di Nicola Grato
Nel 1947 Antonino Uccello emigrava da Palazzolo Acreide in provincia di Siracusa verso la Brianza per fare il maestro elementare, ancora ventenne e carico di entusiasmo: proprio in terra lombarda si precisò in lui l’idea di creare una casa-museo per preservare, conservare e difendere le ultime tracce di una civiltà della terra, di un mondo contadino siciliano che si andava disperdendo nella migrazione del secondo dopoguerra. Antonino in Brianza organizza così molte mostre di oggetti legati al mondo contadino siciliano, oggetti della cosiddetta cultura materiale: cucchiai, presepi realizzati in legno d’arancio, “chiavi” di carretto. In Lombardia Uccello avviò due campagne di raccolta dei canti popolari dei centri di Cantù, Seveso, Seregno, Figino Serenza, Rovagnate, Montevecchia. Proprio in Lombardia Antonino Uccello affinò la propria penna poetica anche grazie alla frequentazione di scrittori quali Vittorini, Zancanaro, Chiara.
Del 1957 sono le prime raccolte poetiche (Triale e La notte di Ascensione), nelle quali notiamo un verso che si ispira alla poesia di Simonide ma ha echi anche da Scotellaro. La notte d’Ascensione è una raccolta piena di vento: un vento che sommuove, rode le pietre; un vento “Di rosse stimme solca il cielo”: il cielo dei paesi, la vita dei paesi. La notte di Ascensione è notte di presagi: Cristo ascende al cielo e le fanciulle mettono sui davanzali catini d’acqua piovana con petali di rosa. L’acqua è per le società antiche e tradizionali principio e fondamento di vita: la sua mancanza è percepita come dannazione, maledizione. Le acque salate, nel giorno di Ascensione, diventano dolci; la rugiada è benedetta.
Dà conto di un rito che è la vita di un popolo Antonino Uccello, usa lo strumento della poesia come luogo di memoria che non si rinchiude in sé, ma può diventare occasione per fare comunità. Ancora: è anche uragano il vento in questo libro, ulteriore occasione per ricordare un’usanza antichissima in Sicilia, quella di velare gli specchi della casa e l’oro delle donne durante un temporale: “L’apostolo Giovanni / al suo bordone attorca il cielo fulmine! // Fioriva per la fede di mia madre / l’arcobaleno ai monti”.
Ancora nelle poesie della Notte troviamo un mondo di riti e credenze che ci testimoniano quanto fosse legata al sacro la vita delle donne e degli uomini e, al contrario, quanto oggi il rito abbia assunto prevalentemente una posizione “folkloristica”, da “usanza tipica”. Ma Antonino Uccello ci consegna una lezione straordinaria facendo poesia, cioè come si possa parlare della vita delle persone – rito usanza fame lutto – attraverso il verso, la misura, il ritmo.
Poesia come testimonianza, quella del nostro autore, poesia di statue (“Benedite campagne e buona annata, / o Santissimo Cristo flagellato”), di attese e preparazione del pane, rito dei riti del mondo legato alla terra grama: “Attizzano le donne fiamme al fuoco / con timo e con sarmenti: / preparano il pan caldo / con olio sale e origano: / nella bracia d’ulivo abbrustoliscono / cotogne grame: / tornano a sera gli uomini, / morti di lunga strada e fame”.
Nella poesia di Antonino i luoghi hanno un’anima, un carattere e un senso: Palazzolo Acreide, Pantalica, Buccheri, Avola, Canicattini Bagni, rocce, vicoli, case chiuse. I versi di Uccello ci parlano, hanno un significato vivo ancora oggi? In questo tempo in cui dei paesi, dei luoghi fisici in cui abitano persone, si fa merce da vendere come “borghi” quale senso hanno le ricerche di Uccello, le sue poesie? Ebbene, a nostro avviso il poeta antropologo può essere assunto a punto di riferimento, proprio guardando al suo metodo di ricerca: egli si interroga sulla cultura materiale, sui segni del passaggio di donne e uomini sul Pianeta: politica e società, termini oggi vuoti se “dentro” alle parole non vi sono le fatiche del vivere, i desideri delle persone, i sogni.
Sguardo attento ai luoghi “propri”, quello di Uccello, che diventa sguardo da viaggiatore: prova spaesamento chi intenda il viaggio non soltanto come spostamento fisico da un luogo ma soprattutto come dimensione di ricerca prima su se stessi e poi sui luoghi. Il viaggio in Sicilia, oggi come ieri, è esperienza di atroce bellezza e parimenti di sconforto: penso alle strade provinciali gremite di rifiuti, alle tante costruzioni non finite coi ferri dell’armatura di cemento in brutta vista; penso al mare che si affaccia immenso come un dio antico dai tornanti del Monte Dinnamare, luogo di culto sul cemento della ricostruzione: terremoto di Messina e Reggio Calabria, 1908.
Antonino Uccello folklorista è un catalogatore, un uomo che fa ricerca sul campo, che batte paese per paese; Antonino Uccello poeta usa il medesimo metodo del folklorista: ha confidenza con paesani e contadini, ascolta le loro storie, le trasforma in materia poetica. I santi di Uccello hanno le facce delle persone con le quali egli intrattiene conversari. La vicenda della migrazione, il dualismo luogo di nascita – luogo di lavoro (Sicilia e Lombardia) esplode nella poesia Oh le criniere: “Oh le criniere dei cavalli sauri / gli screpolati sugheri del bosco / e le chiome dei lauri / quando dal cuore della roccia il cappero / s’aggrappa alle saggine!”.
La terra dalla quale il siciliano emigra (e qui vale la distinzione che fa D’Arrigo nella sua splendida poesia Pregreca: “Gli altri migravano: per mari / celesti, supini, su navi solari / migravano nella eternità. / I siciliani emigravano invece.”) è la radice mitica della vita, ma la terra di destinazione non appare aspra e senza cuore come ad esempio in Quasimodo.
Nel 1968 Uccello pubblicò il libro Jianiattini, dedicato alla natìa Canicattini (Jianiattini) Bagni: in questo libro si alternano poesie e prose, ma il dato più importante di questo libro è la scelta di Uccello di usare il dialetto, qui adoperato a significare per verba “una dimora sociale”, come ha scritto Natale Tedesco. I riferimenti culturali della poesia di Uccello attingono, come ha notato sempre il Tedesco, al rapporto con un poeta come Antonio Machado, il quale aveva un fratello, Manuel, folklorista come Antonino Uccello. In questo libro la prosa è chiara, ritmica, e ne diamo qui un esempio:
«A volte un vento caldo s’insinuava in un tremito lamentoso nei fili del telegrafo radenti le balconate, urtava gli oleandri della piazza e le palme altissime contro i muri degli orti, poi s’appressava in mugolio, precipitava come una cascata. Così pensavo il sopraggiungere della morte. La quiete tornava improvvisa, le chiome verdi sull’ombra, le case salde, il sole più bianco e il passo dei muli sulle bàsole nere a riprendere il cammino».
Una scrittura questa che ci ricorda il Savarese di Meraviglie dei giorni o il Lanza dei Mimi. Ma sono i luoghi, le case, le persone che vivono in questi posti reconditi i protagonisti della poesia di Antonino Uccello, intellettuale presente nei territori e che quei territori e quelle persone che vi abitano racconta, senza indugiare in anacronistici piagnistei, ma lasciandoci una testimonianza significativa di vita e di poesia.
Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023
APPENDICE
Antologia dei testi (da La notte d’Ascensione)
Notte d’Ascensione
Di rosse stimme il vento solca il cielo.
Lungo strade e costoni al mio paese,
la notte d’Ascensione,
brulicavano fuochi
di frasche di limoni ulivo e timo.
Ogni fanciulla o sposa
affacciava un catino al davanzale
d’acqua piovana e petali di rosa.
Preghiera
Dammi un favo di miele
Un pane di tritello e uva passa
Gli occhi e il cuscino di Santa Lucia.
Allontanami l’incubo
Di quelle dita diafane di nebbia
Ora, nell’ora di mia morte
Così sia.
Palazzolo Acreide
S’aprono fichi lìpari
palme e pietre normanne ad alte cupole
barocche scalinate e grigi santi
di pietra calcare
tegole come il pelo delle lepri
acquattate sul filo di muraglie
verde d’arancio mandorlo degli orti
piazze affocate d’oleandri e sole.
Paese frantumato
di vicoli e sentieri
e di manieri arcigni
di cimiteri siculi e cristiani
dove la capra bruca…
La greca dea modiata
Più solenne resiste a un dirupo
forte di stoppie e di violacei cardi.
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Nicola Grato, laureato in Lettere moderne con una tesi su Lucio Piccolo, insegna presso le scuole medie, ha pubblicato tre libri di versi, Deserto giorno (La Zisa 2009), Inventario per il macellaio (Interno Poesia 2018) e Le cassette di Aznavour (Macabor 2020) oltre ad alcuni saggi sulle biografie popolari (Lasciare una traccia e Raccontare la vita, raccontare la migrazione, in collaborazione con Santo Lombino); sue poesie sono state pubblicate su riviste a stampa e on line e su vari blog quali: “Atelier Poesia”, “Poesia del nostro tempo”, “Poetarum Silva”, “Margutte”, “Compitu re vivi”, “lo specchio”, “Interno Poesia”, “Digressioni”,“larosainpiù”,“Poesia Ultracontemporanea”. Ha svolto il ruolo di drammaturgo per il Teatro del Baglio di Villafrati (PA), scrivendo testi da Bordonaro, D’Arrigo, Giono, Vilardo. Nel 2021 la casa editrice Dammah di Algeri ha tradotto in arabo per la sua collana di poesia la silloge Le cassette di Aznavour. Con Giuseppe Oddo ha recentemente pubblicato Nostra patria è il mondo intero (Ispe edizioni).
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