In un mio recente lavoro mi sono occupato di discutere la dualità cognitiva dell’uomo dove si distinguono due modalità umane di conoscenza, reciprocamente irriducibili – l’una legata al pensiero lineare che privilegia gli schemi razionali e l’altra derivante dall’impulso irrazionale a cogliere in sé stessi le motivazioni del proprio agire (Buccheri, 2016: 19) –, e di sottolineare la rilevanza, in questo contesto, dei Modelli Mentali di Realtà (MMR) con i quali ci confrontiamo all’interno della comunità e reagiamo alle situazioni contingenti della vita (Buccheri, 2017: 23). Il presente scritto mira a entrare nel dettaglio del processo di formazione dei nostri modelli mentali e della esigenza di viverli con equilibrio.
La mancanza di autosufficienza del sistema logico-razionale che consegue dai teoremi di completezza di Gödel, già discussa precedentemente (ibidem), implica che nel nostro MMR è sempre contenuta una inevitabile mescolanza delle due modalità che, pur ‘obbligate’ a supportarsi a vicenda in ogni tentativo di comprensione e analisi della realtà esterna, intervengono con una netta differenza di struttura logica. Esporrò, quindi, brevemente il concetto di bi-logica − introdotto da Ignacio Matte Blanco nel suo poderoso lavoro L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica (Matte Blanco, 2000) – per l’illustrazione di questa differenza, il cui risultato è la presenza nei nostri MMR di molteplici elementi di contraddizione che si ripercuotono sia nei ragionamenti sia nel comportamento pratico di ogni giorno. Citerò in conclusione alcuni esempi di incoerenze e contraddizioni che ci caratterizzano, riferendomi alla magistrale descrizione fattane dal nostro grande conterraneo Luigi Pirandello.
L’evoluzione dell’esperienza cognitiva
La nostra immagine del mondo si basa sull’esperienza che ne abbiamo attraverso i sensi e la successiva elaborazione che ne fa il cervello. All’alba della civiltà – il tempo del mito −, l’acquisizione e l’elaborazione delle informazioni provenienti dall’esperienza erano basate su un processo inconscio di risonanza fra l’uomo e l’ambiente, amplificato dal corpo e trasmesso all’emergente coscienza (Alfano-Buccheri, 2006: 269-302): una modalità di conoscenza, questa, con caratteristiche sia positive che negative per la coesione sociale (empatia, invidia, passione, paura, disprezzo, attrazione, repulsione, speranze, ecc.) e dove il fluire del Tempo era sostituito da un continuo presente; caratteristiche per le quali questa modalità è oggi identificata come ‘irrazionale’, termine usato – non sempre a buon diritto – in senso negativo.
Nel corso dell’evoluzione, la necessità di comunicare generò il linguaggio orale, inizialmente di tipo mimetico-poetico, basato su immagini mitiche, che Socrate considerava come provenienti da ispirazione divina (la ’mania’ poetica). Scrive, infatti, Platone:
«Chi giunge alle porte della poesia senza la mania delle Muse, pensando che potrà essere buon poeta in conseguenza dell’arte, resta incompleto, e la poesia di chi rimane in senno viene oscurata da quella di coloro che sono posseduti da mania» (Platone, 1998: 63).
Successivamente, l’oralità assumeva caratteristiche di tipo dialettico, la cui struttura «a domanda e risposta» iniziava a mostrare una separazione spaziale e temporale fra gli individui comunicanti (Ong, 1986: 23-28) e, con la scrittura intervenuta dopo l’oralità, veniva ad essere del tutto eliminato ogni confine spazio-temporale fra l’emittente e il ricevente della comunicazione, con il risultato di rendere più difficili le risonanze empatico-partecipative e andare verso una conoscenza più quantitativa e più‘oggettiva’. Riguardo ai gruppi umani che, ancora oggi, differiscono dal nostro, principalmente a causa dell’assenza di scrittura, Claude Levi-Strauss scrive che:
«[…] queste società offrono l’unico modello per comprendere il modo in cui gli uomini hanno vissuto insieme in un periodo che corrisponde senza alcun dubbio al 99 per cento della durata complessiva della vita dell’umanità e, dal punto di vista geografico, sui tre quarti della superficie della terra abitata» (Levi-Strauss, 2017: 28)
Si sviluppava quindi la «coscienza estesa» di cui si è discusso (in Buccheri, 2016: 19), culminata nel pensiero razionale odierno, basato fondamentalmente sulle categorie della logica, della matematica e dell’empirismo, tipico dell’approccio scientifico alla conoscenza, e su una più precisa coscienza sul fluire del tempo dal passato al futuro, lasciando comunque presenti, nello sfondo, le capacità ‘soggettive’ connesse con la conoscenza inconscia immagazzinata nell’attitudine partecipatoria, pronte in ogni caso a mescolarsi, integrandosi con gli strumenti logici; integrazione essenziale sul piano emozionale per il soddisfacimento delle proprie tendenze ma anche sul piano pratico per la soluzione di problemi personali altrimenti irrisolvibili.
La tesi della mescolanza delle due modalità è supportata implicitamente dal teologo-scienziato Michał Heller, quando identifica i seguenti tre aspetti della razionalità armonizzata con crescenti interventi della modalità ‘irrazionale’ [1] a) la struttura razionale dell’universo, accessibile con i metodi matematico-empirici di indagine della natura da parte della scienza; b) il ‘ragionamento’, ovvero l’uso, nelle nostre discussioni, di strumenti logici atti a derivare conclusioni corrette da premesse chiaramente definite; c) il modo ‘razionale’ di vivere, dove le regole, sebbene in accordo, in linea di principio, con quelle del ‘ragionamento’, sono molto difficili da codificare per effetto di molti fattori devianti, incluso gli obiettivi che abbiamo nella vita e i mezzi che usiamo per raggiungerli (Heller, 2012: 287-290).
È facile comprendere che i tre aspetti sono legati l’uno all’altro. Il nostro modo di vivere è sicuramente in grado di influenzare in qualche misura il nostro ‘ragionare’ e, a un livello certamente minore, anche il modo in cui indaghiamo sulla natura. Inoltre, il livello di ‘perfezione’ del sistema razionale di pensiero gradualmente diminuisce (e corrispondentemente aumenta l’intervento della parte ‘irrazionale’) andando dal primo al terzo aspetto, in quanto l’elaborazione delle informazioni che acquisiamo quotidianamente obbedisce a limitanti influenze riferibili sia alle caratteristiche della modalità ‘irrazionale’ su accennate, sia alle personali esigenze connesse con l’interazione sociale (tradizioni, cultura, risorse economiche) sia infine alle esigenze materiali ed intellettuali connesse con la nostra struttura psico-fisica. Tutte queste influenze – alcune lungo il corso della vita, altre per via genetica – concorrono a colmare le normali lacune della conoscenza per mezzo di pre-comprensioni, intuizioni, credenze e opinioni che si integrano gradualmente nei nostri Modelli Mentali di Realtà secondo schemi più o meno rigidi di pensiero che guidano e gestiscono i nostri ragionamenti e i nostri comportamenti. Ne aveva coscienza Martin Heidegger quando scriveva che una conoscenza ‘oggettiva’ è impossibile perché ogni conoscenza è il risultato di una ‘interpretazione’ sulla base delle nostre pre-disposizioni, pre-visioni e pre-cognizioni, e che l’atto di interpretazione non è mai il risultato della conoscenza neutrale di qualcosa di ‘oggettivo’ ma solo una rappresentazione del soggetto che interpreta (Heidegger, 2000: 642-670). Il concetto era condiviso da Hans George Gadamer per il quale il processo di incremento della conoscenza è un ‘circolo ermeneutico’ dove abbiamo già, in anticipo, qualche conoscenza di ciò che andiamo ad imparare, e pertanto la nostra comprensione non può essere ridotta ad un atto puramente riproduttivo ma ha sempre una componente poietica, produttiva (Gadamer, 1983: 342-357).
Per quanto riguarda l’indagine della natura da parte della scienza, l’influenza di queste limitazioni è molto bassa. In questo caso, infatti, per effetto del potente approccio collettivo usato, le verifiche critiche di ogni affermazione da parte della comunità scientifica, ottenute nel corso di ripetute osservazioni ed esperimenti, contribuiscono ad annullare quasi del tutto l’effetto delle differenze individuali in credenze e tradizioni culturali fra gli scienziati. Perfino la buona intuizione di un singolo ricercatore, sempre verificata con cura e ripetutamente dal resto della comunità, basta per guidare il processo di conoscenza nella corretta direzione, come testimoniato dalle grandi conquiste del metodo scientifico.
L’interazione mediatrice di persone diverse, capace di attivare verifiche condivise, interviene anche nel secondo e nel terzo aspetto considerati da Heller, ma la loro incidenza – certamente maggiore nel caso del ragionamento – è comunque enormemente inferiore che nell’indagine della natura. In ogni caso, le influenze più coercitive nell’accesso alla conoscenza sono quelle intrinseche alla struttura psico-fisica dell’uomo, in quanto definite dall’evoluzione della vita a partire dalle sue origini, e imprescindibilmente legate all’ambiente terrestre; circostanza che, per l’assenza di possibili interazioni mediatrici atte ad estendere il campo di visibilità al di là dell’esperienza diretta, costituisce una lacuna di livello planetario, colmabile solo con credenze prese tout court dalla tradizione e/o dalle proprie intuizioni. Fra queste influenze, non possiamo evitare di includere il Tempo, la più ostica e misteriosa di esse. Essendo un prodotto della natura, infatti, il sistema fisico dell’uomo integra i tempi e i ritmi naturali dell’ambiente terrestre (vedi ad esempio i ritmi circadiani), in particolare nel cervello dove i ritmi temporali giocano un ruolo fondamentale nell’acquisizione della conoscenza.
Il Tempo è, di fatto, una ‘assioma’, una verità indiscussa e indiscutibile in cui siamo del tutto coinvolti. Tutti i nostri pensieri e le nostre azioni si fondano sulla certezza che c’è stato un passato, che c’è un presente, e che ci sarà un futuro; tutto ciò che immaginiamo e realizziamo è condizionato dal modo in cui percepiamo in noi stessi il fluire del tempo [2] in funzione dell’elaborazione del flusso esterno di informazioni da parte dei nostri processi cerebrali; un’elaborazione armonizzata all’interno dell’organismo, perciò implicante importanti differenze percettive fra individui, fino a quelle drastiche anomalie chiamate ‘stati alterati della coscienza’. Questo tempo ‘soggettivo’, considerato il mediatore fra noi e il mondo (Damasio, 2000: 239-240), è il fondamento su cui costruiamo la nostra conoscenza della natura per il ruolo essenziale che essa gioca come strumento per modificare la qualità della mescolanza delle disposizioni razionali e relazionali.
Il contributo delle influenze psico-fisiche – Tempo incluso – alla strutturazione dei nostri MMR ha una particolare importanza in quanto integra i concetti e il linguaggio acquisiti nell’esperienza quotidiana con quanto riguarda eventi e circostanze che stanno al di fuori di ogni possibile esperienza diretta o incompatibili con la nostra struttura psico-fisica, aumentando le incoerenze interne. Una conferma ci viene dalla fisica con le contraddizioni concettuali che sorgono quando ci spingiamo al di là del dominio del direttamente osservabile, ad esempio in relazione all’indagine del microcosmo e del macrocosmo dove abbiamo difficoltà a concepire concetti come la dualità onda-particella, l’assenza di spazio e di tempo, il vuoto fatto di materia e antimateria, le particelle che vanno indietro nel tempo, gli universi paralleli, e così via. Evidenze che resero scettico David Böhm il quale, alla ricerca della ‘oggettività’ della conoscenza per mezzo del metodo scientifico opponeva un conoscibile ‘ordine esplicito’ e un inconoscibile ‘ordine implicito’:
«[…] ogni genere di pensiero, matematica inclusa, è un’astrazione, che non copre e non può coprire l’intera realtà. […] Dando troppa enfasi alla matematica, la scienza sembra aver perduto il più ampio contesto della sua vista» (Böhm&Peat, 2005: 9-10).
La consapevolezza che al di là di ciò che è direttamente osservabile e passibile di verifica possa esistere una regione illimitata della realtà non conoscibile dal nostro ‘sistema razionale di pensiero’, se, da un lato, distrugge fatalmente la nostra illusione circa la sua universale efficacia, dall’altro, può aiutare a equilibrare razionalmente la mescolanza fra le due modalità e va quindi cercata ed esercitata con cura ed impegno, tenendo sotto controllo le facoltà ‘irrazionali’ per utilizzarle in modo adeguato, nella considerazione che, per il semplice fatto di essere prodotto e parte della natura, l’uomo potrebbe potenzialmentecontenere, impresse nella sua struttura fisica e psichica, tracce del suo lungo sviluppo evolutivo, con la conseguente possibilità di oltrepassare l’esperienza per captare qualche aspetto dell’‘ordine implicito’.
Due emisferi cerebrali/due logiche
Come già detto, la dualità nell’uomo è supportata da una organizzazione asimmetrica, con due emisferi reciprocamente interagenti attraverso una densa e complessa rete di cammini nervosi all’interno del ‘corpo calloso’, con dei meccanismi di temporizzazione che giocano un ruolo essenziale. È stato discusso sulla possibilità che questa caratteristica duale del cervello possa corrispondere al sistema teorico proposto da Ignacio Matte Blanco, sistema che governa le nostre modalità di immagazzinare ed analizzare le informazioni scambiate con l’ambiente, secondo due opposte logiche: una ‘logica asimmetrica’, maggiormente collegata con i dati scambiati più di recente, immagazzinati ed elaborati dal nostro sistema ‘razionale’ di pensiero, e una logica ‘simmetrica’, maggiormente connessa con l’informazione più antica, nascosta nell’inconscio profondo e accumulata secondo il ‘principio di generalizzazione’ e il ‘principio di simmetria’, entrambi fortemente caratterizzanti la relazione e l’‘indifferenziato’ (Matte Blanco, 2000: 43-44) [3]. Una delle più importanti conseguenze del principio di simmetria è l’annullamento del concetto di ordine, annullamento che implica l’assenza del processo temporale (Figà-Talamanca, 1978: 19), mentre il principio di generalizzazione, in congiunzione con il principio di simmetria, produce, per esempio, la sostituzione di un oggetto o persona con un altro/a della stessa classe o di una sottoclasse, come, per esempio, nella sostituzione fra una madre (classe delle persone che nutrono materialmente) e un insegnante (classe delle persone che nutrono mentalmente), entrambe appartenenti alla classe più generale delle persone che nutrono gli altri. Scrive Lucia Figà-Talamanca Dore: «spostando la madre con il professore, l’inconscio non si limita a trattare questi due concetti come possessori di qualcosa in comune» secondo il principio di generalizzazione, «ma fa molto di più, li tratta come identici» in quanto, per il principio di simmetria, «se x è parte di y allora y è parte di x» (Figà-Talamanca, 1978: 20-21).
La sorprendente e imprevista informazione proveniente quasi spontaneamente dall’inconscio in obbedienza a questi principî, non può, in genere, essere elaborata usando gli usuali strumenti della logica lineare, tesi certificata sia dalla configurazione di certi sogni apparentemente incomprensibili secondo la logica asimmetrica dello stato di veglia, sia per la spesso difficile traducibilità in parole dei nostri pensieri profondi secondo lo schema razionale del discorso apofantico; diversamente da come avviene per l’informazione acquisita più di recente, la cui logica lineare asimmetrica viene mantenuta all’emergere alla coscienza (Alfano-Buccheri, 2012: 257).
In questa individuazione di strutture bi-logiche, Matte Blanco risolve la distinzione freudiana fra cosciente e inconscio, portando quest’ultimo ad aderire alle strutture del mito e cooperando ad attribuire la corretta collocazione «agli eventi di carattere emozionale in quanto fonte di inesauribile arricchimento dell’esperienza umana, nella loro valenza di ampliamento delle potenzialità creative in opera nei vari aspetti del pensiero» (Bria&Oneroso, 2015: 13). Per il suo modo onnicomprensivo di concepire il logos, inoltre, la struttura bi-logica consente di riconoscere che il ruolo ultimo di giudizio debba essere attribuito alle componenti ‘razionali’ del pensiero, quelle che Matte Blanco chiama ‘pensiero asimmetrico’ e che Pietro Bria e Fiorangela Oneroso, nella introduzione a La bi-logica fra mito e letteratura, considerano
«in grado di cogliere il fondamento ultimo del sapere e della realtà e di riconoscere la differenza tra unità e molteplicità, di simultaneità e successione, di compresenza e dislocazione facendo risultare l’asimmetria come puro evento a-coscienziale […] rispetto al quale il ‘pensiero simmetrico’ è comunque debitore per la sua esprimibilità e dicibilità, ossia per potersi sciogliere e separare da quell’intero nel quale originariamente è immerso, e potersi liberare dal carattere di confusività che lo costituisce, grazie alle forme via via sempre più sviluppate del pensiero logico-razionale in grado di dispiegarlo e tradurlo» (Bria&Oneroso, 2015: 13-14).
Le contraddizioni nei MMR e le ‘maschere’ di Pirandello
La contraddittoria frantumazione che osserviamo nelle opinioni sulla realtà attraverso l’esplicitazione in azioni e comportamenti dei nostri MMR (Buccheri, 2017:23), è ripresa in modo mirabile nella letteratura pirandelliana.
Nelle opere di Luigi Pirandello, infatti, l’uomo nella vita indossa una maschera dietro la quale si rifugia per nascondere la propria identità, intimorito dal giudizio della società; maschera che gli consente di mostrare solo valori e comportamenti condivisi dalla comunità di appartenenza. Simulazione di una personalità di comodo, questa, che, pur eludendo le convenzioni sociali per vivere secondo le proprie tendenze, è utile a mostrare un’apparenza che, diventando con il tempo sostanza [4], rafforzi l’illusione di avere una personalità in linea con la propria comunità, nonostante la generale incoerenza risulti alla lunga chiaramente riscontrabile dalla discrepanza fra enunciati e azioni. Che di illusione si tratta, è anche il parere di Alessandro Pizzorno che scrive:
«Se si vuole intendere che la persona possiede un volto proprio, e che questo è il portato di una nascosta realtà autentica propria di quella persona, ci si sbaglia […] Se invece [l’uomo] è consapevole di indossare una maschera […] costui non farà il gesto apparentemente semplice di togliersela credendo così di recuperare la propria autenticità» (Pizzorno, 2008: 12-13).
L’intreccio fra le due modalità e l’analisi del loro equilibrio sono la caratteristica fondamentale della letteratura di Pirandello della quale cito solo alcuni esempi, però molto significativi al riguardo. Il groviglio di contraddizioni è evidente in L’uomo, la bestia, la virtù, dove la maschera del perbenismo di Paolino e la maschera della virtù della signora Perella, rimasta incinta del primo in seguito ad una relazione adultera, si ingarbugliano con la maschera della bestia, indossata dal marito di quest’ultima, il capitano Perella, che convive con una amante. L’incoerenza si rivela al momento in cui il professor Paolino tenta, senza riuscirci, di convincere gli altri che la signora Perella è incinta del marito.
Un contorto tentativo di equilibrio è evidente in La patente, dove Rosario Chiàrchiaro, un uomo ambiguo e calcolatore, perciò sfuggito da tutti e rimasto senza lavoro, decide di avvantaggiarsi dell’identità di iettatore attribuitagli dalla società chiedendo l’ufficializzazione di questa presunta abilità che gli consenta di avere un lavoro e un introito. Il problema dell’inconoscibilità del reale emerge in Così è se vi pare, dove le contrastanti dichiarazioni, da una parte del signor Ponza e della signora Frola, sua suocera − che interrogati sull’identità della moglie di Ponza si accusano reciprocamente di pazzia – e dall’altra quelle della comunità, rappresentata dal consigliere Agazzi, si risolvono solo con le ambigue parole della moglie di Ponza: io sono colei che mi si crede!
Un infelice equilibrio è invece raggiunto in Il fu Mattia Pascal, dove il protagonista è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la società gli impone, anche se il caso gli dà l’opportunità di liberarlo da una situazione difficile con l’assumere una nuova identità, in apparenza più favorevole. La realtà della nuova vita è però diversa e altrettanto compulsiva dell’altra e Mattia finisce per vivere infelice fra la vita che vorrebbe vivere e quella che la società gli fa vivere. Analogamente in Uno, nessuno e centomila,dove Vitangelo Moscarda, fra l’aver creduto di essere Uno e la consapevolezza di essere Centomila agli occhi di tutti quelli che lo conoscono, considerando che il vero ‘io’ non è distinguibile da tutti gli altri, si arrangia ad essere Nessuno.
Più articolata l’analisi in Il berretto a sonagli, dove il monologo del signor Ciampa sulle ‘tre corde’ serve a giustificare il groviglio fra la ‘corda pazza’, la ‘corda civile’’e la ‘corda seria’, che cercano di bilanciarsi per minimizzare i conflitti di convivenza, con l’invitabile risultato di essere costretti, come ‘pupi’, ad interpretare la parte assegnataci sul palcoscenico della vita, anche a costo di fingere la follia e rimanere isolati.
Nel saggio L’umorismo, Pirandello analizza esplicitamente il contrasto fra apparenza e realtà, fra istinto e razionalità; se istintivamente ride nel vedere una vecchia signora, «coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili», la successiva riflessione gli fa percepire la sofferenza della donna che forse si è acconciata in quel modo per «trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei», e così tramuta il riso in tenerezza e commiserazione (Pirandello, 2001: 173). Un’identità di opposti, qui, che secondo Pietro Milone «pervade quella diversa dimensione del sentire che penetra nel pensiero e nel linguaggio violandone la logica», e quindi un’ambivalenza che è la traduzione di una più profonda, inconscia, impossibile identità dei contrari che gli fa interpretare l’umorismo pirandelliano come una composizione di finzioni, illusioni e simulazioni, contraddistinte da una bi-logica di stampo matteblanchiano. Nella sua interessante prefazione a L’Umorismo, Milone scrive infatti:
«[…] in Freud esiste anche una concezione strutturale dell’inconscio, come di qualcosa che è costitutivamente diverso perché in esso – e lo dimostrano per esempio i sogni – vige un sistema di rappresentazione cui è sottesa una ‘logica’ diversa; quando questi contenuti inconsci si affacciano alla coscienza razionale, essa li vaglia col filtro della propria logica, in una parola: li compone» (Pirandello, 2001: LXXVII).
Secondo Milone, Pirandello va ‘oltre’ questa composizione, coinvolgendo l’individuo nella sua «unità indissolubile di pensiero-emozione, di coscienza razionale e inconscio che pensano-sentono in modi opposti», un ‘oltre’ identificato da Milone in quell’inconscio che Ignacio Matte Bianco descrive come caratterizzante una nuova e diversa logica; una logica che viola i principi della logica aristotelica e che insieme a quest’ultima costituisce una bi-logica, un intreccio tra le categorie del pensiero cosciente, e quello «omogeneo e indivisibile, che non conosce categorie, che ‘pensa’, o meglio sente, in termini di totalità» (ibidem).
La difficile ricerca dell’equilibrio
In definitiva, quindi, pur se le due modalità sono irriducibili l’una all’altra e mischiate in modo imprevedibile nei nostri MMR, esse sono inestricabilmente intrecciate, a sup- porto l’una dell’altra, e quindi soggette continuamente a contraddizioni e ritorni di coerenza. Il fenomeno è particolarmente evidente nel presente periodo storico della nostra società, dissestata nei suoi stabilizzati ritmi dal fenomeno dirompente delle migrazioni e dalla minaccia mortale del terrorismo in un intreccio che non trova il giusto equilibrio per vivere pacificamente in un ambiente coeso da un generale sentire comune. Scrive Antonino Cusumano, riferendosi in particolare al nostro Paese:
«L’immigrazione, dunque, resta oggetto permanente e dirimente del dibattito politico ma solo come strumentale materia di rozze e ininterrotte campagne elettorali, in un Paese che è incline a dividersi su tutto, perfino sulla memoria del suo passato più recente, mai pienamente e unanimemente condivisa […] C’è da chiedersi se l’integrazione, prima di essere una questione che riguarda gli immigrati stranieri che vivono nelle nostre città, non sia un problema aperto per noi, per noi italiani che abbiamo debole e incerta coscienza della nostra identità storico-culturale, per noi cittadini che abbiamo perduto ogni civico sentire comune. Quanto più precario è il nostro orizzonte di appartenenza tanto più opaco appare il nostro sguardo sull’altro, tanto più ambigua e contraddittoria si rivela la nostra percezione dell’alterità» (Cusumano, 2017: 25).
Non v’è dubbio, a mio parere, che il fenomeno delle migrazioni, nel generale contesto di globalizzazione delle conoscenze, abbia scompaginato il modo di vedere il mondo al quale eravamo adusi da decenni di benessere economico, quel benessere cercato e voluto caparbiamente dopo i disastri delle due guerre mondiali di inizio ‘900. Benessere, gestito però in modo disarmonico dalle politiche di colonizzazione fisica ed economica che, se ci hanno permesso di vivere per decenni al di sopra delle nostre possibilità, hanno finito con il limitare ad interi popoli l’accesso alle risorse vitali. Oggi, costretti dalle avverse circostanze a prenderne amaramente coscienza, reagiamo in modo scomposto alterando l’equilibrio dei nostri MMR per orientarli verso la conservazione del nostro benessere, col risultato di assecondare i sentimenti populisti (a volte anche al limite del razzismo) di chi ne approfitta per accaparrare consenso gratuito. Populismo sottovalutato, e a volte anche sostenuto, da più parti dove, in stridente contrasto con la realtà di vivere quell’identico stile di vita e di valori minacciato dalle migrazioni e dal terrorismo, si pretende con una impositiva ma contraddittoria argomentazione di stampo pirandelliano, di formulare modelli di soluzione non negoziabili – perché perniciosamente stabilizzati nei rispettivi MMR–, pur risultando reciprocamente bloccati da una perenne conflittualità. Se è vero, come sembra dalle dichiarazioni, che tutti ci riconosciamo nei valori di giustizia e di solidarietà all’interno di uno stile di vita che accoglie e utilizza in pieno gli sviluppi della conoscenza e della tecnologia, non ci si dovrebbe aspettare l’osservata feroce divisione ma piuttosto un dialogo rivolto all’unità, anche a costo di sacrificare parte del proprio orgoglio di parte, per proporre soluzioni condivise che rafforzino il ‘civico sentire comune’ e il nostro ‘orizzonte di appartenenza’, invece che frantumarlo in tante bolle autoreferenziali permanentemente chiuse in se stesse.
Dialoghi Mediterranei, n.26, luglio 2017
Note
[1] In realtà Heller parla di ‘grado di perfezione’ del sistema razionale di pensiero mentre qui, per coerenza con l’argomento in discussione, viene usato l’equivalente concetto di ‘grado di mescolanza’ del sistema costituito dalle due modalità interagenti.
[2] Si tratta di una condizione che dipende dalle nostre dimensioni. Come ci racconta la Teoria della Relatività, se potessimo sperimentare il tempo alle altissime velocità delle particelle elementari, osserveremmo le distorsioni della realtà dovute alla contrazione delle distanze e alla dilatazione del tempo; se fossimo grandi quanto una galassia, la gravità modificherebbe la misura del tempo da un punto all’altro del nostro corpo e non avremmo il concetto di simultaneità.
[3] Il principio di generalizzazione: «Il sistema inconscio tratta una cosa individuale (persona, oggetto, concetto) come se fosse un membro o elemento di una classe che contiene altri membri; tratta questa classe come una sottoclasse di una classe più generale e così via». Il principio di simmetria: «Il sistema inconscio tratta l’inverso di una relazione come se fosse identico alla relazione. In altre parole tratta le relazioni come se fossero simmetriche» (Matte Blanco, 2000: 43-44).
[4] Scrive al proposito Francesco Remotti che «[…] per un verso, la sostanza è già lì nell’apparenza, e per l’altro verso, l’apparenza si carica di significati importanti e decisivi, tali da divenire essa stessa sostanza» (Remotti, 2017: 121-122).
Riferimenti bibliografici
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Rosolino Buccheri, già Dirigente di Ricerca del CNR in Astrofisica e Fisica Cosmica, direttore dell’Area della Ricerca CNR di Palermo e docente di Istituzioni di Fisica Nucleare e di Storia del Pensiero Scientifico all’Università di Palermo. Ha rappresentato l’Italia alle missioni spaziali della NASA e dell’E.S.A. e annovera la scoperta della prima pulsar binaria superveloce. È autore di oltre duecento pubblicazioni, coautore del libro L’idea del Tempo con Margherita Hack e co-curatore di diversi libri. È Accademico dell’Accademia Siciliana dei Mitici e Presidente dell’Associazione di Astrofili ORSA.
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Caro Rosolini,
credo che la tua affascinante analisi sarebbe ultriormente arricchita da un confronto tra le tesi di Freud e quelle di Jung.
Grazie, caro Dino, dell’interesse e del suggerimento che tocca un argomento interessantissimo. Personalmente non ho la cultura e le competenze per fare un confronto di questo tipo. Quello che (più semplicemente) ho intenzione di fare, seguendo la linea iniziata l’anno scorso sull’evoluzione della conoscenza, è di connettere la fase attuale con i primordi della conoscenza; primordi che hanno molto a che fare con le tesi di Freud, e soprattutto di Jung (il mito e la psiche). Da profano, ovviamente, non da esperto.
Un abbraccio
p.s. vivi a Mazara o in Toscana?