di Lina Novara
Documenti d’archivio, opere d’arte e numerosi ex voto attestano che la marineria trapanese, suddivisa in due categorie, Marina Grande composta dal corpo dei marinai d’alto mare, e Marina Piccola o Marinella formata da pescatori, tonnaroti e corallai, ha sempre nutrito sentimenti di speciale venerazione verso i propri santi protettori: la Madonna di Trapani, Sant’Alberto e Santa Lucia.
Entrambe le marinerie in passato avevano eletto come propria sede alcune chiese cittadine e detenevano cappelle nel Santuario della Madonna di Trapani. Con devozione e grande spirito di appartenenza le curavano, abbellivano con opere d’arte e dotavano di preziosa suppellettile liturgica che spesso contrassegnavano con i simboli della loro categoria: una semplice barca a vela per la Marina piccola, un grande veliero per la Marina Grande [1].
All’interno della Marina piccola vi erano due comunità di pescatori che prendevano nome dal relativo quartiere di abitazione dei loro componenti: del Casalicchio con sede nella chiesa di Santa Maria della Grazia, in via di Porta Grazia, nei pressi della odierna via Biscottai, distrutta durante l’ultimo conflitto mondiale, e del Palazzo, composta soprattutto da corallai, ossia pescatori di corallo, con sede nella chiesa di Santa Lucia, posta nell’angolo tra via Sant’Anna e via Santa Lucia.
Originariamente i pescatori del Casalicchio, il quartiere più antico di Trapani, avevano una cappella nel «piano della guardia», nei pressi delle mura, che venne abbattuta in seguito al loro ampliamento nel 1540; fecero quindi costruire, in quella che oggi è via di porta Grazia, un piccolo oratorio che nel 1677 si arricchì del prospetto disegnato dall’architetto Pietro Castro, e nel 1745 venne ampliato con l’acquisto, a spese della comunità, di case retrostanti [2]. In questa occasione, verosimilmente, scelsero di realizzare la pavimentazione con mattonelle maiolicate.
Tre pannelli maiolicati di un unico pavimento, provenienti dalla distrutta chiesa, oggi sono esposti presso il Museo regionale di Trapani Agostino Pepoli [3]. Di fattura napoletana, raffigurano scene di pesca praticata dalla categoria trapanese. Il primo mostra l’ultima fase della pesca del tonno, la mattanza, nel momento in cui i tonnaroti tirano al massimo le reti al fine di raggruppare i tonni all’interno della camera della morte per poi arpionarli e tirali fuori: un rito di sangue e di morte, praticato da secoli e che ha per protagonisti pescatori e tonni. La scena che va osservata dall’alto mostra ai lati i barconi carichi di tonni.
Gli altri due pannelli documentano la pesca praticata sia con la canna che con le reti e la nassa. I pescatori, intenti a remare o a tirare le reti, vestono abiti popolari del Settecento e tutti hanno in testa tipici cappelli dell’epoca, alcuni dei quali a larga falda. Allo stesso secolo rimandano le ricche cornici decorate con motivi a fogliame, volute e cartocci rococò.
Nella chiesetta si trovava un dipinto seicentesco, di ignoto autore, raffigurante la Madonna della Grazia, dal cui seno fuoriesce il latte nella forma di un unico getto, che, forse alludendo al miracolo della lactatio di San Bernardo, voleva mettere in evidenza la necessità da parte dei pescatori di essere nutriti dal latte materno e quindi di avere protezione e ricevere grazie.
Come si apprende dai Registri della Curia Foranea, i pescatori nel 1725 chiesero l’autorizzazione di celebrare un triduo nel mese di agosto «perché la divina Maestà si compiacesse dare loro buona pesca di corallo»[4]. Dopo che la chiesa fu distrutta il dipinto giunse al Museo Pepoli ed ora si trova presso la Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Trapani.
I pescatori di corallo del quartiere Palazzo avevano come «tutelare» Santa Lucia, come si legge ancor oggi sullo stemma collocato nel portale della chiesetta a lei dedicata, nel quale è anche riprodotto l’attributo iconografico – il piattino con gli occhi – accompagnato dalla dedica e dalla data 1675: LUCIAE VIRGINI ET MARTIRI DIVAE TUTELARI PISCATORES MDCLXXV [5].
La piccola chiesa di Santa Lucia, già di Santa Maria della Catena, a navata unica, ha lontane origini trecentesche; acquistata nel 1419 dall’antica «Fratellanza dei pescatori di corallo» del quartiere Palazzo i quali abitavano nella via del Rais (di fronte la chiesa, oggi via Corallai), venne eletta sede della comunità dei corallai che in essa depositavano il pescato non venduto, in attesa di nuovi compratori. Rinnovata nel secolo XVII, nel successivo fu affrescata dal famoso artista dell’epoca Domenico La Bruna (1699-1763) che vi dipinse episodi riguardanti il profeta Mosè, oggi scomparsi. Nel 1783 vi fu aggiunto un portale tardo-barocco, dalle linee mosse e articolate: nel plinto di sinistra è scolpita, a rilievo, una barca a vela (oggi quasi completamente abrasa), simbolo della Marina piccola.
Nella chiesa era venerata una pregevole statua in legno policromo di Santa Lucia (fine sec. XVI), trasferita nel 1934 nella chiesa dell’Epifania o dei Cappuccini, ora venerata nella chiesa di San Francesco d’Assisi [6]. A ricordo di straordinari ritrovamenti di banchi corallini, avvenuti nel 1651 e 1673, i pescatori fecero collocare sui muri esterni due lapidi con le quali, in nome di Santa Lucia, affidavano ai posteri il ricordo di tali importanti avvenimenti. Delle due lapidi soltanto una è esistente ed è in parte collocata nei locali della Biblioteca Fardelliana, in parte presso il Museo regionale Agostino Pepoli [7].
Barche di pescatori, velieri e ligudelli dei corallai, ossia barconi attrezzati di ingegno, strumento a forma di croce per questo tipo di pesca, compaiono nel famoso pavimento maiolicato con Veduta della città di Trapani, di manifattura napoletana, della metà del secolo XVIII, oggi al Museo Pepoli, ma che un tempo si trovava nella chiesetta [8].
Come i marinai, anche i pescatori avevano ottenuto il privilegio di avere una cappella – tuttora esistente – all’interno del santuario della Madonna di Trapani: a pianta quadrata con copertura a cupola ottagonale a vele, marcata da costoloni all’interno, è tutta in pietra da taglio. Sulla parete di fronte l’ingresso è inserito un portale, di incerta origine, con la caratteristica decorazione ad archi digradanti verso l’interno e ghiere ricche di motivi a zig zag e minuti ornamenti di tipo gotico-chiaramontano che tipologicamente rimandano al portale di ingresso alla attigua chiesa: la ghiera più esterna è caratterizzata da una decorazione ad intaglio con pesci e granchi, chiaro riferimento all’appartenenza ai pescatori [9].
Il raccordo tra la cupola e il vano quadrato è risolto tramite il singolare inserimento di trombe (o pennacchi) angolari a ventaglio, di derivazione araba, le quali, nel digradare degli archi verso l’interno, mostrano chiari riferimenti alla cultura catalana: soluzione quest’ultima che trova applicazione nel territorio trapanese in numerose piccole cappelle edificate tra il XV e il XVI secolo [10].
Riguardo l’epoca di fondazione le fonti storiografiche, talvolta contrastanti o imprecise, tendono a collocarla tra la fine del Quattrocento e il primo trentennio del Cinquecento, più precisamente tra il 1477 e il 1537, anno quest’ultimo in cui HOC OPUS FIERI FECERUNT DEVOTI PISCATORES COMMUNI SUMPTU ANNO DOMINI MCCCCCXXXVII UNDECIME INDITIONES, come si legge nell’iscrizione posta sopra l’arco ogivale di ingresso.
Sicuramente interessante è l’affresco posto accanto all’epigrafe, che raffigura una scena di pesca del corallo con i ligudelli e l’ingegno. La rappresentazione vuole forse alludere all’incremento della produzione di manufatti in corallo e soprattutto alla loro commercializzazione sui vari mercati d’Italia, avvenuto in seguito al rinvenimento di alcuni banchi corallini a Tabarca, tra il 1530 e il 1535.
Secondo un documento dell’Archivio di Stato di Palermo, la cappella venne commissionata da alcuni piscatoribus civitatis Drepani il 4 maggio 1481 a Bartolomeo Di Giovanni, Antonio De Prone e Gabriele di Battista il quale però rinunziò all’incarico in favore di Antonio di Pietro e Pietro di Bonitate, tutti scultori [11]. Sorge il dubbio che la parola piscatoribus abbia tratto in inganno gli studiosi i quali potrebbero aver confuso la cappella dei pescatori con quella dei marinai, ricca di intagli scultorei e per la quale gli stessi Pietro di Bonitate e Antonio De Prone eseguirono l’acquasantiera datata 1486, oggi custodita presso il Museo Pepoli, e la cui appartenenza alla categoria dei marinai è attestata dalla presenza del veliero che ne è il simbolo.
La decorazione pittorica della parete orientale, in tema con l’attività della committenza, raffigura la Trasfigurazione sul Monte Tabor e la Pesca miracolosa ed ha caratteri ancora tardo quattrocenteschi o dei primi del Cinquecento. Al 1604, data un tempo visibile sulla parete a sinistra dell’ingresso, potrebbero invece riferirsi gli affreschi della cupola con Storie della Genesi, riconducibili alla scuola del pittore Giuseppe Alvino.
Nella chiesa di Santa Maria della Grazia i pescatori del Casalicchio dedicarono al loro Santo protettore una statua ricoperta d’argento, detta di Sant’Alberto alla Marinella, ora sull’altare maggiore della chiesa di Sant’Alberto nel Rione Palma. Si racconta che durante la peste del 1624 il Santo fosse apparso a due pescatori che percorrevano una via dell’antico quartiere Casalicchio, ora denominata via Biscottai, per informarli dell’imminente fine della epidemia: a ricordo dell’avvenimento, i pescatori posero una lapide nel luogo dell’apparizione, al n. 59, e in occasione della festività del Santo (7 agosto), istituirono una processione con il suo simulacro che, uscendo dalla chiesa di Santa Maria della Grazia così intitolata per questo episodio, percorreva il quartiere ed infine sostava nel luogo dell’apparizione dove rimaneva per tutta la notte esposta alla venerazione dei fedeli [12]. Contemporaneamente nei caratteristici cortili del quartiere venivano allestiti degli altarini in onore del Santo.
Gli storici locali tramandano che la statua lignea sia opera di Domenico Nolfo (1730-1803) che la scolpì nella seconda metà del secolo XVIII. Il rivestimento argenteo fu invece eseguito da un argentiere dalle iniziali GC, come indicato dal marchio impresso sull’argento assieme alla bulla della città di Trapani e alla sigla del console CCC, Carlo Caraffa, che garantì la bontà della lega e che ricoprì più volte la carica tra il 1749 ed il 1777 [13]. Le iniziali GC possono riferirsi a più argentieri attivi nella seconda metà del secolo XVIII: Giacomo Giuseppe o Giovanni Caltagirone, Giuseppe Croce, Giacomo o Giuseppe Costadura.
Secondo le notizie riportate nel manoscritto di Giuseppe Maria Fogalli che scrive nel 1840, e quindi in un periodo non troppo lontano dalla realizzazione dell’oggetto, fu Giacomo Costadura che, «vestì d’argento la statua colossale di Sant’Alberto Abbate, trapanese carmelitano, appartenente al ceto dei Pescatori, che si conserva nella chiesa della Madonna della Grazia» [14]. Fu poi, nel 1813, il fratello Giuseppe a restaurare l’opera mancante di argento in alcune parti.
La statua della Marina piccola si differenzia da quella più antica e più nota venerata nel santuario della Madonna di Trapani, che viene portata in processione nel giorno dedicato a Sant’Alberto, il 7 agosto: una statua reliquiario contenente il teschio del Santo, realizzata nel secolo XVII, ma rivestita d’argento tra il 1753 ed il 1761 dagli argentieri trapanesi Vincenzo Bonaiuto e Michele Tombarello, attivi nella seconda metà del secolo XVIII, e mentre era console della maestranza degli argentieri Giuseppe Piazza che ricoprì tale carica negli anni 1753, 1757 e 1761, come attestano i marchi impressi sull’argento. I due maestri si rivelano abili nel lavorare la lamina d’argento e padroni nella tecnica dello sbalzo e del cesello, adoperata per far rilevare le foglie e i grandi fiori che ornano il vestito: anemoni, margherite, tulipani, tipici decori barocchi, utilizzati dalle maestranze trapanesi.
La statua di Sant’Alberto alla Marinella si differenzia da quella conservata nel santuario dell’Annunziata per la posa dinamica, il panneggio mosso e articolato, per la presenza del libro, appoggiato al fianco destro e trattenuto dalla mano, e per l’espressione estatica del viso con lo sguardo rivolto al cielo. L’abito differisce inoltre per la ricchezza di pieghe nel panneggio che compensa l’assenza dei decori floreali. Da rilevare inoltre che il viso, le mani ed i piedi non sono rivestiti d’argento come in quello del santuario.
Ma i pescatori della Marinella non si limitarono ad una statua per esternare la loro devozione verso il Santo ma vollero arricchire la loro chiesa con suppellettile liturgica in argento sulla quale, come scrive il De Felice nel 1936, vollero che fossero impresse «le immagini della barca docile, della nave audace, espressioni di una gente che, nei lunghi secoli amò il suo mare, dominandone i flutti e le correnti … che esalta e glorifica barca e naviglio in ogni altare che la piccola navigante pone nel ciborio e nell’Ostensorio, sul Calice e negli orecchini delle sue donne e nei monili delle sue figliole!» [15].
Ad eseguire gli oggetti in argento furono valenti maestri trapanesi come dimostrano i marchi della città di Trapani – corona, falce e lettere D.U.I. – le iniziali dell’argentiere e quelle del console della Corporazione degli Orafi e Argentieri, seguite dalla C, che vidimò le opere [16]. La piccola navigante alla quale De Felice fa riferimento è la Marina piccola, o Marinella, che contrassegna gli oggetti con il proprio simbolo, una semplice barca a vela. Imprimere sull’argento il simbolo della categoria è segno del grande ossequio e della venerazione verso i Santi protettori: significa esternare la devozione e rendere duraturo nel tempo il ricordo della donazione [17].
La docile barca a vela simbolo della Marina piccola compare nel prezioso ostensorio d’argento [18]: è sostenuta dall’Arcangelo Raffaele che, come un telamone a grandi ali spiegate, la regge con la testa e con le mani. Dentro la barca sono posizionate quattro microsculture raffiguranti «Cristo che dorme e tre apostoli che lottano con la furia del mare», come precisa De Felice. La sfera si innesta al fusto nella vela rigonfia, trattenuta da cime: la teca è circondata da una cornice formata da testine di cherubini alati e volute fitomorfe, che si completa con una raggiera lanceolata, simbolica identificazione dell’Eucarestia con il sole. La marchiatura consiste nello stemma della città di Trapani, corona, falce e lettere D.U.I. – Drepanum Urbs Invictissima – e nelle sigle NV dell’argentiere Nicola De Vita, e GVI1715 del console degli argentieri del 1715, Giuseppe Vivona.
L’opera, pur rientrando nella tipologia degli ostensori barocchi a raggiera, caratterizzati nella produzione trapanese da fusti figurati, si distingue proprio per la presenza simbolica dell’Arcangelo e della barca; la figura di Raffaele allude probabilmente alla sua protezione nei confronti dei pescatori, così come aveva protetto e salvato Tobia. Probabilmente fu preso a modello iconografico dalla Marina grande per il proprio ostensorio, fatto eseguire nel 1757 da Vincenzo Bonaiuto, in forme più sontuose [19].
È la figurina di Sant’Alberto, assieme a quelle dei Santi Pietro e Andrea, ad ornare il reliquiario d’argento, realizzato nel 1737 nella famosa bottega dei Lotta durante il consolato di Giovan Battista Porrello, come indicano i marchi [20]. L’originale manufatto, posto su di un piede, presenta una teca riproducente un portale barocco, ai cui lati, su mensole a volute, sono poste le figure di San Pietro e Sant’Andrea con i loro attributi, sbalzate a rilievo su lamina d’argento: con la stessa tecnica è realizzato il piccolo simulacro di Sant’Alberto, collocato al di sopra della trabeazione su di un piedistallo formato da volute accostate. All’interno della teca sono conservate due reliquie recanti, rispettivamente, la scritta ad inchiostro: S. Albertus ed Ex veloum. Il motivo del portale che forma la teca trova riferimenti in alcuni esemplari settecenteschi presenti in città, e in particolare in quello della chiesa del Carminello, ornato con lo stesso tipo di colonne parzialmente tortili.
La marchiatura del reliquiario consiste nella bulla di Trapani D.U.I., nel cognome LOTTA e nella sigla GPC37, indicante l’anno di esecuzione 1737 e il console della maestranza degli argentieri Giovan Battista Porrello; è la stessa marchiatura che si trov sulla grandiosa urna del sepolcro della cattedrale di Mazara del Vallo [21]. L’opera trapanese fu eseguita nella famosa bottega dei Lotta nella quale si siglavano con l’intero cognome i numerosi manufatti in essa eseguiti e per i quali erano spesso gli architetti a fornire i disegni, come nel caso del prezioso paliotto del Museo Pepoli, attribuito a Giovanni Biagio Amico o la citata urna, disegnata dallo stesso architetto [22]. La presenza dei due santi fratelli Pietro e Andrea attesta l’appartenenza alla Marina piccola, in quanto entrambi furono pescatori a Cafarnao: Gesù inoltre aveva chiamato Pietro, promettendogli di designarlo «pescatore di uomini».
Tra gli oggetti sacri della «argenteria della Madonna della Grazia, appartenente alla Congregazione della Grazia, costituita da pescatori» [23] c’è anche un calice nel cui bordo interno della base, a ricordo della donazione, è incisa la seguente iscrizione, sia pure con qualche errore ortografico [24]: DELLA MADONA DELLA GRATIA IN TEPO DI DAMIANO VIRZI’, SEBAST. DI GRAZIA, VINC. MANAUDO, ALBERTO BUSCAINO 1710.
Non sono rari i casi in cui i fedeli offerenti hanno fatto incidere sull’argento i loro nomi e la data, a ricordo perenne della devozione e per memoria futura della donazione. Nel piede, tra la decorazione continua, sbalzano testine di cherubini alati tipico motivo del repertorio barocco, che si ripete sul nodo e nel sottocoppa. Il marchio di Trapani attesta la manifattura locale e le sigle FF e MC sono riferibili all’argentiere Francesco Ficarra, documentato dal 1722 al 1761, e ad Antonio Morana che fu console nel 1704 e 1707.
Altra pregevole suppellettile è la navetta o navicella, dall’originale coppa a forma di vera e propria barca, rispondente alla tipologia di contenitore di incenso a forma di nave, in uso nel XVII e XVIII secolo, verosimilmente alludente alla Chiesa che come una nave conduce alla salvezza. Qui la barca è anche simbolo dei pescatori della Marina Piccola e, come scrive De Felice, «rappresenta tutte le loro ansie e i loro ideali, riprodotta piccola e grande, a bulino e a sbalzo, adattata in una navetta per accogliere il profumato incenso» [25]. Sul coperchio, a due valve, sono poste tre microsculture di marinai: un timoniere, con funzione di pomello, si trova all’estremità della valva sulla quale è sbalzato il simbolo di San Pietro, protettore dei pescatori – una tiara e due chiavi –, due rematori sono invece collocati nella parte centrale fissa fra le cerniere delle stesse valve.
La loro presenza, come insolito elemento decorativo, è significativo riferimento alla categoria dei pescatori che offrì la sacra suppellettile alla propria chiesa. Il repertorio decorativo è quello barocco, ancora usato dagli argentieri trapanesi della prima metà del secolo XVIII, periodo nel quale si può datare il manufatto. Come gli altri oggetti è stata eseguita a Trapani da un argentiere non identificato dalle iniziali S.I., probabilmente mentre era console Iacopo (Giacomo) De Oro, tra il 1715 e il 1725.
L’imbarcazione a vela, ritorna sulla pisside d’argento dove è sbalzata su una delle tre volute che decorano la base: le altre due recano rispettivamente spighe ed un grappolo d’uva, alludenti al corpo e al sangue di Cristo e quindi all’Eucarestia [26]. Altre spighe e grappoli d’uva sono finemente sbalzati nelle specchiature delimitate dalle volute del piede e nella coppa, sulla quale compaiono anche dei fiori.
Tutta la superficie del pregiato vaso sacro è inoltre decorata da volute, motivi conchigliformi e fitomorfi che partono dalla base e si ripetono sul fusto, sulla coppa e sul coperchio: questo si conclude con un globo sul quale è posta una crocetta. I motivi decorativi tipicamente rococò, la tipologia del sacro oggetto, la pregevole fattura inducono a collocare l’opera tra i migliori manufatti di produzione trapanese della seconda metà del secolo XVIII, anche in relazione, per caratteristiche iconografiche e di stile, alla pisside della Marina grande, eseguita dall’argentiere Vincenzo Bonaiuto nel 1761 [27].
Ancora da De Felice si apprende che dello stesso tesoro della Marina piccola facevano parte altri oggetti liturgici, ma anche diademi, orecchini, collane, anelli, medaglioni d’argento da legare a collane di corallo: al Museo Pepoli è conservato un medaglione a forma di barca con ciurme, molto simile a quello sospeso alla collana di Santa Lucia, in grossi grani di corallo, pubblicata da De Felice e appartenente alla congregazione di pescatori [28]. Lo stesso De Felice indica inoltre «alcuni caratteristici voti di pescatori in argento, talvolta col nome del donatore, raffiguranti varie specie di pesci a squame incise» [29]: trattasi dei quattro pesci che, ora appesi ad un’unica catena, ornano durante la processione dei Misteri del Venerdì Santo il sacro gruppo La lavanda dei Piedi, curato dalla categoria dei pescatori, alla quale è stato affidato dalla Confraternita del Sangue Preziosissimo di Cristo nel 1621. I quattro pesci, sono riferibili all’artigianato locale e, escluso il primo che è datato 1850, si possono collocare tra la fine del secolo XIX e gli inizi del XX[30]. Il più grosso reca impresse la data 1850 e la marchiatura vigente dal 1832 al 1862 con la testina dì Cerere e il numero 8: sembra uno sgombro provvisto di sporgenti pinne dorsali e ventrali ed ha corpo liscio, privo di squame, sul quale sono incisi gli occhi, la bocca, le branchie e le pinne pettorali. Sulla testa si legge: PER DEVOZIONE DEI SCIABICONAI FUORI IL PORTO 1850.
Il secondo pesce, di dimensioni più piccole rispetto al precedente, somigliante ad una triglia, ha squame sbalzate e cesellate e cortissime pinne: su quelle ventrali è riportato il nome dell’offerente: CARLO (da un lato) BERTINI (dall’altro). Il terzo, privo di marchi, ha incise sul corpo liscio, in lamina d’argento, le branchie, gli occhi e la bocca; la coda è lavorata a cesello. Il quarto, anch’esso privo di marchi, è il più piccolo ed ha squame eseguite con la tecnica dello sbalzo e del cesello. Ben fatte risultano le pinne pettorali e ventrali e la coda, tutte segnate da linee.
Orgoglio, fede, devozione, desiderio di appartenenza hanno spinto le varie maestranze affidatari dei sacri gruppi dei Misteri, ad abbellire le statue con preziosi ornamenti d’argento, da mostrare in processione, tutti realizzati da argentieri trapanesi: per il gruppo la Lavanda dei piedi, i pescatori fecero realizzare nel secolo XIX il servizio da lavabo, formato da una brocca e da un bacile che reca il bollo con la testina di Cerere, usato in Sicilia dopo il 1832, la sigla GCC, riferentesi al console ed un bollino con un simbolo non decifrabile, forse un fiore [31]. DONO DI FRANCESCO BARRACO E COMPAGNI 1927 A …DI ALBERTO BERTOLINO è inoltre l’aureola di Gesù in argento.
L’attuale gruppo scultoreo che sostituisce quello originario è composto dalle figure di Gesù, Pietro e di un servo che versa l’acqua ed è attribuito allo scultore trapanese Mario Ciotta (fine secolo XVII-1750 circa), maestro specializzato nella tecnica del legno tela e colla, con cui è realizzato il gruppo [32]. Quattro piccoli dipinti sulla vara del “Mistero”, eseguiti da Giuseppe Cafiero (1903-1973), su sfondi di vedute della città di Trapani, ancora una volta riportano il simbolo della Marina piccola: la tipica barca a vela.
Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022
Note
[1] L. Novara, Devozione e arte: La Marina Grande di Trapani e i suoi “tesori”, in Dialoghi Mediterranei, n.55, 1 maggio 2022, www.istitutoeuroarabo.it/DM/devozione-e-arte-la-marina-grande-di-trapani-e-i-suoi-tesori/..
[2] M. Serraino, Trapani nella vita civile e religiosa, Trapani 1968: 287. Idem, Storia di Trapani, vol. III, Trapani 1992: 216.
[3] L. Novara, La Mattanza, Il mare nei pavimenti maiolicati, in Dal Museo alla Città. La Città nel Museo, progetto Scuola-Museo, “Il Museo Regionale A. Pepoli”, a cura di M. G. Griffo, Trapani 2005: 8-9; M. Reginella, La produzione pavimentale del XVIII secolo a Trapani, in La Navigazione nel Mediterraneo, Tecnica e arte al Museo Pepoli, a cura di M. L. Famà, catalogo della mostra, Trapani 2005: 79-82; Ibidem, Pavimento con mattanza e scene di pesca, II 2: 85, 86.
[4] M. Serraino, Storia di Trapani …, cit.: 216.
[5] Ibidem: 115. Si veda inoltre L. Novara, Chiesa di Santa Lucia, in Dal Museo alla Città…, cit.: 12.
[6] Si veda G. Bongiovanni – V. Menna, La scultura e l’intaglio in legno a Trapani e nel trapanese, in Manufacere et scolpire in lignamine – scultura in legno in Sicilia tra Rinascimento e Barocco, a cura di T. Pugliatti, S. Rizzo, P. Russo, Catania 2012: 283-305.
[7] M. Giacalone Il culto di Santa Lucia di pescatori e marinai a Trapani tra il XVI e il XVII secolo, in Quaderni di Scienza della Conservazione – Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali, Alma Mater Studiorum Università di Bologna (sede di Ravenna), 206, 157. Per le lapidi si veda G. Polizzi, Iscrizioni e lapidi pubbliche di Trapani, Trapani s.d., Ms. 33, Biblioteca Fardelliana, Trapani.
[8] L. Novara, Pavimento di mattonelle maiolicate, in Dal Museo alla Città…, cit.: 7; M. Reginella, Pannello con veduta della città di Trapani, in La Navigazione …, cit.: 83-84.
[9] L. Novara, Cappella dei pescatori, in Dal Museo alla Città…, cit.: 11; V. Scuderi, La Madonna di Trapani e il suo Santuario. Monumenti, opere e culture artistiche, Trapani 2011: 71-83.
[10] V. Scuderi, Arte medievale del trapanese, Trapani 1978: 123-131.
[11] Ibidem.
[12] Vedi nota 1
[13] L. Novara, Vele in argento, in oro e in altri pregiati materiali, in La Navigazione…, cit.: 91-92, fig. 4; G. Cassata, Sant’Alberto, in Opere d’arte restaurate nella Provincia di Trapani, 1999 2003, Trapani 2004: 147-153.
[14] G. M. Fogalli, Memorie biografiche de’ pittori ad olio, a colore, a disegno a mosaico, a paesaggi, a tempera, acquarella, a miniatura, indoro ecc. trapanesi; Memorie biografiche de’ Copisti o siano bassi pittori, e degli adornisti trapanesi: Memorie biografiche degli Scultori, Incisori, Intagliatori ecc. trapanesi, ms. del 1840 ca., Biblioteca Museo Regionale di Trapani Agostino Pepoli.
[15] De Felice, Arte del Trapanese, Palermo 1936: 37.
[16] Per l’argenteria trapanese si veda: Argenti e ori trapanesi nel museo e nel territorio, a cura di AM. Precopi Lombardo e L. Novara, Trapani 2010; ivi, L. Novara, L’arte argentaria trapanese dal XVII al XIX secolo:.36.
[17] Gli oggetti qui di seguito indicati sono stati esposti alla mostra «La Navigazione nel Mediterraneo. Tecnica e arte al Museo Pepoli», tenutasi a Trapani nel 2005. Sono oggi di proprietà ecclesiastica e si trovano presso la chiesa di Sant’Alberto a Rione Palma a Trapani.
[18] L. Novara, Ostensorio della Marina piccola, in La Navigazione…, cit.: 97-98.
[19] Ibidem, Ostensorio della Marina grande: 106-107.
[20] Ibidem, Reliquiario della Marina piccola: 100-101.
[21] L. Novara, Monumento d’argento per il S. Sepolcro della Cattedrale di Mazara, in Argenti e ori trapanesi …, cit.: 60-61.
[22] L. Novara, Paliotto d’altare con veduta architettonica, scheda n. II, 172 in Ori e Argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, a cura di M. C. Di Natale, Catalogo della mostra, Trapani Museo Regionale Pepoli, luglio-ottobre 1989, Milano 1989: 304-307; D. Scandariato Ori e argenti sacri nelle collezioni del Museo Regionale Pepoli, in Argenti e ori trapanesi …, cit.: 57. Idem, Scheda n.7 in Architetture barocche in argento e corallo, a cura di S. Rizzo, Palermo 2008: 127-131.
[23] F. De Felice, Arte … cit.: 34-35.
[24] L. Novara, Calice della Marina Piccola, in La Navigazione…, cit.: 96.
[25] Ibidem, Navetta della Marina Piccola: 99.
[26] Ibidem, Pisside della Marina Piccola: 102.
[27] Ibidem, Pisside della Marina grande: 110.
[28] Ibidem, Medaglione a forma di barca: 124.
[29] F. De Felice, Arte …, cit.: 52.
[30] L. Novara, Pesci, in La Navigazione…, cit.: 103.
[31] AM. Precopi Lombardo, L. Novara, Argenti in processione. I Misteri di Trapani, Marsala 1992: 50-51.
[32] L. Novara, Settimana Santa a Trapani. I riti e i “Misteri”, Trapani 2022: 9; Eadem, I gruppi processionali di Trapani, in Legno tela & … la scultura polimaterica trapanese dal Seicento al Novecento, catalogo della mostra, a cura di AM. Precopi Lombardo e P. Messana, Trapani 2011:115-121. Ibidem, I gruppi processionali di Trapani:.132-133.
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Lina Novara, laureata in Lettere Classiche, già docente di Storia dell’Arte, si è sempre dedicata all’attività di studio e di ricerca sul patrimonio artistico e culturale siciliano, impegnandosi nell’opera di divulgazione, promozione e salvaguardia. È autrice di volumi, saggi e articoli riguardanti la Storia dell’arte e il collezionismo in Sicilia; ha curato il coordinamento scientifico di pubblicazioni e mostre ed è intervenuta con relazioni e comunicazioni in numerosi seminari e convegni. Ha collaborato con la Provincia Regionale di Trapani, come esperto esterno, per la stesura di testi e la promozione delle risorse culturali e turistiche del territorio. Dal 2009 presiede l’Associazione Amici del Museo Pepoli della quale è socio fondatore.
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