di Nino Giaramidaro
Credo che una notte o l’altra incroceranno le bacchette. Una tenzone legnosa e attesa, con sul terreno di Porta a Porta Bruno Vespa, alla destra di chi guarda la tv, con il vestito azzurro e una bella cravatta; alla ischerda (izquierda) – diceva mio padre che si intendeva anche di bastoni animati – cioè alla sinistra nel linguaggio schermistico del siciliano d’Ottocento, Andrea Margelletti, ex stratega della Difesa italiana e titolare di un sacco di altre cariche, tutte militaresche – per dirle per esteso occuperebbe moltissimo spazio. Tra l’altro Andrea indica forza, valore, coraggio, virilità, mascolinità. Caratteristiche che Margelletti rivela quando – anche senza bacchetta in mano – risponde sulle mire della Russia che, ovviamente, non sono l’Ucraina e nulla più.
Sullo sfondo c’è una mappa con nomi incomprensibili e frecce e colori ugualmente arcani che vengono colpiti dagli affondi repentini dei due armati di bacchetta con impugnatura “alla francese”.
Siamo aggiornati quasi ogni sera sugli sviluppi della guerra d’Ucraina seguendo con lo sguardo distruzioni non datate, cioè filmati in procinto di entrare nelle Teche Rai messe sullo sfondo degli inviati che parlano a intermittenza. Sì perché l’interruzione del collegamento è una prova senza segreti della diretta, tant’è vero che anziché lasciare in quella specie di teleacquario l’inviato dal nome sconosciuto si passa ad altro, con altro nome sconosciuto e argomento che non ci azzecca; noi, pazienti, aspetteremo il ritorno dal fronte: che spesso non avviene, lasciandoci tutta l’angoscia sulla sorte dello sconosciuto.
Non voglio forzare quelle tracce di vis comica che ognuno possiede ma bisogna riflettere su alcune circostanze televisionarie.
“Ed ora ci colleghiamo con Montecitorio”. Spunta sul video il volto sparuto di un telecronista in mezzo alla strada. Deserta, gialla perché è già sera. Non ha nulla da dirci ma lo fa con il garbo di coloro che stanno per andarsene e sono trattenuti. Molti dello share – chissà chi l’ha detto – si accorgono di essere vivi solo per il monotono tic tac dell’orologio. Telecronisti sempre presi alla sprovvista: come se non si aspettassero, dopo i lunghi secondi di attesa col microfono in mano, di andare in onda; e noi col fiato sospeso in attesa del vivificarsi del microfono.
È una sorpresa pure per i teleutenti che il giornalista parli. Non ha più nessuna importanza ciò che dice: si è guadagnato la libertà di parola nonostante le scorrerie perpetrate dal conduttore tutte tese a dimostrare che lui la sa meglio del collegato. In siciliano si dice toccare qualcuno “con la canna” – c’è una frase idiomatica che non ricordo – come ancora fanno alcuni giornalisti delle televisioni – non solo quelle di Stato – con i loro microfoni assicurati a bastoni di metallo che avvicinano… oppure allontanano l’uomo politico che scappa, si rifiuta di rispondere alle domande non certo terribili, e si infila rapido in una porta o portoncino custodito dalle forze dell’ordine.
Probabilmente ci sarà qualche articolo in tutte le Carte che regolano il nostro vivere, il quale articolo consente al fuggiasco – impunemente – di eludere le risposte destinate a noi. Noi che lo abbiamo votato riponendo tutta la fiducia della quale disponiamo davanti a quella soglia.
Oggi ai mezzi di comunicazione – dice il Papa ai Paolini – «manca pulizia, manca onestà, manca completezza. La disinformazione è all’ordine del giorno: si dice una cosa ma se ne nascondono tante altre». Papa Bergoglio vorrebbe una comunicazione schietta, forse perché si è accorto che ci avviamo verso la balbuzie, i grugniti abbandonati da ere. Bisogna essere veloci: il fascino della parola assaporata è una meraviglia che si va provando sempre di meno. La nostra meta linguistica è il mugugno, la lingua dell’homo insapiens. Non c’è tempo di soffermarsi sulla parola, sul suo suono, sui suoi accenti, il ritmo che impone alla frase e al nostro senno. Invece i predicatori della tv continuano – sì, impuniti – ad offendere le pause della lingua, le sue legazioni, le sue costruzioni, le sincrasi, le dieresi e tanti eccetera.
E immagini. Passano e ripassano sempre le stesse, sia nella medesima trasmissione sia a distanza di ore e di giorni. Non si riesce a dar loro un armistizio qualsiasi che possa rassicurare il pubblico sulla originalità dei filmati, sulla consonanza delle parole dell’audio e delle immagini che scorrono.
Non bisogna, poi, ridursi alla consultazione del Televideo: serie difficoltà di comprensione. Esempio di giovedì 23 giugno: «Zelensky a Occidente: presto nuove armi». Uno immagina che il presidente dell’Ucraina ci svelerà qualche arma segreta; se invertiamo gli “addendi” (nuove armi presto) scopriremo che il numero uno ucraino invoca l’affrettare della consegna della fornitura promessa. “A vario titolo” è una locuzione inquisitoria usata nei verbali poliziesco-giudiziari e accolta senza vergogna nel repertorio neo-giornalistico.
Per rimanere in questi ultimi giorni, la giovane di Mascalucia accusata di aver ucciso la figlioletta di cinque anni viene detta “mamma” con uno stridio lessicale non da poco. E la schermata in bianco e nero mostra sicurezza nell’accusare la madre: «Ha ucciso» e non «Avrebbe ucciso». C’era un “vocabolario” quando ho cominciato questo mestiere. Non si doveva scrivere la parola “pregiudicato” perché il giornale per il quale lavoravo era a favore ad un’altra chance a chi aveva precedenti penali. Così come era vietata la parola “vecchio” e tante altre che non ricordo. Un dispendio corposo di adeguati sinonimi e tempi condizionali forse non tutti adeguati.
Meglio o peggio della bacchetta di Vespa? L’importante è non continuare ad attraversare la vita senza mai svegliarsi.
Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022
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Nino Giaramidaro, giornalista prima a L’Ora poi al Giornale di Sicilia – nel quale, per oltre dieci anni, ha fatto il capocronista, ha scritto i corsivi e curato le terze pagine – è anche un attento fotografo documentarista. Ha pubblicato diversi libri fotografici ed è responsabile della Galleria visuale della Libreria del Mare di Palermo. In occasione dell’anniversario del terremoto del 1968 nel Belice, ha esposto una selezione delle sue fotografie scattate allora nei paesi distrutti.
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