuse con l’aggravante che oggi l’eclisse della ragione filosofica ha reso particolarmente difficile propugnare possibilità altre, definizioni dell’uomo diverse da quella dominante. Ogni singolo finisce inevitabilmente per dissolversi in quel generale anonimo rappresentato dall’interpretazione dell’uomo attualmente paradigmatica, veicolata dalle forze politiche e sociali, che sacrifica l’individualità al principio di prestazione e all’inclusione forzata nei modelli della società borghese dei consumi.
Questo pensiero unico assume anche le fattezze di un movimento che tende alla cancellazione del passato considerato come fucina di mostruosità ed errori storici (si pensi a quanto accaduto in America con la distruzione di importanti monumenti e statue di uomini illustri del passato). La concezione antropologica dominante con le sue definizioni di valore cerca cioè di collocarsi oltre la storia e si assolutizza assumendo la pretesa non solo di giudicare il passato, ma addirittura di cancellarlo. Il rifiuto della memoria storica afferma anche l’incapacità dell’umanità contemporanea di pensare un futuro altro e il suo rinchiudersi in un presente immodificabile proiettato all’infinito.
La definizione antropologica dominante, o pensiero unico come si preferisce, in cui ogni singolo finisce per essere incluso in maniera costrittiva è trasversale ad ogni parte o colore politico, essa è l’ideologia che lega e accomuna le diverse fazioni che solo superficialmente si differenziano. Il senso comune dell’odierna antropologia, che sostanzialmente esclude possibilità esistenziali altre rispetto a quella borghese, può assumere a seconda delle circostanze un volto più conservatore o uno più progressista senza mutare in maniera significativa il contenuto di sé stessa.
La realtà unidimensionale costrittiva rifiuta ogni tentativo della ragione di formulare una nuova o diversa definizione dell’uomo capace di non lasciarsi subordinare agli interessi economici dominanti. Esclusivamente appiattito nella dimensione produttiva e performativa dell’esistere, l’uomo appare sempre più funzionale al capitalismo e alle sue richieste. Neanche quello che una volta veniva definito il proletariato, cioè la classe rivoluzionaria per eccellenza, è riuscito a opporsi significativamente alla definizione culturale della borghesia, anzi esso ha finito per dipendere ideologicamente sempre più da essa integrandosi nel suo sistema produttivo e di consumo nonché nel suo sistema di valori. Probabilmente il proletariato non ha mai rappresentato, in Occidente, una vera alternativa alla borghesia a motivo proprio di questa stretta dipendenza culturale, ideologica con quest’ultima (si pensi alla comune concezione materialista dell’uomo inteso essenzialmente come uomo-lavoro). Le classi lavoratrici, inglobate perfettamente nel sistema capitalistico, hanno finito per avanzare e realizzare la pretesa di diventare parte del ceto medio, rinunciando ad ogni ipotesi di radicale trasformazione della struttura sociale.
L’esercizio del libero pensiero da parte di colui che il filosofo Friedrich Nietzsche chiamava spirito libero – ovvero l’individualità che pensa diversamente da come, in base alla sua origine, al suo stato o ufficio o in base alle opinioni dominanti del tempo, ci si aspetterebbe che pensasse [2] – diviene l’unica concreta possibilità al fine di poter ritornare a pensare l’alterità a partire dal passato con lo sguardo rivolto verso il futuro. La via dello spirito libero è sicuramente complicata da realizzare, ma è la sola fondamentalmente capace di recuperare l’istanza aristocratica (quale elevazione dello spirito) e di diffonderla in mezzo ad una umanità avviluppata in una ideologia materialista incapace di soddisfare i bisogni spirituali e più profondi dell’uomo.
Come sosteneva Max Weber la società moderna si configura come una sorta di gabbia d’acciaio in cui il capitalismo e la burocrazia costringono il singolo ad osservare una serie di regole, convenzioni e comportamenti che rendono la sua vita opprimente e angosciante. La società contemporanea è molto più repressiva delle società del passato «perché vi è più alienazione derivata dal lavoro e dalle patologie psicologiche che si moltiplicano a causa della repressione di pulsioni e istinti che ci viene imposta» [3].
L’individualità, nell’odierna realtà, è quindi costretta a dissolversi all’interno di un’unica concezione e definizione del reale, un orizzonte dove è sostanzialmente bandita ogni possibilità di autentico pluralismo culturale ed esistenziale. A guardar bene, il mondo attuale si caratterizza per questa intrinseca incapacità di accettare l’alterità e interpretazioni dell’uomo e della vita diverse da quella borghese dominante. Il pensiero unico è qualcosa che nessuno è legittimato a mettere in discussione e la sua forza maggiore consiste proprio nel propugnare una esclusiva e unilaterale concezione dell’uomo e della realtà che si impone in maniera totalitaria alla pluralità degli individui e che serve gli interessi di un capitalismo trionfante.
Solo la rinascita di un pensiero critico, quale frutto di una ripresa dell’analisi e dell’interpretazione filosofica, può garantire ancora il senso del divenire, cogliere cioè il significato profondo degli accadimenti passati e aprire la strada a un futuro altro. La riaffermazione della ragione oggettiva, che il pensiero contemporaneo ha estromesso dal suo panorama e di cui si era accorto in maniera lungimirante il filosofo Max Horkheimer, è la sola possibilità che consentirebbe di contrastare il dominio dell’ideologia nel nostro tempo, quell’ideologia cioè che occulta le verità possibili dell’uomo e costringe quest’ultimo all’interno di una dimensione unilaterale che annichilisce ciò che è propriamente umano nell’uomo stesso.
L’ideologia del lavoro fine a se stesso e della produttività a tutti i costi, ormai trasversale, pervasiva e condizionante l’intero dibattito pubblico, se esprime la logica e il trionfo del capitalismo sta a indicare anche l’impotenza di quelle forze sociali e politiche che ad esso si sono storicamente opposte ma che hanno fondamentalmente condiviso con la borghesia concezioni del mondo, valori e definizione antropologica. Il proletariato contemporaneo, al fine di recuperare il suo vigore e la sua forza rivoluzionaria, dovrebbe accogliere probabilmente le istanze di quel pensiero cosiddetto ‘aristocratico’ che è stato l’unico storicamente a formulare una concezione dell’uomo e dell’esistenza radicalmente opposta a quella della borghesia; sarà mai possibile realizzare questa alleanza che a qualcuno forse potrebbe far venire l’orticaria?
Si tratta cioè di ridefinire la lotta al capitalismo ampliando il campo e includendo nella stessa prospettiva altre dimensioni (estetismo, decadentismo, nichilismo) che hanno storicamente proposto una concezione antropologica differente e ostile a quella borghese e forse anche più incisiva e forte rispetto a quella propugnata dalle classi lavoratrici e dal proletariato organizzato. La debolezza intrinseca del proletariato, che mira esclusivamente a un miglioramento delle proprie condizioni esistenziali, non lo rende un’autentica classe rivoluzionaria dotata di una propria autonomia culturale e ideologica e, probabilmente, il limite del marxismo, come analisi e interpretazione della società, consiste proprio in questo: nell’avere cioè annesso una eccessiva enfasi al ruolo del proletariato inteso come protagonista indiscusso del processo storico.
Una significativa apertura alla dimensione spirituale dell’uomo in opposizione alla concezione materialista della borghesia e in buona sostanza del proletariato stesso condurrebbe alla riscoperta dell’importanza dell’elevazione umana attraverso l’esercizio di una cultura libera dagli interessi economici e produttivi dominanti. Un anticapitalismo romantico, quindi, profondamente rinnovato e capace di coniugare le istanze delle classi oppresse con una concezione dell’uomo e dell’esistenza che sia in grado di affermare l’aspetto nobile dell’uomo in opposizione alla barbarie dominante e al pensiero unico borghese che sacrifica l’uomo alla mera dimensione della produzione, della mercificazione e del lavoro come sacro feticcio.
Dialoghi Mediterranei, n. 57, settembre 2022
Note
[1] Douglas Kellner, Introduction to the Second Edition, in Herbert Marcuse, One-dimensional Man: Studies in Ideology of Advanced Industrial Society, London, Routledge, 1991: XI
[2] Friedrich Nietzsche, Umano troppo umano, 1878.
[3] Elisabetta Festa, Weber e la gabbia d’acciaio, una metafora ancora attuale, https://www.sociologiaonweb.it.
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Marcello Spampinato, laureato in Scienze politiche (indirizzo sociologico), è cultore di filosofia e teologia. Nel 2021 ha pubblicato il volume Esistenzialismo trascendentale e dialettico (Paguro editore). È membro dell’associazione culturale Nuova Acropoli di Ragusa impegnata nella promozione della filosofia attiva. L’analisi filosofica e delle scienze umane, insieme ai loro rapporti con l’arte e la letteratura, è parte integrante del suo campo di indagine e di ricerca volta verso una sempre maggiore unità della conoscenza e di una mentalità universale.
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