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La lingua italiana in Tunisia: dalle cronache di Simpaticuni all’italianistica odierna

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Tunisi, Rue d’Italie, primi 900

di Ahmed Somai

L’argomento che ho scelto di trattare e che è in concomitanza con i miei interessi, che non sono strettamente storici ma dove l’elemento storico interviene per illuminare altri aspetti a carattere linguistico o letterario, è la presenza della lingua italiana (o le sue varianti regionali) sul suolo tunisino. Punto di ripartenza di questo discorso sono le cronache italo-tunisine del periodico Simpaticuni: esse illustrano in effetti una presenza dell’elemento italiano in Tunisia, che possiamo dire non è mai mancata fin dai tempi più lontani. Queste cronache costituiscono una testimonianza rara, forse unica, di quella lingua mista che gli italiani di Tunisia usavano nella comunicazione quotidiana, sia con gli autoctoni arabi che con l’elemento francese.

Simpaticuni si definiva nel suo primo numero di domenica 18 giugno 1911, come Giornale dialettale umoristico satirico letterario, e aveva sede in via Bab Souika – Tunisi al n°31. Il suo motto : «Volete una buona salute? Comprate ogni quindici giorni anche se non sapete leggere il tanto rinomato Simpaticuni». In alto sulla sinistra (poi in centro) si può leggere la seguente avvertenza: «I manoscritti non si restituiscono mancu a lignati».

I primi numeri comprendevano quattro pagine su cui s’alternavano l’italiano e il siciliano. Le cronache, le poesie, i racconti, i testi teatrali sono per lo più in siciliano. Gli articoli di informazione politica, economica, di problemi sociali o a carattere polemico, come anche gli inserti pubblicitari, sono in italiano. Frequenti sono gli accenni alla “Piccola Sicilia”, il quartiere costruito e abitato dai siciliani alla Goletta, tanto da considerare Simpaticuni come portavoce in primo luogo della Petite Sicile, e in secondo luogo degli italiani di Tunisia.

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A partire dal secondo anno il giornale, da quidicinale diventa settimanale, ed esce ogni sabato. Al quarto anno, n°139, 8-9 agosto 1914, il giornale menziona una tiratura di 7000 copie. Con ogni probabilità, tra il 1914 e il 1915, Simpaticuni introduce accanto alle sue rubriche abituali in siciliano e in italiano, con la presenza di termini ed espressioni arabe o francesi secondo il caso, una nuova rubrica di cronache redatte in una lingua mista, una specie di sabir o una neo-lingua franca, firmate Kiki Fartas. Queste cronache, diverse da quelle pubblicate dal giornale all’inizio della sua vita editoriale, si differenziano nettamente per il tipo di linguaggio usato dal cronista: l’italiano/siciliano – l’arabo dialettale – e il francese italianizzato creano infatti nel loro mischiarsi un registro del tutto inedito che ricalca sicuramente il modo di parlare degli italiani di Tunisia nei luoghi pubblici come i caffé, i ristoranti, i mercati, quando sono messe a confronto le diverse componenti della popolazione multietnica della Tunisia di quei tempi dove convivevano turchi, arabi, italiani, francesi, maltesi e coesistevano varie confessioni religiose: musulmani, cristiani, ebrei.

In qualche modo, queste cronache di Simpaticuni riflettono la particolare posizione della collettività italiana di Tunisia, importante per numero, ma costretta a barcamenarsi tra la popolazione araba e gli amministratori francesi. E se i rapporti con i francesi erano di carattere amministrativo e ufficiale, con l’elemento arabo erano di natura socio-economica  legati alla vita quotidiana, ai piccoli mestieri, al contatto diretto. Si capisce quindi perché la parlata tunisina, anche oggi,  è così  ricca di vocaboli e di espressioni di origine italiana.

Ecco alcuni esempi di cronache:

Sabato 3 febbraio 1923
Le lettere di Taita Bougherba
Villa Sfennaria, febbraio 1923
Ma jolie Camouna
…Figure tuà chi ancora non sai chil travestissement mi vuoi mettri.
Braitu voli chi mi vesti alla sbaniole, nzama comi Carmen, u lui si vesti di toro’ ualla toreador, cul spata ul codino di dietro, ul castagnettes fil mano di lui.
Brobbi ia Cammouna conseille muà chi schi ji dois sciosir di dui mascarati.
Sabato 13 gennaio 1923
Le lettere di Lucardu dal Gibbiuni
Tunes, 13 ginnaru (mentre piovi) 1923
Simpaticuni tiai,
Bongiù. Te stari beni: iu puru.
Razi mezel ugiani dachel bomba abbiamu presu fil reveillon tal Danzing.
Ah… Simpaticuni tiai, jamais tegem tamel un’idea tal impressioni vinuti cun me, pel prima volta andiamu al Danzing.
Comme je te dis sidiamu da una tavula u cumandamu il manger(…) :brodu col pilastri. Tarf scinù pilastri ent ? Nzama gallini; mayonnaise a l’indiana, dendo’ al marsaletta, ficatelli viniziani, ravioli, cassati, champagne, huitres, furmaggi, café, u tanti cosi, chi ti fai vinemu il voglia best icol. Ueta spicciait il manger, il voglia vinemu di ballari.
Namel riverenza a una masmoselle, u bisogna diri il virità ma allitlish…
                                                 Firmato: Lucardu dal Gibbiuni
                                 Chef di chip dal Compagnia da Begè tal
                                 Camina di ferro.

Queste cronache, che usciranno in seguito con ritmo regolare, firmate all’inizio “Kiki Fartas” e “Braima Fartas”, e più tardi con altri nomi (o pseudonimi) del tipo “Lucardo dal gibbiuni” o “Taita Bougherba”, costituiscono probabilmente l’unica testimonianza scritta di quella che era la lingua d’uso quotidiano degli italiani di Tunisia all’inizio del Novecento, o almeno la lingua usata da una frangia, per lo più subalterna, della collettività, ossia coloro che sono a contatto diretto, per le varie necessità del vivere, con la popolazione locale e l’occupante francese.

Con queste cronache, Simpaticuni lascia uno traccia che sarebbe definitivamente perduta con la scomparsa degli ultimi sopravvissuti della storica collettività italiana di Tunisia. A questo proposito, le registrazioni effettuate negli anni ’90 e conservate nell’Istituto per la Storia del Movimento Nazionale (ora Istituto di Storia della Tunisia Contemporanea – Campus della Manouba), costituiscono una fonte orale preziosa che si potrebbe confrontare con le varie tracce scritte (in Simpaticuni, o Il Cicchetto o in altri giornali umoristico-dialettali) per segnalarne le somiglianze e le differenze, poiché queste registrazioni sono state realizzate a distanza di quasi tre quarti di secolo.

Inoltre, queste scene, spesso qualificate «ceni de lu veru», o «fattu successu», o ancora «visto con chisti occhi», sono un documento utile per chi indaga sulle condizioni di vita della collettività italiana nel primo trentennio del secolo passato, sui suoi problemi e i suoi rapporti sia con la popolazione araba che con i coloni francesi. Sono una fonte inesauribile di informazioni sui mestieri e professioni della piccola gente italiana, le sue abitudini culinarie, gli svaghi, l’abbigliamento.

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Scorcio della Goulette a Tunisi

Ma ciò che costituisce l’originalità di Simpaticuni rispetto ai numerosi giornali italiani che si pubblicavano allora in Tunisia è l’alternanza dei registri e la compresenza sulla stessa pagina dell’italiano standard, del siciliano e dell’ “italo-tunisino”. Simpaticuni appare così come una delle voci dell’Italia, e poi della Piccola Sicilia e dei quartieri siciliani nelle varie città tunisine, come “Capace grande” di Sousse, ed infine della Hara, o degli ebrei d’el Grana. La struttura del giornale riflette quindi, come osservato prima, la posizione problematicamente intermedia degli italiani di Tunisia stretti tra autoctoni ed occupanti, costretti a riccorrere nella comunicazione quotidiana a un lessico proveniente dall’arabo parlato dei tunisini, e termini francesi che venivano spesso italianizzati.

A titolo d’esempio troviamo che il ricorso all’arabo parlato, oltre ad un infinità di termini che sarebbe difficile quantificare, riguarda molti elementi grammaticali:

- la congiunzione “e” diventa “u” e “ul” (articolata) come “sidiamu … u cumandamu il manger..; cul spata ul codino (con la spada e il codino).

-  l’appellativo arabo “ia” “يا”, “ ia Camouna conseille muà”; “ja Kiki..”

-  le preposizioni: come “fil” (nel), “tal” (del) “fil reveillon tal Danzing”

- pronomi personali e possessivi : “enti” (tu), “ena” (io); tiai “mio” : “u enti ia Slumu..; Simpaticuni tiai”.

Frequenti inoltre i termini presi dall’arabo dialettale per giurare, ringraziare Dio, sollecitare : orobbi, brobbi; antulla (grazie a Dio); tbarcalla, nscialla, ia ghelbi; madabia (magari); oras il garsoni ; oras Braima, ualla hadi halua; o per salutare : asslema, sahha (salute !) , ki fennec (come stai)…

Altre espressioni tipiche del conversare dialettale : hasilu, el hasil (insomma); andec el hac (hai ragione); ash lezec (Chi te l’ha fatto fare); tfakker ia Kiki (ti ricordi Kiki); haja nta kif (una belle cosa), u alik ; ia hasra…

I termini relativi ai modi di vita arabi, al cibo, ai comportamenti, ai nomi di frutta o verdura… sono innumerevoli, come “fari dei zagrit; mluhia; hut bil arisa; graiba; ftaiar, favi bil camoun (fave col cumino).

Questi esempi danno un’idea significativa del grado di integrazione dell’elemento italiano nel tessuto sociale tunisino, influenzando a sua volta il suo linguaggio, la sua cucina, i suoi svaghi ed il suo modo di vita.

3La parlata tunisina di oggi è in qualche modo il risultato di questo brassage di lingue e di culture. Non è più l’italiano parlato dalla collettività italiana ad essere contaminato e arricchito di termini provenienti dall’arabo o dal francese; è l’arabo tunisino a presentarsi come lingua mista di italiano e di francese. Quantificare ed illustrare dettagliatamente le proporzioni di tale impatto è arduo. Una cosa è sicura, per la Tunisia geograficamente e storicamente vicina e legata alla penisola italiana, ma la cui storia contemporanea è legata al mondo francofono, l’impatto socio-linguistico italiano è di più vecchia data e per alcuni settori è preponderante.

La rivalità tra Italia e Francia per mantenere una presenza economica e culturale si è giocata, a partire dall’indipendenza, e si gioca ancora oggi sul terreno degli investimenti economici e della comunicazione, soprattutto quella televisiva. Questa doppia presenza francese e italiana ha favorito la sopravvivenza di termini e di espressioni di origine italiana o francese, ed ha condizionato alcune delle nostre abitudini alimentari (basti pensare allo sviluppo notevole dell’industria della pasta e all’allargarsi del suo consumo), ma anche l’abbigliamento o l’arredamento, secondo le immagini veicolate dalle reti televisive, prima quella della RAI, e in seguito anche di Antenne 2.

Tuttavia l’apporto lessicale di più antica data è più italiano che francese. Un gran numero di termini ancora in uso oggi risalgono a epoche lontane, e sono un residuo della cosiddetta “lingua franca”. Ormai fanno parte della parlata tunisina a tal punto che molti non sospettano neanche la loro origine italiana e non li considerano come termini stranieri, oltre al fatto che sono presenti anche nei dizionari e glossari arabi. È il caso per esempio del lessico ittico: la maggior parte dei nomi di pesci sono di origine italiana come triglia, skomri, urata, naselli, subia, chouebi, mrina, sciuro… come anche tutto il gergo del gioco delle carte come chkobba (scopa), bezga (briscola), nufi (dalla carta 9), yimescki (mischiare le carte), ed i colori e i numeri: dineri, kob, bastun, sbata (denari, coppa, bastone, spada), rey (re), kawel (cavallo), mugira (mugghiera); ed i numeri: du, tris, quatru, cincu… tutti termini adottati dalle popolazioni arabe in genere che lasciano supporre essere il risultato della presenza lungo i secoli e in modo quasi permanente degli italiani sulle coste sud del Mediterraneo.

Paradossalmente a fronte di questa realtà che abbiamo descritto di una larga presenza della lingua italiana nell’uso orale quotidiano, la letteratura e la cultura italiana in genere sono quasi sconosciute, avendo cercato sia la Francia che l’Inghilterra, le quali si erano divise il mondo arabo, di ridurre quanto possibile l’influenza di altre culture europee e di favorire la propria. Bisognerà aspettare il processo di decolonizzazione perché i vari Paesi arabi adottino la propria strategia in materia di educazione, e le proprie scelte nel campo culturale.

4I difficili inizi dell’Italianistica in Tunisia

Dopo l’indipendenza prende avvio una riforma per “tunisificare” l’insegnamento primario e secondario: nasce la scuola pubblica tunisina sotto il primo governo di Bourguiba, dove si rafforza il contenuto in lingua araba ma si mantiene il francese per tutte le materie a carattere scientifico e tecnico. A partire dal 3° anno (a 7 / 8 anni) gli scolari iniziano l’apprendimento della lingua francese. Al 2° anno di liceo (a 12/13 anni)  si sceglie la seconda lingua straniera, generalmente l’inglese, e in alcuni pochi licei l’italiano, lo spagnolo, il tedesco, il russo. Ciò ha determinato due conseguenze: la prima, negativa, è che il numero di quelli che studiano per scelta (o costretti come è stato il mio caso) l’italiano è molto ridotto: i licei dove esisteva l’insegnamento della lingua italiana si contavano sulle dita di una mano (a Tunisi: Bardo, Khaznadar; Sousse e Sfax) e le classi contavano sì e no 10 unità.

La seconda conseguenza, positiva, è che dopo il bac (la maturità) si era aperta la possibilità di seguire un corso di laurea in lingua italiana, inizialmente in Francia ed eventualmente in Italia. I borsisti tunisini andavano a Parigi o a Grenoble per ottenere una licence d’italiano e rientravano per diventare insegnanti nei licei, e in seguito all’università, dopo la creazione di una “Sezione d’Italiano” nel 1976. Nasce quindi l’italianistica tunisina con il primo nucleo di docenti rientrati dalla Francia o dall’Italia in possesso del dottorato.

I primi anni di vita della Sezione d’italiano non furono facili. Avevo raggiunto la Sezione nel 1980 trovando classi che non superavano le 10 unità che sono andati diminuendo negli anni successivi fino alla chiusura del 1° anno di laurea per mancanza di iscritti. La ragione era chiara: finché la scelta dell’italiano come 2° lingua straniera era in concorrenza con l’inglese la sorte dell’italiano era decisa. Pian piano mancavano gli iscritti ed eravamo destinati, come mi aveva detto un alto responsabile, a lavorare negli uffici del ministero. Quanto a quei pochi laureati usciti dai primi corsi di laurea, sono stati convertiti nei licei in professori di francese!

Nonostante le sensibilizzazioni delle autorità e dell’opinione pubblica sulla necessità di salvare l’insegnamento delle lingue straniere nel corso di due giornate nazionali delle lingue straniere organizzate dalle tre sezioni (italiano, spagnolo, tedesco), le quali vivevano la stessa agonia, non si vedevano esiti rassicuranti.

In compenso gli anfiteatri traboccavano di studenti di altri dipartimenti desiderosi di imparare l’italiano come materia opzionale: si tratta di un corso per principianti di tre livelli, al termine dei quali l’allievo ottiene un certificato valido come modulo opzionale previsto nel curricolo degli altri corsi di laurea. Eravamo a metà degli anni ’80, e il boom dell’apprendimento della lingua italiana toccava cifre consistenti: oltre gli istituti universitari, anche l’Istituto italiano di Cultura e il Centro Culturale “Dante Alighieri” organizzavano corsi serali frequentati da un numeroso pubblico di impiegati(e) e addirittura di casalinghe.

5Perché tanto interesse per la lingua italiana, quando l’Italia non rappresentava ancora una meta per gli studi superiori o per il lavoro? La risposta è molto semplice: la presenza della RAI, unica alternativa alla rete nazionale povera di programmi e piena di retorica del regime Bourguiba. I bambini trascorrevano i pomeriggi davanti ai cartoni animati e imparavano l’italiano senza frequentare corsi. Gli adulti guardavano Domenica in e il Festival di Sanremo, e si ispiravano alla moda italiana e alla sua cucina, e per chi ne aveva le possibilità economiche l’italiano che imparavano sarebbe servito per andare a fare spese a Roma, Napoli o Palermo, e preparare il corredo della figlia prossima sposa.

Ancora una volta l’Italia era presente con la sua lingua per un’utilità pratica, ma la sua letteratura rimaneva assente: con la prospettiva di chiusura dell’unico corso di laurea della Manouba non c’era speranza che venisse studiata. Senonché quando ormai disperavamo di salvare il corso di laurea è intervenuta una nuova riforma dell’insegnamento secondario, durante il governo Ben Ali, che ha introdotto alcune lingue straniere (oltre al francese e l’inglese obbligatori) come materia opzionale negli ultimi tre anni di liceo (oggi negli ultimi due anni): è dunque scomparsa dunque la fatidica scelta tra inglese e altre lingue come italiano, spagnolo, tedesco,  che si risolveva sempre a favore dell’inglese diventato essenziale per molte discipline. Numerosi allievi sceglievano l’italiano, forse per l’idea sbagliata che è facile perché somiglia al francese già conosciuto, o perché realmente attirati dall’italiano con un vago progetto semmai di andarci: per shopping, per vacanza o per studio, soprattutto  a partire dagli anni ’90 quando l’Italia diventa una meta sempre più ambita o un passaggio obbligato verso l’Europa.

6I primi manuali tunisini per l’insegnamento della lingua italiana

Effetto di questa ripresa dell’insegnamento dell’italiano nei licei tunisini è la rapida espansione del settore: laddove c’è apprendimento della lingua in tutti i governatorati dal Nord al Sud, si registra un sensibile aumento del numero degli allievi che seguono i corsi d’italiano, con conseguente incremento della richiesta di insegnanti d’italiano e la correlata necessità di produrre manuali in loco per l’apprendimento della lingua. In effetti, di fronte alla grande diffusione dell’italiano nei licei e il costo elevato dei manuali importati, il Ministero dell’Educazione Nazionale aveva finanziato l’elaborazione di libri di testo per i tre livelli (corrispondenti ai tre anni) di insegnamento opzionale nei licei.

Così hanno visto la luce i primi manuali tunisini ai quali il sottoscritto ha collaborato con i colleghi (ispettori e insegnanti) del secondario: Janette Chouchen (ispettore), Chadia Khannoussi (consigliere pedagogico), Slim Ferchichi (insegnante) per il solo 1° livello:

-  L’Italiano dal vivo, primo livello (A.Somai, J.Chouchen, C.Khannoussi, S.Ferchichi), CNP, Tunis, 1995.
-  L’Italiano dal vivo, livello intermedio (A.Somai, J.Chouchen, C.Khannoussi), CNP, Tunis, 1997.
-  L’Italiano dal vivo, livello avanzato (A.Somai, J.Chouchen, C. Khannoussi), CNP, Tunis, 1999.

Quest’ultimo volume comprende un’appendice grammaticale riassuntiva dei tre livelli d’apprendimento, che in mancanza di grammatiche italiane nelle librerie poteva costituire uno strumento di consultazione utile e affidabile.

7Questi manuali erano adottati dal Ministero dell’Educazione per tutto il periodo in cui l’insegnamento dell’italiano nei licei copriva gli ultimi tre anni di studio; quando poi l’insegnamento delle lingue straniere opzionali è stato ridotto agli ultimi due anni, sono stati rielaborati nuovi manuali in soli due livelli.

La reintroduzione dell’italiano nel secondario ha costituito una boccata di ossigeno all’agonizzante Sezione d’italiano che ha visto aumentare il numero di iscritti in concomitanza con la creazione di nuove classi in molti licei sparsi su tutto il territorio e di nuove sezioni appartenenti ad altre università tunisine: Nabeul, Mahdia, Moknine, Sfax, Gabes, Tozeur, Jendouba…

All’inizio del terzo millennio si calcola che gli allievi d’italiano nel secondario ammontavano a quasi 50 mila, mentre nel Superiore il loro numero si avvicinava alle 10 mila unità. Gli insegnanti d’italiano al secondario (nella maggior parte usciti dalla Facoltà la Manouba) raggiungono la cifra di 250 docenti.

Non mi risulta che in altri paesi arabi, compreso l’Egitto, vi sia un così gran numero di classi e di allievi nelle scuole secondarie. Anche l’insegnamento superiore si è consolidato con il rientro dei primi titolari di dottorati e di molti dottorandi che oggi insegnano nei vari gradi dell’insegnamento superiore. Inutile dire che una tale espansione dell’insegnament o della lingua italiana ha creato una dinamica sul piano della ricerca, delle pubblicazioni, l’organizzazione di seminari e di convegni, la stipulazione di varie convenzioni con altre università italiane e francesi, lo scambio di docenti e di studenti, che sarebbe troppo lungo descrivere in questa sede.

8La traduzione

Un altro aspetto della presenza della lingua e della cultura italiana in Tunisia, nonché un aspetto fondamentale del dialogo fra le due culture italiana e araba, è costituito dalla nascita e dallo sviluppo dell’attività di traduzione. Nonostante l’intensità dei rapporti storici tra la penisola e la riva sud del Mediterraneo, il libro italiano e la letteratura italiana sono rimasti quasi sconosciuti dal lettore arabo. Varie ragioni sono alla base di tale assenza:

- Il tardivo raggiungimento dell’Unità e le divisioni secolari della penisola hanno determinato l’assenza di qualsiasi ambizione di diffondere la lingua e la cultura di un’Italia che ancora non esisteva. Le parlate italiane si sono diffuse al di fuori di qualsiasi strategia o programma culturale: per necessità di comunicare, di negoziare commerci o riscatti, e quindi tramite un canale sostanzialmente orale.

-  L’imperialismo franco-britannico ha evidentemente privilegiato le lingue e le culture di queste due potenze coloniali, e pur accettando la presenza di una consistente collettività di origine italiana nei territori da loro amministrati non permettevano la penetrazione linguistica e culturale italiana nei sistemi educazionali.

-      La travagliata storia dell’Italia post-unitaria ha relegato la diffusione della lingua e della cultura italiane agli ultimi gradini delle sue priorità.

I Paesi arabi, dal canto loro, pur abituati al contatto della gente italiana e ai suoi idiomi, non erano in grado sotto l’occupazione francese o inglese di aprirsi alla cultura italiana, alla sua arte e alla sua letteratura, che necessitavano un’adeguata strategia culturale ed educativa. Solo dopo l’indipendenza dei vari Paesi arabi, con la volontà di riacquistare e rafforzare l’identità arabo-islamica, inizia una doppia strategia: quella da un lato di arabizzare l’amministrazione e l’insegnamento, e dall’altro di aprirsi alle lingue e alle culture di altri Paesi in un tentativo di emanciparsi dalla pesante eredità franco-inglese.

Inizia così a metà degli anni cinquanta una timida attività di traduzione di autori italiani, per mano dei primi italianisti nonché scrittori arabi, come il giordano Issa Naouri (che ha tradotto fra l’altro il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa), l’egiziano Hassen Othman (che ha tradotto la Divina Commedia di Dante Alighieri) o  ancora il libico Mohamed Tellissi (che ha curato la traduzione di Pirandello) ed è l’autore di un dizionario bilingue italiano-arabo.

9In Tunisia l’attività di traduzione letteraria inizia con l’insediamento dei primi docenti universitari, verso la metà degli anni ’80. Bisognerebbe a questo riguardo accennare al fatto che la traduzione di opere letterarie non dipende solo dalla competenza e la disponibilità di un traduttore, ma anche ed essenzialmente dalla presenza di un editore pronto a pubblicare e diffondere il libro, oppure di un’istituzione che finanzia sia il lavoro di traduzione sia quello di edizione. Purtroppo gli editori tunisini non erano ancora pronti per questo tipo di avventura, e un traduttore non puo’ impegnare sforzo e tempo con il rischio di riporre il lavoro in un cassetto per mancanza di interesse da parte degli editori o delle istituzioni.

Non a caso la prima traduzione letteraria che ho curato, Fiabe italiane di Italo Calvino è stata possibile perché sollecitata dall’Istituto italiano di Cultura e perché ha trovato un editore pronto a realizzare il progetto, “Finzi editore”. Ma rimaneva comunque un’edizione non commerciale e quindi limitata sia geograficamente che per il numero di copie. Sempre su iniziativa dell’Istituto Italiano di Cultura, in collaborazione con l’editore Alif, Mohamed Hassani ha tradotto il romanzo storico di Giuliana Berlinguer, Il braccio d’argento, anch’esso rimasto chiuso entro le frontiere della Tunisia e sconosciuto ai più.

La vera svolta nell’attività di traduzione è arrivata con il caso Eco e il successo mondiale del suo primo romanzo Il nome della rosa. Non starò a raccontare le vicende che accompagnarono questa travagliata operazione editoriale, basta dire che il successo avuto della traduzione nel resto dei Paesi arabi ha spinto molti altri editori ad interessarsi negli anni seguenti alle opere di Umberto Eco, sia di narrativa che dei saggi di semiotica e di filosofia. Prende infatti avvio un’intensa attività di traduzione delle sue opere, dall’Egitto al Marocco ed ovviamente in Tunisia.

10La traduzione di Eco ha determinato, nel mio caso, un radicale cambiamento di rotta, indirizzandomi verso la traduzione, anche perché sollecitato da vari editori in quanto mancavano e ancora mancano le competenze in materia di traduzione letteraria dall’italiano in arabo. Ho tradotto così quattro romanzi di Eco: oltre al già citato Il nome della rosa, L’isola del giorno prima, Il cimitero di Praga, e l’ultimo romanzo, Numero Zero; e le opere teoriche: Semiotica e filosofia del linguaggio, Dire quasi la stessa cosa, e infine Dall’albero al labirinto, che vedrà la luce nei prossimi mesi. Intanto altri traduttori in Marocco ed in Egitto hanno intrapreso la traduzione di altre opere di Eco, come Baudolino, Il pendolo di Foucault, e saggi come Lector in fabula o Sei passeggiate nei boschi narrativi, e altri ancora.

L’interesse del mondo arabo nella seconda metà del Novecento ha toccato i grandi nomi della letteratura italiana come Moravia, Pirandello, Calvino e questa attenzione è destinata ad incrementarsi e ad allargarsi per riguardare anche gli autori che oggi operano nel panorama letterario come Tabucchi, Tamaro, Ammaniti (di cui ho tradotto Io non ho paura), Elena Ferrante, Camilleri, Bonaviri (Il sarto della Stradalunga: da me tradotto su richiesta dello stesso autore).

Con lo sviluppo delle università nel mondo arabo, e la nascita di varie fondazioni, organizzazioni, centri di traduzione si assiste oggi ad una promettente stagione in materia di traduzione del libro italiano con effetti innegabili sul piano della conoscenza dell’Italia e della sua cultura, e del consolidamento del dialogo tra Italia e mondo arabo.

Dialoghi Mediterranei, n.29, gennaio 2018

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Ahmed Somai, insegna lingua e letteratura italiana moderna e contemporanea alla Facoltà di Lettere Arti & Umanità – la Manouba (Tunisi). È co-autore di tre manuali per l’insegnamento della lingua italiana in Tunisia (1995-1997). Autore di una Bibliografia italiana sulla Tunisia (ed.Finzi), ha curato per la collana “I Classici” i volumi: G. Verga, Vita dei campi; L. Capuana, Il marchese di Roccaverdina. Dalla metà degli anni ’80 è impegnato in una costante attività di traduzione in arabo di opere e autori italiani: I. Calvino, G. Bonaviri, N. Ammaniti, U. Eco. Ha curato ultimamente l’Antologia di Poeti Tunisini tradotti in italiano.

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