di Luigi Lombardo
Ogni anno le pecore hanno “bisogno” di essere tosate. L’operazione si compie nel mese di maggio e a volte si protrae fino ai primi di giugno. Abbiamo usato il termine bisogno, come fosse un fatto naturale: tale non è, come è evidente. E allora prima della forbice da tosatura cosa facevano le povere bestie per sopportare la torrida estate con un folto vello?
Io credo che nel passaggio dal sistema della caccia-raccolta alla sedentarietà, con la nascita dell’agricoltura e della pastorizia, assieme all’uomo anche gli animali, interessati dall’azione di colonizzazione degli spazi, abbiano mutato il loro portato fisico delle origini, adattandosi all’azione “civilizzatrice” dell’uomo, regolandosi nei loro ritmi biologici alle esigenze umane.
Dovette essere così che la crescita del vello si adattò alla necessità dell’uomo di avere tessuti caldi per coprirsi, e la lana delle pecore sembrò un ottimo filato da cui ricavare caldo vestimenti.
Naturalmente questa fase fu preceduta dall’uso delle pelli e in particolare del vello delle pecore, che assunse significati e funzioni rituali e cultuali. La leggenda del vello d’oro testimonia questo stadio in cui il vello era un vestiario, seppure di sacerdoti e regnanti, un elemento denotativo ma insieme un “farmakòs”, che infondeva la forza dell’ariete da cui il vello si traeva.
Se l’ariete forniva il vello per re e sacerdoti, le pecore e la loro lana fornirono i caldi indumenti per i rigidi inverni. Ecco che allo scuoiamento, seguito allo scannu (uccisione) fece seguito l’azione civilizzatrice della tosatura, che in fondo richiama il taglio dei capelli dell’uomo e della sua barba. Sono gesti che accompagnano il processo di civilizzazione umana.
Ho assistito alla tosatura di maggio un paio di volte con il pastore Paolo Carpinteri, vera memoria storica, e col fotografo Nino Privitera, l’ultima in località Piana soprana a Buccheri, credo fosse il 1987. La prima cosa che veniva di notare era l’allegria e lo spirito di amicizia che segnava questo lavoro, molto delicato e pericoloso per le bestie. Paolo Carpinteri, lo scultore della natura, amico di Uccello e mio personale, mi ha guidato nelle varie fasi della tosatura tradizionale.
U tùnniri, come si chiama in siciliano, si svolgeva dunque nel mese di maggio. Il momento esatto era quando seccava una certa erba chiamata ciatra (forse la cacciadiavoli), che se mangiata verde provocava un prurito, una fastidiosa furnicìa, che spingeva le pecore a strofinare il vello, appena tosato nelle frasche e nei rovi, con la conseguenza che si aprivano gravi ferite nel vello appena tosato.
Per “tocchi” di pecore contenuti (circa cento capi) la tosatura si fa in famiglia, ma quando si ha un bel tocco di animali allora si procede con il cosiddetto invito. È don Paolo Carpinteri a raccontare nell’intervista, che gli feci al tempo delle foto di Nino Privitera qui proposte, la dinamica di reciprocità dell’invito:
«Oggi tocca per esempio alle pecore mie? e allora gli amici pastori si riducono tutti nel mio ovile e si tosano le pecore mie, segue sempre una scialata con pasta, carne di pecora, vino abbondante. In ogni ovile si fa una festicciola. Io quest’anno mi sono attunnati le pecore da solo, un poco alla volta, quando sono poche si fa così».
La scanna di una pecora, laddove si può fare (quando le famiglie di pecorai sono numerose), è un momento che certamente rinvia a vecchie pratiche sacrificali di cui si è persa la memoria, naturalmente. È rimasto il segno della croce prima di infiggere lo scannagneddu (coltello affilatissimo alla lettera scanna agnello) nella gola dell’animale: non è certo uno spettacolo per stomaci deboli!
Lo stesso costume Sergio Todesco annota per l’area messinese [2]:
«[…] tra i lavori che segnano il dipanarsi dell’anno pastorale, la tosatura è quella in cui le prestazioni sono maggiormente ispirate al principio della reciprocità […] tra i pastori di una determinata area geografica, uniti tra loro da rapporti di amicizia o d’interesse, ovvero partecipi della fitta trama di scambi che si crea durante i tempi delle fiere».
La divisione dei ruoli durante la tosatura è sottolineata da questo proverbio:
«A-ttaccu, a pigghiu
a-ttaccu, a scuorciu»
[la lego, la prendo, la lego, la scuoio].
La pelle va ben ripulita senza far danni all’epidermide dell’animale (nun si pizzulìa).
Un altro proverbio citato da Uccello recita con un paragone insolito col mietere:
«Lauri senza siri siminatu
e sta suggiettu ri li mitituri;
all’annu si trova comu ha-statu
a-mmienzu l’acqua, u vientu e li fridduri»[3].
[Grano senza essere stato seminato, e sta soggetto ai mietitori [i tosatori], all’anno si trova come è stato, in mezzo l’acqua, il vento e il freddo].
La vita del pastore era dura e fruttava poco. Oggi, per la riduzione del numero di animali disponibili, i prezzi sono molto più convenienti, per quanto la vita del pastore è sempre “vita errante”, che spesso confligge con gli interessi dei contadini stanziali, tra cui i più danneggiati sono i viticultori, in quanto nella torrida estate solo la vigna è verde e appetibile. Le liti sono frequenti, spesso risolte a bastonate.
Per quanto riguarda la tosatura essa oggi è interamente meccanizzata, con speciali macchine tosatrici: qualche volta il pastore interviene con la fuorficia i tunniri, per ripulire parti delicate come orecchie e genitali.
La tosatura era una delle parti del lavoro del pastore. I momenti salienti erano scanditi da un vero calendario, che per primo il Minà Palumbo ha voluto trascrivere, riportando un almanacco-calendario del tempo pastorale. Noi ci limiteremo a riportare la parte dedicata alla pastorizia e alle pecore nello specifico [4].
«Gennaio. Pastorizia: Pecore. In questo mese le pecore terminano di figliare, di questi agnelli non se ne allevano, perché soffrendo molto pel freddo possono morire, è meglio mandarli al macello un mese dopo la nascita. Per la scarsezza del pascolo il latte va minorando e si ottiene meno cacio. Si sorvegli il clima, e quando minaccia neve si dispone di portar le pecore in luoghi più riparati, in terre di marina che offrono buon pascolo.
Febbraio: Le pecore di alleva montate in settembre si uniscono alle madri, il latte va minorando, si mantenghino perciò nelle terre di marina.
Marzo: Cominciano in questo mese a figliare, sulla fine del mese si danno le mute di pascolo.
Aprile: si continua la muta del pascolo alle pecore lattari ogni quindici giorni; si dan pure le mute agli agnelli, quelli nati da febbraro ad Aprile detti cordeschi, pasturali ordinariamente non si allevano, quando sono riusciti i primaticci, e si mandano al macello; si fa la conta delle pecore lattari al 15 aprile. Si mescolano i montoni alle pecore per far la monta in maggio. Si fa la vendita dei castrati.
Maggio: Continua la monta: il 20 maggio si fa la tosa, e comincia a diminuire il latte, si licenziano i prezzamari, che devono uscire dalla mandra, si cercano quelli che devono entrare per formare il numero stabilito degli animali. Si fa il piano di mandra pel venturo anno, si stabilisce il numero degli animali, si fa il piano delle terre di marina, di mezzalina e di montagna. Si tolgono le terre da novalizzare, ed in caso di mancanza si pensi a nuovi affitti pagar le terre a prezzo più alto, quando se ne avrà estremo bisogno.
Giugno: Si portano le pecore a’ pascoli di monte, e continuano a dare latte abbondante, si vendono le pecorazze, che attualmente sono molto grasse.
Luglio: si continua a mungere sino al 23 del mese, poi si mungono una sola volta, si vendono i castragnelli di undici mesi, si fa la vendita del cacio.
Agosto: si munge una sola volta al giorno sino al dieci si liquidano i conti promodali per saldare i prezzamari; i prezzamari che escono devono saldare il loro dare, come anche si deve saldare il loro avere. Alla fine del mese si fa l’inventario degli utensili.
Settembre: comincia il nuovo anno dell’amministrazione mandra pecore; e si segue il sistema di amministrazione in uso nel proprio paese. Si conoscono diversi sistemi:
1) Mandra alla perfetta società;
2) Mandra per le spese o al gurgo o alla Mistrettese, commandita pastorale;
3) Mandra a spese sapute
4) Mandra pel frutto;
5) Mandra a letto reso.
Si fa il piano secondo il sistema di amministrazione che si presceglie, del numero di pecore di ciascun prezzamaro, che si distingue dal marchio alle orecchie.
Ottobre: Le pecore continuano a figliare, i nati da agosto ad ottobre si chiamano primmintii, verso il 15 si vendono gli agnelli, che han compiuto 25 giorni, si comincia a mungere, ma queste pecore chiamansi lattarotti. Il quindici del mese si fa la conta delle mugnitoje, che servir deve di guida nella ripartizione del prodotto.
Novembre: Si continuano a vendere gli agnelli per macello, si dividono quelli di alleva dopo due mesi, e si portano in buoni pascoli, o meglio nelle stop, di cui si è fatta fida a tempo opportuno. Il 15 si fa la conta delle mugnitoje: terminano di figliare, si castrano i montoni.
Dicembre: Continuano a figliare e in abbondanza, i figli che nascono da novembre a gennaro si dicono vernerecci, tardii. I freddi aumentano, le pecore, che erano ancora nelle montagne scendono nelle mezzaline, e quelle delle mezzaline scendono nelle terre di marina. Si continuano a vendere gli agnelli, e le pecore a mugnere, e quando i pascoli sono buoni danno abbondante latte, si fa al solito ogni 15 giorni la conta delle mugnitoie».
Ecco dunque dispiegarsi il tempo del pastore: un tempo ciclico segnato dalla riproduzione e dalle nascite, dalla transumanza legata alle stagioni, dal nomadismo che, come detto, ci riconduce a ere lontane, a sistemi di vita che allora erano prevalenti e oggi continuano a essere ampiamente praticati, perché il pastore è pur sempre “Il pastore errante dell’Asia”.
Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021
Note
[1] C. Grisanti, Folklore di Isnello, Palermo, 1909, Sellerio, 1981: 88.
[2] S. Todesco, Le forbici del pastore. Il lavoro e la festa in «Dialoghi Mediterranei», n. 33, settembre 2018.
[3] A. Uccello, Bovari, pecorai e curatuli. Cultura casearia in Sicilia, Palazzolo, Ass.ne amici della Casa Museo, 1980: 35.
[4] F. Minà Palumbo, Annuario agrario per l’anno bisestile 1860, in A. Uccello, op. cit.: 121-132.
______________________________________________________________
Luigi Lombardo, già direttore della Biblioteca comunale di Buccheri (SR), ha insegnato nella Facoltà di Scienze della Formazione presso l’Università di Catania. Nel 1971 ha collaborato alla nascita della Casa Museo, dove, dopo la morte di A. Uccello, ha organizzato diverse mostre etnografiche. Alterna la ricerca storico-archivistica a quella etno-antropologica con particolare riferimento alle tradizioni popolari dell’area iblea. È autore di diverse pubblicazioni. Le sue ultime ricerche sono orientate verso lo studio delle culture alimentari mediterranee. Per i tipi Le Fate ha di recente pubblicato L’impresa della neve in Sicilia. Tra lusso e consumo di massa.
______________________________________________________________