Lo shock vissuto dopo la mattanza jihadista di Parigi ci deve spingere a una riflessione profonda sul mondo in cui viviamo e che spesso ci porta ad assumere una visione tragica dell’esistenza. Crisi economica, disoccupazione di massa, disagio e disuguaglianze crescenti, ingiustizia ed emarginazione, razzismo, xenofobia e populismi, infine la dilagante barbarie dell’Isis, che supera ogni immaginazione, sono elementi tutti di uno stesso puzzle. Credo che ci troviamo di fronte a una crisi del sistema-mondo, diventato sempre più complesso e pieno di contraddizioni, iniquo e squilibrato, dove, in diverse aree, si svolge un pericoloso e intricato gioco geopolitico. Dopo la sconvolgente strage jihadista di Charlie Hebdo e quelle successive, siamo diventati, forse, più consapevoli dell’inesistenza di alcun luogo sicuro in nessuna parte del mondo, ma anche del fatto che tutto ciò non nasce ex abrupto come Minerva dalla testa di Giove, ma affonda le radici nelle molte concause accumulatesi nel tempo e che hanno raccontato, per facta concludentia, le molteplici ingiustizie nel mondo e gli errori della politica occidentale. Mi limito ad elencarne soltanto alcuni. In primo luogo, la questione palestinese, lasciata incancrenire da decenni, senza che la comunità e la diplomazia internazionale, l’Onu e i potenti della terra abbiano voluto fare giustizia, garantendo uno Stato anche ai Palestinesi. Questa ferita aperta ha prodotto un’infezione che ha alimentato l’arruolamento tra gli jihadisti. In Afghanistan, negli anni ’80, c’è stato il sostegno offerto, tramite l’amicizia di G. Bush senior con Osama Bin Laden, in funzione antisovietica, al fondamentalismo islamico, che poi, nel 1996, si rivoltò contro gli stessi finanziatori USA, che, a loro volta, coinvolsero i loro fedeli alleati. È seguito l’orrore delle torri gemelle dell’11 settembre 2001, cui si è risposto con l’escalation della guerra infinita al terrorismo, questa volta con G. Bush iunior, prima con la coalizione anti-irachena e l’uccisione di Hassan Hussein, attraverso le false prove delle armi chimiche, e poi, al momento di lasciare l’Iraq, alimentando il fondamentalismo sunnita in funzione anti-Iran, sulla teocratica Arabia Saudita, nemica degli sciiti e quindi dell’Iran e della Siria, istituendo il Patriot Act, che viola diritti fondamentali, arrestando, torturando a Guantanamo, spiando tutti in tutto il mondo; e infine la Libia. Per questa via, i fondamentalisti islamici, utilizzati come mercenari per destabilizzare la Siria, si sono messi in proprio, dando vita allo Stato islamico.
In tutto questo, l’Europa, ridotta a una semplice espressione geografica, imbelle, muta, senza idee e perciò senza una politica, è rimasta in una passiva subordinazione ai disegni geopolitici, economici ed egemonici degli Stati Uniti, di cui l’ultimo esempio è stata la crisi con Mosca per l’Ucraina, che ha mostrato icasticamente che ogni Paese va per conto suo e l’unico vero leader è la Merkel, mentre l’Italia è il fanalino di coda. Basti considerare la vicenda del riconoscimento dello Stato palestinese. Nonostante l’appello dello scrittore israeliano Yehoshua, secondo cui la maggioranza degli israeliani sarebbe d’accordo e nonostante l’Inghilterra, la Francia, la Spagna, l’Irlanda e il Portogallo si siano già pronunciati a favore, Renzi e Gentiloni si ostinano a tacere e l’Europa continua a manifestare la sua assenza dal contesto internazionale. Infine, ma non come ultima causa, le scandalose disuguaglianze e ingiustizie, interne a ogni Paese e tra Paesi ricchi e poveri, rappresenta un altro terreno fertile per il terrorismo. Se si guarda chi sono gli arruolati nel terrorismo islamista, soprattutto tra coloro che sono nati e cresciuti in Europa, ci si accorge che sono persone che hanno un vissuto di emarginazione, che non hanno avvertito un senso di appartenenza alla comunità, che hanno percepito lo stigma della diversità e accumulato un complesso d’inferiorità e un grande senso di disadattamento e di frustrazione, compensato da un meccanismo di formazione reattiva, caratterizzato da senso di onnipotenza, carico di aggressività e odio. Questo vale non soltanto per le banlieues francesi ma anche per la l’Italia e la Sicilia, dove non mancano i centri di addestramento, su cui stanno indagando le procure e dove, finalmente, si fanno i controlli non solo negli aeroporti ma anche nei porti e nelle stazioni.
Detto questo, mi pare utile ragionare su alcune delle questioni emerse dopo l’efferata carneficina di Parigi e dintorni. La prima è la satira religiosa. Poiché è uno dei mezzi della libertà d’espressione, dico subito che essa non si può conculcare. Ma, mi permetto di aggiungere che, sebbene le religioni monoteiste contengano in nuce un’essenza di fondamentalismo (basti pensare alle intolleranze del Cristianesimo, dalle Crociate all’Inquisizione e fino alla guerra dei Trenta anni e anche dopo), è anche vero che una religiosità matura può essere vissuta laicamente. In ogni caso, ritengo che la satira, come qualsiasi altra espressione del pensiero, possa essere rivolta verso capi e apparati religiosi ma debba essere tollerante e rispettosa verso i capisaldi e i principi di ogni fede, vissuta laicamente, che propugna principi di fraternità e solidarietà e che aborre che si possa uccidere in nome di Dio. In buona sostanza, la pluricitata frase attribuita a Voltaire «Non sono d’accordo con quel che dici, ma mi batterò fino alla morte perché tu abbia il diritto di farlo» non può essere usata a proprio piacimento. Proprio da essa trae fondamento anche la libertà religiosa. Ha ragione Stefano Rodotà quando dice che il rispetto integrale della persona, della sua vita e della sua dignità si contrappone radicalmente a ogni forma di fondamentalismo. Ecco, il rispetto è qualche cosa di più della semplice tolleranza, che, nella sua radice latina, implica uno sforzo, un sopportare, accettare. Purtroppo, l’intolleranza e la violenza non sono solo degli jihadisti, sebbene siano le più clamorose, ma anche di tanti regimi autoritari, dall’Arabia Saudita ad alcuni Paesi del Golfo, dall’Egitto, alla Turchia, dall’Indonesia al Pakistan e alla Nigeria. Il principio fondamentale deve essere quello della laicità dello Stato e della libertà d’espressione, che consente a ciascuno di esprimere le proprie idee, non solo religiose ma anche di critica alle religioni e in ogni ambito della conoscenza e della cultura umana.
L’intolleranza, si sa, genera intolleranza. Venti di guerra soffiano nell’aria. I partiti xenofobi guidati da Marine Le Pen e Matteo Salvini, pronti come avvoltoi a sfruttare orrendi eventi per la loro bottega, evocano lo “scontro di civiltà” alla Samuel Huntington, che è quello che vogliono gli jihadisti, mentre i musulmani sono le prime vittime. Invece, ciò che è necessario è che tutti i leader musulmani del mondo esprimano con fermezza e senza ambagi la loro condanna contro chi uccide in nome di Dio, ed è bene che siano gli Stati di popolazione musulmana ad assumersi la responsabilità di porre fine alla follia dell’Islamic State, come hanno cominciato a fare l’Egitto e la Giordania. I nostri ministri della difesa e degli esteri, che hanno proclamato subito e entusiasticamente un “armiamoci e partite”, farebbero bene ad adoprarsi per un lavoro d’intelligence molto efficace. D’altronde, aveva ragione Papa Francesco allorché aveva parlato di terza guerra mondiale a pezzetti. L’Isis è diffusa in diverse zone tra Asia e Africa, con propaggini in Europa, USA e Australia, perciò, l’intervento solo in Libia è un non-senso.
Se L’Europa, come ho detto, è un’accozzaglia di Stati, senza una politica comune, Matteo Renzi non ha fatto granché sul piano della spinta verso un’Europa più solidale, più giusta, più attenta ai diritti, con una politica estera, una difesa, una politica fiscale e un bilancio comuni, conformi ai principi del Trattato di Lisbona, che dovrebbe essere un compito della sinistra. La vittoria di Tsipras in Grecia, che ha fatto sperare in una spinta verso il cambiamento e la messa in discussione del carattere economicista e neoliberista delle politiche europee, rischia di essere soffocata in culla dall’isolamento creatogli intorno.
Il Governo Renzi, in linea con l’establishment internazionale, ci dice e ripete da anni che la crisi è finita e si sta avviando la ripresa. Ma è davvero così? Come ha detto Keynes, oltre i tre mesi in economia non si può prevedere e lo stesso è in politica. Ma, si sa, le post-democrazie sono manipolate dalle lobby e dai media. La crisi finanziaria, cominciata nell’agosto del 2007 negli USA con i subprimes e che si è estesa a tutta l’economia globale un anno dopo con il fallimento della Lehman Brothers, continua ancora. Sembrava che si dovesse avviare una moralizzazione del capitalismo, la regolamentazione delle banche, la soppressione dei paradisi fiscali, poi non è successo niente. Non si è voluto colpire il casinò finanziario e tutto è rimasto come prima. È stato fatto il salvataggio delle banche spendendo 29 mila miliardi, circa un terzo del Pil mondiale. I cittadini assistono impotenti allo strapotere della finanza e sono costretti a pagare i conti con le pensioni, con le retribuzioni rimaste al palo da anni, con la riduzione del numero dei dipendenti pubblici, con il taglio ai servizi, ridotti in povertà dall’austerità. La Banca centrale europea, anziché prestare i soldi direttamente agli Stati, li dà alle grandi banche allo 0,50%, le quali li prestano alle grandi imprese e agli Stati dal 4 all’8%, ma non alle piccole e medie imprese, che assorbono il 90% dell’occupazione. La disoccupazione continua a restare alta e le disuguaglianze continuano ad aumentare. Molte famiglie hanno perso, oltre il lavoro, anche la casa. Tutto ciò sta portando alla perdita di diritti fondamentali, civili e sociali, conquistati nel corso di due secoli e sanciti dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1798 e dalla Dichiarazione universale del 1948.
Non si può prevedere quando, ma quasi certamente la bolla finanziaria esploderà e crollerà il sistema finanziario internazionale. L’Europa si dissolverà insieme all’Euro sotto la pressione di un individualismo economico e culturale. La globalizzazione ha distrutto la solidarietà e i legami sociali, producendo grandi disuguaglianze tanto disgustose che l’1% della popolazione possiede più della ricchezza del restante 99%, con oltre un miliardo di persone che vive con meno di 1,25 dollaro al giorno. Se nulla cambierà, è possibile che le post-democrazie si trasformino in Stati autoritari, populisti, xenofobi, ma anche che si svilupperanno movimenti antisistemici. Oltre alla crisi finanziaria e alle disuguaglianze, vi è anche il declino delle energie non rinnovabili e la catastrofe ecologica e climatica. Senza ridurre le disuguaglianze, sono in pericolo la pace, la democrazia e la solidarietà. L’unica soluzione è un’equa ripartizione della ricchezza tra tutti gli esseri umani. Ma, per fare ciò, occorre che la politica torni al primo posto, rinnovata attraverso la partecipazione attiva dei cittadini e depurata di tutti i corrotti, per introdurre al più presto una rigorosa regolamentazione del sistema finanziario con una fiscalità a suo carico molto onerosa, un severo contrasto all’evasione fiscale, redditi di cittadinanza, diminuzione delle tasse e aumento di stipendi e pensioni ai più poveri e alle classi medie pauperizzate. La speranza sta nella crescita di quei movimenti di ricercatori, contadini e salariati, sindacalisti, movimenti sociali alternativi, ambientalisti e volontariato, che operano in tutto il mondo. La speranza è che quel 99%, il cui reddito complessivo è inferiore a quello posseduto dall’1%, faccia sentire alta la sua voce ritrovandosi idealmente in una piazza universale per rivendicare il diritto alla vita.
Il governo Renzi è stato una delusione sul piano economico-sociale. Dall’art. 18 al Jobs Act, dal superamento del mercato tutelato in campo energetico ai favori alle lobby farmaceutiche con lo stralcio dei farmaci di fascia C e a quelle assicurative (le tariffe più alte d’Europa) con il tetto ai risarcimenti per lesioni alle persone, dal non avere voluto colpire i privilegi e aumentare i redditi alle classi medio-basse, continuando, di fatto, la politica di trasferimento di ricchezza dai poveri ai più ricchi, tutto ciò non ha certamente agevolato la ripresa, non avendo alimentato la domanda. Renzi dice di non avere i soldi e, tuttavia, ha deciso di comprare gli F35. Dopo la rottura del Patto del Nazareno, il falso in bilancio è migliorato. Niente soglie di punibilità e niente procedibilità dietro querela, che avrebbe il rischio dell’impunità. Ora si deve allungare la prescrizione.
Se Matteo Renzi ha inciso molto poco sulla politica europea e di fatto è allineato alle sue politiche neoliberiste, l’elezione del Presidente della Repubblica, invece, è stato il suo vero capolavoro, che lo consacra un leader di razza. In un solo colpo, come è stato sottolineato da qualche osservatore, ha assestato il colpo mortale a Berlusconi ma ha anche posto fine a quel che rimaneva della tradizione comunista nel PD, frantumando Forza Italia e il NCD, mentre il M5S si è condannato ancora una volta all’irrilevanza. Ora alla guida del Governo e dello Stato sono due ex democristiani. Moriremo democristiani? La mia risposta alla domanda, che evoca un famoso editoriale de Il Manifesto a firma di Luigi Pintor, è no. La DC è nata come partito integralista, basato sull’unità politica dei cattolici e sull’equazione cristiano=democristiano, rovesciando la concezione sturziana originaria del partito popolare come partito aconfessionale e conservando sempre due anime: una che si rifaceva alla tradizione del cattolicesimo democratico e sociale e l’altra alla tradizione della destra clericale e integralista. Non è un caso che dopo la decomposizione della DC, l’ala sociale e democratica della ex DC assunse il nome di Partito Popolare e si pervenne all’unificazione con gli ex comunisti che, dopo la caduta del muro di Berlino, avevano assunto il nome di PDS ed avevano già dismesso l’ideologia marxiana, divenendo anch’esso un partito interclassista. Quando nacque il PD, era già un partito laico, post-ideologico e interclassista, che continua ad autodefinirsi di sinistra, ma perdendo per strada quella spinta propulsiva e di tensione verso l’uguaglianza e la giustizia, senza la quale non può esistere una vera libertà e democrazia.Tanti del vecchio PCI, a parte i deceduti, erano già andati via in dissenso con la nuova linea del partito, a cominciare da Achille Occhetto che aveva dato il via alla liquidazione di quella storia.
Sergio Mattarella appartiene alla cultura del cattolicesimo democratico. Nelle prime scarne dichiarazioni e nei primi gesti del nuovo Presidente c’è la sintesi delle premesse di questo articolo: il pensiero agli ultimi, ai più deboli e l’omaggio alle Fosse Ardeatine, simbolo della Resistenza e dell’opposizione ad ogni forma di intolleranza e di integralismo e della necessità del rispetto delle idee e delle diversità. Il Presidente sembra ricalcare le orme di Papa Francesco, il solo che ha saputo denunciare le disuguaglianze. L’aspetto del nuovo Presidente è sobrio e silenzioso, il tono è pacato, il discorso stringato, essenziale e denso. Rivolto più ai cittadini che alle istituzioni, in mezz’ora ha declinato la Costituzione, incarnandola nelle persone in carne e ossa (i bambini, i giovani, le donne e gli anziani) e nei loro bisogni e diritti, civili e sociali, non tralasciando nulla, dalle persone che soffrono per la lunga crisi economica, che «ha inferto ferite al tessuto sociale, ha aumentato le ingiustizie, ha generato nuove povertà, ha prodotto solitudine ed emarginazione», ai disabili, alla violenza alle donne, al diritto alla salute e dei malati, al diritto allo studio e al lavoro, al diritto a ottenere giustizia in tempi rapidi, alla promozione della cultura, ai tesori artistici del nostro Paese, alla democrazia «che si deve inverare» nella realtà quotidiana, alla legalità e alla lotta alla mafia, all’evasione e alla corruzione, al ripudio della guerra, alla lotta al terrorismo fondamentalista, che «sarebbe un grave errore» affrontare nell’ottica dello scontro tra religioni.
Sono certo che il nuovo Presidente sarà un garante della Costituzione e un arbitro imparziale, come egli ha detto, chiedendo anche aiuto ai giocatori e, in tale ruolo. potrebbe anche rivelarsi una spina nel fianco di Renzi. Questi, forse, ce la farà a fare approvare la legge elettorale ma, nonostante la raggiunta compattezza del PD sull’elezione del Presidente della Repubblica, restano le opinioni differenti per quanto riguarda le riforme, su cui occorre trovare una sintesi se non si vuole pagare il prezzo di lacerazioni profonde nel PD. Una buona legge elettorale dovrebbe contenere una sintesi diversa tra rappresentanti nominati e preferenze, attraverso una regolamentazione di elezioni primarie che garantiscano la rappresentanza e la partecipazione dei cittadini, che obblighino gli eletti che tradiscono la rappresentanza a dimettersi, ponendo fine al continuo cambio di casacche. La riforma costituzionale del Senato non può tradursi in una sorta di rappresentanza di sindaci e consiglieri regionali. Piuttosto sarebbe il caso di abolire le Regioni, che sono il vero salasso dello Stato e il luogo dei sottogoverni, delle corruzioni e dei privilegi.