Ripercorrere sul filo dei ricordi la complessa personalità e la vicenda esistenziale di Nino Buttitta, antropologo e maestro di più generazioni, è il tema di una serie di lunghe conversazioni fra l’Autore e il suo allievo, Antonino Cusumano. Orizzonti della memoria (Ernesto Di Lorenzo ed., 2015), s’intitola il volume perché proprio sulla memoria s’impernia il racconto, inteso come vivificazione del passato nel presente e del presente nel futuro, secondo la lezione di Sant’Agostino.
Il narrare autobiografico del Maestro parte da lontano, dalla Bagheria della seconda guerra e del dopoguerra, come descritta nel film di Peppuccio Tornatore, dove Buttitta trascorre l’infanzia e l’adolescenza, accanto alla madre Angela Isaya, ebrea e al padre Ignazio, poeta e militante comunista che gli trasmetterà per sempre l’amore per i deboli e i dimenticati dalla storia. Un piccolo centro di provincia, florido per l’agrumicoltura e luogo di villeggiatura estiva della nobiltà palermitana, dominato da un borghesato rurale che trascorre il suo tempo nei circoli civili. Lì la microstoria di questa famiglia si incrocia con la grande storia ufficiale, caratterizzandosi come luogo della Resistenza antifascista e dei movimenti contadini. Nella sua terra natale il giovane Buttitta, bagarioto e non bagherese, frequenta gli intellettuali del tempo, si accosta alla pittura dei carretti provenienti dalle botteghe di Murdolo e Ducato, che già avevano ispirato, al suo nascere l’opera di Renato Guttuso, dove matura quelli che diventeranno in seguito i suoi interessi scientifici per l’arte popolare. Ascolta e apprezza il canto dei carrettieri che daranno stimolo e occasione alla moglie Elsa Guggino per la ricerca e la raccolta di un prezioso patrimonio musicale oggi custodito nel Folkstudio.
L’esperienza della malattia tubercolare e il ricovero in un sanatorio lo allontanano dalla scuola primaria, accrescendo in lui quella diffidenza verso la formazione istituzionale che sarà una costante del suo insegnamento. In effetti – sia detto per inciso – se volessimo richiamare nella poliedrica attività di Nino Buttitta i tratti salienti del suo carattere, indicheremmo prima di tutto l’antiprovincialismo, ma anche l’anticonformismo e il rifiuto degli stereotipi e dei luoghi comuni, tanto più nocivi quando provengono da certa borghesia “illuminata di sinistra”.
L’emigrazione della famiglia in Lombardia, al centro della Resistenza partigiana dove Ignazio assumerà un ruolo di protagonista, è destinato a fortificare sensibilmente l’impegno politico del giovane Nino, d’indirizzo socialista a differenza del padre. Al rientro a Bagheria, è accanto al poeta con Girolamo Li Causi nei movimenti di protesta del partito comunista, con Danilo Dolci e Carlo Levi nelle lotte contadine per i diritti civili degli umili. Quella Baaria ritorna viva e presente nel ricordo del Professore: un luogo che oggi non esiste più, per la speculazione edilizia di stampo mafioso che ha deturpato le ville e i giardini, dove una piccola borghesia di recente formazione ha rimosso e cancellato la cultura tradizionale.
L’esempio di Ignazio, poeta dialettale in piazza e combattente al tempo stesso fra le masse popolari, fa nascere e accrescere quell’innata curiosità verso l’uomo e gli uomini, soprattutto verso coloro che la morale comune considera diversi, approdando, quasi per vocazione naturale all’antropologia, durante gli studi universitari. Nell’Ateneo palermitano lo accoglie una tradizione accademica illustre, quella della scuola antropologica siciliana, nata alla fine dell’Ottocento per opera del demologo Giuseppe Pitrè e proseguita da Giuseppe Cocchiara, etnologo, maestro di Buttitta e Preside della Facoltà di Lettere. Cocchiara, di formazione crociana e storicista, si apriva negli anni Sessanta del Novecento, alle correnti anglosassoni dell’antropologia sociale di Marrett, dando nuovi impulsi alla disciplina, fuori dai confini localistici e provinciali dell’epoca.
In quel clima Buttitta inizia il suo apprendistato, affermandosi in modo autonomo e originale: tiene fede al marxismo e fa suo lo storicismo gramsciano, ne accoglie la concezione del folklore come visione del mondo e della vita delle classi subalterne in un rapporto dialettico e oppositivo con le culture egemoni, in consonanza con Alberto Mario Cirese. Ma netto è il rifiuto di ogni forma di determinismo economico di chiave marxiana, così come di ogni determinismo culturale alla Kroeber. Approda, nella spiegazione dei fatti sociali, a una filosofia della prassi, rivisitata dalle nuove correnti dello strutturalismo linguistico di Ferdinand de Saussure e di Louis Hiemslev, del formalismo russo di Vladimir J.Propp e praghese di Roman Jakobson in particolare, ma soprattutto della semantica strutturale di Algirard Greimas. Elabora una teoria della cultura come sistema di segni, prerogativa squisitamente umana: la realtà non è oggettiva ma è una costruzione sociale e culturale dove gli uomini nel loro interagire non producono oggetti ma rappresentazioni di oggetti. Gli uomini in quanto tali producono e consumano segni in una dimensione semiotica e simbolica della cultura. Questa convinzione lo porterà a ricercare nell’umanità, al di là delle differenze, gli aspetti sistemici e strutturali di una langue astratta e inconsapevole, livello della permanenza e non del mutamento, dell’essere e non del divenire. La cultura come dispositivo di una memoria collettiva, secondo la scuola di Tartu e dei suoi esponenti Jurji Lotman e Boris Uspenskji.
La felice stagione dell’antropologia palermitana durante il finire degli anni Sessanta e i primi anni Settanta si inserisce d’altra parte in un generale clima di vivacità culturale della città: sono gli anni delle Settimane di Nuova Musica che ospitano per la prima volta compositori di musica dodecafonica, chiamati a Palermo da Francesco Agnello e Nino Titone, al tempo dell’insegnamento di Luigi Rognoni, musicologo milanese e fondatore dell’Istituto di Storia della Musica, il primo del Meridione d’Italia. Il panorama letterario d’avanguardia si rinnova grazie al Gruppo 63 e l’arte contemporanea vede Lia Noto, Renato Guttuso, Giovanni Barbera e Nino Franchina appartenenti al Gruppo dei Quattro schierarsi contro la retorica figurativa dell’epoca. L’antropologia culturale a Palermo, nel segno della continuità ma anche del rinnovamento, si apre a scenari internazionali con la direzione di Nino Buttitta: una serie di convegni scientifici vedono la presenza di semiotici famosi quali Luis Prieto, Tzvetan Todorov, Umberto Eco e antropologi come Francoise Heritier e Marc Augè.
Lo sforzo costante del nostro studioso è quello di riportare la Sicilia in una rete di relazioni europee e con quello stesso spirito nascono per sua volontà e degli amici più cari, Antonio Pasqualino, Janne Vibaek e Caterina Ruta, l’Associazione delle tradizioni popolari e il Museo Internazionale delle Marionette, il Circolo Semiologico, la Scuola Internazionale di Scienze Umane. Fonda riviste scientifiche di fama internazionale: Uomo e Cultura prima di tutto e poi Nuove Effemeridi e Archivio Antropologico Mediterraneo che, sul finire degli anni Ottanta, registra fra i suoi interessi le nuove tendenze multietniche e pluriculturali di una società globalizzata.
Ma la Sicilia rimane sempre nel cuore dei suoi interessi, oltre i confini, in un ruolo cardine di livello cosmopolita di cui Buttitta è convinto sostenitore: una Sicilia come metafora, direbbe Sciascia. In quella Gibellina utopica e fantastica realizzata da Ludovico Corrao, nel segno della rinascita, si susseguono i convegni sulla museografia etnoantropologica con Jean Cuisenier. Fioriscono raccolte e collezioni di cultura materiale, di strumenti di lavoro del mondo contadino, numerosi giovani laureati sono chiamati a svolgere interventi di censimento e catalogazione sul campo. È accanto ad Alberto Bombace, oggi scomparso purtroppo, ma allora Direttore dell’Assessorato dei Beni Culturali, nella redazione di quelle leggi di riorganizzazione di tutta la politica culturale che porranno la nostra Regione in una posizione d’avanguardia nel contesto nazionale. Una politica nuova che guarda lontano, non col distacco settoriale e specialistico dell’accademico, ma in una prospettiva concreta e di apertura, nella convinzione assoluta dell’enorme portata culturale dell’Isola, grazie ad una storia millenaria sui generis, ad una posizione geografica che l’ha posta al centro del Mediterraneo, rendendola sin dalle origini teatro di incontri, laddove le culture diverse si sono lentamente assorbite e sedimentate mescolandosi in modo cumulativo e in un miracoloso equilibrio.
«La Sicilia è l’Isola degli Dei» – scrive Buttitta in un saggio pubblicato in appendice a questo volume, è la terra del mito dove le opposizioni più irresolubili sul piano della prassi, le contraddizioni più laceranti, si risolvono in una dimensione simbolica che la trasfigura al di là del contingente. Se così non fosse non si spiegherebbe quella straordinaria concentrazione di scrittori e di poeti, da Verga a Pirandello e a Vitaliano Brancati per arrivare a Sciascia, Consolo, Bufalino. In fondo, qualsiasi discorso antropologico si risolve in un atto di scrittura, come momento di costruzione del reale ed è questo che accomuna la disciplina alla letteratura. Chi meglio degli scrittori russi, da Tolstoj a Dostoevskij hanno saputo leggere e interpretare la società ottocentesca e la condizione umana?
Con Jorge Luis Borges Buttitta sostiene che la realtà prende forma dalle parole, atti di discretizzazione sul continuum spazio-temporale. È la stessa passione per i libri come “memoria formalizzata” (De Mauro) che lo vede in prima fila accanto ad Enzo ed Elvira Sellerio e a Leonardo Sciascia nella fondazione della casa editrice, dove assumerà la direzione della collana di saggistica Prisma. Nuovamente da quel salotto di amici, da quel cenacolo di intellettuali nascono opere di nicchia, raffinate, di qualità, scoperte letterarie inedite, mosse da curiosità e mai da intenti commerciali. Palermo si riconferma nel ruolo di capitale europea nel settore editoriale che già in passato aveva visto Remo Sandron, la Reber e la Biondo pubblicare per la prima volta l’Estetica di Benedetto Croce, stampare L’Origine della specie di Darwin, tradurre le opere di Marx, Comte e Spencer.
La scrittura, le parole, i linguaggi: sistemi di segni che si organizzano trasformando il caos della natura in cosmos ordinato e leggibile della cultura. In questo processo continuo di discretizzazione simbolica anche le immagini, per il loro potere mimetico della realtà, giocano un ruolo fondamentale. Nessuna scienza antropologica può prescindere dalla cinepresa come momento di costruzione e restituzione della cultura attraverso il racconto visivo. Il documentario etnografico diviene così un ulteriore campo di ricerca del Professore che culmina nella direzione didattica del Centro sperimentale di cinematografia. Un ennesimo segno della sua tenace volontà di riportare la Sicilia al suo ruolo di primordine nella tradizione cinematografica che ha visto registi come Visconti, Rossellini, Germi, Tornatore e Wenders scegliere l’Isola come osservatorio privilegiato della loro creazione filmica. Una nuova tappa del suo insegnamento, la più recente, da cui escono nuove generazioni di giovani registi e documentaristi che, qualificati e competenti, ripercorrono l’indirizzo di Vittorio De Seta e Ugo Saitta.
Sembrerebbe proprio una vita vissuta col proposito di raccontarla, per citare un’opera di Gabriel Garcìa Marquez, autore molto caro a Buttitta. In effetti, non è tanto importante ciò che realmente si è esperito, ma ciò che si ricorda e si racconta agli altri. Nel nostro caso è proprio nell’incontro dei due dialoganti che si rivela l’originalità del testo: quella sequenza di domande incalzanti che restituiscono in un percorso ordinato il fluire incessante della narrazione. L’autobiografia di Buttitta porta alla luce episodi che ritiene significativi, dotati di senso, tacendo probabilmente su altri che la memoria ha sedimentato in modo inconsapevole. In questo lungo cammino narrativo l’Autore ha incrociato tante vite diverse, in tempi e luoghi lontani: dal contadino del piccolo paese contadino di Mistretta, alla donna berbera, da scienziati internazionali, a politici e pontefici, attori e teatranti. Una conferma del suo essere visceralmente attaccato alla Sicilia ma nello stesso tempo errante, oltre i confini, seguendo l’Ulisse di Omero e il viaggio di Dante nell’aldilà.
Antonino Cusumano, come chi scrive questa recensione, ha avuto il privilegio di partecipare direttamente a quella straordinaria esperienza culturale e di goderne gli insegnamenti. Per questo egli stesso ora può raccontarla, tessendone i fili del discorso, individuandone i leit-motiv, trasponendo l’oralità nella scrittura.
Dialoghi Mediterranei, n.14, luglio 2015
_______________________________________________________________________________ Orietta Sorgi, etnoantropologa, lavora presso il Centro Regionale per il catalogo e la documentazione dei beni culturali, dove è responsabile degli archivi sonori, audiovisivi, cartografici e fotogrammetrici. Dal 2003 al 2011 ha insegnato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo nel corso di laurea in Beni Demoetnoantropologici. Tra le sue recenti pubblicazioni la cura dei volumi: Mercati storici siciliani (2006) e Sul filo del racconto. Gaspare Canino e Natale Meli nelle collezioni del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino (2011)
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