immagini
di Simone Mizzotti
Crema, la città dove abito, da subito è stata colpita in modo molto grave dal virus. Si è passati da una apparente normalità ad uscire solo per necessità. Questo passaggio l’ho avvertito come una minaccia per il mio stato d’animo, ma purtroppo non c’è stato modo di agire diversamente. Le uscite si riducevano progressivamente, fino ad arrivare a una volta ogni due settimane soltanto per fare la spesa. In tutto questo il mio lavoro è stato messo a dura prova. Io sono un fotografo, e impedire o comunque bloccare un fotografo a casa è come legare le ali ad un uccello. Ma durante le prime settimane avevo anche altro lavoro da sbrigare, quindi non mi sembrava difficile coesistere con il mio lavoro e le mie abitudini.
Io lavoro ancora molto con la fotografia analogica e proprio nelle prime settimane mi ero fatto una buona scorta di rullini e di acidi per lo sviluppo con l’intenzione di sopperire alla noia rimettendomi a sviluppare le pellicole in bianco e nero. Quindi inizio con una serie di immagini molto libere scattate all’interno del mio giardino.
Vivo in una piccola corte di un palazzo del Settecento nel centro storico di Crema e di spunti non ne mancano. Inizio a scattare fotografie a fiori, piccole piante anche immagini molto ravvicinate. Sviluppo e vedo i primi risultati, mi sembrano discreti, ma tutto ad un tratto a inizi marzo si è ammalato un mio zio, e subito dopo una mia zia. Passano i giorni e purtroppo non arrivano buone notizie dagli ospedali. Nel frattempo a Crema la situazione precipita e decidono di predisporre un ospedale da campo all’esterno dell’ospedale maggiore, dove dei medici e infermieri cubani (Viva Cuba) sono venuti a prestare servizio.
Con il peggiorare delle condizioni dei miei zii inizio ad essere molto più triste, le giornate mi sembrano tutte uguali e interminabili, e il mio umore condiziona molto i miei scatti. La mia fotografia è molto soggetta ai miei stati d’animo o ai miei attimi di felicità, e quasi in modo inconscio poi traspare all’interno dei miei scatti. E proprio quell’umore inizia a farsi pesante e senza accorgermene inizio a realizzare immagini molto cupe e buie. E poi il bianco e nero enfatizza molto quasi tutte le immagini. Fino alla tragica notizia della morte di entrambi a metà marzo a due giorni di distanza.
Da lì in poi sono caduto in un baratro, non credevo fosse vero, mi sembrava di vivere in un incubo. Non sto qui a raccontare cosa si prova, ma di certo è una sensazione legata alla morte molto diversa rispetto alla classica normalità della morte. In questo caso a livello fisico non si poteva nemmeno fare un funerale e nemmeno una camera ardente. Io ho visto andare via mio zio e non vederlo più tornare.
In tutta questa tragicità ho la fortuna di potermi distrarre con quello che più amo, la fotografia. Ho proseguito realizzando immagini molto diverse tra loro, poco alla volta il mio umore migliorava e più passavano i giorni più mi avvicinavo ad una luce diversa, anche se non di molto. Da qui in poi ho deciso di mettere insieme alcuni scatti che raccontassero questo periodo.
La fotografia che sviluppo nella mia ricerca mi porta ad avere una relazione molto intima coi soggetti, quasi personale, ma anche una relazione di conforto, e tutte le immagini che sono venute dopo sono state l’esempio in qualche modo per potermi esprimere come se fossero dei piccoli e brevi dialoghi cercando di ricordare il più possibile i miei zii.
Può sembrare banale, ma potermi isolare soltanto guardando dentro ad un mirino della macchina fotografica per me è molto importante, quello che sta fuori non lo vedo più, se non soltanto quello che il mio umore, la mia testa ma soprattutto la mia visione vuole vedere. Decidere cosa tenere fuori dall’obiettivo è tanto importante quanto quello che si include, diceva il saggio fotografo Luigi Ghirri.
E per me tutto questo ha funzionato come una terapia per il cuore e per l’anima. Facendomi tornare il sorriso e la speranza che presto sarebbe passato questo periodo. Questi scatti ripercorrono in modo quasi cronologico quei momenti, pieni di confusione di speranza e tristezza, ma con un pizzico di luce che mai deve mancare sia nella fotografia che nella vita. Queste immagini sono dense di una bellezza nascosta ma che celano la vera gioia della vita.
Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
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Simone Mizzotti, giovane fotografo e docente di fotografia. Ha studiato alla L.A.B.A, libera Accademia di Belle Arti di Brescia e ha approfondito la conoscenza dei fotografi italiani degli ultimi decenni, dedicandosi ad una personale indagine sul paesaggio italiano. Ha frequentato il master di alta formazione sull’immagine contemporanea promosso da Fondazione Fotografia di Modena. Nell’estate del 2012 ha partecipato per due mesi al programma Artist in Residence presso il Centro de la Imagen di Lima in Perù e al termine della residenza ha esposto presso il Centro Cultural Ricardo Palma di Lima. Da dicembre 2013 ad aprile 2014 è stato visiting professor al Ningbo Polytechnic di Beilun, Zhejiang Cina insegnando tecnica e progettazione fotografica. Ha ricevuto la menzione d’onore al premio Graziadei 2014 per il progetto Ningbo Polytechnic durante la XIII edizione del Festival della fotografia di Roma.
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