L’interesse crescente, negli ultimi decenni, nei confronti dell’ebraismo siciliano trova una sua giustificazione nella consapevolezza, da parte degli studiosi più seri, che le ricostruzioni storiche tendenti a marginalizzare, sottovalutare o peggio ignorare il contributo delle minoranze, risultano parziali, incomplete, e talvolta arbitrarie. Acquisita ormai dalla storiografia recente la convinzione che andasse approfondito il ruolo della minoranza ebraica nella storia della Sicilia, rilevante, sia per la consistente presenza demografica rispetto ad altre regioni italiane del tardo Medioevo, sia per il dinamismo economico e culturale, si è proceduto da parte di storici, siciliani, italiani e stranieri ad una prima ricognizione delle giudecche distribuite nell’Isola fino alla drammatica espulsione del 1492. La monumentale raccolta documentaria di Shlomo Simonsohn, già rettore dell’Università di Tel Aviv, The Jews in Sicily, in ben 18 volumi, ha portato alla catalogazione di 94 giudecche siciliane tra cui quella di Castelvetrano, mentre il lavoro di due grandi studiosi, Cesare Colafemmina, recentemente scomparso e di Mauro Perani, ha prodotto importanti studi sulla lingua e la cultura degli ebrei dell’Isola.
La ricerca di tre appassionati ricercatori, Giuseppe Salluzzo, Pasquale Calamia, Mariano La Barbera, Castelvetrano e gli ebrei nel sec. XV (Castelvetrano 2015), con l’individuazione del quartiere ebraico e della probabile sinagoga della piccola comunità ebraica di Castelvetrano, porta all’attenzione degli studiosi di ebraismo e agli storici in generale, una pagina inedita della città medievale, dimenticata, oscurata o rimossa dalla storiografia. Poiché Salluzzo, Calamia e La Barbera sono in primo luogo architetti, la loro attenzione si è focalizzata sull’individuazione del quartiere della piccola comunità castelvetranese e delle sue fondamentali strutture comunitarie. Allo studio del borgo medievale, centro della signoria dei Tagliavia, con il suo castello, le mura, i quartieri, le chiese e i conventi, mancava questo tassello che adesso s’incastra nel contesto storico e urbanistico completandone il mosaico.
Atti ufficiali e documenti notarili sono fonti importanti per fare emergere particolari urbanistici che sfuggono spesso ad analisi globali del tessuto urbano delle città e che si rivelano invece essenziali se si vuole pervenire ad una visione d’insieme più probante. Privilegiare questo tipo di fonti comporta che lo studio dei quartieri ebraici venga contestualizzato in modo più esplicito all’interno delle città medievali, già consolidate nel loro assetto nel XV secolo, sulla cui evoluzione si possono oggi avanzare delle ipotesi.
Di alcuni quartieri è rimasta memoria attraverso i toponimi come vicolo Meschita, giudecca, cortile meschita (meschita è latinizzazione della parola araba misgid, moschea). I quartieri ebraici sono in genere indicati nei documenti con Iudaica, termine che denomina, nel XV secolo, sia il quartiere che la comunità; nei periodi precedenti troviamo Rabato che indica un sobborgo fuori le mura, come a Siracusa nel XIV secolo, ad Agrigento, a Castrogiovanni, l’odierna Enna. Tali toponimi potrebbero definire il passaggio dei quartieri dalla condizione extra moenia a quella intra moenia.
Si può ipotizzare per alcuni quartieri ebraici in Sicilia un’evoluzione dal periodo normanno in poi per cui le giudecche, in una prima fase poste fuori dai nuclei urbani, chiamati terre vecchie, siano state poi inglobate nelle città per l’ampliamento delle mura, nel XIV secolo; è il caso di Sciacca, Caltabellotta, Agrigento, Mazara del Vallo e potrebbe essere il caso di Castelvetrano anche se uno studio sull’evoluzione urbanistica della città medievale nel suo complesso non è ancora stato fatto. Fin dal periodo normanno è dunque la relazione con le mura cittadine, il loro sviluppo e le porte che si rivela importante per la conformazione e l’evoluzione dei quartieri ebraici, connotati in alcuni casi da una condizione di marginalità urbana, superata nei secoli del basso Medioevo da una progressiva occupazione delle aree abbandonate dagli arabi nel XIII secolo, a causa della loro espulsione decretata da Federico II , e da uno spostamento verso l’area del mercato cittadino.
Il materiale documentario prodotto dai tre ricercatori, per quanto esiguo, fornisce indizi per ulteriori approfondimenti e apre uno spaccato di vita quotidiana comunitaria, oltre che di relazioni sociali e interculturali tra la componente cristiana e quella ebraica. Punto di confluenza di importanti flussi economici legati al commercio del grano, il comune feudale di Castelvetrano non poteva non attirare l’interesse degli ebrei delle comunità della Sicilia occidentale, Palermo, Mazara, Trapani, impegnati, com’è emerso da recenti ricerche, nel settore del prestito attraverso gli acquisti anticipati di grano dai produttori.
Nei comuni feudali i funzionari di conti e baroni, proprietari di masserie, di mulini, di allevamenti, riescono ad accumulare patrimoni fondiari col commercio del grano, prodotto nei feudi dei magnifici baroni, che confluisce nei caricatori più vicini. Spesso in concorrenza con questi ultimi, essi cercano di speculare attraverso il sistema delle tractas, cioè le tasse per l’esportazione, di controllare e monopolizzare i flussi commerciali. Tra le maglie di questo sistema si inseriscono i maggiorenti della minoranza ebraica siciliana, in un settore indubbiamente trainante dell’economia dell’Isola, diventando uomini di fiducia dei baroni. Le relazioni dei baroni Tagliavia di Castelvetrano, nella seconda metà del Quattrocento, con membri della oligarchia ebraica della Sicilia occidentale, come gli Actuni di Trapani, i de Medico e Belladeb di Palermo o i de Vita di Mazara, confermano il ruolo rilevante dei mercanti ebrei scelti dai baroni per la loro abilità come mediani cioè sensali e prestatori, ma anche le relazioni conflittuali, a periodi alterni, del baronaggio siciliano con la minoranza ebraica, pur sempre in una condizione giuridica di inferiorità e col rischio di subire ingiustizie e soprusi.
Questa interessante ricerca, che ci auguriamo avrà ulteriori sviluppi, amplia il panorama degli studi sulle giudecche siciliane sia dal punto di vista dello sviluppo urbano dei centri feudali che delle dinamiche economiche e sociali che inducevano gli ebrei a residenze stabili in determinate terre piuttosto che in altre e a consolidare i loro quartieri. Com’è noto, le istituzioni comunitarie essenziali alla vita degli ebrei sono la sinagoga e il bagno rituale. In questi anni il lavoro di storici, architetti e archeologi ha portato all’individuazione di importanti siti ebraici, allo studio di reperti e testimonianze materiali, iscrizioni tombali e sinagogali, ma occorre molta serietà scientifica e vigilanza se si vogliono evitare i rischi delle speculazioni e dei facili trionfalismi.
Dialoghi Mediterranei, n.12, marzo 2015
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Angela Scandaliato, già docente di storia e filosofia, si occupa di storia dell’ebraismo siciliano ed è membro della Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo e della European Association for Jewish Studies di Oxford. Ha pubblicato saggi di storia medievale e articoli per riviste scientifiche e atti di convegni nazionali e internazionali, tra cui: L’ultimo canto di Ester: donne ebree del medioevo in Sicilia, Sellerio, Palermo 1999; Judaica minora Sicula: indagini sugli ebrei di Sicilia nel Medioevo (in collaborazione con Maria Gerardi), Giuntina, Firenze 2006; Flavio Mitridate. I tre volti del cabalista (in collaborazione con Licia Cardillo Di Prima), Dario Flaccovio Editore, Palermo 2014.
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